Capitolo
2
L’incedere ritmico del
cavallo di Aragorn cullava
la sua mente ma non i suoi pensieri.
“Huan…”
Cosa poteva esser capitato a lui e
gli Hobbit?
-
Jill –
l’apostrofò il Ramingo in tono pacato –
Riesci a sapere da Huan
cos’è successo ai nostri amici? –
Jill scosse brevemente il capo, il
cuore stretto
in una morsa, distogliendo lo sguardo dal volto preoccupato di Aragorn.
Smontarono da cavallo di fronte al
mucchio di
carcasse fumanti.
La puzza era pestilenziale e Jill
si coprì il
volto con una mano, nauseata. Gimli, testardo, cominciò a
frugare tra i resti
degli Uruk-hai.
La Corsara lo guardò con
la pena nel cuore:
sapeva che il Nano sperava di non trovare nulla che potesse ricondurre
agli
Hobbit, cosicché potessero sperare in una loro fuga dal
luogo del massacro. Ma
quando Gimli estrasse il fodero bruciacchiato di una delle loro piccole
spade,
anche quell’ultima speranza si dissolse.
Aragorn emise un grido di rabbia e
lei lo osservò
accasciarsi sulle ginocchia, impotente e colmo di rimorsi per non
essere
riuscito a salvare i piccoli amici come si era ripromesso.
“ E come promesso a
Boromir.”
Legolas mormorava una preghiera in
elfico, mentre
Gimli vagava spaesato tra le carcasse degli Orchi.
Il guerriero di Gondor aveva dato
la sua vita nel
tentativo di salvare quella dei due Hobbit, ma il suo sacrificio era
risultato
vano.
Ripensò alla spensierata
ingenuità dei due
Hobbit, al loro contagioso buon umore, alla loro fame insaziabile, al
piacere
che provavano fumando della buona erba pipa. Vivevano alla giornata e
traevano
gioia dalle piccole cose come raramente le persone sapevano fare.
“ Non doveva andare
così…”
Loro non avrebbero dovuto conoscere
gli orrori
della guerra e affrontare un viaggio tanto pericoloso. Avrebbero dovuto
condurre un’esistenza felice nella loro amata Contea, dove
giorni spensierati
si sarebbero succeduti gli uni agli altri, in mezzo alla loro gente.
Invece
erano morti in una terra sconosciuta, prigionieri degli Orchi. Da soli.
E
terrorizzati.
“ Se solo non ci fossimo
fermati l’altra notte…”
Se avessero continuato la marcia un
altro poco a
quell’ora avrebbero potuto riabbracciare Merry e Pipino.
“ E
Huan…”
Forse il cavaliere di Rohan aveva
ragione: la speranza
aveva davvero abbandonato quelle terre.
Appoggiò una spalla al
fusto di un albero e si
lasciò scivolare fino a terra, stanca e prossima alle
lacrime, il cuore
sofferente e la mente incapace di formulare un pensiero coerente.
Poggiando una
mano sul terreno percepì una vecchia traccia: il Lupo era
stato lì,
probabilmente acquattato tra gli alberi per celare la propria presenza
e nel
contempo tenere d’occhio gli Hobbit. Forse
nell’agitazione dovuta all’attacco
dei cavalieri di Rohan era balzato fuori dal suo nascondiglio per
trarre in
salvo i due Hobbit ed era stato colpito. Ripensando allo stato di semi
incoscienza
in cui era
precipitata la sera prima,
Jill suppose che sarebbe potuto accadere durante quei minuti oppure
subito
dopo, quando aveva perso i sensi.
Corrugò la fronte,
turbata. Eppure c’era qualcosa
che non quadrava. Il loro legame era molto forte, un vincolo di sangue
e di
anime, per cui era certa che se mai l’avesse perso al
risveglio non avrebbe
potuto non accorgersene. Non poteva vantare approfondite conoscenze in
materia,
eppure l’istinto le diceva che Huan era vivo. Tanto
più che il suo imponente
corpo sarebbe stato facilmente riconoscibile tra i cadaveri degli
Orchi.
