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Autore: Charlize_Rei    13/02/2004    11 recensioni
"Da quando il Velo ti ha inghiottito ho sentito il mio futuro evaporare come rugiada nel deserto.". Remus Lupin, in riva all'oceano Atlantico. I pensieri che si confondono nella pioggia. Ricordi di gioventù. La consapevolezza di aver perso per sempre la sua luce. Post OoP. E' il mio primo ed unico tentativo slash.
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lost Light

Naturalmente i personaggi che compaiono in questa one-shot non appartengono a me, ma a JK Rowling e ad editori come Bloomsbury, WarnerBros, Salani.

 

 

E’ in assoluto il primo brano di genere slash che scrivo, spero di non aver fatto troppo male…

Vorrei dedicare la fiction a tutti i fan della ship Remus/Sirius e dello slash in genere. I miei più sentiti ringraziamenti vanno in particolar modo a Galadwen, maestra del genere, che con i suoi meravigliosi scritti mi ha ispirato questa breve storia… considerando che sono una Serpeverde irriducibile, l’influenza di Gal è stata davvero molto forte, non trovate? Comunque questo vuole essere solo un tentativo…

Un bacio a tutti i Malandrini della Mappa e alla “Slytherin’s Family”, di cui faccio orgogliosamente parte, e a tutti voi che, buoni di cuore, leggerete questa breve fic… se avete tempo, lasciatemi due paroline, mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate!

Vi consiglio, se potete, di leggerla con “My Immortal” degli Evanescence come sottofondo (è così che l’ho scritta…)

Charlize

 

“Donde ti viene, dicevi, questa tristezza strana,

che sale come il mare sullo scoglio nero e nudo?

- Una volta che il cuore ha tutto vendemmiato,

vivere è un male! è un segreto da tutti conosciuto.

Un dolore assai semplice e non misterioso,

e, come la tua gioia, a tutti evidente.”

 

Charles Baudelaire, da Semper Eadem, Les Fleurs du Mal

 

Lost Light

- La luce perduta -

 

 

Quelle tenebre.

Quelle tenebre di ghiaccio, Sirius.

Le ho sentite fluire dentro di me, sommergermi come l’alta marea fa con i pali di un molo di legno erosi dall’acqua salata… le onde scure, veloci, la spuma ruvida che mi graffia l’anima, lasciando le ferite esposte, cauterizzate dal vento bruciante.

Piaghe che si asciugano di giorno, piaghe che tornano a sanguinare durante la notte… e che la luna piena rende ancora più profonde.

Eppure… mi piace il mare, la distesa d’acqua grigioverde che si srotola dinanzi a me sotto il cielo d’acciaio di fine novembre. Vorrei che i miei pensieri fossero portati via come le onde che lambiscono i miei piedi scalzi trascinano con sé granelli di sabbia finissima.

Mi piacerebbe lavarmi dalla cenere dei miei ricordi… dimenticarti… ma non ne sono capace.

Non ne sarò mai capace… e non voglio farlo. Mi priverei del senso della mia intera vita, Sirius.

Sogno…

Il suono morbido di quel Velo che si sposta e ti lascia cadere oltre.

Lo sogno e lo sento in ogni istante della mia esistenza… mi perfora l’anima, è un dardo che si conficca in quel tempio in rovina che è il mio cuore.

Ancora… e ancora.

Ho pregato tutte le notti per non poterlo più sentire, per riuscire a dimenticare il rumore dell’aria che viene accarezzata dalla stoffa nera che ondeggia nel vuoto.

Ho pregato invano.

Sta piovendo, Sirius. Ai miei occhi il cielo plumbeo acquista le sfumature dell’agonia… la pioggia mi bagna, scivola lungo il mio viso come a voler sbiadire la sofferenza insinuatasi nei miei lineamenti. Sento sulle labbra il suo sapore fresco e triste, lo stesso profumo dell’autunno che è ormai giunto… un odore che si mescola con il profumo salmastro dell’oceano.

Il crepitio di vetro delle gocce sullo specchio d’acqua. Rumore dolcissimo e doloroso… mi riporta alla mente memorie che vorrei seppellire sotto le coltri del tempo, lasciando che scivolino verso il fondo polveroso della mia anima… e invece mi trovo a ricordare quel giorno.

