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Autore: Martin Eden    03/07/2011    1 recensioni
Seguito di "Compagni di sventura - Resistance". La guerra dell'Anello continua per i nostri eroi, fra alti e bassi, vittorie e sconfitte: riusciranno a sopraffare il Male? Ma a che prezzo? Perdere la battaglia contro Sauron è veramente la cosa più terribile a questo mondo? Non per tutti... Buona lettura! E recensiteeeeeee :)) grazie mille!
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aragorn, Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
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7 - ADDII

 
La fortuna, Aragorn e i suoi amici se la goderono per poco tempo.
Un grave problema incombeva ancora sulla loro felicità e su quella della Terra -di -Mezzo: avevano distrutto, sì, l'esercito di Mordor, ma c'era qualcosa di ben più che fatale delle armi in circolazione.
E quel qualcosa era l'Anello. Quell'Anello maledetto che Frodo stava portando. Quello c'era ancora.
Un uomo aveva riferito ad Aragorn di aver visto l'hobbit poco lontano dalle montagne di Mordor, poco tempo prima, e questo faceva pensare che, oramai, fosse anche giunto all'interno del regno dell'Oscuro Signore.
In questo caso, l'unica cosa da fare era distrarre quel che restava della potenza nemica da Frodo, ovvero, attirare i pochi reggimenti di orchi rimasti dentro la terra di Sauron.
Era un compito rischioso: pochi uomini valorosi contro chissà quante migliaia di creature assetate di sangue. Come avrebbero potuto farcela?
 - E' l'unica cosa che possiamo fare per Frodo.... - si disse Aragorn mentre, pallido come un cencio, se ne stava di fronte al Nero Cancello di Mordor, assieme a quel nugolo che era rimasto dell'esercito.
 - Almeno moriremo con la certezza di avere fatto qualcosa... - borbottò teso il Gimli.
 - Non temete, possiamo ancora farcela: se l'Anello sparisce, anche Sauron spa -risce... - intervenne Gandalf.
L'attesa logorava i nervi di tutti quanti: nessuno si decideva a provocare l'ira di Mordor, neanche Aragorn, ora sovrano di Minas Tirith, in quanto erede dell'antica stirpe dei Re.
Nubi nere come il destino si raggrupparono a est: qualcosa si muoveva nelle viscere della terra nemica, qualcosa, finalmente.
 - Se il Signore Oscuro ha ancora un briciolo di coraggio, venga fuori ad affrontarci! - urlò Aragorn, convinto che non si dovesse più aspettare.
A quel grido le teste dei soldati scattarono verso il Cancello Nero, specialmente quelle di Legolas e Lilian, ancora muti per la tensione: entrambi pensavano a come uscirne vivi, ancora una volta.
Non avevano intenzione di separarsi di nuovo. E non l'avrebbero fatto.
Il Cancello Nero si aprì con stridore di ferro arruginito: davanti ad Aragorn e ai suoi amici apparve un esercito enorme.
Almeno qualche miglio coperto da orde di creature di ogni genere: l'ultima carta del nemico, infine.
Una tromba beffarda risuonò come un tuono nell'aria; l'esercito di Aragorn sfoderò le armi, pronto a combattere.
L'inizio non si fece attendere: gli orchi cominciarono a marciare decisi, e poi le loro file si ruppero in un intenso fragore di metallo.
Anche l'esercito di Aragorn partì all'attacco, benchè sapesse di non avere molte speranze: ciò non importava, in fondo.
Frodo sarebbe arrivato a Monte Fato. Avrebbe distrutto per sempre l'Anello. Tutto sarebbe finito, una volta per tutte.
Aragorn si slanciò per primo contro due orchi dagli scintillanti occhi verdognoli, sgozzandoli in un solo colpo; poi altri due, e altri ancora scomparirono sotto le sferzate della sua spada.
L'uomo d'un tratto si rese conto che non era così difficile come pansava: invaso da una nuova ondata di rabbia si gettò sempre più al centro della mischia, sgoz -zando, uccidendo, mutilando.
No, non era affatto difficile per uno come lui.
Finchè non si trovò di fronte a qualcuno decisamente più grande di un semplice orchetto: una volta giratosi, dopo una difficile manovra, si ritrovò al cospetto di un gigantesco troll, l'elmo lucido sopra la testa, che brandiva una pesante e massiccia mazza ferrata.
