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Autore: ThePirateSDaughter    02/07/2011    10 recensioni
Lo so, vi sto tormentando, ma è più forte di me!
E comunque avevo promesso una long su AxH ed eccola qui!
Parte dalla fine di TDWT e...
Beh, il resto scopritelo voi! :)
"Joan Smitherson si precipitò alla sua postazione dietro il bancone e quelli la raggiunsero poco dopo.
-Hanno bisogno di...- cominciò la Aden, ma l'uomo la coprì urlando.
-Una sala... Vogliamo una sala...
Si chinò su sè stesso per un attimo e riprese fiato.
-Una sala operatoria?"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alejandro, Altro personaggio, Heather | Coppie: Alejandro/Heather
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Alejandro/Heather Moments'
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2 deeper than any game
Deeper Than Any Game

#2: Shouldn't have mocked you

Con un colpo secco Heather aprì lo sportello della doccia e ne uscì. Strano, ma l'acqua sulla pelle non le causava ribrezzo, il che avrebbe potuto essre comprensibile, dopo quanto tempo vi era rimasta, dopo la fuga dalle Hawaii, nell'ultima puntata.
L'ultima puntata...
Alejandro è in ospedale.
Scosse la testa e avvolse corpo e capelli in un asciugamano.
Mentre l'abbraccio di spugna iniziava a rimuoverle da dosso il grosso dell'acqua, lo sguardo della ragazza cadde sulle unghie dei piedi, immacolate e abbastanza curate. Durante il reality era troppo occupata per potersele sistemare a dovere...
Alejandro è in ospedale.
... e non ne sarebbe valsa neanche la pena, perchè si sarebbero rovinate subito, con tutte quelle sfide folli. Ma ora quell'abominio era giunto alla fine per la terza volta, quindi Heather decise di riprendere in mano una vecchia abitudine.
Finì di asciugarsi e si vestì; dopodichè si impadronì dello smalto e si sedette a terra, nel bel mezzo del soggiorno. La portafinestra era chiusa e le tende tirate: un piacevole sole la illuminava...
Alejandro è in ospedale.
Strinse irritata il pennellino e cominciò la sua opera.
Alejandro è in ospedale.
Alluce... poi il dito dopo... e quello dopo ancora...
Alejandro è in ospedale.
...E quello dopo ANCORA. Il carico di smalto iniziava a scemare, quindi Heather schiaffò il pennellino nel barattolino di smalto.
Alejandro. E'in ospedale.
-Oh, basta!!!- sbraitò al nulla, accompagnando l'imprecazione a un brusco movimento della mano.
Che, per sua sfortuna, era quella che reggeva il pennellino immerso nello smalto. Due secondi dopo una vivida macchia porpora aveva colpito la moquette chiara del soggiorno.
Heather rimase stranita per qualche secondo; poi, snocciolando una sfilza allucinante di improperi e maledizioni, corse a prendere il necessario per tentare di pulire.
...Devi essere deficiente. Che casino hai combinato!? Il mio smalto, la mia moquette! E tutto per colpa di quel Burromuerto!
Patetico. Non riusciva a smettere di pensarci, nemmeno imponendoselo: il pensiero attendeva di soppiatto ai bordi della sua mente, per poi prenderne possesso non appena Heather abbassava la guardia. Era sempre lì!
Tutto per colpa di quell'imbecille. Quell'assurdo, totale cascamorto imbecille.
E'in ospedale.
I miei nervi salteranno presto.
E la cosa che la irritava forse maggiormente era il fatto di sentirsi -seppur minimamente!- in colpa.
In colpa.
In colpa! Ma cerchiamo di non essere sciocchi! Per che cosa, poi? Quell'emerito idiota poteva scappare più velocemente, cosa dovrei centrare io?
Ecco il punto. Da cosa esattamente avrebbe dovuto scappare Alejandro? Avendolo sorpassato, Heather non ne aveva idea. Ma qualunque cosa lo avesse colpito, doveva averlo fatto in prossimità della riva.
E chi lo aveva spedito lì, gabbandolo con un sacrosanto calcio là dove non batte il sole? 
E quindi? Mi dovrei sentire in colpa per questo?!
Malgrado gli acidi tentativi di autoconvinzione il senso di fastidio non accennava a smettere. Così come il pensiero di Alejandro non cessava di martellarla.
E'in ospedale. Chissà come sta.
Oh, e va bene! Andrò a trovar... a vederlo! Almeno questo mio stupido cervello si farà un'idea e la pianterà di tormentarmi una buona volta!

