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Autore: monalisasmile    03/07/2011    4 recensioni
Seconda parte della trilogia Eär Lindë (Il Canto del Mare).
Continua il viaggio di Jill alla ricerca di risposte, ma mentre la guerra s'avvicina le domande paiono moltiplicarsi. Qualcosa dentro di lei preme con sempre maggior insistenza: forse la chiave del suo passato o, forse, il flagello che porrà fine a ogni cosa. Che legame ha il dono di Dama Galadriel con tutto ciò?
Ma Jill non è l'unica ad essere tormentata dai dubbi: Legolas ha scorto qualcosa di ciò che si nasconde nell'animo della Corsara e teme di perderla. Vorrebbe poterla legare a sè, ma sa che il suo spirito libero non si lascerebbe mai incatenare. Probabilmente nemmeno dai suoi sentimenti.
Mentre le ombre si addensano e gli ostacoli si fanno insormontabili, alcuni dovranno fare delle scelte, altri superare i propri limiti. E qualcuno dovrà fare un doloroso sacrificio.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

 

L’incedere ritmico del cavallo di Aragorn cullava la sua mente ma non i suoi pensieri.

“Huan…”

Cosa poteva esser capitato a lui e gli Hobbit?

-          Jill – l’apostrofò il Ramingo in tono pacato – Riesci a sapere da Huan cos’è successo ai nostri amici? –

Jill scosse brevemente il capo, il cuore stretto in una morsa, distogliendo lo sguardo dal volto preoccupato di Aragorn.

 

Smontarono da cavallo di fronte al mucchio di carcasse fumanti.

La puzza era pestilenziale e Jill si coprì il volto con una mano, nauseata. Gimli, testardo, cominciò a frugare tra i resti degli Uruk-hai.

La Corsara lo guardò con la pena nel cuore: sapeva che il Nano sperava di non trovare nulla che potesse ricondurre agli Hobbit, cosicché potessero sperare in una loro fuga dal luogo del massacro. Ma quando Gimli estrasse il fodero bruciacchiato di una delle loro piccole spade, anche quell’ultima speranza si dissolse.

Aragorn emise un grido di rabbia e lei lo osservò accasciarsi sulle ginocchia, impotente e colmo di rimorsi per non essere riuscito a salvare i piccoli amici come si era ripromesso.

“ E come promesso a Boromir.”

Legolas mormorava una preghiera in elfico, mentre Gimli vagava spaesato tra le carcasse degli Orchi.

Il guerriero di Gondor aveva dato la sua vita nel tentativo di salvare quella dei due Hobbit, ma il suo sacrificio era risultato vano.

Ripensò alla spensierata ingenuità dei due Hobbit, al loro contagioso buon umore, alla loro fame insaziabile, al piacere che provavano fumando della buona erba pipa. Vivevano alla giornata e traevano gioia dalle piccole cose come raramente le persone sapevano fare.

“ Non doveva andare così…”

Loro non avrebbero dovuto conoscere gli orrori della guerra e affrontare un viaggio tanto pericoloso. Avrebbero dovuto condurre un’esistenza felice nella loro amata Contea, dove giorni spensierati si sarebbero succeduti gli uni agli altri, in mezzo alla loro gente. Invece erano morti in una terra sconosciuta, prigionieri degli Orchi. Da soli. E terrorizzati.

“ Se solo non ci fossimo fermati l’altra notte…”

Se avessero continuato la marcia un altro poco a quell’ora avrebbero potuto riabbracciare Merry e Pipino.

“ E Huan…”

Forse il cavaliere di Rohan aveva ragione: la speranza aveva davvero abbandonato quelle terre.

Appoggiò una spalla al fusto di un albero e si lasciò scivolare fino a terra, stanca e prossima alle lacrime, il cuore sofferente e la mente incapace di formulare un pensiero coerente. Poggiando una mano sul terreno percepì una vecchia traccia: il Lupo era stato lì, probabilmente acquattato tra gli alberi per celare la propria presenza e nel contempo tenere d’occhio gli Hobbit. Forse nell’agitazione dovuta all’attacco dei cavalieri di Rohan era balzato fuori dal suo nascondiglio per trarre in salvo i due Hobbit ed era stato colpito. Ripensando allo stato di semi incoscienza  in cui era precipitata la sera prima, Jill suppose che sarebbe potuto accadere durante quei minuti oppure subito dopo, quando aveva perso i sensi.