Non sembrava contento: appena si ritrovò Aragorn in mezzo ai piedi, iniziò ad agitare furiosamente la clava, a sbatterla con violenza per terra, nel tentativo di togliere di mezzo l'intruso.
Il "nemico" in questione, però, decisamente più piccolo, schivò i colpi, andandosi a rifugiare tra le nuvole di polvere alzatesi sotto la furia incontrollata del troll.
La creatura non si diede per vinta: pestò i piedi, ancora più arrabbiata, ancora più minacciosa, ancora più letale.
Infine lo prese, il suo intruso, lo prese: lo bloccò sotto uno dei suoi sproporzionati piedi, e felice agitò la clava nell'aria. Poteva schiacciarlo, quel nanerottolo, quando voleva, ma preferiva divertirsi e provare la gioia di essere sadico.
Aragorn si ritrovò imprigionato sotto il troll, in preda al panico: non poteva finire così, no! Non ora! Non ora!
Con un ultimo disperato tentativo, colpì il gigantesco piede che lo schiacciava con la spada, provocando un urlo di dolore del mostro; ma ciononostante il troll non mollò la presa, anzi, s'infuriò ancora di più.
Alzò la mazza rapido come un fulmine, gli occhi iniettati di sangue, tizzoni ar -denti che ribollivano rabbiosi tra le pieghe della sua carne verdognola e lercia.
Aragorn era perduto. Si sentiva perduto. E lo sarebbe anche stato, se qualcuno non fosse saltato sulla faccia del troll e lo avesse graffiato.
Il gigantesco piede della creatura si spostò, e Aragorn fu di nuovo libero: poteva scappare, se solo l'avesse voluto, invece si fermò a fissare perplesso la scena.
Il qualcuno che aveva distratto così abilmente il nemico ora si era inerpicato sulla testa del mostro, continuando a ferirlo con l'esile spada che teneva ben stretta in una mano: la creatura, ancora più infervorata, agitava la clava per aria, cercando di colpire l'intruso.
Era una lotta impari. Troppo dura perchè quel qualcuno potesse uscirne vincitore.
Il troll non la smetteva di dimenarsi, e per l’altro, aggrappato alla sua testa, le cose si stavano complicando ulteriormente: non poteva resistere a lungo.
La figura attaccata saldamente al mostro alla fine cedette: tra uno svolazzare di capelli lunghi, saltò giù dalla testa del troll, mentre questi sembrava troppo oc -cupato a cercare di afferrarla con le mani.
Ma, si sa, l'imprevisto è sempre in agguato: mentre il coraggioso qualcuno che aveva salvato Aragorn scendeva a velocità vorticosa dal corpo del nemico, questi si girò di scatto, e la pesante mazza ferrata sibilò, sferzando l'aria.
E non solo quella.
Aragorn vide la figura che stava scendendo a terra fermarsi di colpo, sparire tutt'uno con la clava per interminabili secondi, per infine volare lontano.
In quel momento sperò che quel qualcuno non fosse un amico che conosceva da anni; ma gli rimase poco per pensare: lo sguardo scintillante del troll era di nuo -vo fisso su di lui, vecchia preda ancora da catturare.
In quel momento, qualcosa scoppiò in lontananza, e il bagliore di un fuoco che divampava alto e insormontabile si stagliò contro il cielo scuro di Mordor.
All'improvviso, fiammate dappertutto lacerarono la terra oscura, un vento spazzò via la polvere per abbattersi minaccioso sulla battaglia davanti al Cancello Nero; la Torre di Sauron, in lontananza, si spezzò e crollò in uno stridio di sconfitta.
In un attimo il troll e gli orchi, presi dal panico si diedero alla fuga per i ripidi pendii delle montagne, lasciando l'esercito di Minas Tirith solo, di fronte all'im -possibile.
Monte Fato vomitava fiamme su fiamme, ceneri su ceneri, rabbia su rabbia, e in quel furore era racchiusa tutta l'amarezza di Mordor, nella consapevolezza di avere perso.
Frodo, evidentemente, era riuscito a distruggere l'Anello: tutto era finito, per sempre. E sempre, e sempre, e sempre.
Aragorn ripose la spada, ammirando affascinato le pendici della montagna rico -perte di lava rovente, mentre il tutto si calmava in un'unica e nera nube di fumo.