Per l'infermiera Joan Smitherson, quel giorno, era il turno pomeridiano.
Un lungo pomeriggio seduta al bancone del terzo piano. Oppressa dal caldo cocente di giugno, a malapena soccorsa dall'aria condizionata. Al solo pensiero si sentì mancare; poi prese posto al bancone e cercò di farsi forza, perchè partire da quel presupposto non l'avrebbe per niente aiutata. E poi, chissà, magari sarebbe venuta una qualche persona interessante a far visita a uno di quei poveracci e a smuovere la sua monotona giornata...
E difatti, verso le tre e mezza, ecco fare capolino dall'altro capo del corridoio una ragazza. Indossava un paio di shorts e una canotta perlopiù succinta, che valorizzavano una silohuette già invidiabile, considerò Joan, fissando la propria pancetta. Man mano che si avvicinava, Joan Smitherson potè constatare che anche il viso era intrigante: magnetici occhi a mandorla, labbra chiare e lineamenti delicati che ben si armonizzavano alla lunga cascata di riccioli castani che le incorniciavano volto e spalle.
Una ragazza all'apparenza come tutte le altre. Dall'aria quasi familiare. Ma Joan, chissà come, avvertiva che c'era qualcosa sotto.
Nel frattempo, quella era arrivata davanti a lei.
-Buon pomeriggio- esordì, zuccherosa -Vorrei sapere il numero di stanza di Alejandro Burromuerto, per favore.
Joan consultò il fascicolo dei pazienti di quel piano. Burromuerto... ah sì.
Povero ragazzo. Un bruttissimo caso.
Di conseguenza non poteva far entrare il primo che passava.
-Lei è una parente?- indagò scettica, inarcando un sopracciglio e fissando la ragazza.
E in quel momento trovò cosa non la finiva di sconfifferare di lei: l'espressione. A prima vista tranquilla, ma con un'ombra dietro che andava oltre la preoccupazione. Era come se avesse paura di farsi vedere in giro.
-...Parente? Sì certo!- rispose la ragazza -Sono... ehm, soi, soi la prima di Alejandro Burromuerto. Suprima. Mi faccia entrare, por favor!
Joan battè le palpebre, sconcertata.
Ora ne era certa: quella non era sicuramente la prima di Burromuerto.
In compenso aveva un'altra idea, circa la sua identità.