Corrugò la fronte, turbata. Eppure c’era qualcosa che non quadrava. Il loro legame era molto forte, un vincolo di sangue e di anime, per cui era certa che se mai l’avesse perso al risveglio non avrebbe potuto non accorgersene. Non poteva vantare approfondite conoscenze in materia, eppure l’istinto le diceva che Huan era vivo. Tanto più che il suo imponente corpo sarebbe stato facilmente riconoscibile tra i cadaveri degli Orchi.

Quell’ultima conclusione le parve abbastanza assennata da rinvigorire le sue speranze. Tuttavia restava il dilemma sul perché non riuscisse a comunicare con lui.

Si lasciò andare all’indietro, stendendosi tra l’erba soffice che portava ancora l’odore del Lupo, lasciando che quella sensazione confortante l’avvolgesse e lenisse il suo turbamento. Espanse la sua mente a raggiera attorno al suo corpo, cercando di carpire ogni più piccola traccia lasciata da Huan. Sorrise tra sé: le facoltà del suo naso non erano fisicamente migliorate, ma grazie al legame con il Lupo pareva avesse maturato una sorta di sensibilità mentale che le permetteva di percepire meglio le tracce. E non solo.

Non aveva mai percepito tanto distintamente gli odori portati dal vento, il profumo pungente e inebriante del sottobosco. Un leggero raspare attirò la sua attenzione e alzò il volto appena in tempo per scorgere la coda di uno scoiattolo che s’infilava nella corteccia di un albero. Un suono quasi impossibile da captare per l’orecchio di un Uomo, ma che i suoi sensi avevano percepito chiaramente. Si chiese se anche Huan avesse acquisito qualche nuova facoltà grazie al legame con lei. E sgranò gli occhi.

 

Balzò in piedi tanto rapidamente da far sobbalzare Gimli. Si avvicinò al mucchio di carcasse e raccolse il piccolo fodero annerito: se poteva percepire la traccia di Huan forse poteva sentire anche quella dell’Hobbit cui era appartenuto quel oggetto. Aveva solo bisogno di un indizio che le permettesse di riconoscerla.

Chiuse gli occhi e si concentrò. Man mano che passava le mani sul fodero, nel buio della sua mente la guaina prese forma e su di essa sfavillarono come lucciole tanti piccoli segni lasciati da chi era venuto in contatto con quell’oggetto. Cominciò a scartare con attenzione quelle troppo vecchie o troppo confuse, in cerca di una traccia netta e che potesse ricondurre esclusivamente agli Hobbit. Ma si trattava di un manufatto antico che i suoi piccoli compagni avevano ricevuto in dono e che recentemente era stato loro confiscato da un drappello di sudici Orchi.

L’annusò e subito arricciò il naso disgustata, cercando tuttavia di andare al di là della puzza di Uruk-hai. Corrugò la fronte concentrata: le serviva qualcosa di più marcato di quell’odore ripugnante e allo stesso tempo inconfondibile.

“Pensa, Jill, pensa. Che cosa potrebbe lasciare un Hobbit al suo passaggio? Qualcosa di forte, qualcosa di…”

Sorrise: erba pipa! Non fece fatica a individuarne l’odore singolare, forte e un po’ pungente che lei stessa aveva spesso inalato passando quelle settimane in loro compagnia.

Una volta memorizzata la traccia, senza riaprire gli occhi si sedette e puntò le mani sul terreno, spandendo la sua coscienza tutto attorno a sé.

 

Gimli si volse verso Aragorn in cerca di spiegazioni.