Tutti guardavano quello spettacolo, felici di poter tornare a casa con le persone che amavano. Tranne uno. Uno solo. L'unico la cui amata l'aveva seguito per -sino in quella battaglia.
Legolas passava veloce e silenzioso tra i corpi lasciati sul terreno, uomini e orchi, orchi e uomini, niente mezzani: dov'era Lilian?
Non l'aveva ancora vista da quando il dovere li aveva costretti a separarsi; e nemmeno l'aveva vista in piedi, a osservare contenta la fine di tutto.
Qualcosa non quadrava.
Rapido si diresse zigzagando tra i corpi verso il Cancello Nero, senza trascurare un minimo pezzetto di terra, il minimo centimetro che poteva....
Ad un tratto la vide: vide l'esile figura di Lilian accarezzata dal sole stagliarsi im -mota a terra, con quell'immobilità che solo i cadaveri sanno avere.
Senza poter pensare ad altro se non a lei, l'elfo corse fino a raggiungerla: le s'inginocchiò accanto, prendendola tra le braccia, sussurrandole parole dolci all'orecchio, sperando, volendo che fosse ancora viva.
La scosse, chiamandola, scostandole le lunghe ciocche scure e incrostate d'avventura dal viso: Lilian non si mosse se non dopo qualche secondo, quando chis -sà dove trovò la forza di aprire gli occhi.
 - Ciao, Legolas... - mormorò fiocamente.
 - Ti diverti a farmi prendere degli accidenti? Credevo che fossi morta... -
 - Lo sono..quasi.. -
 - Ma che stai dicendo? Da quando in qua i morti parlano? Tu sei viva... -
 - No, Legolas...mi resta poco...lo sento.. - trasse un sospiro affannoso e tossì: un rigagnolo di sangue le uscì veritiero dalle labbra.
Legolas in quel momento seppe che la ragazza non scherzava: ma come poteva essere tutto vero? Come poteva essere? No, non era giusto!
A stento l'elfo represse un grido di dolore che arrivava dal cuore:
 - Lo sai che ho chiesto agli dei? - gli sussurrò Lilian vedendolo così abbattuto.
Legolas scosse la testa, desiderando che tutto fosse solo un incubo:
 - Ho promesso loro..che me ne sarei andata..senza un singulto...se mi avessero permesso...di vedere ancora una volta...il tuo viso... - la mano fredda della ra -gazza accarezzò con le ultime forze i lineamenti dell'elfo, asciugandogli le lacrime sopraggiunte senza che lui se ne accorgesse - non piangere...non è da te... -
Quella frase suonò a Legolas molto familiare: era la stessa che lui le aveva detto per calmarla quella notte, quando si erano baciati per la prima volta.
Gli sembrava così strano che gli eventi si fossero capovolti a tal punto:
 - Non lasciarmi.. - disse con voce soffocata dal pianto, mentre la mano di Lilian scivolava di nuovo sul petto della ragazza.
 - Devo mantenere la promessa che ho fatto...e a quella mi attengo...anche se non vorrei.. Volevo solo vederti un’ultima volta...e dirti che sei la persona migliore che abbia mai incontrato...e che ti amo.. -
Il mezzano guardò l'elfo con occhi pieni di tristezza, con le lacrime represse a fa -tica dietro le palpebre stanche:
 - Namarie Legolas... - disse, e tolse per sempre alla vista del mondo l'immenso mare dei suoi occhi celesti: e spirò.
Legolas rimase come inebetito per alcuni attimi, il corpo di Lilian stretto fra le braccia impotenti di fronte alla morte.
Non avrebbe saputo parlare in quel momento, nemmeno con un amico.
Accarezzò quasi sovrappensiero le gote di Lilian, fredde e livide, morte, così diverse da quelle che aveva conosciuto; poi si alzò, sollevando da terra il corpo inerte della ragazza e portandoselo via da quello sterminato campo di battaglia.
Monte Fato gorgogliava ancora furioso, cinto dalle nubi nere di Mordor, ma questo non impensierì Legolas, affatto: era troppo occupato a tenere a freno le sue emozioni per prestare orecchio al sospirato rumore del trionfo.
Per lui quella non era una vittoria: era una sconfitta. Una delle più amare.
Serrò quasi con violenza il corpo inerme della ragazza al suo petto, come se potesse infondergli vita.
