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Autore: Fireflie    04/07/2011    2 recensioni
Dopo la morte di Sirius sei diventato spericolato, incauto. Sei diventato lui come lo ricordi l’ultima volta che l’hai visto, diversi mesi prima a Grimmauld Place: insofferente, triste, inquieto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Contesto generale/vago
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Disclaimer: I personaggi appartengono a J.K. Rowling, e a coloro che ne hanno acquistato i diritti. Io non traggo vantaggi dall'uso di essi e non li reclamo come miei.

Note: • Sapete cosa? Questa fic l’ho scritta nel Settembre 2009, è stata betata subito dalla lovva Linda ma… mai postata! *_*
Comunque, ecco… affrontavamo una fase moooolto Remus/Harry in quel periodo e praticamente è stato allora che il pairing s’è OTPizzato da solo. Amo. T_T
• Scritta per l’adorato Vanda Project! \o/
• Dio, io questa fic la amo da morire. °_°
• Titolo un po' modificato fregato a Walls di Beck.




Some Days Are Worse Than You Can Imagine



Dopo la morte di Sirius sei diventato spericolato, incauto. Sei diventato lui come lo ricordi l’ultima volta che l’hai visto, diversi mesi prima a Grimmauld Place: insofferente, triste, inquieto.
Sebbene ti sia stato vietato di uscire di casa da Dumbledore in persona e ti sia stato poi ricordato da quasi ogni altro membro dell’Ordine, e malgrado tu stesso sappia perfettamente che non dovresti, che lontano dalla protezione che il sangue di tua madre ti offre sei vulnerabile, esposto, lo fai ugualmente. Quando esci, sospetti sempre che ci sia qualcuno appostato lì intorno pronto a seguirti; a volte ti sembra di poterne percepire la presenza, ma non te ne curi mai più di tanto. Potrebbe essere un Mangiamorte o semplicemente Dudley che si accoda al tuo girovagare mantenendo però sempre una certa distanza, come ha preso l’abitudine di fare ogni tanto, da quando sei tornato a casa; ma il pensiero dell’inseguitore nella tua mente è qualcosa di nebuloso, vago, astratto, e questo rende anche il suo pericolo inconsistente.

Nel tuo vagabondare, all’inizio ti limiti a prendere stradine secondarie, prima percorrendo i vicoli nei pressi di casa – strade di provincia, costeggiate da abitazioni tutte simili l’una all’altra, con giardini curati e finestre dai vetri puliti e così lucidi da riflettere la luce del sole –, poi spingendoti sempre più oltre, in zone degradate persino, i cui palazzi hanno facciate grigie e tetre, con vaste aree dedicate a parcheggi e non un parco per miglia intere; arrivando infine a perderti in giro per la campagna che circonda Little Whinging – e quella ti piace, riesce quasi, con la sua tranquillità, a far scivolare via il dolore insieme alla calura estiva.
Col trascorrere del tempo diventi sempre più audace, e la mattina del sette luglio millenovecentonovantasei ti rechi alla piccola stazione del paese, dopo una camminata di tre quarti d’ora e prendi il primo treno diretto a Londra, che sì, è lontana e assolutamente non sicura e anti-babbana dopo i recenti avvenimenti, ma non ti interessa: hai la tua bacchetta, il tuo coraggio e la tua incoscienza, e ciò basta.

Compri il biglietto e la donna seduta dietro il banco della biglietteria ti guarda sospettosa. Osservi le sue labbra tinte di porpora quasi con disgusto, mentre lei ti crede uno di quei ragazzini disadattati che scappano di casa con in tasca i soldi rubati ai genitori e qualche snack; ma poi prende il denaro e ti porge il biglietto, senza fare domande e un po’ gliene sei grato.
Sali sul treno quasi del tutto deserto a quell’ora del pomeriggio, e ti siedi in uno degli ultimi vagoni, di fianco al finestrino. Nell’attesa che parta ti guardi un po’ in giro; tiri i fili di cotone color verde bosco dei ricami quadrettati dai sedili logori, la stoffa sbiadita in alcuni punti; ti passa per la testa per un breve, piccolo minuto, che dovresti davvero scendere da lì, e tornare spedito a casa prima che scoppi un pandemonio, prima che qualcuno si accorga della tua assenza e la riporti immediatamente al Preside, ma il desiderio di andare, sparire, essere normale, fare tutto ciò che i ragazzi della tua età dovrebbero fare è più forte di qualsiasi altra cosa.
Poi, il treno parte, piano, sussultando; ti rilassi del tutto e osservi il paesaggio scorrere via dapprima lentamente, poi sempre con più rapidità, man mano che il treno acquista velocità. Appoggi i piedi sul sedile di fronte a te, con maleducazione, e quasi ti assopisci quando il suono ben riconoscibile di un’Apparizione ti allarma e ridesta – i piedi che tornano a terra e la mano sulla tasca dei jeans, ad afferrare la bacchetta – giusto in tempo per vedere Remus Lupin entrare nello scompartimento. Il suo viso in genere calmo sembra furibondo, richiude la porta dietro di sé con uno schianto che fa tremare il vetro.
“Materializzazione su un treno in corsa”, esordisci sfacciatamente, “sono proprio senza parole. Dumbledore sarà felice di sapere che maghi capaci come te mi difendono.”
Ma quasi non fai in tempo a finire la frase che Remus ti afferra per un braccio con una forza di cui non lo credevi capace e ti solleva, tirandoti in piedi di fronte a lui, il viso ad un soffio dal tuo, e un brivido di paura ti percorre la schiena.
“Cosa diavolo credi di fare, Harry?!”, ti sibila in faccia, e nei suoi occhi ti sembra di scorgere il lupo, feroce e pericoloso. “Vuoi rendere il sacrificio dei tuoi genitori e di Sirius completamente inutile facendoti ammazzare nei sobborghi di Londra? O semplicemente la tua ribellione conduce a questi miseri livelli? Ho altro da fare per l’Ordine che correre dietro a te.” Ti strattona il braccio con violenza, e il dolore questa volta è talmente intenso da obbligarti a posare un mano su quella dell’uomo, cercando di liberarti dalla sua morsa.