-          Credo – parlò cauto il Ramingo, soppesando le sue parole ma con un barlume di speranza nello sguardo – che stia cercando una pista dei nostri amici. –

-          Povera Jill – borbottò il Nano a capo chino – non riesce ad accettare l’ennesima perdita in questa Compagnia. –

 

Il vento soffiava nei capelli rossi, agitandoli attorno al volto concentrato. Legolas osservò i suoi lineamenti, fece scivolare lo sguardo lungo lo zigomo accentuato, scendendo lungo la linea delicata della mandibola fin sulla nuca abbronzata, le spalle dritte e la schiena eretta. Aveva un portamento altero, seduta a terra con le gambe incrociate e le mani affondate nel terreno come nessuna principessa avrebbe mai fatto. Non era sangue reale quello che le scorreva nelle vene, eppure era tanto orgogliosa e caparbia che non si sarebbe piegata di fronte a niente e nessuno.

“ Probabilmente nemmeno davanti ai miei sentimenti…”

Eppure sapeva di tenere a lei anche per quello, perché non era in grado di accettare alcuna imposizione. Al contrario del principe di Bosco Atro, che da tanti anni ormai aveva accettato il destino che altri avevano scelto per lui.

Si soffermò sulle dita della Corsara, segnate da minuscole cicatrici e cosparse di piccoli calli. Nella sua vita Jill aveva combattuto ogni giorno per conquistare e poi difendere il posto che occupava nel mondo, poiché nulla le era stato donato da titoli e privilegi.

A Umbar, come nel resto della Terra di Mezzo, le donne venivano generalmente considerate inferiori agli uomini e inadatte alla guerra come a tutti quei lavori che non rientravano nell’ambito domestico. Le eccezioni erano poche e generalmente non viste di buon occhio, lo sapeva bene. La stessa Compagnia dell’Anello era inizialmente scettica all’idea di accettare una donna tra le sue fila, cosa che era stata possibile principalmente grazie all’intervento di Gandalf. Poteva perciò immaginare quanti avessero tentato di ostacolarla, mettendo in discussione il suo valore, facendo vacillare la sua risolutezza. Eppure da quando l’aveva conosciuta il suo sorriso era sempre stato radioso e l’espressione fiera di chi è sicuro di sé: le ferite, per quanto profonde, avevano temprato il suo spirito senza farle perdere la fiducia in se stessa.

Gli occhi dell’Elfo s’incatenarono alla cicatrice sul collo della fanciulla e il suo ultimo pensiero vacillò. Per quando forte e ostinata, si chiedeva fino a che punto la sua fiducia fosse già stata messa alla prova e quanto ancora lo sarebbe stata.

Si sa: a lungo tirare, anche la corda più robusta finisce col spezzarsi.

 

Jill tese la sua rete mentale tutto attorno a sé, lasciando che le maglie si stringessero attorno a ogni impronta, odore, sapore e sensazione che riuscisse a captare.

Nei suoi pensieri le scene di quella notte cominciarono a prendere forma e il vento parve portarle alle orecchie le grida degli Orchi e dei cavalieri, il metallo che batteva contro altro metallo, il nitrire dei cavalli, il ringhiare degli Uruk-hai e le parole di un Hobbit che intendeva svignarsela.

Drizzò il capo, come un segugio che aveva fiutato la pista giusta. China, con le mani che sfioravano il terreno, si spostò sull’erba bruciacchiata e intrisa di sangue. Toccò il punto in cui la notte prima giacevano i due piccoli corpi, le mani legate.

 

Aragorn le si affiancò, spostando alcune zolle.

-          Qui giaceva un Hobbit – constatò – e qui l’altro… -

Ma Jill era già scattata avanti, i passi sicuri. Toccò una pietra e raccolse una corda spezzata. Se la rigirò un attimo tra le mani, l’annusò e riprese a camminare, seguita dai compagni.

Accelerò il passo, arrestandosi al limitare della foresta e volse il capo a sinistra, dove un’altra scia andava a congiungersi con la precedente.

 

-          Sono fuggiti nella Foresta di Fangorn? –

Lei annuì, poi si volse verso Legolas.

“ Sono stati inseguiti da un Orchetto, ma era ferito. Huan si è messo alle loro calcagna.”