Aragorn vide l'amico avvicinarsi con un'espressione che tradiva un immenso dolore: l'elfo gli si fermò accanto, guardandolo, le guance rigate di terra e di pianto rilucenti al pallido sole. Poi lo superò, senza proferir parola, diretto a Minas Tiri -th.
In quell'attimo Aragorn comprese un sacco di cose: capì chi era veramente il qualcuno che l'aveva salvato dalle grinfie del troll, chi aveva dato la propria vita per la sua....e si rese conto che quel giorno di amici non ne aveva perso uno, ma due.
 
Il funerale in onore di Lilian fu uno dei più grandiosi che si ricordassero: per tut -ta Minas Tirith deboli fiaccole luminescenti furono accese per commemorare la grave perdita fino a sera, quando si decise di accantonare i morti per festeggiare i vivi.
I tavoli furono ricoperti di deliziose pietanze, e il popolo di Minas Tirith fu per una volta libero di mangiare in santa pace.
Non tutti si divertivano così tanto: Aragorn, che si tenne ai margini della scena per la maggior parte della serata, era divorato dalla tristezza, rafforzata dal continuo silenzio di Legolas.
In effetti, nessun altro si sentiva colpevole quanto il nuovo re della città: Lilian era morta per salvarlo. Salvarlo! Avrebbe potuto lasciarlo in balìa del troll e go -dersi ora l'inaspettato lieto fine: perchè aveva rinunciato a tutto?
E poi c'era Legolas: un altro problema. Certo, aveva tutte le ragioni per starsene in disparte e rinchiudersi in un giusto e doloroso silenzio: ma non poteva continuare così! Era tutto il giorno che non parlava, non mangiava, non aveva nemmeno pianto una volta...riusciva a tenersi dentro tutti i suoi sentimenti, quella furiosa guerra che non sarebbe cessata così presto, forse mai.
Era rimasto sconvolto dalla morte di Lilian e si era chiuso in se stesso, come un riccio, in attesa di un’altra ragione valida per continuare a vivere: aveva perso una delle cose più preziose e non riusciva a capacitarsene, forse si sentiva in colpa, colpevole quanto quel soffio di vento che ave -va spento la vita di chi amava di più.
Le ultime parole che aveva rivolto a Lilian, prima che fosse riposta nella sua eterna dimora, erano impresse nella mente di Aragorn, e continuavano a perseguitarlo, fantasmi che non gli la -sciavano nemmeno un secondo di pace
(...una volta ti avevo promesso che avrei fatto qualunque cosa per te..ora tu l’hai fatto al mio posto, per me e per tutta questa gente..sei stata coraggiosa, anche se..poco importa ormai. L’unica cosa che posso dirti, ora, benchè tu non possa sentire, è che ti ho sempre amato e ti amerò sem -pre...per sempre. Riposa in pace, amore mio..)
Si ricordava chiaramente di quelle frasi sussurrate tra le lacrime incombenti e tuttavia mai libere di scendere dagli occhi di Legolas; si ricordava fin troppo bene, con un sapore amaro in bocca, dell’ultimo, dolce bacio, dato dal suo amico alla donna che amava.
Aragorn voleva aiutarlo, il suo amico, anche se il suo aiuto sarebbe ben valso poco in una situazione simile: ciononostante, si diresse sicuro verso l'elfo, seduto in un angolo buio, lontano da tutto e da tutti, a osservare la festa e Gimli che già aveva preso a corteggiare le ragazze.
Legolas si voltò all'arrivo di Aragorn, ma distolse subito lo sguardo, senza neanche l'ombra di un’emozione sulle labbra:
 - Mi dispiace.... - sussurrò l'uomo, ma non bastò per catturare l'attenzione dell'altro - Devo dirti una cosa.. -
Legolas continuò a rigirasi fra le mani il pendente che Lilian teneva sempre al collo, quello con il medaglione a forma di stella, quello che l'aveva tenuta impri -gionata nella sua mortalità: se solo pensava alla promessa che le aveva fatto...!
 - Quale cosa? - chiese l’elfo, dopo qualche minuto, senza girarsi - Un’altra cosa? Non bastano le novità, per oggi? -
L’amarezza di quelle parole lasciò Aragorn senza fiato: com’era freddo, il suo amico, com’era distante...il suo migliore amico...a un passo dalla disperazione. E cercava di resistere, di combattere! E lui, Aragorn, che stava facendo? Nulla?