Quel giorno in cui ho finalmente capito ed ho trovato la mia luce...

e che ora ho perso di nuovo.

 

**********

 

Le ragnatele pendevano dal soffitto di assi della Stamberga Strillante. Fili grigi, elastici, a tratti lucenti quando la fioca luminescenza che filtrava dalle finestre sprangate si posava su quelle opere di straordinaria geometria.

Steso supino sul pavimento freddo, rimase ad osservarle a lungo, a lungo… attendendo che le forze gli tornassero, che il dolore lancinante defluisse da lui, un’emorragia impetuosa che non voleva arrestare. Avrebbe voluto dissanguarsi dalla sua sofferenza una volta per tutte

Non poteva andare avanti così, non ne aveva la forza… la creatura sanguinaria che si nascondeva tra le pieghe della sua anima e che usciva allo scoperto ogni mese avrebbe finito col distruggerlo, con l’annientarlo. Lei era molto più forte di lui…

L’avrebbe preferito… meglio non sentire niente, meglio restare vuoti e cavi ed insensibili, piuttosto che quello…

Piuttosto che svegliarsi e brancolare nel buio, con mente e fisico provati fino al limite della sopportazione.

 

Stanco, debole, malato.

 

Era solito sentirsi così dopo una metamorfosi… la sua maledizione perenne, il suo tormento incessante.

Mosse appena la testa, avvertendo fitte intense percorrergli la schiena, farsi strada dentro di lui fino a raggiungere i suoi occhi, cercando di spingere fuori lacrime che lottava per trattenere.

Non si rassegnava a piangere… non era più un bambino, si era detto centinaia di volte.

E centinaia di volte aveva pianto comunque.

La sua battaglia era inutile, anche quella volta era sicuro che non avrebbe fatto eccezione. Eppure nella sua cocciutaggine continuò ad ingoiare quel nocciolo doloroso che gli si era formato in gola.

Abbassò gli occhi a guardare il petto nudo e magro che si alzava ed abbassava ad ogni respiro… e che bruciava. Insopportabilmente.

C’era… c’era sangue su quelli che dovevano essere i brandelli della camicia lacerata dai suoi stessi artigli…

Perse la lotta contro le sue lacrime.

Alzò un braccio, tremando di paura e di dolore, e portò una mano sul torace. Lasciò che le dita lunghe, spaventosamente bianche, percorressero la linea delle costole, fino a quando non sfiorarono i bordi slabbrati di tre lunghi e profondi graffi. Trattenne il fiato, terrorizzato da quello che avrebbe potuto vedere…sollevò piano i polpastrelli, osservando il liquido rosso che li aveva macchiati, contrastato dai riflessi perlacei delle sue unghie ovali, trasparenti… normali.

Strinse i pugni, mentre i lineamenti si cristallizzavano in un disegno che conosceva fin troppo bene… una maschera di sofferenza e preoccupazione. Come avrebbe fatto questa volta a nascondere quelle ferite?

A nascondergli quelle ferite?

Lui avrebbe fatto domande… domande che non poteva evitare.

Sollevò il busto, puntellandosi sui gomiti. E fu allora che inorridì...

Un lungo taglio, profondo, dal colore vermiglio, gli percorreva la coscia sinistra fin quasi al ginocchio. Dei  pantaloni chiari non erano rimaste che strisce di stoffa inzuppate di sangue coagulato, c’erano macchie marroni anche sulle caviglie. Un singhiozzo strozzato gli scosse le spalle, seguito da un gemito che riuscì a stento a trattenere tra i denti serrati.

 

Freddo.

 

Sentiva il vento gelido penetrare attraverso le finestre chiodate della Stamberga, lo avvertiva accarezzargli la pelle nuda con il suo alito ghiacciato.

Rabbrividì, lottando per rimettersi in piedi e cercando qualcosa, qualsiasi cosa con cui avrebbe potuto coprirsi.

Un rumore sordo percorse il cielo in tutta la sua lunghezza e, poco dopo, la pioggia cominciò a scrosciare, ticchettando sul tetto, un suono cadenzato, come se un intero esercito stesse marciando, avanzando verso di lui con le spade sguainate.

