Naturalmente
i personaggi che compaiono in questa one-shot non appartengono a me, ma a JK Rowling e ad
editori come Bloomsbury, WarnerBros, Salani.
E’
in assoluto il primo brano di genere slash che
scrivo, spero di non aver fatto troppo male…
Vorrei
dedicare la fiction a tutti i fan della ship Remus/Sirius e dello slash
in genere. I miei più sentiti ringraziamenti vanno in particolar modo a
Galadwen, maestra del genere, che con i suoi meravigliosi scritti mi ha
ispirato questa breve storia… considerando che sono una Serpeverde
irriducibile, l’influenza di Gal è stata davvero molto
forte, non trovate? Comunque questo vuole essere solo
un tentativo…
Un
bacio a tutti i Malandrini della Mappa e alla “Slytherin’s
Family”, di cui faccio orgogliosamente parte, e a tutti voi che, buoni di
cuore, leggerete questa breve fic…
se avete tempo, lasciatemi due paroline, mi piacerebbe davvero sapere cosa ne
pensate!
Vi
consiglio, se potete, di leggerla con “My Immortal” degli Evanescence come
sottofondo (è così che l’ho scritta…)
Charlize
“Donde ti viene, dicevi, questa tristezza strana,
che sale come il
mare sullo scoglio nero e nudo?
- Una volta che
il cuore ha tutto vendemmiato,
vivere è un male! è un segreto da tutti conosciuto.
Un dolore assai
semplice e non misterioso,
e, come la tua
gioia, a tutti evidente.”
Charles Baudelaire, da Semper Eadem, Les Fleurs
du Mal
Lost
Light
- La luce
perduta -
Quelle tenebre.
Quelle tenebre
di ghiaccio, Sirius.
Le ho sentite
fluire dentro di me, sommergermi come l’alta marea fa con
i pali di un molo di legno erosi dall’acqua salata… le onde scure, veloci, la
spuma ruvida che mi graffia l’anima, lasciando le ferite esposte, cauterizzate
dal vento bruciante.
Piaghe che si
asciugano di giorno, piaghe che tornano a sanguinare
durante la notte… e che la luna piena rende ancora più profonde.
Eppure… mi piace il mare, la distesa d’acqua
grigioverde che si srotola dinanzi a me sotto il cielo d’acciaio di fine
novembre. Vorrei che i miei pensieri fossero portati via come le onde che
lambiscono i miei piedi scalzi trascinano con sé
granelli di sabbia finissima.
Mi piacerebbe
lavarmi dalla cenere dei miei ricordi… dimenticarti… ma
non ne sono capace.
Non ne sarò mai
capace… e non voglio farlo. Mi priverei del senso
della mia intera vita, Sirius.
Sogno…
Il suono
morbido di quel Velo che si sposta e ti lascia cadere oltre.
Lo sogno e lo
sento in ogni istante della mia esistenza… mi perfora l’anima, è un dardo che
si conficca in quel tempio in rovina che è il mio cuore.
Ancora… e
ancora.
Ho pregato
tutte le notti per non poterlo più sentire, per riuscire a dimenticare il
rumore dell’aria che viene accarezzata dalla stoffa
nera che ondeggia nel vuoto.
Ho pregato
invano.
Sta piovendo,
Sirius. Ai miei occhi il cielo plumbeo acquista le sfumature
dell’agonia… la pioggia mi bagna, scivola lungo il mio viso come a voler
sbiadire la sofferenza insinuatasi nei miei lineamenti. Sento sulle labbra il
suo sapore fresco e triste, lo stesso profumo dell’autunno che è ormai giunto…
un odore che si mescola con il profumo salmastro dell’oceano.
Il crepitio di
vetro delle gocce sullo specchio d’acqua. Rumore dolcissimo e doloroso… mi
riporta alla mente memorie che vorrei seppellire sotto
le coltri del tempo, lasciando che scivolino verso il fondo polveroso della mia
anima… e invece mi trovo a ricordare quel giorno.
Quel
giorno in cui ho finalmente capito ed ho trovato la mia luce...
…e che ora ho perso di nuovo.
**********
Le ragnatele
pendevano dal soffitto di assi della Stamberga
Strillante. Fili grigi, elastici, a tratti lucenti quando la
fioca luminescenza che filtrava dalle finestre sprangate si posava su quelle
opere di straordinaria geometria.
