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Autore: Maylea    04/07/2011    1 recensioni
“Non lo so…” - mi dice senza neanche voltarsi, gli occhi fissi su una scura macchia di sangue poco distante da noi. Le strisce pedonali ospitano un cadavere e schegge di vetro tendenti al rosso, uno spettacolo quanto mai raccapricciante, ma non per me, non quando si tratta di una seconda visione. Incredibile, un maledetto déjà-vu, talmente assurdo che non riesco a capacitarmene .
Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kimberly P.O.V

Capitolo 1

 “Non lo so…” - mi dice senza neanche voltarsi, gli occhi fissi su una scura macchia di sangue poco distante da noi. Le strisce pedonali ospitano un cadavere e schegge di vetro tendenti al rosso, uno spettacolo quanto mai raccapricciante, ma non per me, non quando si tratta di una seconda visione. Incredibile, un maledetto déjà-vu, talmente assurdo che non riesco a capacitarmene .

Tre anni tra noia e divertimento e di nuovo sono qui, Via dei Baldeschi n°13, palazzo praticamente disabitato in un quartiere pieno di uffici e maledette attrazioni per bambini.  Le grida isteriche che sento alle mie spalle, di qualche bambino vittima di coetanei o solamente spaurito per il momentaneo smarrimento del genitore, mi rendono ancora più nervosa, mentre cerco di captare una qualsiasi parola che possa far luce su quanto accaduto.  Gemma trema vistosamente, assistere a un incidente stradale forse è troppo anche per lei, che di forte conosce solo il bere.

 I carabinieri sono appena accorsi sul posto, la gente fa spazio ma non si lascia sfuggire una posizione comoda per soddisfare la propria curiosità. Gemma mi è a un paio di metri ora, ma la puzza di alcool misto a fumo è inequivocabile, la sua non sarà certo la più affidabile delle testimonianze.

 Infatti, come sospettato, la sua deposizione è decisamente incoerente in alcuni punti come se a un certo punto avesse fuso le visioni mistiche dovute all’alcool con quanto accaduto veramente.  I carabinieri la allontanano poco dopo invitandola a riposarsi. Non so se ridere o se piangere, in ogni modo non ho molto tempo di pensare, Gemma mi viene incontro con la stessa luce di terrore di prima negli occhi.

“Mi vedo pallida…” – sussurra quasi impercettibilmente fissando il suo riflesso nella pozzanghera ai miei piedi.  Abbasso lo sguardo. Ora anche la mia attenzione è rivolta verso lo specchio di acqua putrida e fangosa che ci separa, seguo con attenzione un rivolo d’acqua che mi viene incontro sfidando le irregolarità del manto asfaltato.  Vorrei rimanere un altro po’ qua, o perlomeno in zona, ma un colpetto leggero sulla spalla mi riporta al mondo reale, allontana tutti i pensieri e mi ricorda che è tardi, bisogna andare.

La strada è deserta, la casa di Gemma è a pochi isolati dal luogo dell’incidente, i suoi genitori la staranno sicuramente aspettando all’oscuro di tutto. I suoi passi sono lenti e strascicati, quasi faccio fatica a rimanerle accanto. La vita intorno a noi scorre inesorabilmente, uomini in giacca e cravatta che aprono il portone di casa, ragazzi in fila in pizzeria, ma tutto risulta ovattato e non riesco a percepire nulla se non immagini in movimento come in un rallenty.

“A domani allora…” – esordisce Gemma, risvegliandomi dallo stato comatoso in cui ero caduta. Con stupore la guardo negli occhi e capisco che anche lei ricorda quell’uomo sull’asfalto e che non è solo frutto della mia immaginazione. Annuisco e alzo la mano in un gesto che vorrebbe essere di saluto, ma è invece di scoramento misto a stanchezza.

“Me lo ricordavo più polveroso questo posto…” rifletto mentre analizzo il ripostiglio adibito a cameretta che mi farà da casa questa sera. Non ho fame. Ho solo una voglia matta di stendermi e contare le pecore o i pesci o qualsiasi altro essere. In realtà non m’interessa neanche dormire,  è sufficiente che mi riposi un po’, meglio partire da questa prospettiva quando si è già consapevoli che i pensieri che ci attendono sono più oscuri del solito e spaventano. 