“ Dunque stanno bene?”

Jill aggrottò le sopracciglia, inquieta.

“ Non ne ho idea… Non riesco a sondare la foresta, credo sia schermata da un incantesimo. Non posso comunicare nemmeno con Huan…”

Legolas le posò una mano sulla spalla, regalandole un sorriso rassicurante e costringendola a distogliere lo sguardo per non arrossire fino alle orecchie. Poi spiegò ai compagni quanto la rossa gli aveva comunicato.

“ Stupida Jill” si disse lei, scuotendo il capo come a voler cancellare un pensiero molesto “ non è la prima volta che Legolas ti sorride e non è il caso di farsi venire le ginocchia di burro per questo!”

Una vocina dentro di lei la canzonò: l’indomita Corsara poteva combattere a testa alta contro un drappello di feroci Uruk-hai ma arretrava di fronte al sorriso affabile di un avvenente Elfo?

Per qualche strano motivo quel pensiero la intristì. Forse perché non avrebbe voluto mostrarsi tanto sensibile alle gentilezze. Forse perché nel gesto del principe di Bosco Atro c’era sicuramente solo quello: garbo e amabilità.

 

Aragorn seguì le tracce dei fuggiaschi, che si spingevano sempre più in profondità nella vegetazione. L’Orchetto aveva perso non poco sangue e le sue impronte dopo quelle di Huan erano sempre più evidenti. Svoltarono attorno a una grossa quercia, rimanendo perplessi: le orme del Lupo erano scomparse.

 

-          Queste impronte sono strane… - disse Aragorn.

“ Impronte?” pensò Jill con una smorfia, seguendo lo sguardo del ramingo fino a terra “A me sembrano piuttosto dei crateri! Ma che razza di creature ci sono in questa foresta?”

E dire che fino a pochi mesi prima passeggiava tranquillamente per i suoi sentieri, ascoltando il fruscio delle fronde degli alberi e facendosi cullare dal cinguettio degli uccelli. Ora più che una boscaglia lussureggiante sembrava infestata dai fantasmi.

Gimli andava avanti borbottando di storie su alberi stregati e radici che ghermivano i viaggiatori.

-          Questa foresta è vecchia – commentò Legolas tra sé, porgendo l’orecchio ai suoni della natura – molto vecchia. Piena di ricordi… e rabbia. –

Le fronde si agitarono e le cortecce parvero scricchiolare. Tutti si voltarono a guardare il Nano che aveva alzato l’ascia, spaventato. Aragorn gli fece segno di abbassarla.

Jill rise sotto i baffi del disagio di Gimli e di quanto i suoi timori fossero più fondati di quanto pensasse: magari quegli alberi non se ne andavano a passeggio come nelle storie che aveva sentito, ma quella foresta era senza dubbio più viva di quanto potesse sembrare.

 

Legolas scattò in avanti, tallonato da Aragorn e seguito a ruota da Jill.

-          Aragorn, nad no ennas!  -

Jill alzò gli occhi al cielo: il principe di Bosco Atro e Aragorn avevano questa pessima abitudine di scambiarsi frammenti di conversazioni in elfico. Una cosa piuttosto vanesia e discriminante dal suo punto di vista. Si ripromise di farglielo presente.

-          Man cenich? – gli rispose il Ramingo.

Jill cercò di sondare la boscaglia per darsi da sola una risposta, ma lo stesso incantesimo in cui s’era imbattuta al limitare della foresta le impedì nuovamente di ispezionare il territorio. Lanciò un’occhiata all’espressione seria e guardinga dell’Elfo.

-          Lo Stregone Bianco si avvicina. –

La mano della Corsara andò immediatamente ad afferrare l’elsa di Carcharoth.

Aragorn strinse la mascella.

-          Non lasciate che parli – disse a denti stretti – Ci farebbe un incantesimo. –

Il Ramingo si preparò a sguainare la spada, Gimli strinse la presa sulla sua ascia, Legolas fece scorrere le dita sulle piume della sua freccia e Jill accarezzò dolcemente l’impugnatura dei lunghi pugnali che portava ai due lati della cinta.