Steso
supino sul pavimento freddo, rimase ad osservarle a lungo, a lungo… attendendo
che le forze gli tornassero, che il dolore lancinante defluisse da lui,
un’emorragia impetuosa che non voleva arrestare. Avrebbe voluto dissanguarsi dalla sua
sofferenza una volta per tutte…
Non poteva
andare avanti così, non ne aveva la forza… la creatura
sanguinaria che si nascondeva tra le pieghe della sua anima e che usciva allo
scoperto ogni mese avrebbe finito col distruggerlo, con l’annientarlo. Lei era
molto più forte di lui…
L’avrebbe
preferito… meglio non sentire niente, meglio restare
vuoti e cavi ed insensibili, piuttosto che quello…
Piuttosto
che svegliarsi e brancolare nel buio, con mente e fisico provati fino al limite
della sopportazione.
Stanco, debole,
malato.
Era solito
sentirsi così dopo una metamorfosi… la sua maledizione perenne, il suo tormento incessante.
Mosse appena la
testa, avvertendo fitte intense percorrergli la schiena, farsi
strada dentro di lui fino a raggiungere i suoi occhi, cercando di spingere
fuori lacrime che lottava per trattenere.
Non si rassegnava a piangere… non era più un bambino, si era detto
centinaia di volte.
E centinaia di
volte aveva pianto comunque.
La sua
battaglia era inutile, anche quella volta era sicuro che non avrebbe fatto
eccezione. Eppure nella sua cocciutaggine continuò ad
ingoiare quel nocciolo doloroso che gli si era formato in gola.
Abbassò gli
occhi a guardare il petto nudo e magro che si alzava ed abbassava ad ogni
respiro… e che bruciava. Insopportabilmente.
C’era… c’era
sangue su quelli che dovevano essere i brandelli della camicia lacerata dai
suoi stessi artigli…
Perse la lotta contro le sue lacrime.
Alzò un
braccio, tremando di paura e di dolore, e portò una mano sul torace. Lasciò che
le dita lunghe, spaventosamente bianche, percorressero la linea delle costole,
fino a quando non sfiorarono i bordi slabbrati di tre
lunghi e profondi graffi. Trattenne il fiato, terrorizzato da quello che
avrebbe potuto vedere…sollevò piano i polpastrelli, osservando il liquido rosso
che li aveva macchiati, contrastato dai riflessi perlacei delle sue unghie
ovali, trasparenti… normali.
Strinse i
pugni, mentre i lineamenti si cristallizzavano in un disegno che conosceva fin
troppo bene… una maschera di sofferenza e preoccupazione. Come avrebbe fatto
questa volta a nascondere quelle ferite?
A nascondergli quelle ferite?
Lui avrebbe
fatto domande… domande che non poteva evitare.
Sollevò il
busto, puntellandosi sui gomiti. E fu allora che
inorridì...
Un lungo
taglio, profondo, dal colore vermiglio, gli percorreva la coscia sinistra fin
quasi al ginocchio. Dei
pantaloni chiari non erano rimaste che strisce di stoffa
inzuppate di sangue coagulato, c’erano macchie marroni anche sulle caviglie. Un
singhiozzo strozzato gli scosse le spalle, seguito da
un gemito che riuscì a stento a trattenere tra i denti serrati.
Freddo.
Sentiva
il vento gelido penetrare attraverso le finestre chiodate della Stamberga, lo
avvertiva
accarezzargli la pelle nuda con il suo alito ghiacciato.
Rabbrividì,
lottando per rimettersi in piedi e cercando qualcosa, qualsiasi cosa con cui
avrebbe potuto coprirsi.
Un rumore sordo
percorse il cielo in tutta la sua lunghezza e, poco dopo, la pioggia cominciò a
scrosciare, ticchettando sul tetto, un suono cadenzato, come se un intero esercito stesse marciando, avanzando verso di lui
con le spade sguainate.
Notò in un angolo
una vecchia coperta di lana ingrigita dalla cenere sottile. Provò ancora a
sollevarsi, accorgendosi che non ne aveva le forze.