Tentò di dire qualcosa per interrompere il silenzio caduto fra loro:
 - Sei preoccupato per me? - indovinò prima Legolas - E’ questo? E’ per questo che sei qui? Stai cercando di dirmi qualcosa per tirarmi su? Non ci riuscirai. Grazie, comunque. Non preoccuparti per me...sto bene anche così. -
 - Che cosa dici? - mormorò attonito l’uomo: stava bene così? Dopo tutto quello che aveva passato, con tutto quello che aveva nel cuore? Non ci avrebbe mai creduto.
 - Sto bene così...davvero. Sto bene, Aragorn. - rincarò l’altro, avvertendo l’incertezza dell’amico.
 - NO! No, che non stai bene! - esplose l’uomo - Non mentire a te stesso, solo per sfuggire al passato! Mi fa male vederti così! Stai facendo del male non solo a te stesso, ma anche a me! E io soffro...perchè.. -
E qui si fermò, per un momento indeciso nella sua confessione: ma fu un attimo solo. Non poteva permettersi di nascondere la verità adesso, perchè, se l’avesse fatto, quella muta bugia sa -rebbe rimasta per sempre, una barriera tra lui e Legolas. 
 - E'...colpa mia. - ammise quindi Aragorn, poggiando una mano sulla spalla dell’amico - Ti chiedo umilmente perdono...anche se non me lo meriterei... -
L'elfo si voltò, sorpreso e confuso:
 - Perdonarti? Di cosa? -
 - Per Lilian....lei ha...dato la vita per salvare la mia...le sue ferite...mi ha salvato da un troll, sa -crificandosi...l’ho vista, avrei potuto fermarla..o aiutarla...e non l'ho fatto..ero confuso, troppo felice per la mia salvezza, accecato dall’egoismo, non lo so! Ma è come se l’avessi uccisa io stes -so.. - nella voce di Aragorn apparve una nota di rabbia mentre serrava con forza la spalla di Legolas e si accasciava su una sedia accanto a lui - Sono un pessimo amico..pessimo! -
L’elfo rimase di stucco a fissarlo: per un attimo non seppe più cosa pensare. Non si aspettava una simile rivelazione da Aragorn. Da un amico. Da qualcuno a cui voleva bene.
Non c’era motivo, tuttavia, per prendersela con lui: in fondo non c’entrava.
La morte di Lilian era stato solo l’ennesimo capriccio del destino, niente di più. Solo che questa volta il colpo era stato talmente duro da schiacciare quasi del tutto la vita di qualcuno.
 - Non ti considero colpevole... - replicò l'elfo, guardando Aragorn con aria comprensiva - non darti troppa pena...non ne hai né il tempo, né il diritto: questa città ha bisogno di te, ora... -
Tornò a fissare la festa, che si svolgeva con tutta la gioia possibile oltre il suo angolino buio: A -ragorn si accorse dei suoi occhi lucidi, della fatica per tenere a freno il dispiacere tremendo che lo divorava, ma non vide una lacrima scappare da quegli occhi azzurri. Era un vero tormento vederli così.
E quelle mani...quelle mani che tante volte avevano aiutato Aragorn a risollevarsi, che gli ave -vano offerto una via d’uscita quando temeva di non farcela, quelle mani amiche, che aveva sen -tito sulle sue spalle ogni volta che aveva avuto bisogno di conforto: ora erano abbandonate sul grembo di Legolas, incatenate da quella collana argentea con il medaglione a forma di stella, tre -manti, le dita esili che accarezzavano piano un sogno infranto, rimasto tale proprio quando stava per avverarsi.
Chiunque avesse incontrato Legolas in quel momento, senza sapere nulla di lui a parte il suo a -more per Lilian, avrebbe detto che l’aveva presa, tutto sommato, abbastanza bene: ma non Aragorn. Lui non la pensava affatto così, ed era quasi del tutto sicuro che non fosse così.
Legolas aveva bisogno di aiuto. Adesso. L’uomo si decise a fare qualcosa, prima che quel fragile corpo scoppiasse:
 - Non puoi tenerti tutto dentro, Legolas.. - cercò di smuoverlo - Ti prego..fai qualcosa! Reagisci! Sfogati! Se continui in questo modo, ti distruggerai! Sono qui..voglio esserti d’aiuto, in questi momenti...a che servono gli amici, sennò? -
La risposta di Legolas non si fece attendere tanto:
 - Lasciami perdere. - con voce controllata, con lo sguardo rivolto altrove, l’elfo si liberò scatto -samente dalla stretta di Aragorn.