-          Dobbiamo agire in fretta. –

Il cuore di Jill batteva all’impazzata nel petto al pensiero che forse era finalmente arrivato il giorno della resa dei conti. Avrebbe mirato alla gola, così da far tacere per sempre quella voce melliflua e velenosa.

Sorrise maligna: era il momento di restituirgli il favore.

 

Si girarono all’unisono e sferrarono l’attacco. Una luce bianca li abbagliò e lo stregone deviò con facilità tutti i loro colpi.

Jill era pronta a mettere mano alla spada e vendere cara la pelle, quando la figura avvolta da quella candida luce parlò.

-          State cercando due giovani Hobbit. –

Qualcosa nel tono di quella voce fermò la mano della fanciulla a mezz’aria. E non era un incantesimo.

-          Dove sono? – gli gridò Aragorn di rimando.

-          Sono passati di qua – non si scompose lo stregone – L’altro ieri. Hanno incontrato qualcuno che non s’aspettavano. Questo vi conforta? –

Qualcosa nel cuore di Jill gridò di gioia e lei sgranò gli occhi, meravigliata da quell’intuizione.

-          Chi sei? – corrugò la fronte Aragorn – Fatti vedere! –

La luce accecante s’attenuò e una figura prese forma a poco a poco.

Jill sorrise, gli occhi già colmi di lacrime e la vista annebbiata.

“Gandalf…”

 

Non era più Gandalf il Grigio. Dopo aver lottato strenuamente contro il Balrog ed essere riuscito a eliminarlo, il suo corpo era ormai allo stremo. Tuttavia il compito assegnatogli non era ancora terminato e il suo spirito era tornato indietro, dandogli nuova vita. I Valar gli avevano fatto dono di nuovi poteri, elevandolo allo status di Bianco.

Svanita quella luce abbagliante alle sue spalle era comparso anche Huan. Il Lupo, comodamente sdraiato e con la testa poggiata sulle zampe anteriori, non aveva fatto una piega, limitandosi ad alzarsi e atterrare con un balzo al fianco della sua compagna. Ma lei aveva occhi solo per il suo ritrovato maestro e Huan si riaccomodò accanto a lei.

Stregoni!” pensò tra sé e sé “A quanto pare non riescono a rinunciare all’appariscenza.”

Gandalf gli strizzò l’occhio e il Lupo poggiò nuovamente la testa sulle zampe: quello stregone tutto sommato non gli dispiaceva.

 

Gandalf li rassicurò immediatamente riguardo le sorti di Merry e Pipino, rimanendo tuttavia piuttosto vaga riguardo l’identità del misterioso Barbalbero.

Jill pensò che certe cose probabilmente non sarebbero mai cambiate, come il gusto del suo maestro per il mistero e il modo in cui custodiva tante informazioni. Eppure quel pensiero anziché stizzirla le diete una piacevole sensazione di conforto.

Lo stregone propose alla Compagnia una breve sosta prima di dirigersi verso Edoras, la capitale del Regno di Rohan. Mentre parlava Jill osservava colma di eccitazione le sue nuove vesti bianche, percependo il nuovo potere che tutta la sua figura emanava, quasi ne fosse intrisa la tela candida.

“Sarebbe quasi il caso di andare a bussare alla porta di Saruman per proporgli un secondo round!” ghignò fra sé, esaltata all’idea del confronto come lo era stata quando un Corsaro lanciava una sfida a un rivale che gli aveva fatto un torto di troppo. Ma qualcosa nell’espressione seria dello stregone soffocò la sua eccitazione sul nascere. Non erano sul ponte di una nave o in un malfamato locale. Lo sfidante non era un losco individuo che s’era appropriato di un sudato bottino o che aveva allungato le mani sulla donna di qualcuno. In gioco non c’erano tesori, amanti o il rispetto di una ciurma. Quelle, in confronto, erano bazzecole: la Compagnia dell’Anello aveva nelle mani le sorti di tutti i popoli della Terra di Mezzo. 