Sgomento e spaventato, tentò di mettersi almeno in ginocchio, ma le braccia cedettero… e si trovò ad urtare con la schiena sul pavimento
di legno vecchio, respirando affannosamente come se avesse corso per miglia e
miglia.
Sentiva gli
occhi lucidi pizzicare sotto le palpebre.
Si portò una
mano alla fronte e quasi la scostò per lo stupore quando
sentì la pelle che scottava sotto le punte gelide delle dita.
Non gli era mai
capitato, in quasi tredici anni di metamorfosi, di risvegliarsi bruciante di
febbre e talmente debole da non poter muovere un solo passo.
Si voltò su un
fianco, sentendo i suoi lunghi capelli castani carezzargli la schiena in modo
lieve, quasi confortevole. Sbatté le palpebre per cercare di scacciare quel
velo di nebbia lattescente che aveva cominciato a coprirgli le iridi ambrate…
strinse la mascella, scuotendo appena la testa nel tentativo di vincere quel torpore
che aveva anestetizzato le sue membra snelle, forse fin troppo magre. Con un
ultimo, deciso movimento, si mise prono e cominciò ad avanzare verso la
coperta, quasi strisciando sul pavimento, aiutandosi con i gomiti e le
ginocchia che sembravano essere anchilosate dal gelo e dalla febbre che stava
dilaniando il suo corpo.
Ansimando,
percorso da brividi e tremante dalla testa ai piedi, raggiunse la meta,
allungando una mano verso la lana grezza e disponendola intorno a sé in modo da
avvolgersi completamente in un bozzolo polveroso.
Presto il
calore insano sviluppato dal suo stesso corpo e trattenuto dalla coperta riuscì
a riscaldarlo quanto bastava per non scivolare nell’ipotermia.
Provò a calmare
i battiti accelerati del suo cuore per lo sforzo che aveva richiesto da se
stesso… ora doveva solo aspettare… attendere che James
e gli altri… o Silente o Madama Chips si accorgessero
della sua assenza, comprendere… e venire a prelevarlo dalla Stamberga. Era
sicuro che sarebbero accorsi presto da lui, in fondo il Preside di Hogwarts
aveva sempre personalmente sorvegliato la sua particolare situazione e gli
altri ormai conoscevano il suo orrendo segreto da tre anni…
O questo era almeno quello che voleva
sperare.
Non aveva forza
sufficiente per muoversi ancora… neanche per trattenere in ordine i pensieri
saettanti nella sua mente… i cancelli della razionalità si erano rotti, ora
essi vagavano liberamente per la sua testa… Sentì qualcosa, come se miriadi di
comete precipitassero formando voragini…
E capì: la sua era paura.
Solo
paura.
Ma
che lo feriva...
Cercò di
spostare l’attenzione su qualsiasi altra cosa… Il quinto anno scolastico era
cominciato da appena una settimana. Qualche giorno prima
aveva sentito James dire che finalmente erano molto
vicini a capire come avrebbero potuto diventare finalmente in Animagi e non lasciarlo più da solo durante quelle ore
insopportabili… sarebbe stato meraviglioso, era certo che se James, Peter e… e lui … sarebbero stati presenti durante
quelle ore maledette, avrebbe smesso di far male a se stesso e di cercare poi
di mascherare, di volta in volta, gli squarci che finivano per disegnare, sulle
sue membra nervose, complicate reti di cicatrici pallide.
La debolezza
stava sopraffacendo il corpo esausto e la mente stanca… chiuse gli occhi e
niente riuscì ad impedire che l’immagine di lui si
formasse nei suoi pensieri.
Sirius…
Si vergognava.
Si vergognava
profondamente di se stesso e di quello che aveva capito di provare nei
confronti del suo migliore amico…
Sapeva che avrebbe potuto rimanere ore a guardare il suo giovane volto
illuminato dagli occhi di un azzurro cupo talmente intenso da fargli
dimenticare dove si trovasse e che fine facesse l’intero mondo che lo
circondava. Avrebbe potuto continuare a fissare per secoli interi i riflessi
blu dei suoi lunghi capelli nerissimi che gli incorniciavano quei lineamenti
simmetrici, regali.
Ricordava in
maniera perfetta le fitte di gelosia che gli trapassavano l’anima
quando notava le ragazzine, e non solo Grifondoro, guardare lui con l’adorazione che accendeva i
loro occhi.