Quell’ultima conclusione
le parve abbastanza
assennata da rinvigorire le sue speranze. Tuttavia restava il dilemma
sul perché
non riuscisse a comunicare con lui.
Si lasciò andare
all’indietro, stendendosi tra
l’erba soffice che portava ancora l’odore del Lupo,
lasciando che quella
sensazione confortante l’avvolgesse e lenisse il suo
turbamento. Espanse la sua
mente a raggiera attorno al suo corpo, cercando di carpire ogni
più piccola
traccia lasciata da Huan. Sorrise tra sé: le
facoltà del suo naso non erano
fisicamente migliorate, ma grazie al legame con il Lupo pareva avesse
maturato
una sorta di sensibilità mentale che le permetteva di
percepire meglio le
tracce. E non solo.
Non aveva mai percepito tanto
distintamente gli
odori portati dal vento, il profumo pungente e inebriante del
sottobosco. Un
leggero raspare attirò la sua attenzione e alzò
il volto appena in tempo per
scorgere la coda di uno scoiattolo che s’infilava nella
corteccia di un albero.
Un suono quasi impossibile da captare per l’orecchio di un
Uomo, ma che i suoi
sensi avevano percepito chiaramente. Si chiese se anche Huan avesse
acquisito
qualche nuova facoltà grazie al legame con lei. E
sgranò gli occhi.
Balzò in piedi tanto
rapidamente da far sobbalzare
Gimli. Si avvicinò al mucchio di carcasse e raccolse il
piccolo fodero
annerito: se poteva percepire la traccia di Huan forse poteva sentire
anche
quella dell’Hobbit cui era appartenuto quel oggetto. Aveva
solo bisogno di un
indizio che le permettesse di riconoscerla.
Chiuse gli occhi e si
concentrò. Man mano che
passava le mani sul fodero, nel buio della sua mente la guaina prese
forma e su
di essa sfavillarono come lucciole tanti piccoli segni lasciati da chi
era
venuto in contatto con quell’oggetto. Cominciò a
scartare con attenzione quelle
troppo vecchie o troppo confuse, in cerca di una traccia netta e che
potesse
ricondurre esclusivamente agli Hobbit. Ma si trattava di un manufatto
antico
che i suoi piccoli compagni avevano ricevuto in dono e che recentemente
era
stato loro confiscato da un drappello di sudici Orchi.
L’annusò e
subito arricciò il naso disgustata,
cercando tuttavia di andare al di là della puzza di
Uruk-hai. Corrugò la fronte
concentrata: le serviva qualcosa di più marcato di
quell’odore ripugnante e
allo stesso tempo inconfondibile.
“Pensa, Jill, pensa. Che
cosa potrebbe lasciare
un Hobbit al suo passaggio? Qualcosa di forte, qualcosa
di…”
Sorrise: erba pipa! Non fece fatica
a
individuarne l’odore singolare, forte e un po’
pungente che lei stessa aveva
spesso inalato passando quelle settimane in loro compagnia.
Una volta memorizzata la traccia,
senza riaprire
gli occhi si sedette e puntò le mani sul terreno, spandendo
la sua coscienza
tutto attorno a sé.
Gimli si volse verso Aragorn in
cerca di
spiegazioni.
-
Credo – parlò
cauto il Ramingo, soppesando le sue parole ma con un
barlume di speranza nello sguardo – che stia cercando una
pista dei nostri
amici. –
-
Povera Jill –
borbottò il Nano a capo chino – non riesce ad
accettare
l’ennesima perdita in questa Compagnia. –
Il vento soffiava nei capelli
rossi, agitandoli
attorno al volto concentrato. Legolas osservò i suoi
lineamenti, fece scivolare
lo sguardo lungo lo zigomo accentuato, scendendo lungo la linea
delicata della
mandibola fin sulla nuca abbronzata, le spalle dritte e la schiena
eretta. Aveva
un portamento altero, seduta a terra con le gambe incrociate e le mani
affondate nel terreno come nessuna principessa avrebbe mai fatto. Non
era
sangue reale quello che le scorreva nelle vene, eppure era tanto
orgogliosa e
caparbia che non si sarebbe piegata di fronte a niente e nessuno.
