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Autore: Sadie Lancaster    04/07/2011    1 recensioni
Laila è una ragazza cinica, non crede nell'Amore ed ha il terrore di far avvicinare a sè le persone. Questo fino a quando non incontra Lui. Lui, che sembra l'uomo dei suoi sogni e le fa vivere per la prima vera volta l'Amore. Ma l'happy ending non è sempre alla portata di tutti. Riuscirà Laila a raggiungerlo, o i Sogni che entrambi coltivano da una vita riusciranno infine a separarli per sempre?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta che Lo incontrai fu in quello stesso bar. Era domenica mattina e avevo avuto una settimana decisamente No: il lavoro non voleva saperne di ingranare, il proprietario dell'appartamento in cui vivevo continuava a mandarmi lettere minatorie di sfratto e il ragazzo che frequentavo mi aveva mollata in una maniera a dir poco ironica.

C'è da sapere che sono sempre stata una gran maniaca del controllo. E, non potendo controllare a mio piacimento gli altri, avevo ben deciso di non far loro invadere le mie personalissime routine quotidiane. Ciò escludeva, quindi, categoricamente un'idea del "Noi". Cosa che al mio ex non piaceva granché. Un giorno venne da me, senza alcun motivo apparente. «Direi che è il caso di prenderci una pausa», esordì. Rimasi a dir poco di stucco. Non vederci più? E perché? Insomma, il sesso non mi sembrava tanto male, tutto andava a perfezione, dal mio punto di vista. Inoltre, una pausa? Dopo tredici settimane di frequentazione, dire "pausa" mi sembrava un po' comico. Ma non ero tanto ingenua da non capire che "Prendiamoci una pausa" corrispondeva al "Non vediamoci mai più, e se per caso mi dovessi vedere per strada, da lontano, per favore cambia marciapiede". Così, scoppiai a ridere. «Scusa, ma ci stiamo lasciando?» Domandai, derisoria. Lui mi fece un sorrisetto ironico. «No. Non ci stiamo lasciando, sono io che lascio te. Così non rischio d'invadere "i tuoi spazi"», rispose calcando l'ultima frase con malcelata crudeltà. Mi ha salutato, poi, dandomi un buffetto sulla testa - gesto che ho sempre odiato - e svanendo per sempre dalla mia vita. Per carità, tanto di guadagnato. Però il tutto mi lasciava con un'amara domanda tra le labbra: perché doveva essere così dannatamente difficile trovare una persona che si volesse solo divertire in maniera monogama? Le malattie veneree volevo ben evitarle, quindi di andare a letto con il primo che capitava era fuori discussione.

Gli uomini hanno questo orribile vizio d'innamorarsi e perdere quel po' di mascolinità che li caratterizza. E' proprio vero quando dicono che non esistono più gli Uomini di un tempo.

E perciò, mi ritrovai a rigirare il cucchiaino in un cappuccino ormai freddo, cogitando su cosa c’era che non andava nella mia vita, quando un ragazzo neppure troppo malaccio si avvicinò a me e poggiò una mano sul tavolino.

Il bello di quel Bar è sempre stato che, di solito, non ci andava mai nessuno. Nulla da stupirsi, considerando che il loro caffè somigliava più a un lassativo. Ma in una città sovraffollata come Roma, ogni luogo di quiete era da considerare un Tempio di Beatitudine.

Si può, allora, immaginare il fastidio che provai nel vedere quella grossa mano sul mio Tavolo della Solitudine.

Alzai lo sguardo, scocciata. Di fronte a me si presentava un ragazzo altissimo, ben piazzato, con un naso ben regolare, abbigliato in blue jeans e t-shirt arancione.

«Le serve qualcosa?» Domandai, sfoderando il sorriso più falso che riuscissi a fare. Avevo tutte le intenzioni di fargli intendere, gentilmente, che la sua presenza mi disturbava assai.

«Il tuo numero di telefono» Affermò, sentendosi un grande play-boy e facendomi l’occhiolino.

“Ma da che film è spuntato fuori, questo?”, mi domandai già esasperata. Stavo per mandarlo a quel paese, quando un secondo ragazzo spuntò fuori dal nulla e si sedette proprio di fianco a me, stampandomi un bacio sulla guancia. «Perdonami di averti fatto aspettare, tesoro, il lavoro mi ha portato via più tempo del previsto» Disse, circondandomi le spalle con un braccio.

Era venuto a salvarmi dal play-boy. Certo, piuttosto ironico che per salvarmi da uno che vuole rimorchiarmi, si mette a fare esattamente come lui, no?

Mi sforzai di sorridergli, apparendo quasi un automa. «Tranquillo, amore, non è niente» Sussurrai tra i denti.

Il mio pseudo-salvatore si voltò verso il play-boy. «Le serve qualcosa?» Domandò, lasciandomi stupita del suo usare la mia stessa identica frase.

«N-no» Balbettò il ragazzo, togliendo immediatamente la mano dal tavolo. «L’avevo scambiata per un’altra» Farfugliò distrattamente, mentre si allontanava e usciva dal locale.