Un’espressione
che conosceva benissimo… perché l’aveva vista molte volte sul suo stesso viso.
Ma lui, a
differenza di loro, non conosceva solo l’ aspetto
fisico di Sirius, i colori che lo caratterizzavano, le sfumature che lo
rendevano ai suoi occhi la più meravigliosa tra le creature, dove la grazia
aristocratica e l’indole ribelle avevano trovato il loro punto di contatto. Lui
ne aveva assaggiato l’anima… ed aveva cominciato ad
amare soprattutto quella.
Si, amava
Sirius.
Lo amava con
tutta la disperazione sorda di chi sa che non potrà
mai essere ricambiato. Di chi si condanna ad un’agonia lunga
una vita intera. Di chi non è capace di smettere di amare
nonostante si sia votato alla rassegnazione, nonostante anche l’ultima speranza
di veder realizzarsi i segreti desideri del cuore sia ormai ridotta in polvere
e cenere sterile.
Tra qualche
mese avrebbe compiuto sedici anni… un’età difficile e bellissima allo stesso
tempo… giorni che contemplavano stati d’animo euforici, disperati, determinati,
timorosi, pieni di speranza, confusi. Quell’età in
cui ci si sentiva innegabilmente forti e allo stesso tempo bisognosi di aiuto, di semplice e sincero calore umano…
Il freddo si
stava facendo intenso, l’aria pungente. Con qualche difficoltà portò le gambe
al petto ed abbracciò le ginocchia, piegando il collo in avanti e poggiandovi
la fronte. Lasciò che il suo respiro si condensasse sul petto nudo e ferito,
che il mento trovasse spazio nella lieve depressione tra lo sterno e le
clavicole. Rimpianse di essersi strappato i vestiti durante
le ore trascorse da Lupo Mannaro… sicuramente aveva spaventato ancora la
gente di Hogsmeade. Credevano che lì ci fosse un
fantasma… in effetti non avevano tutti i torti.
Era così che
spesso si sentiva… un “fantasma”, lo spettro di se stesso.
La maggior
parte dei suoi coetanei non faceva altro che parlare di ragazze. James non faceva altro che parlare di Lily Evans, mentre lui… lui si divertiva più a rendersi popolare
grazie ai suoi scontri con Snivellus e sembrava
gongolare ogni volta che gli sguardi ammirati delle alunne di Hogwarts, anche
delle ultime classi, si posavano su di lui e fiumi commenti ronzavano
nell’aria. E lui si sentiva un idiota, per la sua
gelosia, per la sofferenza che il solo pensare a lui tra le braccia di qualcuna
gli provocava… lasciandolo senza fiato, senza speranze, facendolo sentire come
una fiammella spenta tra pollice ed indice.
Sirius… se solo
avesse saputo che lui sarebbe stato disposto a rinunciare al paradiso solo per
condividere con lui un attimo di felicità totale, completa…
No, lui non
l’avrebbe mai saputo. Non doveva saperlo… perché sentiva che se fosse stato altrimenti, Sirius sarebbe stato disgustato di
lui, ne era certo… forse l’avrebbe allontanato, forse avrebbe cominciato ad
odiarlo… avere un amico gay che nutriva sentimenti proibiti nei propri
confronti… qualcosa che avrebbe fatto scappare chiunque a gambe levate. Avrebbe
provocato uno scandalo, avrebbe costretto Silente ad espellerlo; i perbenisti
dell’alta società non avrebbero mai accettato che un omosessuale frequentasse
gli stessi ambienti dove crescevano i loro figli… un omosessuale e un Lupo
Mannaro.
La feccia della
società magica.
Lacrime amare
scivolarono silenziose lungo le sue gote pallide. Sirius sarebbe rimasto un
sogno inaccessibile… e lui, un inguaribile illuso.
Si, era un
illuso, stupido, sciocco, malato nel corpo, malato
nell’anima.
Non si accorse
di essere scivolato nel sonno fino a che non avvertì qualcosa di umido sfiorargli una guancia pallida. Sollevò le
palpebre, mettendo a fuoco la vista, confuso nel riconoscere quello che
scorgeva a pochi centimetri dal suo viso: il muso di un grande
cane nero come l’inchiostro, dal pelo folto e dagli occhi molto chiari e
brillanti, due frammenti di ghiaccio che sapevano scomporre la luce.