“ Probabilmente nemmeno
davanti ai miei
sentimenti…”
Eppure sapeva di tenere a lei anche
per quello,
perché non era in grado di accettare alcuna imposizione. Al
contrario del
principe di Bosco Atro, che da tanti anni ormai aveva accettato il
destino che
altri avevano scelto per lui.
Si soffermò sulle dita
della Corsara, segnate da
minuscole cicatrici e cosparse di piccoli calli. Nella sua vita Jill
aveva
combattuto ogni giorno per conquistare e poi difendere il posto che
occupava
nel mondo, poiché nulla le era stato donato da titoli e
privilegi.
A Umbar, come nel resto della Terra
di Mezzo, le
donne venivano generalmente considerate inferiori agli uomini e
inadatte alla
guerra come a tutti quei lavori che non rientravano
nell’ambito domestico. Le
eccezioni erano poche e generalmente non viste di buon occhio, lo
sapeva bene.
La stessa Compagnia dell’Anello era inizialmente scettica
all’idea di accettare
una donna tra le sue fila, cosa che era stata possibile principalmente
grazie
all’intervento di Gandalf. Poteva perciò
immaginare quanti avessero tentato di
ostacolarla, mettendo in discussione il suo valore, facendo vacillare
la sua
risolutezza. Eppure da quando l’aveva conosciuta il suo
sorriso era sempre
stato radioso e l’espressione fiera di chi è
sicuro di sé: le ferite, per
quanto profonde, avevano temprato il suo spirito senza farle perdere la
fiducia
in se stessa.
Gli occhi dell’Elfo
s’incatenarono alla cicatrice
sul collo della fanciulla e il suo ultimo pensiero vacillò.
Per quando forte e
ostinata, si chiedeva fino a che punto la sua fiducia fosse
già stata messa
alla prova e quanto ancora lo sarebbe stata.
Si sa: a lungo tirare, anche la
corda più robusta
finisce col spezzarsi.
Jill tese la sua rete mentale tutto
attorno a sé,
lasciando che le maglie si stringessero attorno a ogni impronta, odore,
sapore
e sensazione che riuscisse a captare.
Nei suoi pensieri le scene di
quella notte
cominciarono a prendere forma e il vento parve portarle alle orecchie
le grida
degli Orchi e dei cavalieri, il metallo che batteva contro altro
metallo, il
nitrire dei cavalli, il ringhiare degli Uruk-hai e le parole di un
Hobbit che
intendeva svignarsela.
Drizzò il capo, come un
segugio che aveva fiutato
la pista giusta. China, con le mani che sfioravano il terreno, si
spostò
sull’erba bruciacchiata e intrisa di sangue. Toccò
il punto in cui la notte
prima giacevano i due piccoli corpi, le mani legate.
Aragorn le si affiancò,
spostando alcune zolle.
-
Qui giaceva un Hobbit –
constatò – e qui l’altro… -
Ma Jill era già scattata
avanti, i passi sicuri.
Toccò una pietra e raccolse una corda spezzata. Se la
rigirò un attimo tra le
mani, l’annusò e riprese a camminare, seguita dai
compagni.
Accelerò il passo,
arrestandosi al limitare della
foresta e volse il capo a sinistra, dove un’altra scia andava
a congiungersi
con la precedente.
-
Sono fuggiti nella Foresta di
Fangorn? –
Lei annuì, poi si volse
verso Legolas.
“ Sono stati inseguiti da
un Orchetto, ma era
ferito. Huan si è messo alle loro calcagna.”
“ Dunque stanno
bene?”
Jill aggrottò le
sopracciglia, inquieta.
“ Non ne ho
idea… Non riesco a sondare la
foresta, credo sia schermata da un incantesimo. Non posso comunicare
nemmeno
con Huan…”
Legolas le posò una mano
sulla spalla,
regalandole un sorriso rassicurante e costringendola a distogliere lo
sguardo
per non arrossire fino alle orecchie. Poi spiegò ai compagni
quanto la rossa
gli aveva comunicato.
“ Stupida Jill”
si disse lei, scuotendo il capo
come a voler cancellare un pensiero molesto “ non
è la prima volta che Legolas
ti sorride e non è il caso di farsi venire le ginocchia di
burro per questo!”