Il quale rimase colpito, turbato, non si immaginava tanta ostilità, anche se ne comprendeva il motivo:
 - Lo so che mi odii, Legolas... - ritornò alla carica l’uomo - ma forse anche un nemico come me potrebbe aiutarti, adesso. Non vuoi tornare a essere quello che eri con Lilian, quel ragazzo valo -roso e gentile che camminava al suo fianco? -
 - Io non ti odio, Aragorn, se è questo che vuoi sapere... - lo interruppe bruscamente l’altro - Non ti odierò per questo, perchè so che non è stata colpa tua: non ci saranno rappresaglie da parte mia, credimi. Ma lasciami stare! -
E mentre lo diceva si coprì le mani col viso, si piegò in avanti, ma trattenne ancora e coraggio -samente quello che aveva dentro: stava perdendo quel suo controllo mantenuto a stento.
Era questo che, forse, lo rendeva irritabile nel rispondere: ma era proprio questo, quello che Ara -gorn voleva. Voleva che perdesse quel maledetto controllo. E che piangesse, almeno una volta, per liberarsi un poco del suo fardello di tristezza e speranze deluse che si portava appresso.
Allora, mentre il suo amico cercava ancora di ricomporsi, l’uomo gli diede il colpo di grazia, ab -bracciandolo stretto, facendogli sentire quanto voleva aiutarlo:
 - Non so se questo può calmarti un po’... - gli sussurrò all’orecchio -..non m’interessa. L’importan -te è che ti sfoghi. Piangi, Legolas! Piangi, ti prego! Togliti di dosso un po’ di quello che ti trascini dietro da troppo tempo...fallo adesso, nessuno ci vedrà, se è questo che ti preoccupa. Ti sei scel -to un bel posticino per pensare e fare in santa pace quello che vuoi... -
 - Finchè ci sei tu, farò fatica a fare quello che voglio.. - sorrise Legolas, un sorriso stanco, ma sempre qualcosa - Ma...non è da me, piangere...non voglio..! - cercò di districarsi, perchè sapeva che non avrebbe resistito in quella morsa affettuosa, in quel piccolo gesto di tenerezza che gli ricordava tante cose del passato, di Lilian.
Ma Aragorn lo tenne ancora più stretto, non lo lasciò fuggire; insistette:
 - Tu vuoi credere di non volerlo...ma in fondo, lo sai che ti farebbe bene qualche lacrima.. Perciò approfittane ora! Fallo per me. Per chi ti vuole bene e per Lilian. Piangi per lei... -
Legolas non riuscì a resistere: con il viso affondato nei vestiti del suo amico, sentì una lacrima scappare dagli occhi, e quella fu rincorsa da un’altra, un’altra, e un’altra ancora.
Si accorse che era bello avere un amico, in quel momento. E nessuno era meglio di Aragorn.
Persino piangere, singhiozzare, disperarsi era bello, con lui al suo fianco.
Aveva ragione, Aragorn: a che servono gli amici, se non per aiutarti?
Legolas si lasciò finalmente andare, i singulti venivano da soli, e un po’ di dispiacere scivolava via, rotolando sulle guance e confondendosi poi con l’abito consunto e familiare di chi gli stava accanto.
Non ci avrebbe mai creduto, ma provò sollievo, il sollievo di chi viene liberato da una lunga pri -gionia. Arargorn lo scostò un poco dalla sua spalla e si compiacque della sua opera:
 - Sei convinto che ti ha fatto bene piangere, adesso? Ti senti meglio? -
 - Meglio è una parola grossa... - precisò Legolas, asciugandosi le lacrime.
 - Hai ragione. Per ora è troppo grossa. Ci vorrà il tempo, soprattutto, a guarirti.. -
 - Forse nemmeno quello.. -
Ed era vero.
La confusione che regnava nella sala avvolse di nuovo i due amici, che in quei minuti avevano creduto di udire soltanto i propri respiri, il proprio dolore, protetti dal loro angolo buio.
Legolas, però, come vide tornare la gioia intorno a lui, quella gioia che a lui era stata crudelmente negata, si vide assalire di nuovo dai ricordi, dall’affanno, dalla malinconia.
Non ci poteva stare in quel posto. Non riusciva più a starci. 