Qualcosa in
quello sguardo azzurro gli parve talmente familiare da farlo sussultare.
Sollevò una mano e provò ad accarezzare l’ampia testa del cane tra le orecchie
soffici. L’animale non lo allontanò, anzi, parve gradire il suo gesto, tanto
che avvicinò ancora di più il muso alla sua guancia, dandogli brevi colpetti
con il naso umido, come se volesse cercare di scuoterlo, di rimetterlo in
piedi. Il suo tocco sulla gota accaldata parve ancora più fresco.
Un colpo di
tosse gli scosse il petto, poi un altro e un altro ancora. Si nascose il viso
nell’incavo del gomito, nel tentativo di soffocare quella tosse violenta che
gli stava spaccando la gola, rannicchiandosi ancora di più si
se stesso, tremante di febbre e di freddo… aveva paura che i graffi profondi
che si era inflitto si stessero infettando…
Alzò appena la testa quando avvertì ancora il muso gentile dell’animale
toccarlo sulla fronte, poi il cane sembrò allontanarsi di qualche metro,
continuando a fissarlo con i suoi occhi celesti.
Una foschia
luminosa l’avvolse.
Lui non
credette ai propri occhi quando vide il cane
trasformarsi lentamente sotto il suo sguardo bruciante. Fissò sbigottito
l’azzurro chiarissimo degli occhi dell’animale farsi sempre più scuro, cupo,
fino a condensarsi nel blu intenso, il colore della notte riflessa dalle acque
calme di un lago.
Il blu che lui
conosceva… che lui amava.
Vide il pelo
nero scomparire velocemente, le fattezze canine svanire lasciando spazio a
lineamenti e forme tipicamente umani.
Adolescenziali.
Sirius Black era lì, di fronte a lui, e lo guardava come se avesse
visto davvero un fantasma.
Il suo stupore
fu così grande che lui non riuscì a pronunciare una
sola sillaba. Seppe solo guardarlo, avvolto nella sua coperta di lana sporca,
gli occhi dorati che non osavano lasciar trasparire l’emozione potentissima che
lo stava sconvolgendo nelle fondamenta pericolanti della sua anima.
Il suo sguardo
stranito incontrò quello dell’altro, che si avvicinò a lui con cautela, quasi temesse fargli del male solo con la propria presenza.
- Remus, ma
cosa… - riuscì a sussurrare Sirius, la voce roca, esitante – Ero venuto per
dirti… hai visto, sono finalmente un Animagus… James
e Peter ancora non ci riescono… ma
tu stai… Bloody Hell,
sembri un cadavere! – esclamò poi, raggiungendolo e inginocchiandosi vicino a
lui. – Pensavo ti fossi addormentato, invece tu stai male! -
- S-Sirius, io…
- biascicò lui, la voce spaventosamente flebile… eppure era felice… felice che lui fosse venuto a cercarlo…
- Scotti come
il fiato di un drago… - continuò Sirius, posandogli una mano sulla fronte. Il
suo tocco fresco era un refrigerio per la sua pelle bruciante. – Bisogna
avvertire Silente e Madama Chips, devi assolutamente andare da Madama Chips,
sai bene che sa curare la febbre come nessun’altro… ce la fai ad alzarti? -
Suo malgrado,
fu costretto a scuotere la testa. Non avrebbe potuto muovere un solo passo da
solo…
- Ok, ti aiuto
io, non ti preoccupare… - sussurrò l’altro, abbassando nuovamente la voce per
qualche inspiegabile ragione.
Posò
un braccio intorno al collo di Sirius, che, sostenendolo per la vita, riuscì a farlo sollevare in piedi. Cercò di non appoggiarsi con tutto il suo peso sulle spalle
dell’altro… non voleva lo considerasse un debole…
La coperta
scivolò dal suo corpo stremato, lasciando i graffi vermigli crudelmente
visibili sulla sua pelle bianca.
Ebbe
l’impressione che il tempo rallentasse, quasi fino ad
arrestarsi… vide il blu profondo delle iridi di quel giovane bellissimo
dilatarsi dallo sgomento, mentre con lo sguardo percorreva il suo petto e la
gamba scorticate dalla furia del Lupo Mannaro.
