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Autore: ninniach    14/03/2006    1 recensioni
Quando il tuo destino prende svolte inaspettate, in soli sette giorni. Quando scopri che puoi essere di più, che la vita non è una scatola delle scarpe dove tutto è soffocato e amplificato. Puoi essere di più, puoi avere di più, oltre l'orizzonte. Ma il destino ha risvolti strani, imprevedibili..
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Port Macquarie, Estate /04 E' una calda giornata estiva. La fattoria dei miei nonni è come al solito tempestata da un sole sfolgorante, che brucia ogni singolo centimetro della mia pelle. Prati sconfinati si estendono intorno a me. Sono le dieci e mezza del mattino, dalla casa nessun suono. Tutti sono assorti nel torpore del sonno. Soltanto io, dopo due ore di corsa in riva al mare, mi godo la brezza delle fronde degli alberi che costituiscono la folta foresta alle mie spalle. Sento qualche gemito, da parte del gregge, provenire nelle stalle. « E' territorio privato, non puoi stare qui. » una sonora voce femminile mi distoglie dai miei pensieri. Alzo lo sguardo. Una ragazza alta e snella, dai lunghi e mossi capelli biondo-rossiccio mi scruta, con aria quasi minacciosa. Replico, dicendo che la zona appartiene ai miei nonni. Controbatte a sua volta, sostenendo che appartiene ai suoi. Si forma una specie di battibecco, al quale concludiamo con una sorta di armistizio, secondo il quale il terreno è comune. Si chiama Angie, lo capisco dalle lettere sbiadite stampate sulla maglietta a maniche corte, gialla. Poco più tardi si presenta. Ha la mia stessa età, e vive lì. Sembra interessata, dalla mia nazione. Le parlo un po’ dell'Italia, delle città, del cibo. Lei vive a Brisbane, ma ogni estate viene a Port Macquarie a trovare i suoi nonni. Si occupa del gregge, di mantenere fertile il terreno durante i periodi di siccità. « La notte, parlo con gli animali. » Io rido, pensando che scherzasse. Dove si era mai vista una sedicenne che parlasse gli animali? Mi gela con uno sguardo, iniziando a sommergermi di parole, secondo le quali una 'glam girl di città' come me non poteva capire. Continua a parlare, imperterrita, la pelle chiara arrossata dall'impeto e dalla convinzione delle sue parole. Lascio andare la testa contro la ruvida corteccia dell'albero retrostante a me, socchiudendo gli occhi e lasciando che la sua voce roca accompagnasse il sibilo della foresta. « Dovresti apprezzare, l'Australia invece che ritenerla un mortorio. La notte, si possono ammirare le stelle con soltanto in sottofondo il suono degli uccelli, e forse, i muggiti delle mucche ». Al che, salto su, come punta da un'ape. « Senti, finiscila di sputare sentenze a tutto spiano. A me piace l’Australia, ci vengo ogni anno. Ed è la mia terra. » per poi glissare la mia attenzione, assumendo un atteggiamento annoiato, verso il bestiame che pascolava. In realtà fremevo, per sentire quali parole, quella voce fluida e cristallina avrebbero composto. Mi aspetto di ricevere una filosofica risposta, e invece soltanto un'alzata di spalle appena accennata. “ Non sei superiore come vuoi apparire a tutti i costi, allora. “ penso fra me e me, abbandonando la mia curiosità verso questo personaggio assurdo, lasciandomene coinvolgere, inebriare. Cala nuovamente il silenzio, ma qualche minuto più tardi, ricomincia a parlare, e senza nemmeno rendermene conto, sono stata coinvolta in qualche sua discussione. Parla del sole, del cielo, e delle stelle con un'abilità tale, con un linguaggio talmente raffinato ma allo stesso tempo inciso e accattivante che mi chiedo se studi astronomia. « Macchè astronomia. La scuola è una delle cose più inutili che possano esistere al mondo. Tutte queste cose le ho imparante in quattrocento notti fatte ad osservare il cielo con incredibile attenzione. » Al che, sgrano gli occhi, allibita. « La scuola non è inutile, affatto. E’ un’ottima opportunità, invece. Per non marcire all’infinito chiusa in una fattoria » Dovevo contenermi. Benché non ne avessi la minima intenzione, questo mio ultimo paragone si avvicinava decisamente a ciò che Angie amava di più. Mi stupisco, di quello che dico. Inimmaginabilmente. Io che mi lamento in continuazione della scuola, del doversi svegliare presto la mattina, delle pagine da studiare, degli sguardi che spesso non vuoi incontrare, perché ti fanno troppo male. Sangue e cioccolata, muffa e fragola. Ecco che cos’è. Una parte di me, evidentemente, una millesima parte di me, era convinta di questo. Altrimenti la mia bocca non si sarebbe articolata in quella maniera, no? A meno che sono schizofrenica. O forse, è stata un’altra millesima parte di me a parlare? Quella che ha paura di un destino monotono. Fatto di un lavoro che detesto. Di stenti, di fatica. Vengo distolta da questi miei pensieri, accavallati fra di loro dall’acuta e come sempre minacciosa voce di quella strana ragazza, con la quale ho iniziato a intraprendere discussione, senza conoscerla minimamente. Sono io che sono strana, oppure questa ragazza ha degli altrettanto strani poteri? « Come pensavo. » nella sua voce si può scorgere un’unica, ma ben distinta, nota di amarezza, miscelate ad altre di disgusto. « Sei come tutte le altre. Vedi la vita come una scatola delle scarpe, chiusa, nella quale tutto ciò che conta è avere le ultime scarpe alla moda, di ridere come delle oche o di rispondere superficialmente a qualsiasi cosa. Ma non lo vedi, che dentro di te c’è una parte profonda, come in tutti? Perché vuoi opprimerla? » Taccio. « Su, Chiara. » la mia amatissima voce coscienza mi sussurra, all’orecchio, solleticandomi. « Puoi ribattere, puoi spiazzarla. E’ solo una conoscente che si è permessa di giudicarti, credendosi chissà chi.. ». Potrei. Ma mentirei a me stessa, soprattutto. Perché è vero, è dannatamente vero. E’ così. Io sono come tutte le altre. Io opprimo la mia profondità per essere un’ennesima fotocopia di una quattordicenne qualunque. E butto via qualcosa, così. Continuo a non rispondere, a non reagire. Così ci pensa lei, da quel vulcano in eruzione che è. « Te lo dico, io, è così. E butti via tutto come tutte le altre. » e fa per girare sui tacchi e andarsene, per poi aggiungere. « Sai qual è, la cosa più triste? Che finalmente ci avevo sperato, di trovare qualcuno con un minimo di intelligenza, con un po’ di sentimenti. Ma mi sbagliavo. Eccome se mi sbagliavo. » Il tono di voce smorzato, come se stesse per piangere. Per poi scappare via, avvolgendosi in una nube di polvere. Frastornata, rimasi lì, immobile, le gambe incrociate e il volto arrossato per lo stupore. Ma chi era, quella? Andiamo, come si permetteva? Provai a chiedermi, senza alcuna nota di stupore, in realtà. Era come se la conoscessi da sempre. Pur stupendomene, la mia testa non riusciva a rimanere sconcertata da quella ragazza. Era come se la conoscessi da sempre. Tornai in casa, e mi occupai delle solite cose. Preparare la colazione ai miei fratelli, nutrire il bestiame, farlo pascolare, sistemare le stalle e la casa e, infine, collassare. Non ne potevo più di quella vita da contadina. Forse aveva ragione quella bizzarra ragazza, Angie. Probabilmente sono una glam girl di città, anche se non vesto alla moda o rido come una scema. Non riesco ad apprezzare la natura come dovrei. Sono superficiale. Conclusi la giornata eterea, come uno spettro. Quando ti senti costantemente lucida, anche se per toglierti da dosso quella sensazione hai fatto quattro docce di seguito, e i tuoi capelli inondano la stanza di fragola. Quando sei triste, spaventata, o eccessivamente pensierosa, come nel mio caso. Verso tardo pomeriggio mi diressi in prossimità della spiaggia. Acquistai una piccolo dolcetto da un venditore ambulante, e mi tolsi le scarpe, affondando i piedi nudi nella sabbia, soffice