Una vocina dentro di lei la
canzonò: l’indomita
Corsara poteva combattere a testa alta contro un drappello di feroci
Uruk-hai
ma arretrava di fronte al sorriso affabile di un avvenente Elfo?
Per qualche strano motivo quel
pensiero la
intristì. Forse perché non avrebbe voluto
mostrarsi tanto sensibile alle gentilezze.
Forse perché nel gesto del principe di Bosco Atro
c’era sicuramente solo
quello: garbo e amabilità.
Aragorn seguì le tracce
dei fuggiaschi, che si
spingevano sempre più in profondità nella
vegetazione. L’Orchetto aveva perso
non poco sangue e le sue impronte dopo quelle di Huan erano sempre
più
evidenti. Svoltarono attorno a una grossa quercia, rimanendo perplessi:
le orme
del Lupo erano scomparse.
-
Queste impronte sono
strane… - disse Aragorn.
“ Impronte?”
pensò Jill con una smorfia, seguendo
lo sguardo del ramingo fino a terra “A me sembrano piuttosto
dei crateri! Ma
che razza di creature ci sono in questa foresta?”
E dire che fino a pochi mesi prima
passeggiava
tranquillamente per i suoi sentieri, ascoltando il fruscio delle fronde
degli
alberi e facendosi cullare dal cinguettio degli uccelli. Ora
più che una
boscaglia lussureggiante sembrava infestata dai fantasmi.
Gimli andava avanti borbottando di
storie su
alberi stregati e radici che ghermivano i viaggiatori.
-
Questa foresta è vecchia
– commentò Legolas tra sé, porgendo
l’orecchio ai suoni della natura – molto vecchia.
Piena di ricordi… e rabbia. –
Le fronde si agitarono e le
cortecce parvero
scricchiolare. Tutti si voltarono a guardare il Nano che aveva alzato
l’ascia,
spaventato. Aragorn gli fece segno di abbassarla.
Jill rise sotto i baffi del disagio
di Gimli e di
quanto i suoi timori fossero più fondati di quanto pensasse:
magari quegli
alberi non se ne andavano a passeggio come nelle storie che aveva
sentito, ma
quella foresta era senza dubbio più viva di quanto potesse
sembrare.
Legolas scattò in
avanti, tallonato da Aragorn e
seguito a ruota da Jill.
-
Aragorn, nad no
ennas! -
Jill alzò gli occhi al
cielo: il principe di
Bosco Atro e Aragorn avevano questa pessima abitudine di scambiarsi
frammenti
di conversazioni in elfico. Una cosa piuttosto vanesia e discriminante
dal suo
punto di vista. Si ripromise di farglielo presente.
-
Man cenich? – gli
rispose il Ramingo.
Jill
cercò di sondare la boscaglia per darsi da sola una
risposta, ma lo stesso
incantesimo in cui s’era imbattuta al limitare della foresta
le impedì
nuovamente di ispezionare il territorio. Lanciò
un’occhiata all’espressione
seria e guardinga dell’Elfo.
-
Lo Stregone
Bianco si avvicina. –
La
mano della Corsara andò immediatamente ad afferrare
l’elsa di Carcharoth.
Aragorn
strinse la mascella.
-
Non lasciate che
parli – disse a denti stretti – Ci farebbe un
incantesimo. –
Il
Ramingo si preparò a sguainare la spada, Gimli strinse la
presa sulla sua
ascia, Legolas fece scorrere le dita sulle piume della sua freccia e
Jill
accarezzò dolcemente l’impugnatura dei lunghi
pugnali che portava ai due lati
della cinta.
-
Dobbiamo agire in fretta.
–
Il cuore di Jill batteva
all’impazzata nel petto
al pensiero che forse era finalmente arrivato il giorno della resa dei
conti.
Avrebbe mirato alla gola, così da far tacere per sempre
quella voce melliflua e
velenosa.
Sorrise maligna: era il momento di
restituirgli
il favore.
Si girarono all’unisono e
sferrarono l’attacco.
Una luce bianca li abbagliò e lo stregone deviò
con facilità tutti i loro
colpi.