S’accamparono in una piccola radura. Huan s’accucciò al limitare della foresta e la fanciulla andò a raggiungerlo. Sganciò la spada e i lunghi pugnali dai fianchi e si sfilò la sacca da viaggio, posandola a terra. La scatola di legno produsse un tonfo sordo, mentre qualcos’altro al suo interno sbatacchiò.

Jill estrasse la custodia e la soppesò tra le mani. Era lunga più di due spanne e larga e alta una e mezza. Il legno non apparteneva alle piante che si potevano solitamente trovare nell’entroterra della Terra di Mezzo, somigliava piuttosto a quello dei pini marittimi che crescevano lungo le coste del sud. Ma si trattava solo di supposizioni, poiché la salsedine e il tempo avevano consumato quella scatola, deteriorandone il legno e arrugginendo le cerniere metalliche.

Aveva tentato di indovinare più e più volte il suo contenuto: a giudicare dal rumore poteva trattarsi di un oggetto in pietra, ma era più leggero e sembrava avere una forma piuttosto articolata.

Si sdraiò sulla pancia, tenendo la scatola davanti a sé, per poi rigirarsi sulla schiena e alzarla sulla sua testa, verso il cielo stellato sgombro di nubi. Aveva anche provato a forzare la serratura e le cerniere metalliche.

“ Giusto per essere sicura che nel momento del bisogno riesca ad aprirla” si era detta per giustificare la curiosità crescente.

Ma non c’era stato verso di farle saltare, nemmeno incidendo il legno. Aveva tentato anche con la magia, ma di nuovo senza risultati. Probabilmente la scatola era sigillata da qualche potente incantesimo a lei sconosciuto.

Si chiese come mai Dama Galadriel non le avesse spiegato la natura del dono e come avrebbe fatto a capirne il tempo e il modo di un corretto utilizzo.

-          È un dono davvero prezioso quello che tieni tra le mani, piccola Jill. –

La fanciulla sobbalzò e lo stregone entrò nel suo campo visivo. Si mise a sedere e l’Istaro s’accomodò accanto a lei.

Jill mise il broncio.

“ Peccato che Dama Galadriel non mi abbia rivelato cosa contiene!” si lamentò.

Appena pronunciate quelle parole se ne pentì, ricordando la gentilezza e il prestigio della Signora di Lorien e maledicendosi per quel tono irrequieto e irrispettoso. Si aspettò un severo rimprovero, ma il suo maestro rise di gusto.

“ Noto con piacere che la tua menomazione ha frenato la tua lingua ma non il tuo sarcasmo, piccola mia.”

Le accarezzò gentilmente il capo e Jill provò una sensazione che non percepiva da tanto: si sentiva al sicuro e a casa. Con uno slancio abbracciò lo stregone, andando a nascondere il volto nella sua tunica bianca e inspirandone l’odore: sapeva di pini e erbe montane.

 

Gimli tirò su col naso e s’appoggiò alla grande ascia.

-          Sapete – si rivolse ai due compagni che guardavano la scena insieme a lui – è mancato pure a me! –

Aragorn posò una mano sulla spalla del Nano, annuendo: Gandalf era mancato a tutti loro.

 

“ Sei ancora interessata al contenuto di quella scatola?”

Jill si staccò dallo stregone, gli occhi attenti colmi di curiosità. Si rimise seduta a gambe incrociate, la custodia di legno sulle gambe, pronta ad ascoltare le parole del maestro.

“ Ricordi le storie che ti raccontavo a proposito dei Valar, i Signori di Valinor, coloro che gli Uomini chiamano Dei?”

La rossa annuì, ripensando ai miti e alle leggende di cui aveva letto e sentito parlare. Aveva ascoltato piena di meraviglia il racconto della Prima Età del Mondo, quando Morgoth, primo Signore Oscuro, aveva gettato la sua ombra sui regni della Terra di Mezzo con l’unico scopo di distruggere tutto il Creato. Sia gli Undici Valar Supremi che i più grandi condottieri gli avevano mosso guerra durante tutta la Prima Era per liberare quelle terre dalla sua malvagia presenza. I Draghi, I Balrog e lo stesso Sauron erano stati creati e plagiati da Morgoth.