E'una maledetta porta. Hai rotto le scatole sì o no per vederlo? E ora ce l'hai praticamente davanti, muoviti!
Heather era ferma davanti all'entrata della camera da diversi minuti. Non riusciva a spiegarselo, dannazione, ma qualcosa la tratteneva.
Che cosa poteva essere? Paura? Tzè, e di cosa?
Orgoglio? Probabilissimo.
Timore di vederlo? E perchè dovrei scandalizzarmi, l'ho visto ogni giorno durante il reality!
Si massaggiò le tempie, infastidita. E già che c'era si diede una vigorosa grattata alla testa, irritata da quella maledetta parrucca riccia. Era insopportabile, ma sarebbe morta piuttosto che togliersela e far vedere alla società Heather che andava a trovare Alejandro.
Bisogna che mi risolva ad entrare o rimarrò qua davanti come un'idiota.
La risoluzione arrivò provvidenziale quando vide la seccante infermiera di poco prima sbirciarla inquisitoria. Quella scocciantissima donna aveva quasi fatto sì che le rispondesse male. Heather espirò stizzita e prima che la sua mente -ultimamente impazzita- la bloccasse un'altra volta, spalancò la porta.
E, sempre di corsa, non si soffermò su scemenze quali il colore della camera o che medicinali o apparecchiature vedesse: marciò decisa verso l'unico letto.
Solo mentre si avvicinava cominciò a rallentare. E non per senso di colpa, paura o qualsiasi altra stronzata avesse cercato di bloccarla nei momenti precedenti.
Il fatto era che si sarebbe aspettata tutto. Ma non quello.
Ogni singolo centimetro del corpo di Alejandro che riuscisse a vedere e che non fosse celato da bende o lenzuola era coperto era ricoperto da lucenti e orrende ustioni, piaghe innaturali che lo deturpavano e che cancellavano qualunque traccia del fisico precedentemente conosciuto. Non vi era più traccia dei vigorosi addominali di cui il ragazzo aveva fatto sfoggio nel corso del reality; niente più muscoli guizzanti; niente di niente. Tutto spariva sotto quegli orrendi segni, che arrivavano quasi ad annientare perfino l'abbronzatura.
Ma non finiva lì.
Attorno alle ustioni si stendeva una serie di vivide macchie scure, che Heather capì essere lividi, lunghi e stretti; ciascuno era contornato di un cupo rossastro, che sfumava in violaceo per poi perdersi nell'intenso nero dell'ematoma.
In testa, il ragazzo portava una cuffietta di plastica che gli circondava fronte e orecchie; ma dato che il copricapo era pressochè trasparente, sforzandosi un po' si poteva intravedere cosa ci fosse sotto. E i lunghi capelli scuri del ragazzo erano spariti, dal primo all'ultimo, lasciando posto ad una pelata che in circostanze normali sarebbe parsa patetica.
Una scena del genere faceva sorvolare qualunque spettatore sul fatto che Alejandro fosse collegato a un respiratore o che un macchinario lì accanto emettesse un bip a lunghi, costanti intervalli; ed Heather non fece eccezione.
Rimase là, agghiacciata, per infiniti, innumerabili secondi, senza che la sua mente riuscisse ad elaborare un solo pensiero, acido o smielato che fosse. Alejandro, in quelle condizioni, incosciente e sfigurato, incatenava oscenamente la sua vista.
Sembrava che ogni cosa fosse stata resettata. Non sentiva nemmeno il senso di colpa.
Due secondi dopo però, quello arrivò tutto in una volta, grande e prepotente; la ragazza si portò per istinto la mano alla bocca, orripilata e minacciata da un conato di vomito.
Era tutta, solo ed esclusivamente colpa sua.
... no, cerchiamo di non essere sce...
Sì, colpa sua! Solo sua! Che cos'altro si poteva pensare, vedendo una cosa del genere? Nella sua testa regnava il caos, ma almeno di quello era certa: non sarebbe successo se non l'avesse spinto giù dal vulcano.
E il senso di colpa era distruttivo. Orribile. Si odiava e disprezzava per non riuscire a bloccarlo, ad autoconvincersi per l'ennesima volta che non fosse successo nulla di grave e che non fosse merito suo...
Ma non era possibile. Non con Alejandro così davanti agli occhi. Non si era bruciacchiato su una mano: era deturpato ovunque, ovunque, maledizione! Chi le diceva ora, che fosse fuori pericolo? Come faceva ad essere sicura che si sarebbe ripreso?
Non si riusciva a muovere. Sembrava una statua, accanto ad Alejandro, ugualmente immobile.
-Povero ragazzo.
Le due voci arrivarono dietro di lei, improvvise e come da molto lontano.
-Guarda, ha visite!
-Pare sia la cugina...
-L'hai visto, eh?
-Sono entrata a cambiargli la flebo l'altro giorno. Mamma mia, come è conciato. Così giovane, così carino... E si è distrutto, in un colpo solo- Risuonò uno schiocco di dita.
-Tutto per quello stupido reality. Povera stella. E poi è solo.
-Solo?
-Come un cane. Nessun parente, nessuna ragazza, nessun amico. La madre è troppo lontana e per un qualche motivo non è riuscita a pagarsi il viaggio; i fratelli non so. A pensarci bene, per due giorni è venuta a trovarlo una partecipante del reality, quella Courtney, hai presente? La ex del punkettone. Dopo un po'però, stando a quanto dicono, pare che si sia riallacciata con quello lì e non si è più fatta vedere. Come nessun altro dei partecipanti, che lo consideravano calcolatore, crudele, perfido e subdolo.
-Però verso la finale sembrava essersi quasi redento...
-Beh, per uno come lui è difficile, ma sì, possiamo dirlo. Aveva un sacco di ragazze belle e buone e si è preso quella strega schifosa. Era in testa alla finale, aveva praticamente già vinto, ma per lei avrebbe rinunciato ai soldi, alla fama, alla vittoria! L'hai vista anche tu l'ultima puntata, no?... Ecco. Poteva vincere, invece ha preferito i sentimenti. E quella bastarda l'ha tradito e schiaffato giù dal vulcano.
-Pensa te. I sentimenti di Heather, poi, saranno stati sicuramente falsi, te lo dico io. Non sarà mai stata veramente innamorata di lui, ci metto la mano sul fuoco. L'ha sempre usato, come con qualsiasi altra persona.
-E'stato calpestato, lasciato a terra, abbandonato, tradito, martoriato... Tutte le sfortune, povero ragazzo!
-Mamma mia. Ora come sta?
-Il dottore non sa più dove sbattere la testa.
Pausa di silenzio.
-...Ti va un caffè?
-E caffè sia.
Non sentì i passi che si allontanavano. Non avvertì le voci che scemavano. Non sentì quasi più niente.
In testa un sacco di pensieri, silenziosi e striscianti, come vermi.
Dentro, la spaccatura e la confusione più profonde. Da una parte l'acidità che autoconvinceva; ma ormai era soffocata da una tonnellata di altre cose.
Senso di colpa dominante. Orrore. Odio per quelle due. Sgomento. Il non sapere cosa fare, come agire, cosa pensare.
Desiderio di voler urlare a chiunque che non era vero, che i suoi sentimenti non erano falsi...
Ah, sul serio? Per questo imbecille?
...
Il cuore che di solito non si curava di sentire trafitto da ogni singola parola pronunciata dalle due infermiere. Non da cose come "strega schifosa" o "bastarda", ma per le frasi seguite.
L'aveva tradito. Quasi ucciso.
E lui l'amava.
E lei?



*Arrivando a fine pagina i lettori scorgono l'autrice in un bagno di sudore, stremata*
Miseria santa.
Questo capitolo è stato arduo anzichenò!
Scrivere di quella ragazza, con tutti i suoi patemi, le sue convinzioni, la sua acidità...
Ma non poteva essere una ca**o di bionda cheerleader, smielata e con un chiuaua in braccio?
... Beh, no. Sennò non l'avrei adorata! Mwahahahah!
^/////^ Bene! Se siete arrivati fin qua significa che siete oltremodo fantastici! *manda baci*
Fatemi sapere, vè! E ricordatemi che i pomodori sono sempre a disposizione *indica banchetto carico di ortaggi*
Grazie a tutti voi, che avete letto, recensito, messo nelle preferite/seguite/ricordate.
Sappiate che una recensione in più è sempre ben gradita! *_________*
   
 
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