Si alzò, con il pendente di Lilian stretto fra le dita tremanti:
 - Io...vado.. - sussurrò, e si fece largo per la folla fino a raggiungere un portone dall'altra parte della sala; Aragorn rimase lì, seduto, a fissare l'amico scomparire inghiottito da mille teste: era chiaro che voleva starsene solo, e lui stesso non era deciso a seguirlo.
Mentre l'uomo ritornava dagli ospiti, Legolas si rifugiò nell'assoluta tranquillità del lungo corridoio fuori dalla sala: si richiuse il portone alle spalle.
Una serie di finestre disegnavano sul pavimento lustro una serie di inquietanti figure notturne, lasciando a malapena entrare un raggio di luna: niente fiaccole accese.
Nell'immobilità e nel silenzio che regnavano sovrani in quel luogo, Legolas si abbandonò con un sospiro triste su una panca: il freddo del muro contro la sua guancia lo fece rabbrividire.
Sperò che non passasse nessuno, non voleva che lo vedessero in quello stato, non voleva che qualcun’altro, oltre ad Aragorn, lo vedesse piangere.
Chiuse gli occhi, in quell'immutabile regno della notte, stringendosi il medaglione di Lilian al petto: dio, quante avrebbe voluto che fosse ancora viva.
L'avrebbe voluta lì, al suo fianco, dove era sempre stata, e dove avrebbe sempre dovuto essere.
Chissà, forse era soltanto un sogno, ma da esso non riusciva a svegliarsi, e tutto così gli tornava davanti agli occhi come qualcosa di terribilmente reale.
Non si era mai sentito così solo e impotente. Nemmeno quando aveva assaporato l'amarezza della cecità: ora sapeva che c'era di peggio.
Se solo avesse potuto tornare indietro nel tempo, se avesse previsto tutto quello che gli stava succedendo, se...se....
In verità non c'era posto per i se: la realtà andava vissuta così com'essa si pre -sentava, bella o brutta che fosse, giusta o crudele che fosse.
Difficile. Troppo difficile.
Legolas sentiva l'ira montargli dentro, le lacrime scendere sul suo viso, finchè un leggero venticello sbucato da chissà dove gli fece per un attimo dimenticare i suoi tristi pensieri.
Chi aveva aperto la porta?
Legolas girò stancamente la testa, ma non c'erano portoni aperti, neanche il mi -nimo spiraglio: strano, avrebbe giurato di aver sentito uno sbuffo di aria fredda sul collo....
Eccolo, di nuovo: quella brezza...era così innaturale..
D'un tratto una luce accecò gli occhi azzurri di Legolas, costringendolo a riparar -si: quando li riaprì, davanti a lui stava accadendo qualcosa che era a dir poco incredibile.
La luce era sparita, ma un piccolo lampo bianco persisteva ancora: scendeva da una delle finestre, lento, inesorabile, come un fiume di luce.
Man mano che si avvicinava, Legolas potè distinguere in quel bianco evanescen -te la figura esile di una donna, che, a braccia spalancate, scendeva seguita da una scia luminosa.
La strana immagine toccò lievemente terra, senza il minimo rumore: la luce si dissolse, lasciando che la veste della ragazza risplendesse di quel suo pallido e cereo bianco che risaltava le sue linee.
La figura aprì lentamente gli occhi, azzurri come il mare, e abbassò le braccia, accarezzandosi il vestito.
Legolas aveva la strana sensazione di avere già visto quella donna, ma non poteva essere chi pensava: no, lei...lei era morta quel giorno...
La ragazza gli sorrise con espressione furba, inconfondibile:
 - Lilian..? Come può essere..non puoi.... - balbettò esterrefatto l'elfo, ritraendosi.
 - Non temere Legolas... - la voce della donna era calda, invitante - Sono io...non mi riconosci? - lo rassicurò dolcemente mentre gli si sedeva accanto.
 - Ma..sei..morta...? -
 -...non proprio.... -
 - Sei...sei..un angelo?
 - Non esattamente: sono un'anima... -
Legolas la fissò ancora più confuso:
 - Credevo che qualunque anima, una volta lasciato il corpo, andasse nelle aule di Mandos, con gli dei... -
 - In effetti, è quello che avrei dovuto fare... - rispose Lilian, avvicinandosi di più   - ma come potevo lasciarti così? Mi ami...troppo, forse: per questo sono rima -sta... -
 - Per me? - ripetè incredulo Legolas.