- Mio Dio…-
balbettò Sirius contro il lato del suo viso… troppo vicino…
- Non… non è
niente… davvero… - cercò di minimizzare, portandosi una mano a coprirsi almeno
le ferite sul torace e scostandosi da lui, barcollante, per cercare di
recuperare la coperta e nascondersi dallo sguardo allibito dell’altro.
Ma Sirius fu più veloce: con uno scatto
felino si chinò ad afferrare quel mantello improvvisato. E
non glielo restituì.
- Perché non hai mai detto … perché non mi hai mai detto niente? – gli chiese, sgomento.
Il suo silenzio
fu più eloquente di un urlo.
- Non è la
prima volta… che ti combini così, vero, Remus? – gridò, avvicinandosi a lui,
poggiando una mano bianca su quella che lui teneva accostata alle ferite del
petto. Con delicatezza e decisione gliela allontanò, fissando incredulo le
macchie rosse che l’avevano imbrattata.
- Ma tu sanguini ancora… -
- S-Si –
balbettò lui, non sapendo cos’altro rispondere. Se solo
Sirius avesse saputo che in realtà il suo cuore stava sanguinando già da molto,
molto tempo…
- Pazzo… -
“No, ti prego, Sirius… Se continui a
guardarmi così, finirai con l’uccidermi…”
- Avresti
dovuto dirmelo… ti porto via di qui… d’ora in poi non
ti permetterò più di rifarlo di nuovo… te lo impediranno anche Peter e James, quando… e se…
capiranno come trasformarsi negli animali che hanno scelto. – continuò lui,
sistemandogli la coperta sulle spalle, afferrando un suo braccio e mettendoselo
di nuovo intorno al collo – Andiamo… ti porto a
scuola, in infermeria. - disse, e invece si bloccò.
Aveva avvertito
un tremito.
Guardò lui, che
teneva la testa china a fissare il pavimento.
Sembrava fissare il pavimento.
*Una scia
lucida, su una guancia levigata da altre lacrime versate di nascosto.*
- Remus… -
Maledizione.
Dannata la sua
debolezza.
Non poteva
permetterlo… non voleva che lui vedesse che stava… si, stava piangendo… che il
pensiero di aver finalmente smesso di trascorrere ore nella solitudine più
devastante, durante le notti di luna piena, lo stava facendo piangere, come un fanciullo che si sfoga dopo aver preso un bello spavento.
Voltò la testa
dall’altra parte, stringendo i denti per impedirsi di continuare… non poteva
sopportare che lui vedesse tutto questo, che scoprisse
in realtà quanto fosse dannatamente fragile, quanto poco le sue spalle esili
riuscissero a sopportare il peso di quella maledizione con cui conviveva
difficilmente da anni.
Sentì dita
fresche posarsi sul suo mento ancora imberbe… mani che lo invitavano a voltarsi
dall’altra parte. Lui le seguì, esalando un sospiro… i suoi
occhi incontrarono quelli di Sirius.
“Non continuare a guardarmi così, non continuare…”
- Stupido, stupido Lupo… - sussurrò lui, accennando un sorriso.
Luminoso.
Tenerissimo.
Riusciva
a sentire il suo fiato sulle labbra… era incredibilmente vicino, ora.
E poi quello che l’altro fece lo ammutolì
per un lungo istante. Lui gli passò un pollice sugli zigomi, sfiorando le
ciglia, portandosi via le altre gocce salate già nate agli angoli dei suoi
occhi. E continuava a guardarlo, a guardarlo, a guardarlo, il suo respiro che
si scioglieva sul suo volto… fragranza d’oceano,
l’avrebbe definito.
I suoi occhi si
fecero ancora più vicini… come il mare artico durante una notte d’estate, le
acque scure punteggiate di frammenti di ghiaccio azzurro.
- Non sei solo,
Remus. Mai. – gli bisbigliò contro, spostandosi appena in modo da poggiare la
fronte contro la sua. Gli prese il volto tra entrambe le mani, costringendolo
ad afferrarsi alle sue spalle per appoggiarsi a qualcosa… e non cadere
rovinosamente per terra. Sentiva che il suo cuore stava per rompersi per la
violenza con cui gli batteva nel petto, con una forza e velocità al limite del doloroso. Il calore del corpo di Sirius era
nettamente percepibile ai suoi sensi centuplicati dall’emozione che si stava
riversando dentro di lui a fiotti bollenti, impossibili da arginare.