Notò in un angolo una vecchia coperta di lana ingrigita dalla cenere sottile. Provò ancora a sollevarsi, accorgendosi che non ne aveva le forze. Sgomento e spaventato, tentò di mettersi almeno in ginocchio, ma le braccia cedettero… e si trovò ad urtare con la schiena sul pavimento di legno vecchio, respirando affannosamente come se avesse corso per miglia e miglia.

Sentiva gli occhi lucidi pizzicare sotto le palpebre.

Si portò una mano alla fronte e quasi la scostò per lo stupore quando sentì la pelle che scottava sotto le punte gelide delle dita.

Non gli era mai capitato, in quasi tredici anni di metamorfosi, di risvegliarsi bruciante di febbre e talmente debole da non poter muovere un solo passo.

Si voltò su un fianco, sentendo i suoi lunghi capelli castani carezzargli la schiena in modo lieve, quasi confortevole. Sbatté le palpebre per cercare di scacciare quel velo di nebbia lattescente che aveva cominciato a coprirgli le iridi ambrate… strinse la mascella, scuotendo appena la testa nel tentativo di vincere quel torpore che aveva anestetizzato le sue membra snelle, forse fin troppo magre. Con un ultimo, deciso movimento, si mise prono e cominciò ad avanzare verso la coperta, quasi strisciando sul pavimento, aiutandosi con i gomiti e le ginocchia che sembravano essere anchilosate dal gelo e dalla febbre che stava dilaniando il suo corpo.

Ansimando, percorso da brividi e tremante dalla testa ai piedi, raggiunse la meta, allungando una mano verso la lana grezza e disponendola intorno a sé in modo da avvolgersi completamente in un bozzolo polveroso.

Presto il calore insano sviluppato dal suo stesso corpo e trattenuto dalla coperta riuscì a riscaldarlo quanto bastava per non scivolare nell’ipotermia.

Provò a calmare i battiti accelerati del suo cuore per lo sforzo che aveva richiesto da se stesso… ora doveva solo aspettare… attendere che James e gli altri… o Silente o Madama Chips si accorgessero della sua assenza, comprendere… e venire a prelevarlo dalla Stamberga. Era sicuro che sarebbero accorsi presto da lui, in fondo il Preside di Hogwarts aveva sempre personalmente sorvegliato la sua particolare situazione e gli altri ormai conoscevano il suo orrendo segreto da tre anni…

O questo era almeno quello che voleva sperare.

Non aveva forza sufficiente per muoversi ancora… neanche per trattenere in ordine i pensieri saettanti nella sua mente… i cancelli della razionalità si erano rotti, ora essi vagavano liberamente per la sua testa… Sentì qualcosa, come se miriadi di comete precipitassero formando voragini…

E capì: la sua era paura.

Solo paura.

Ma che lo feriva...

Cercò di spostare l’attenzione su qualsiasi altra cosa… Il quinto anno scolastico era cominciato da appena una settimana. Qualche giorno prima aveva sentito James dire che finalmente erano molto vicini a capire come avrebbero potuto diventare finalmente in Animagi e non lasciarlo più da solo durante quelle ore insopportabili… sarebbe stato meraviglioso, era certo che se James, Peter e… e lui … sarebbero stati presenti durante quelle ore maledette, avrebbe smesso di far male a se stesso e di cercare poi di mascherare, di volta in volta, gli squarci che finivano per disegnare, sulle sue membra nervose, complicate reti di cicatrici pallide.

La debolezza stava sopraffacendo il corpo esausto e la mente stanca… chiuse gli occhi e niente riuscì ad impedire che l’immagine di lui si formasse nei suoi pensieri.

Sirius…

Si vergognava.

Si vergognava profondamente di se stesso e di quello che aveva capito di provare nei confronti del suo migliore amico…

Sapeva che avrebbe potuto rimanere ore a guardare il suo giovane volto illuminato dagli occhi di un azzurro cupo talmente intenso da fargli dimenticare dove si trovasse e che fine facesse l’intero mondo che lo circondava. Avrebbe potuto continuare a fissare per secoli interi i riflessi blu dei suoi lunghi capelli nerissimi che gli incorniciavano quei lineamenti simmetrici, regali.

Ricordava in maniera perfetta le fitte di gelosia che gli trapassavano l’anima quando notava le ragazzine, e non solo Grifondoro, guardare lui con l’adorazione che accendeva i loro occhi.