Jill rabbrividì: l’idea che fosse esistito un essere superiore a Sauron in potenza e malvagità le faceva accapponare la pelle.

Strinse la mascella. Peccato che dopo la sconfitta di Morgoth durante la cosiddetta Guerra d’Ira i Valar non si siano più fatti vedere nella Terra di Mezzo, altrimenti Sauron avrebbe avuto i minuti contati!

“ Ricorderai gli Undici Valar Supremi. Manwe è il primo di tutti i re del Creato, il Sovrano di Valinor e Signore dei Venti, il più possente tra i Valar. Ma appena inferiore a Manwe per potenza c’è Ulmo, il Signore delle Acque…” sorrise alla fanciulla “Potremmo considerarlo il protettore di tutti gli uomini di mare, non ti pare?”

Jill sorrise, annuendo.

Ulmo non aveva una dimora fissa, ma si muoveva a piacimento tra le acque e si recava in Valinor solo per trattare le questioni più importanti. Egli era inoltre l’unico tra gli Undici Supremi a non essersi mai scelto una consorte.

“ Probabilmente perché non s’addiceva al suo stile di vita” aveva ragionato Jill con un’alzata di spalle.

Non amava camminare sulla terra e, al contrario degli altri Valar, raramente assumeva forma umana. Correva voce che il levarsi del Re del Mare fosse terrificante. Ciò nonostante Ulmo ha sempre amato sia gli Elfi che gli Uomini e non li ha mai abbandonati, tant’è che durante la lunga guerra contro Morgoth è intervenuto più degli altri Valar in loro favore. Tutti i mari, i laghi, i fiumi, le fonti e le sorgenti sono sotto il suo dominio, motivo per cui gli Elfi hanno sempre sostenuto che lo spirito di Ulmo scorra in tutte le vene del mondo.

La fanciulla si era emozionata quando Gandalf le aveva riferito che persino il potente Morgoth aveva sempre temuto il mare poiché, come il suo signore Ulmo, impetuoso e libero per natura, non poteva essere né plagiato né incatenato.

“ Tendenzialmente” riprese lo stregone “ il Re delle Acque predilige le profondità dell’oceano e parla alle genti della Terra di Mezzo con parole di un linguaggio ai più sconosciuto e che vengono interpretate come musica dell’acqua: lo zampillio di una sorgente, il placido scorrere di un fiume, l’abbattersi fragoroso di una cascata. Ma a volte approda sulle rive della Terra di Mezzo o si spinge all’interno lungo i fiumi, e qui intona meravigliose melodie con i suoi grandi corni fatti di conchiglie, gli Ulumuri. Chiunque ascolti quella musica non la dimenticherà mai e nel suo cuore crescerà sempre più il desiderio del mare.”

Jill corrugò la fronte e il suo maestro sorrise condiscendente.

“ Credo” proseguì “ che la Signora di Lorien abbia voluto restituirti in qualche modo il potere della voce, consegnandoti un Ulumur del potente Ulmo.”

La fanciulla sgranò gli occhi, puntandoli sull’anonima scatola sul suo grembo.

Trascorsero secondi di silenzio, poi la Corsara piantò gli occhi scuri in quelli cerulei del Istaro.

“ Ti stai prendendo gioco di me.” disse, alzando un sopracciglio.

“ Niente affatto.”

“ Vorresti farmi credere che mi sono portata in giro nella sacca un corno che dovrebbe appartenere a un dio?”

“ Hai già avuto modo di vedere un Palantir, che se non vado errando appartiene alla stessa categoria di oggetti leggendari” le sorrise astutamente lo stregone “Il Balrog che abbiamo incontrato nelle miniere di Moria e lo stesso Sauron prima delle Ere del mondo erano dei Maiar, dei minori al servizio degli Undici Valar Supremi. Vuoi farmi credere che fatichi a credere di esserti imbattuta in uno degli Ulumuri?”

Lei mise il broncio, seccata: inutile insistere, Gandalf riusciva sempre a far tacere le sue proteste e cancellare il suo scetticismo.