 - Per non permetterti di raggiungermi, ucciso dalla tua tristezza. Sei l'unico che può vedermi ancora come una volta... -
 - Vorrei non esserlo... -
Lilian sorrise indulgente mentre Legolas cercava di sfuggirle, incapace di sorreg -gere lo sguardo di quegli occhi lucenti; ma la donna lo costrinse a fissarla, acca -rezzandogli il viso con una mano.
Istintivamente Legolas prese quest'ultima fra le dita, indeciso se ancora credere nell'illusione:
 - Come sei fredda... - sussurrò rabbrividendo.
 - Succede...quando non hai più la pelle. -
Legolas avrebbe voluto sprofondare, in quel momento: una terribile sensazione di colpevolezza l'aveva assalito, bloccandogli la voce.
Lilian sapeva come fargliela tornare: avvicinò di più il suo viso a quello dell'elfo, e lo baciò teneramente, come la prima volta.
Avvertiva, anche se era più o meno un fantasma, la sorpresa di Legolas, ma non gliene importò: sarebbe rimasto ancora più stupefatto, di fronte alla buona noti -zia che doveva dargli.
 - Forse c'è un modo per farmi tornare in vita... - mormorò quando si allontanò un poco da lui.
Lo sguardo dell'elfo s'illuminò di gioia:
 - Come? Dimmi come devo fare e lo farò! - sbottò sicuro.
 - E' rischioso... -
 - Non me ne importa: al massimo ti raggiungerò. Ma come posso...come puoi..tornare? -
Lilian sorrise: ammirava Legolas per la sua forza di volontà, e sapeva che per nulla al mondo l'avrebbe abbandonata.
 - Una volta, una coppia era nella nostra stessa situazione.. - cominciò a raccontare - lei era morta di un male incurabile, e lui l'amava così tanto, proprio come te, che lei non potè non stargli accanto anche dopo la morte. Gli disse che poteva tornare in vita con i petali di un fiore purpureo che si trovava sulle pendici di Monte Fato. Lui partì quasi immediatamente, accompagnato soltanto dall'ombra della sua amata che lo guidava sempre più nelle tenebre. Trovò quel fiore, lo portò a casa, ma solo dopo grandi sofferenze: infatti, fece appena in tempo a piangere sui petali rossi, che bruciarono, e poi morì. L'amata tornò in vita, ma del fantasma di lui nemmeno la traccia; però il sortilegio aveva dato i suoi buoni frutti... -
Legolas ascoltava la storia, attento, consapevole che avrebbe divuto seguire le stesse orme di quell'uomo che aveva tentato l'impossibile:
 - Naturalmente è solo una leggenda...ma è anche l'unica cosa che puoi fare, per me...: io non ti obbligherò, non interferirò con la tua volontà. -
Passò qualche secondo di silenzio, ma tanto bastò perchè Lilian cominciasse a sospettare che la sua proposta non sarebbe stata accolta.
Si sentì rispondere:
 - Rischierò...per te. -
La ragazza si sentì addirittura commossa, e per qualche minuto rimase a bocca aperta, senza emettere un suono:
 - Troverò quel fiore, Lilian... - la rassicurò Legolas -...e rimarrò vivo, per vederti tornare da me.. -
 - Sei sicuro? -
 - Certo, parto al più presto: domani... -
 - Se vai, non permettere a nessuno di seguirti, non voglio che qualcun'altro debba riaschiare per la mia vita: mi dispiace già per te, che vuoi affrontare tutto questo.. -
Legolas le strinse affettuosamente le mani:
 - Sarai con me? - le chiese in un sussurro.
 - Ci sarò... -
Qualcuno fece rimbombare due o tre colpi nella stanza attigua, a segnare la fine della festa in onore della vittoria su Mordor: Lilian si alzò, decisa ad andarsene per non mettere Legolas in condizioni da essere considerato un pazzo.
Lui la trattenne per un braccio, desideroso di parlarle ancora:
 - Aspetta.. - la supplicò - dove...vai? -
 - In un posto dove potrò amarti e proteggerti finchè non saremo di nuovo insieme... - dolcemente, Lilian si liberò dalla stretta e si diresse verso la finestra: di nuovo quel lampo che l'aveva accompagnata in precedenza la riprese e se la portò via, lasciando Legolas in compagnia del suo oscuro futuro. 

  
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