Jill era pronta a mettere mano alla
spada e
vendere cara la pelle, quando la figura avvolta da quella candida luce
parlò.
-
State cercando due giovani Hobbit.
–
Qualcosa nel tono di quella voce
fermò la mano
della fanciulla a mezz’aria. E non era un incantesimo.
-
Dove sono? – gli
gridò Aragorn di rimando.
-
Sono passati di qua – non
si scompose lo stregone – L’altro ieri.
Hanno incontrato qualcuno che non s’aspettavano. Questo vi
conforta? –
Qualcosa nel cuore di Jill
gridò di gioia e lei
sgranò gli occhi, meravigliata da quell’intuizione.
-
Chi sei? –
corrugò la fronte Aragorn – Fatti vedere!
–
La luce accecante
s’attenuò e una figura prese
forma a poco a poco.
Jill sorrise, gli occhi
già colmi di lacrime e la
vista annebbiata.
“Gandalf…”
Non era più Gandalf il
Grigio. Dopo aver lottato
strenuamente contro il Balrog ed essere riuscito a eliminarlo, il suo
corpo era
ormai allo stremo. Tuttavia il compito assegnatogli non era ancora
terminato e
il suo spirito era tornato indietro, dandogli nuova vita. I Valar gli
avevano
fatto dono di nuovi poteri, elevandolo allo status di Bianco.
Svanita quella luce abbagliante
alle sue spalle
era comparso anche Huan. Il Lupo, comodamente sdraiato e con la testa
poggiata
sulle zampe anteriori, non aveva fatto una piega, limitandosi ad
alzarsi e atterrare
con un balzo al fianco della sua compagna. Ma lei aveva occhi solo per
il suo
ritrovato maestro e Huan si riaccomodò accanto a lei.
“ Stregoni!”
pensò tra sé e sé “A quanto
pare non riescono a rinunciare all’appariscenza.”
Gandalf gli strizzò
l’occhio e il Lupo poggiò
nuovamente la testa sulle zampe: quello stregone tutto sommato non gli
dispiaceva.
Gandalf li rassicurò
immediatamente riguardo le
sorti di Merry e Pipino, rimanendo tuttavia piuttosto vaga riguardo
l’identità
del misterioso Barbalbero.
Jill pensò che certe
cose probabilmente non
sarebbero mai cambiate, come il gusto del suo maestro per il mistero e
il modo
in cui custodiva tante informazioni. Eppure quel pensiero
anziché stizzirla le
diete una piacevole sensazione di conforto.
Lo stregone propose alla Compagnia
una breve
sosta prima di dirigersi verso Edoras, la capitale del Regno di Rohan.
Mentre
parlava Jill osservava colma di eccitazione le sue nuove vesti bianche,
percependo il nuovo potere che tutta la sua figura emanava, quasi ne
fosse
intrisa la tela candida.
“Sarebbe quasi il caso di
andare a bussare alla
porta di Saruman per proporgli un secondo round!”
ghignò fra sé, esaltata
all’idea del confronto come lo era stata quando un Corsaro
lanciava una sfida a
un rivale che gli aveva fatto un torto di troppo. Ma qualcosa
nell’espressione
seria dello stregone soffocò la sua eccitazione sul nascere.
Non erano sul
ponte di una nave o in un malfamato locale. Lo sfidante non era un
losco
individuo che s’era appropriato di un sudato bottino o che
aveva allungato le
mani sulla donna di qualcuno. In gioco non c’erano tesori,
amanti o il rispetto
di una ciurma. Quelle, in confronto, erano bazzecole: la Compagnia
dell’Anello
aveva nelle mani le sorti di tutti i popoli della Terra di Mezzo.
S’accamparono in una
piccola radura. Huan
s’accucciò al limitare della foresta e la
fanciulla andò a raggiungerlo. Sganciò
la spada e i lunghi pugnali dai fianchi e si sfilò la sacca
da viaggio,
posandola a terra. La scatola di legno produsse un tonfo sordo, mentre
qualcos’altro al suo interno sbatacchiò.