Alla vista di quel gesto qualcosa sembra tornare al suo posto dentro l’altro, e la sua presa si allenta e poi cede del tutto. Guarda crucciato il tuo avambraccio con l’impronta della sua mano ben visibile sopra, quasi sia stata impressa a fuoco, un segno rosso che acquisterà toni blu e viola molto presto.
“Ascolta”, ti dice, cercando di trovare le parole, ma lo zittisci.
“No, ascolta tu, invece”, sbotti, follemente arrabbiato e addolorato, “Sirius è morto, e io non ho più nessuno. Non c’è neanche una persona che tenga a me come dovrebbe e per le ragioni giuste, si curano di me solo perché pensano che li salverò tutti da Voldemort”, finisci quella frase con un mezzo singhiozzo, che cerchi di ricacciare giù ma che si ferma lì, nella gola, e a quello ne segue un altro che trova immediatamente sfogo. Abbassi il capo, cercando di non dare a vedere quanto male la perdita del tuo padrino ti ha procurato, quanto dolore provi per la sua scomparsa.
“Io ci tengo a te”, sussurra, appoggiandoti una mano sulla spalla e attirandoti a sé, in un abbraccio incerto, distante come siete sempre stati voi, anche se fingete di non esserlo. Non c’è niente che vi leghi e allo stesso tempo c’è tutto.
Lo stringi con forza, affondando il volto contro il suo petto per un lasso di tempo che sembra quasi infinito, poi alzi il viso e i vostri sguardi si incontrano. È un secondo, solo un secondo, e le vostre labbra si uniscono; siete titubanti quanto nell’abbraccio di poco prima, ma in un attimo il bacio si fa profondo, come se fosse del tutto logico, naturale quel gesto, inevitabile, e baciare il tuo ex-professore di Difesa Contro le Arti Oscure in un treno vuoto che corre diretto verso Londra l’assoluta normalità. E quel bacio ha un effetto calmante, quasi lenitivo su di te e il tuo cuore pare ritornare un po’ più spensierato, intatto.

È lui a mettervi fine, poco dopo averti afferrato il viso con le mani e averti avvicinato ancora di più a sé. “Non possiamo, Harry”, e ti allontana. La sua mente sembra improvvisamente affollata di pensieri che sai già non condividerà, poi accenna un sorriso nella tua direzione.
“Ti riporto indietro”, dice, e non è una domanda o una richiesta. Ti riporto indietro.
Ti afferra saldamente per lo stesso braccio che aveva artigliato qualche attimo prima, ma questa volta, anche se la presa è forte, c’è gentilezza e nessuna traccia di rabbia. Un turbine sembra risucchiarvi e lo scompartimento si svuota. Al suo interno non rimane alcuna traccia del vostro passaggio.
Apparite in uno spiazzo erboso nascosto da grossi tigli e faggi vicino la stazione. Ti gira la testa e cerchi di aggrapparti a lui per evitare di finire a terra, ma lui è più rapido e ti afferra per primo.

Appena il mondo intero smette di girarti davanti agli occhi, vi incamminate fianco a fianco verso Privet Drive in silenzio, senza guardarvi, ma sai che lui si è già pentito di quello che è successo, anche se quel contatto inatteso ha fatto bene ad entrambi, ha lavato via un po’ del ricordo di Sirius, un po’ dell’amore che ancora gli dovete.
Ti lascia di fronte alla casa dei Dursley. Riesci a scorgere tua zia, nascosta dietro una delle tendine ricamate del salotto, osservare Remus con curiosità, gettando un’occhiata ai suoi indumenti lisi, chiedendosi chi sia e cosa voglia da te, e ne sorridi, strappando nervosamente un petalo da una pallida rosa color crema. Lo saluti goffamente, guardandoti i piedi e girellandoti quel petalo tra le dita; lui allunga la mano verso di te, con un sorriso e un’ombra di qualcosa negli occhi che non riesci ad identificare né ricordare di aver mai visto prima.
“Non lo dirai a Dumbledore, vero?”, domandi, dopo aver percorso il vialetto e aperto la porta – un piede dentro e già la voglia di scappare nuovamente –, voltandoti indietro e scoprendolo ancora lì, ad osservarti entrare, accertandosi che tu sia veramente al sicuro.
“Quale parte?”, ti domanda, scherzoso, sereno come non lo vedevi da tempo; poi ti sorride nuovamente, e attende che tu richiuda la porta d’ingresso alle tue spalle per poi allontanarsi lungo la strada e Smaterializzarsi alla prima occasione.



   
 
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