- Sirius… -
sussurrò a fior di labbra quando le dita dell’altro
scivolarono verso la sua nuca, affondando nei lunghi capelli ramati.
La fronte di lui si staccò dalla sua, e lui tornò a fissarlo
negli occhi.
- Credo… di
amare la luna – mormorò, poggiando le sue labbra bellissime sulla bocca appena
dischiusa di lui.
Gli sembrò che
quel bacio – il primo bacio che lui avesse mai
ricevuto - lo annientasse per poi farlo risorgere e morire ancora, in balia
delle follie dell’estasi. Le mani di Sirius scesero ancora lungo la sua
schiena, per poi insinuarsi sotto la coperta e scivolare lungo la sua pelle
nuda, attirandolo maggiormente verso di sé, seguendo con un dito la linea
incurvata delle sue vertebre.
Il bacio si
fece appena più profondo… le labbra di lui divennero
più esigenti, le carezze si fecero più intime. Sirius si staccò un istante, per
guardarlo ancora come se lui fosse prezioso come l’aria che stava respirando
per vivere… e con la punta della lingua gli sfiorò le labbra, chiedendogli, con
una timidezza disciolta in una sensualità felina, di dischiudergli
completamente la bocca. Questa volta toccò a lui sorridere… e prendere
l’iniziativa, cominciando a baciarlo e carezzare con la sua lingua l’interno
tiepido e dolce della sua bocca, assaporando attimo per attimo la sua
fragranza, iniziando un gioco malizioso con la lingua di lui.
Dopo un tempo
che gli parve interminabile, Sirius si staccò ancora, le guance accese, gli
occhi brillanti.
- Torniamo ad Hogwarts… Moony. Mi sa che ho un tantino esagerato con le emozioni… in
fondo prima non stavi scoppiando di salute…-
Lui ridacchiò,
poi annuì e, prima che Sirius si portasse per la terza volta un suo braccio
intorno al collo, lo baciò ancora.
- Sia come vuoi tu… Padfoot. In effetti non mi piace avere la febbre… - sussurrò,
piegando un angolo della bocca in un’espressione di forte disapprovazione.
Sirius sorrise…
e insieme si incamminarono verso il passaggio della
Stamberga Strillante che conduceva alla scuola.
Quel giorno lui
si era finalmente convinto …i sogni, ogni tanto, potevano
davvero avverarsi.
**********
Il tuo odore…
l’Atlantico increspato dalla pioggia sembra avere davvero il tuo odore, Sirius…
vorrei che la brezza marina mi portasse via da qui, e invece mi ritrovo
inchiodato al mio corpo, la sola cosa che non hai potuto portare con te quando sei scomparso nella Camera della Morte.
Ti sei già
preso la mia anima, ricordi? Da tanto tempo, ormai. E
continui a tenerla.
Sai,
Sirius…non… non è
giusto. Non è… affatto giusto.
Mi avevi
promesso… mi avevi promesso che saremmo diventati vecchi insieme… mi avevi detto che mi avresti amato anche quando il mio viso e il mio
corpo sarebbero diventati grinzosi, i miei capelli completamente bianchi, la
mia vista flebile.
Azkaban ci ha
strappato gli anni da condividere durante la giovinezza…
…il Velo ci ha privati di quelli che sarebbero arrivati con la vecchiaia.
Non sono sicuro
di farcela, Sirius. Non sono certo di voler continuare… da solo. Ma qualcuno
deve pur badare ad Harry… so che lo amavi come se
fosse tuo figlio… una benedizione che noi non avremmo mai potuto avere. Tocca a
me adesso prendermi cura di lui…
Ti amo, Padfoot.
La tua mancanza
è diventata un dolore sordo e continuo nel petto… quando non sarò in grado di
tenerlo a bada, ritornerò qui, sulle rive dell’oceano, i pensieri rivolti al
passato.
E lascerò che le onde sommergano i
frammenti della mia anima flagellata, annegando la tristezza di aver perduto
per sempre la luce di una Stella.
Fine