Un’espressione che conosceva benissimo… perché l’aveva vista molte volte sul suo stesso viso.

Ma lui, a differenza di loro, non conosceva solo l’ aspetto fisico di Sirius, i colori che lo caratterizzavano, le sfumature che lo rendevano ai suoi occhi la più meravigliosa tra le creature, dove la grazia aristocratica e l’indole ribelle avevano trovato il loro punto di contatto. Lui ne aveva assaggiato l’anima… ed aveva cominciato ad amare soprattutto quella.

Si, amava Sirius.

Lo amava con tutta la disperazione sorda di chi sa che non potrà mai essere ricambiato. Di chi si condanna ad un’agonia lunga una vita intera. Di chi non è capace di smettere di amare nonostante si sia votato alla rassegnazione, nonostante anche l’ultima speranza di veder realizzarsi i segreti desideri del cuore sia ormai ridotta in polvere e cenere sterile.

Tra qualche mese avrebbe compiuto sedici anni… un’età difficile e bellissima allo stesso tempo… giorni che contemplavano stati d’animo euforici, disperati, determinati, timorosi, pieni di speranza, confusi. Quell’età in cui ci si sentiva innegabilmente forti e allo stesso tempo bisognosi di aiuto, di semplice e sincero calore umano…

Il freddo si stava facendo intenso, l’aria pungente. Con qualche difficoltà portò le gambe al petto ed abbracciò le ginocchia, piegando il collo in avanti e poggiandovi la fronte. Lasciò che il suo respiro si condensasse sul petto nudo e ferito, che il mento trovasse spazio nella lieve depressione tra lo sterno e le clavicole. Rimpianse di essersi strappato i vestiti durante le ore trascorse da Lupo Mannaro… sicuramente aveva spaventato ancora la gente di Hogsmeade. Credevano che lì ci fosse un fantasma… in effetti non avevano tutti i torti.

Era così che spesso si sentiva… un “fantasma”, lo spettro di se stesso.

La maggior parte dei suoi coetanei non faceva altro che parlare di ragazze. James non faceva altro che parlare di Lily Evans, mentre lui… lui si divertiva più a rendersi popolare grazie ai suoi scontri con Snivellus e sembrava gongolare ogni volta che gli sguardi ammirati delle alunne di Hogwarts, anche delle ultime classi, si posavano su di lui e fiumi commenti ronzavano nell’aria. E lui si sentiva un idiota, per la sua gelosia, per la sofferenza che il solo pensare a lui tra le braccia di qualcuna gli provocava… lasciandolo senza fiato, senza speranze, facendolo sentire come una fiammella spenta tra pollice ed indice.

Sirius… se solo avesse saputo che lui sarebbe stato disposto a rinunciare al paradiso solo per condividere con lui un attimo di felicità totale, completa…

No, lui non l’avrebbe mai saputo. Non doveva saperlo… perché sentiva che se fosse stato altrimenti, Sirius sarebbe stato disgustato di lui, ne era certo… forse l’avrebbe allontanato, forse avrebbe cominciato ad odiarlo… avere un amico gay che nutriva sentimenti proibiti nei propri confronti… qualcosa che avrebbe fatto scappare chiunque a gambe levate. Avrebbe provocato uno scandalo, avrebbe costretto Silente ad espellerlo; i perbenisti dell’alta società non avrebbero mai accettato che un omosessuale frequentasse gli stessi ambienti dove crescevano i loro figli… un omosessuale e un Lupo Mannaro.

La feccia della società magica.

Lacrime amare scivolarono silenziose lungo le sue gote pallide. Sirius sarebbe rimasto un sogno inaccessibile… e lui, un inguaribile illuso.

Si, era un illuso, stupido, sciocco, malato nel corpo, malato nell’anima.

Non si accorse di essere scivolato nel sonno fino a che non avvertì qualcosa di umido sfiorargli una guancia pallida. Sollevò le palpebre, mettendo a fuoco la vista, confuso nel riconoscere quello che scorgeva a pochi centimetri dal suo viso: il muso di un grande cane nero come l’inchiostro, dal pelo folto e dagli occhi molto chiari e brillanti, due frammenti di ghiaccio che sapevano scomporre la luce.