Giusto un anno fa, scendevo le scale strette dell’immobile Baldeschi. Ero in ritardo per la lezione della mattina. In quei momenti ancora non sapevo che non sarei mai arrivata all’Università.

Aperto il portone mi s’infilò in mezzo alle gambe un cagnolino ben curato con tanto di pettorina e guinzaglio; del padrone, almeno apparentemente, nessuna traccia. Ma fu un attimo, prima che la sagoma di un uomo di mezz’età catturasse completamente la mia attenzione. Era sdraiato sull’asfalto in maniera scomposta, con il braccio sanguinante sopra il viso e il corpo completamente immobile, rigido. Ebbi da subito la strana percezione di uno stato di stallo di tutto ciò che mi circondava. Una donna alla mia sinistra trattenne un urlo, prima di correre verso l’uomo. Nel frattempo era sceso da un’automobile blu scura un giovane, avrà avuto venticinque anni, non di più. Con una calma quasi surreale si era avvicinato al corpo dell’uomo, scrutandolo dall’alto senza fiatare, quasi compiaciuto del risultato. Come mi ripetei spesso dopo, quelle erano solo percezioni distorte di una realtà diversa, era solo l’evento nella sua tragicità ad aver alterato i miei sensi.

L’uomo non rispondeva a nessuna sollecitazione, né di passanti né dei paramedici che arrivarono un’ora dopo la chiamata ai soccorsi. I carabinieri, privi di ogni emozione, avevano raccolto con fretta quante più deposizioni potevano invitando chiunque potesse dar  loro una mano, di recarsi direttamente in caserma nei giorni seguenti.

Ricordo ancora la faccia del carabiniere che mi si era avvicinato per compilare la deposizione, non dissi molto poiché non avevo assistito dal principio, ero solo una spettatrice secondaria e piuttosto confusa.  Non avevo mai visto il corpo senza vita di uomo così da vicino, così vero.  Lo shock quel giorno mi giocò brutti scherzi, nella mia deposizione non menzionai alcuni dettagli che solo dopo mi resi conto di quanto fossero importanti. Il resto di quella fatidica giornata lo passai rinchiusa dentro casa, chiamai mia madre per parlare del tempo e poi invitai Gemma a farmi compagnia per la notte.

Il giorno dopo impiegai tutta la mattinata a cercare negli scantinati e in ogni anfratto possibile il cagnolino del pomeriggio precedente. Di lui nessuna traccia, sicuramente era fuggito fuori appena la signora del piano terra del palazzo aveva aperto il portone d’ingresso. In ogni modo la ricerca spasmodica di questo cane mi tenne occupata un’intera settimana, non riuscivo a darmi pace e senza motivo vagavo su e giù nel palazzo con la speranza che a un mio seppur fievole richiamo lui mi sarebbe corso incontro.  Forse già da quell’insolita ricerca dovevo sospettare che la solitudine in cui vivevo non giovava la mia salute mentale.

A distanza di un anno mi trovo di fronte ad un altro incidente, nello stesso posto, ma soprattutto della stessa persona. Un anno fa moriva sull’asfalto di via Baldeschi il signor Alfredo Greco e  ora in circostanze che non ho timore di definire circospette muore il signor Alfredo Greco: stesso giorno, stesse modalità e stesso ragazzo autore dell’incidente. Non dovrei neanche pensarci, anche se mi assale quella curiosità morbosa che non riesco a reprimere, ma di questa storia voglio vederci chiaro, forse potrò tornare a vivere stabilmente in via dei Baldeschi. L’appartamento non mi dispiace affatto, il balconcino della mia camera era davvero carino. Tuttavia non devo tralasciare che non è affar mio e ci sono sufficienti forze impiegate nelle indagini che vorranno venire a capo di questo “mistero”, se così si può definire.

Questo posto è maleodorante, ci dormo solo in realtà, da un anno a questa parte ho paura di passare la notte nell’appartamento di via Baldeschi, preferisco andare lì per utilizzare il bagno e la cucina, solo di giorno ovviamente. Le prime sere dopo l’incidente Gemma gentilmente si è fermata da me per farmi compagnia, ma chiederle un trasferimento sarebbe stato eccessivo per entrambe. Quindi eccomi qui, in un ripostiglio sperduto della periferia della città cha a modo suo mi fa sentire protetta. 

  
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