“Ammesso e non concesso che dentro a questa vecchia scatola ci sia un Ulumur” insistette la rossa, cocciuta “cosa dovrei farmene di uno strumento musicale?”

“ Le melodie intonate dagli Ulumuri possono variare dal dolce scroscio di un ruscello all’assordante fragore di una cascata, perché in accordo col loro proprietario. Ulmo possiede una voce profonda quanto l’oceano e spaventosa quanto il ruggito di una tempesta, tant’è che il suo urlo durante la battaglia terrorizza i nemici e infiamma lo spirito degli amici” la guardò dritta negli occhi, improvvisamente serio “ Sappiamo entrambi quanto potente e temibile possa essere una voce. È per questo motivo che ne sei stata privata.”

Jill strinse i pugni, sentendo una collera ormai familiare impossessarsi di lei: la furia della vendetta.

“ Questo strumento” continuò Gandalf, costringendola a rimanere concentrata sulle sue parole “ è stato creato per Ulmo, dunque è difficile dire cosa accadrà se usato da te. Ma avrai ormai capito che anche l’oggetto apparentemente più innocuo può dimostrarsi molto pericoloso se usato coi propositi sbagliati o in maniera avventata.”

La Corsara pensò all’Anello del Potere che nelle mani di Sauron avrebbe regalato al Signore di Mordor il controllo sulla Terra di Mezzo, mentre appeso al collo di Frodo diventava di giorno in giorno un fardello più pesante e maligno. Le tornarono in mente i Palantir, le sette pietre sferiche create per comunicare anche a grandi distanze, utili per tale scopo, ma pericolose se utilizzate dai soggetti sbagliati. Cosa che aveva provato sulla sua stessa pelle.

“ Per questo ti è stato detto di farne uso solo in caso di necessità.”

Vedendola pensierosa, Gandalf tornò a sorriderle con dolcezza.

“ Tranquilla, sono convinto che saprai usarlo con avvedutezza e…”

“ Perché io?” gli chiese quasi titubante, il pensiero ridotto a un sussurro “Perché uno strumento tanto prezioso e potente è stato dato proprio a me, quando molti altri sarebbero stati più meritevoli? Non dirmi che Dama Galadriel l’ha fatto perché potessi sopperire alla mia menomazione. E come farò a usarlo nel momento più opportuno se non sono nemmeno in grado di spezzare l’incantesimo che tiene chiusa questa maledetta scatola? ” sollevò il mento, di nuovo combattiva e sfrontata “E come mai un Ulumur si trovava a Lorien? Il Re dei Mari ha saputo delle mie disgrazie ed è stato tanto impietosito da volermi regalare uno dei suoi preziosissimi corni?”

 

Gandalf si prese qualche secondo per guardare quel giovane volto contratto in un espressione decisa, sebbene il suo sguardo rivelasse l’amarezza di cui erano intrisi i suoi pensieri.

Quegli occhi tempestosi gli ricordarono due iridi dello stesso colore ma tanto profondi che, ne era sicuro, chiunque vi sarebbe annegato se solo avesse tentato di sostenerne lo sguardo.

-          Credimi, mia piccola e impaziente Jill – avvicinò una mano alla fronte della fanciulla, distendendo con l’indice le rughe di nervosismo che la solcavano – avrai tutte le risposte che cerchi. –

“ Fammi indovinare” ridusse gli occhi a due fessure “ Avrò le mie risposte a tempo debito.”

Gandalf le sorrise. Jill sbuffò, rilassando le spalle: per quanto le scocciasse ammetterlo, i sorrisi gentili del suo maestro le impedivano di tenergli il broncio. O forse era l’effetto di qualche incantesimo calmante.

“ Dannati stregoni!”

 

Due occhi scuri non si erano staccati un istante da quella scatola. Ma quando Jill la ripose nella sacca, le iridi tornarono dorate.

Huan scosse il grosso capo, infastidito da quella sensazione che non riconobbe come sua: una curiosità avida, insana e umana.

 

 

 

Continua…

 

 

  
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