Qualcosa in quello sguardo azzurro gli parve talmente familiare da farlo sussultare. Sollevò una mano e provò ad accarezzare l’ampia testa del cane tra le orecchie soffici. L’animale non lo allontanò, anzi, parve gradire il suo gesto, tanto che avvicinò ancora di più il muso alla sua guancia, dandogli brevi colpetti con il naso umido, come se volesse cercare di scuoterlo, di rimetterlo in piedi. Il suo tocco sulla gota accaldata parve ancora più fresco.

Un colpo di tosse gli scosse il petto, poi un altro e un altro ancora. Si nascose il viso nell’incavo del gomito, nel tentativo di soffocare quella tosse violenta che gli stava spaccando la gola, rannicchiandosi ancora di più si se stesso, tremante di febbre e di freddo… aveva paura che i graffi profondi che si era inflitto si stessero infettando…

Alzò appena la testa quando avvertì ancora il muso gentile dell’animale toccarlo sulla fronte, poi il cane sembrò allontanarsi di qualche metro, continuando a fissarlo con i suoi occhi celesti.

Una foschia luminosa l’avvolse.

Lui non credette ai propri occhi quando vide il cane trasformarsi lentamente sotto il suo sguardo bruciante. Fissò sbigottito l’azzurro chiarissimo degli occhi dell’animale farsi sempre più scuro, cupo, fino a condensarsi nel blu intenso, il colore della notte riflessa dalle acque calme di un lago.

Il blu che lui conosceva… che lui amava.

Vide il pelo nero scomparire velocemente, le fattezze canine svanire lasciando spazio a lineamenti e forme tipicamente umani.

Adolescenziali.

Sirius Black era lì, di fronte a lui, e lo guardava come se avesse visto davvero un fantasma.

 

Il suo stupore fu così grande che lui non riuscì a pronunciare una sola sillaba. Seppe solo guardarlo, avvolto nella sua coperta di lana sporca, gli occhi dorati che non osavano lasciar trasparire l’emozione potentissima che lo stava sconvolgendo nelle fondamenta pericolanti della sua anima.

Il suo sguardo stranito incontrò quello dell’altro, che si avvicinò a lui con cautela, quasi temesse fargli del male solo con la propria presenza.

- Remus, ma cosa… - riuscì a sussurrare Sirius, la voce roca, esitante – Ero venuto per dirti… hai visto, sono finalmente un Animagus… James e Peter ancora non ci riescono… ma tu stai… Bloody Hell, sembri un cadavere! – esclamò poi, raggiungendolo e inginocchiandosi vicino a lui. – Pensavo ti fossi addormentato, invece tu stai male! -

- S-Sirius, io… - biascicò lui, la voce spaventosamente flebile… eppure era felice… felice che lui fosse venuto a cercarlo…

- Scotti come il fiato di un drago… - continuò Sirius, posandogli una mano sulla fronte. Il suo tocco fresco era un refrigerio per la sua pelle bruciante. – Bisogna avvertire Silente e Madama Chips, devi assolutamente andare da Madama Chips, sai bene che sa curare la febbre come nessun’altro… ce la fai ad alzarti? -

Suo malgrado, fu costretto a scuotere la testa. Non avrebbe potuto muovere un solo passo da solo…

- Ok, ti aiuto io, non ti preoccupare… - sussurrò l’altro, abbassando nuovamente la voce per qualche inspiegabile ragione.

Posò un braccio intorno al collo di Sirius, che, sostenendolo per la vita, riuscì a farlo sollevare in piedi. Cercò di non appoggiarsi con tutto il suo peso sulle spalle dell’altro… non voleva lo considerasse un debole…

La coperta scivolò dal suo corpo stremato, lasciando i graffi vermigli crudelmente visibili sulla sua pelle bianca.

Ebbe l’impressione che il tempo rallentasse, quasi fino ad arrestarsi… vide il blu profondo delle iridi di quel giovane bellissimo dilatarsi dallo sgomento, mentre con lo sguardo percorreva il suo petto e la gamba scorticate dalla furia del Lupo Mannaro.

- Mio Dio…- balbettò Sirius contro il lato del suo viso… troppo vicino…

- Non… non è niente… davvero… - cercò di minimizzare, portandosi una mano a coprirsi almeno le ferite sul torace e scostandosi da lui, barcollante, per cercare di recuperare la coperta e nascondersi dallo sguardo allibito dell’altro.