ma fastidiosa al tatto. Il sole era ancora alto, in cielo, e m’inondava in tutto il suo folgore. Era ancora molta, la gente che restava sdraiata su tappeti e asciugamani per godersi gli ultimi attimi di sole. Mi dirigo verso il bagnasciuga, stretta nei miei calzoncini bianchi, finendo di mangiare con trasporto il piccolo dolce, che sa di marmellata e Australia intrise assieme. Finché sento una voce, acuta, scuotermi dai miei pensieri. Una voce che oramai conosco bene. « Cosa fai, qui? » Sussulto, rispondendo più acidamente di quanto dovrei e vorrei. Sembra più mite, stavolta. Sembra che ci abbia ripensato, sul mio conto. « Non mi risulta proprietà privata, questa. » Arrossisce. E mi vergogno, chiedendomi il perché. Mi affretto, riparando al danno arrecato. « Faccio una passeggiata, non si può? Tu? » « Sono venuta a trovare mio zio, fa il pescatore, là. » sventola la mano destra, in direzione del molo. Cala un silenzio, un po’ imbarazzante. Ma prima che m’inventi qualche osservazione sciocca, è lei a romperlo. « Sai, io penso sempre quello che ti ho detto stamattina, su di te. Però in un certo senso hai ragione. Io posso fare la profonda e la sentimentale quanto voglio, ma la realtà, cruda e a nostra disposizione, è quella. » « Beh, effettivamente la verità è questa. » Cala un altro silenzio, ed è di nuovo lei a romperlo. Mi si avvicina, parlandomi rapida e in un soffio. « Io voglio dimostrarti perché penso ciò che ho detto di te. Non ti vedo come una glam girl, in fondo. Solo come una che sa piangere ma ha paura di accorgersene. Vieni stasera, alle undici, al posto dove ci siamo incontrate oggi. » Non faccio in tempo a replicare che scappa di nuovo via, galoppando a velocità impressionante, per trovarsi sulla sabbia. Qualche minuto più tardi, mi scappa da ridere, pensando alle parole che ha detto. Sapesse quanto piango, io, per qualsiasi stupidaggine. Ma il senso era un altro, e l’ho afferrato. E' l'imbrunire. Fisso il fondo del piatto, vacua, attendendo il calar delle ombre. Il tutto si sussegue freneticamente, attorno a me. Brillii di stelle, viene scoccata l’undicesima ora dal campanile. Il suono giunge ovattato. Fremo, mi sbrigo ad uscire. Vengo pervasa da un venticello frizzante e fastidioso, che sferza, scuotendomi i capelli. Attendo, e attendo, rabbrividendo in continuazione, stretta in una felpa troppo leggera. Si staglia, in lontananza, una figura dal passo svelto, che si muove in mia direzione. Mi raggiunge, i boccoli vaporosi e le gambe snelle, nude. « Non hai freddo? » domando allibita. Io stessa congelo, con addosso pantaloni e maglietta di felpa. Scuote la mano nel vento australiano, borbottando. « E questo tu lo chiami freddo? Vai in Alaska! » Non faccio in tempo a domandarle cosa ne sa lei dell’Alaska che mi prende per un braccio e mi strattona, trascinandomi di peso nei prati circostanti. « Si può sapere dove mi vuoi portare? » sbuffai, finché, ci fermiamo in un angolo del prato, sotto la famosa quercia secolare. La guardo, interrogativa. « E quindi? » . Sbuffa a sua volta, spazientita. « Devo insegnarti ad amare la vita, Magdlaine. ». Mi risponde. Glielo leggo in volto : lei non finge, per lei tutto questo è naturale. Vivere da sola, senza amici. A lei bastano le stelle, il cielo e i campi sconfinati. Inizia a parlare, con quella sua parlantina sciolta e acuta, che ti attanaglia e ti coinvolge più di qualsiasi altra cosa. Inizia a farmi molte domande. E mi racconta una leggenda popolare, nella quale misticismo, passione e magia si miscelano per un effetto mozzafiato. Senza nemmeno accorgermene, si fa mattino. « Accipicchia, come s’è fatto tardi. Devo tornare a casa. » Mi diede appuntamento alla spiaggia, alle tre del pomeriggio. Angie non era come tutte le altre. Angie non mentiva, Angie non tradiva. Angie era come una gatta selvatica, diffidente e indipendente, ma dolcissima. Angie non amava parlare