Jill estrasse la custodia e la
soppesò tra le
mani. Era lunga più di due spanne e larga e alta una e
mezza. Il legno non
apparteneva alle piante che si potevano solitamente trovare
nell’entroterra
della Terra di Mezzo, somigliava piuttosto a quello dei pini marittimi
che
crescevano lungo le coste del sud. Ma si trattava solo di supposizioni,
poiché
la salsedine e il tempo avevano consumato quella scatola,
deteriorandone il
legno e arrugginendo le cerniere metalliche.
Aveva tentato di indovinare
più e più volte il
suo contenuto: a giudicare dal rumore poteva trattarsi di un oggetto in
pietra,
ma era più leggero e sembrava avere una forma piuttosto
articolata.
Si sdraiò sulla pancia,
tenendo la scatola
davanti a sé, per poi rigirarsi sulla schiena e alzarla
sulla sua testa, verso
il cielo stellato sgombro di nubi. Aveva anche provato a forzare la
serratura e
le cerniere metalliche.
“ Giusto per essere
sicura che nel momento del
bisogno riesca ad aprirla” si era detta per giustificare la
curiosità
crescente.
Ma non c’era stato verso
di farle saltare,
nemmeno incidendo il legno. Aveva tentato anche con la magia, ma di
nuovo senza
risultati. Probabilmente la scatola era sigillata da qualche potente
incantesimo a lei sconosciuto.
Si chiese come mai Dama Galadriel
non le avesse
spiegato la natura del dono e come avrebbe fatto a capirne il tempo e
il modo
di un corretto utilizzo.
-
È un dono davvero
prezioso quello che tieni tra le mani, piccola Jill.
–
La fanciulla sobbalzò e
lo stregone entrò nel suo
campo visivo. Si mise a sedere e l’Istaro
s’accomodò accanto a lei.
Jill mise il broncio.
“ Peccato che Dama
Galadriel non mi abbia
rivelato cosa contiene!” si lamentò.
Appena pronunciate quelle parole se
ne pentì,
ricordando la gentilezza e il prestigio della Signora di Lorien e
maledicendosi
per quel tono irrequieto e irrispettoso. Si aspettò un
severo rimprovero, ma il
suo maestro rise di gusto.
“ Noto con piacere che la
tua menomazione ha
frenato la tua lingua ma non il tuo sarcasmo, piccola mia.”
Le accarezzò gentilmente
il capo e Jill provò una
sensazione che non percepiva da tanto: si sentiva al sicuro e a casa.
Con uno
slancio abbracciò lo stregone, andando a nascondere il volto
nella sua tunica
bianca e inspirandone l’odore: sapeva di pini e erbe montane.
Gimli tirò su col naso e
s’appoggiò alla grande
ascia.
-
Sapete – si rivolse ai
due compagni che guardavano la scena insieme a
lui – è mancato pure a me! –
Aragorn posò una mano
sulla spalla del Nano,
annuendo: Gandalf era mancato a tutti loro.
“ Sei ancora interessata
al contenuto di quella
scatola?”
Jill si staccò dallo
stregone, gli occhi attenti
colmi di curiosità. Si rimise seduta a gambe incrociate, la
custodia di legno
sulle gambe, pronta ad ascoltare le parole del maestro.
“ Ricordi le storie che
ti raccontavo a proposito
dei Valar, i Signori di Valinor, coloro che gli Uomini chiamano
Dei?”
La rossa annuì,
ripensando ai miti e alle
leggende di cui aveva letto e sentito parlare. Aveva ascoltato piena di
meraviglia
il racconto della Prima Età del Mondo, quando Morgoth, primo
Signore Oscuro,
aveva gettato la sua ombra sui regni della Terra di Mezzo con
l’unico scopo di
distruggere tutto il Creato. Sia gli Undici Valar Supremi che i
più grandi
condottieri gli avevano mosso guerra durante tutta la Prima Era per
liberare
quelle terre dalla sua malvagia presenza. I Draghi, I Balrog e lo
stesso Sauron
erano stati creati e plagiati da Morgoth.
Jill rabbrividì:
l’idea che fosse esistito un
essere superiore a Sauron in potenza e malvagità le faceva
accapponare la
pelle.