Non appena il tipo fu fuori portata visiva, mi sciolsi dall’abbraccio del secondo uomo e allontanai la mia sedia, tirando fuori dalla borsa il cellulare e fingendo di farci qualcosa di immensamente importante, ignorando completamente il ragazzo.

«Sai, in questi casi è cortese dire un Grazie» Sussurrò lui, mentre mi sentivo il suo sguardo canzonatorio addosso.

«Mi sembra un po’ bislacco salvare una damigella in difficoltà, tuffandola poi in un nuovo tipo di pericolo» Risposi, senza scompormi né alzare lo sguardo.

Lo sentii ridacchiare al mio fianco. «Pensi forse che anch’io mi senta un Dottor Rimorchio?» Il tono ancora sarcastico.

Mi sentii punta nel vivo.

Uno degli errori più comuni e – a mio avviso – irritanti che fanno le donne, è quello di credere che ogni singolo esemplare di sesso maschile le rivolga la parola, lo faccia nel tentativo di portarsela a letto. Errori molto imbarazzanti, tra l’altro, e – con il tempo – si rischia addirittura di diventarne dipendente. Tanto da arrivare, in una data fase della retrocessione mentale delle affette da tale sindrome, a credere che se un uomo chiede loro l’ora è solo perché in realtà se le vuole portare a letto. Dannatamente triste, a dirla tutta. Ed io temevo di aver commesso proprio quell’errore, ma mi sforzai di non scompormi. «In questi casi un vero eroe abbandona la donzella in totale anonimato, non aspettandosi una misera ricompensa» Risposi a tono, alzando lo sguardo e puntandoglielo, fiera, negli occhi.

Lo vidi alzare l’estremità destra del labbro in un sorriso. «Compito dell’eroe è assicurarsi che la donzella non si cacci in altre situazioni pericolose, non trovi?»

E non seppi più cosa rispondere.

Rinunciando definitivamente a bere quella sottospecie di cappuccino, mi alzai dal tavolo, raccolsi tutti i miei averi e feci un profondo inchino. «La ringrazio, messere, per avermi tratto in salvo» Esordii con voce pomposa. L’uomo stava per rispondere, quando lo interruppi proseguendo. «Ma», calcai il congiuntivo, «sono una donzella moderna, io», mi trattenni dal ridere al mio ulteriore utilizzo del pronome che mi aveva causato – giusto pochi giorni prima – la rottura definitiva con Mr. Sesso, «e me la so benissimo cavare da sola.» Annuii di sbieco, salutandolo e uscendo dal locale.

Fortuna, o chiamiamola piuttosto “abitudine”, mi aveva già fatto pagare il conto prima ancora di sedermi al tavolo, così avevo potuto far quell’uscita di scena decisamente ad effetto.

Sfortuna, o chiamiamola “testardaggine” da parte di quell’uomo, volle che lui mi seguì fuori, velocizzando il suo passo fino a raggiungermi per poi adeguarlo al mio.

Camminammo l’uno al fianco dell’altra in silenzio per un buon pezzo di strada. Lui teneva le mani dietro la schiena, sembrando molto una guardia del corpo. Dal canto mio, invece, mi sforzavo a non farmi esplodere la testa per l’agitazione. «Il mio era un Addio, se non si fosse capito» Sbottai, infine.

D’accordo, poteva dare milioni di scuse. Poteva dire che – guarda caso – doveva andare proprio nella mia stessa direzione. O chissà quant’altro avrebbe potuto inventarsi. Però a me sembrava davvero che mi stesse camminando di fianco intenzionalmente.

Lo sentii ridacchiare. «E io ho finto di ignorarlo, se non si fosse capito» Rispose canzonatorio, guardando dritto davanti a sé.

Mi fermai di colpo, desiderando tanto sbattere la testa contro una parete. Ma come avevo fatto ad incappare in un tipo simile? Feci un respiro profondo, per evitare di sbraitare. «E perché, di grazia?» Domandai, quando mi sentivo sicura di riuscire a mantenere un tono di voce stabile e non isterico.

Lui fece spallucce, voltandosi verso di me. «Diciamo che sono uno spirito ribelle» Disse, sicuro di sé.

“Uno spirito…”, pensai esasperata. «…Ribelle» Conclusi ad alta voce, sbuffando sonoramente. Mi strofinai gli occhi, ringraziando la buona sorte per non avermi donato – quella mattina – la voglia di truccarmi: altrimenti il mascara sarebbe stato sparso per tutta la faccia, in quel momento.

Lui annuì di nuovo. «Vedi, lo so perché ogni volta che soffro d'influenza intestinale ho questa voglia insostenibile e autodistruttiva di dolciumi» E annuì serissimo alle sue stesse parole.

La sua frase senza senso mi lasciò interdetta, a bocca aperta e incapace di trovare una risposta coerente. D’altronde, come si può rispondere in maniera sensata a una frase tanto stupida? E, nonostante lo stress accumulato in quella settimana, la sua frase assurda mi fece scoppiare a ridere.

Fu così che iniziammo la nostra quanto mai sciocca relazione.

  
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