di sé, non voleva mai rispondere alle domande che le facevo. Angie era bellissima. Avevo una risata aperta, sonora. Una bocca piccola e piena. Due occhi dal taglio felino. Boccoli vaporosi. Era alta, e snella. Avrebbe potuto fare la modella, vivere nel lusso e concedersi alla pazza gioia. Io l’avrei fatto. “ Sei troppo ingenua, baby. Quello è un mondo terribile, peggio delle trincee. Sei un pezzo di carne, e devi fare quello che dicono tutti. E’ peggio di morire, per me. “ Mi chiedo come faccia a sapere tante cose del mondo della moda, ma non mi risponde. Angie è mistero. Svela solo ciò che vuole, di sé. Ed è un mistero affascinante, terribilmente affascinante. E’ l’ultima mia sera a Port Macquarie. Poi non la rivedrò più per sempre. Il mio cuore è chiuso in una gabbia, il mio respiro fermo nelle corde vocali. “ Angie, dimmi una cosa. E ti prego, non rispondermi con aforismi. Come fai a vivere così? Come fai a non assaporare la quotidianità, i vestiti.. Un adolescenza normale “ Non si scalda. Sarà che la Angie che conosco una volta che lega non assale più. “ Sai, Claire, spesso me lo sono domandata . E spesso, in tutta franchezza, ne soffro. E sai qual è la risposta? E’ perché io sono diversa, Magldaine. “ “ In che senso, diversa? “ La scruto. Presumo parli di religione, o quant’altro. E invece no . No, per niente. “ Io amo le donne, Magdlaine.. Ti ho detto di vivere a Brisbane, ma io in realtà sto qui da sempre. Mi ci ha mandata mia madre quando l’ho scoperto. “ risponde. Lo sguardo chino, sul prato. Angoscioso. “ Oh, Angie.. Mi dispiace. “ . Alzò lo sguardo, e con irruenza poggia le sue labbra sulle mie. Gli usignoli cantano, sopra di noi. L’incantesimo della foresta mi abbaglia, mi attanaglia. E non la respingo. Mi fa cadere, dolcemente, sul prato, e preme il suo corpo sopra il mio. Le sue mani scorrono, sulle mie gambe, sotto la mia camicetta. Toccano il mio corpo. Sento le sue mani sfilarmi la camicetta, e poi i pantaloncini. Sento le sue labbra sul mio seno, sento la sua energia nel premere il suo corpo sul mio. Mi sembra di essere in un’altra dimensione. Sento le sue mani, esplorare ogni singola parte del mio corpo, tastare il mio fondoschiena. Prima con dolcezza, poi con più desiderio, e sempre più irruenza. Vuole che reagisca, lo sento dai suoi movimenti, sempre più irruenti da rasentare la violenza. Sento gemiti, frenesia. E non so se reagire. Il mio corpo sembra essere racchiuso in una nuvola, e non sembra reagire. Finché sento una voce, un gemito. La mia voce. “ No, Angie, no, smettila, basta… “ Ma lei continua imperterrita, a toccarmi la schiena, il seno, a premere le sue labbra dal petto alla pancia. “ Angie, basta ti ho detto.. Io.. non voglio.. “. Reagisce male,con un singhiozzo. “ Mi dispiace. Mi dispiace Angie. Ma io non sono come te. Non sono come te “. Inizio a rivestirmi, in fretta. “ E come sono, io? Ti sembro un cane rabbioso? Hai paura dell’opinione degli altri. “ “ Io.. io me ne vado, Angie. “ inizio a correre, come se scappando da qualcuno o qualcosa. Come un ladro. E mi vergogno, come un ladro. Inizio a singhiozzare, per avere mentito ad Angie ma soprattutto a me stessa. Percorro qualche centinaio di metri, e sento un tonfo, secco. M’irrigidisco, e torno indietro, con la paura di vedere qualcosa che non avrei voluto. Il corpo di Angie, freddo inerte, contro il fondo di una profonda buca. Sopraffatta dalla serie di emozioni, me ne vado. Scappo dai miei pensieri, dalle mie emozioni, dalle mie sensazioni. Ecco il prezzo che si paga. Guardo fuori dal finestrino. Si stagliano confuse le sagome di alberi, case, campi. Mi lascio alle spalle qualcosa di più, e lo so da me. Ma guardo oltre. Oltre l’Orizzonte. E penso ai miei errori. Ad Angie, che ha abbandonato la sua vita per me sì, ma anche per una serie di rimpianti. Di una vita diverse dalle altre.
  
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