Strinse la mascella. Peccato che
dopo la
sconfitta di Morgoth durante la cosiddetta Guerra d’Ira i
Valar non si siano
più fatti vedere nella Terra di Mezzo, altrimenti Sauron
avrebbe avuto i minuti
contati!
“ Ricorderai gli Undici
Valar Supremi. Manwe è il
primo di tutti i re del Creato, il Sovrano di Valinor e Signore dei
Venti, il
più possente tra i Valar. Ma appena inferiore a Manwe per
potenza c’è Ulmo, il
Signore delle Acque…” sorrise alla fanciulla
“Potremmo considerarlo il
protettore di tutti gli uomini di mare, non ti pare?”
Jill sorrise, annuendo.
Ulmo non aveva una dimora fissa, ma
si muoveva a
piacimento tra le acque e si recava in Valinor solo per trattare le
questioni
più importanti. Egli era inoltre l’unico tra gli
Undici Supremi a non essersi
mai scelto una consorte.
“ Probabilmente
perché non s’addiceva al suo
stile di vita” aveva ragionato Jill con un’alzata
di spalle.
Non amava camminare sulla terra e,
al contrario
degli altri Valar, raramente assumeva forma umana. Correva voce che il
levarsi
del Re del Mare fosse terrificante. Ciò nonostante Ulmo ha
sempre amato sia gli
Elfi che gli Uomini e non li ha mai abbandonati,
tant’è che durante la lunga
guerra contro Morgoth è intervenuto più degli
altri Valar in loro favore. Tutti
i mari, i laghi, i fiumi, le fonti e le sorgenti sono sotto il suo
dominio,
motivo per cui gli Elfi hanno sempre sostenuto che lo spirito di Ulmo
scorra in
tutte le vene del mondo.
La fanciulla si era emozionata
quando Gandalf le
aveva riferito che persino il potente Morgoth aveva sempre temuto il
mare
poiché, come il suo signore Ulmo, impetuoso e libero per
natura, non poteva
essere né plagiato né incatenato.
“
Tendenzialmente” riprese lo stregone “ il Re
delle Acque predilige le profondità dell’oceano e
parla alle genti della Terra
di Mezzo con parole di un linguaggio ai più sconosciuto e
che vengono
interpretate come musica dell’acqua: lo zampillio di una
sorgente, il placido
scorrere di un fiume, l’abbattersi fragoroso di una cascata.
Ma a volte approda
sulle rive della Terra di Mezzo o si spinge all’interno lungo
i fiumi, e qui
intona meravigliose melodie con i suoi grandi corni fatti di
conchiglie, gli
Ulumuri. Chiunque ascolti quella musica non la dimenticherà
mai e nel suo cuore
crescerà sempre più il desiderio del
mare.”
Jill corrugò la fronte e
il suo maestro sorrise
condiscendente.
“ Credo”
proseguì “ che la Signora di Lorien
abbia voluto restituirti in qualche modo il potere della voce,
consegnandoti un
Ulumur del potente Ulmo.”
La fanciulla sgranò gli
occhi, puntandoli
sull’anonima scatola sul suo grembo.
Trascorsero secondi di silenzio,
poi la Corsara
piantò gli occhi scuri in quelli cerulei del Istaro.
“ Ti stai prendendo gioco
di me.” disse, alzando
un sopracciglio.
“ Niente
affatto.”
“ Vorresti farmi credere
che mi sono portata in
giro nella sacca un corno che dovrebbe appartenere a un dio?”
“ Hai già
avuto modo di vedere un Palantir, che
se non vado errando appartiene alla stessa categoria di oggetti
leggendari” le
sorrise astutamente lo stregone “Il Balrog che abbiamo
incontrato nelle miniere
di Moria e lo stesso Sauron prima delle Ere del mondo erano dei Maiar,
dei
minori al servizio degli Undici Valar Supremi. Vuoi farmi credere che
fatichi a
credere di esserti imbattuta in uno degli Ulumuri?”
Lei mise il broncio, seccata:
inutile insistere,
Gandalf riusciva sempre a far tacere le sue proteste e cancellare il
suo
scetticismo.
“Ammesso e non concesso
che dentro a questa
vecchia scatola ci sia un Ulumur” insistette la rossa,
cocciuta “cosa dovrei
farmene di uno strumento musicale?”
“ Le melodie intonate
dagli Ulumuri possono
variare dal dolce scroscio di un ruscello all’assordante
fragore di una
cascata, perché in accordo col loro proprietario. Ulmo
possiede una voce
profonda quanto l’oceano e spaventosa quanto il ruggito di
una tempesta, tant’è
che il suo urlo durante la battaglia terrorizza i nemici e infiamma lo
spirito
degli amici” la guardò dritta negli occhi,
improvvisamente serio “ Sappiamo
entrambi quanto potente e temibile possa essere una voce. È
per questo motivo
che ne sei stata privata.”
Jill strinse i pugni, sentendo una
collera ormai
familiare impossessarsi di lei: la furia della vendetta.
“ Questo
strumento” continuò Gandalf,
costringendola a rimanere concentrata sulle sue parole “
è stato creato per
Ulmo, dunque è difficile dire cosa accadrà se
usato da te. Ma avrai ormai
capito che anche l’oggetto apparentemente più
innocuo può dimostrarsi molto
pericoloso se usato coi propositi sbagliati o in maniera
avventata.”
La Corsara pensò
all’Anello del Potere che nelle
mani di Sauron avrebbe regalato al Signore di Mordor il controllo sulla
Terra
di Mezzo, mentre appeso al collo di Frodo diventava di giorno in giorno
un
fardello più pesante e maligno. Le tornarono in mente i
Palantir, le sette
pietre sferiche create per comunicare anche a grandi distanze, utili
per tale
scopo, ma pericolose se utilizzate dai soggetti sbagliati. Cosa che
aveva
provato sulla sua stessa pelle.
“ Per questo ti
è stato detto di farne uso solo
in caso di necessità.”
Vedendola pensierosa, Gandalf
tornò a sorriderle
con dolcezza.
“ Tranquilla, sono
convinto che saprai usarlo con
avvedutezza e…”
“ Perché
io?” gli chiese quasi titubante, il pensiero
ridotto a un sussurro “Perché uno strumento tanto
prezioso e potente è stato
dato proprio a me, quando molti
altri
sarebbero stati più meritevoli? Non dirmi che Dama Galadriel
l’ha fatto perché
potessi sopperire alla mia menomazione. E come farò a usarlo
nel momento più
opportuno se non sono nemmeno in grado di spezzare
l’incantesimo che tiene
chiusa questa maledetta scatola? ” sollevò il
mento, di nuovo combattiva e
sfrontata “E come mai un Ulumur si trovava a Lorien? Il Re
dei Mari ha saputo
delle mie disgrazie ed è stato tanto impietosito da volermi
regalare uno dei
suoi preziosissimi corni?”
Gandalf si prese qualche secondo
per guardare
quel giovane volto contratto in un espressione decisa, sebbene il suo
sguardo
rivelasse l’amarezza di cui erano intrisi i suoi pensieri.
Quegli occhi tempestosi gli
ricordarono due iridi
dello stesso colore ma tanto profondi che, ne era sicuro, chiunque vi
sarebbe
annegato se solo avesse tentato di sostenerne lo sguardo.
-
Credimi, mia piccola e impaziente
Jill – avvicinò una mano alla fronte
della fanciulla, distendendo con l’indice le rughe di
nervosismo che la
solcavano – avrai tutte le risposte che cerchi. –
“ Fammi
indovinare” ridusse gli occhi a due
fessure “ Avrò le mie risposte a
tempo
debito.”
Gandalf le sorrise. Jill
sbuffò, rilassando le
spalle: per quanto le scocciasse ammetterlo, i sorrisi gentili del suo
maestro
le impedivano di tenergli il broncio. O forse era l’effetto
di qualche incantesimo
calmante.
“ Dannati
stregoni!”
Due occhi scuri non si erano
staccati un istante
da quella scatola. Ma quando Jill la ripose nella sacca, le iridi
tornarono
dorate.
Huan scosse il grosso capo,
infastidito da quella
sensazione che non riconobbe come sua: una curiosità avida,
insana e umana.
Continua…