Ma Sirius fu più veloce: con uno scatto felino si chinò ad afferrare quel mantello improvvisato. E non glielo restituì.

- Perché non hai mai detto … perché non mi hai mai detto niente? – gli chiese, sgomento.

Il suo silenzio fu più eloquente di un urlo.

- Non è la prima volta… che ti combini così, vero, Remus? – gridò, avvicinandosi a lui, poggiando una mano bianca su quella che lui teneva accostata alle ferite del petto. Con delicatezza e decisione gliela allontanò, fissando incredulo le macchie rosse che l’avevano imbrattata.

- Ma tu sanguini ancora… -

- S-Si – balbettò lui, non sapendo cos’altro rispondere. Se solo Sirius avesse saputo che in realtà il suo cuore stava sanguinando già da molto, molto tempo

- Pazzo… -

“No, ti prego, Sirius… Se continui a guardarmi così, finirai con l’uccidermi…”

- Avresti dovuto dirmelo… ti porto via di qui… d’ora in poi non ti permetterò più di rifarlo di nuovo… te lo impediranno anche Peter e James, quando… e se… capiranno come trasformarsi negli animali che hanno scelto. – continuò lui, sistemandogli la coperta sulle spalle, afferrando un suo braccio e mettendoselo di nuovo intorno al collo – Andiamo… ti porto a scuola, in infermeria. - disse, e invece si bloccò.

Aveva avvertito un tremito.

Guardò lui, che teneva la testa china a fissare il pavimento.

Sembrava fissare il pavimento.

*Una scia lucida, su una guancia levigata da altre lacrime versate di nascosto.*

- Remus… -

Maledizione.

Dannata la sua debolezza.

Non poteva permetterlo… non voleva che lui vedesse che stava… si, stava piangendo… che il pensiero di aver finalmente smesso di trascorrere ore nella solitudine più devastante, durante le notti di luna piena, lo stava facendo piangere, come un fanciullo che si sfoga dopo aver preso un bello spavento.

Voltò la testa dall’altra parte, stringendo i denti per impedirsi di continuare… non poteva sopportare che lui vedesse tutto questo, che scoprisse in realtà quanto fosse dannatamente fragile, quanto poco le sue spalle esili riuscissero a sopportare il peso di quella maledizione con cui conviveva difficilmente da anni.

Sentì dita fresche posarsi sul suo mento ancora imberbe… mani che lo invitavano a voltarsi dall’altra parte. Lui le seguì, esalando un sospiro… i suoi occhi incontrarono quelli di Sirius.

“Non continuare a guardarmi così, non continuare…”

- Stupido, stupido Lupo… - sussurrò lui, accennando un sorriso.

Luminoso. Tenerissimo.

Riusciva a sentire il suo fiato sulle labbra… era incredibilmente vicino, ora.

E poi quello che l’altro fece lo ammutolì per un lungo istante. Lui gli passò un pollice sugli zigomi, sfiorando le ciglia, portandosi via le altre gocce salate già nate agli angoli dei suoi occhi. E continuava a guardarlo, a guardarlo, a guardarlo, il suo respiro che si scioglieva sul suo volto… fragranza d’oceano, l’avrebbe definito.

I suoi occhi si fecero ancora più vicini… come il mare artico durante una notte d’estate, le acque scure punteggiate di frammenti di ghiaccio azzurro.

- Non sei solo, Remus. Mai. – gli bisbigliò contro, spostandosi appena in modo da poggiare la fronte contro la sua. Gli prese il volto tra entrambe le mani, costringendolo ad afferrarsi alle sue spalle per appoggiarsi a qualcosa… e non cadere rovinosamente per terra. Sentiva che il suo cuore stava per rompersi per la violenza con cui gli batteva nel petto, con una forza e velocità al limite del doloroso. Il calore del corpo di Sirius era nettamente percepibile ai suoi sensi centuplicati dall’emozione che si stava riversando dentro di lui a fiotti bollenti, impossibili da arginare.

- Sirius… - sussurrò a fior di labbra quando le dita dell’altro scivolarono verso la sua nuca, affondando nei lunghi capelli ramati.

La fronte di lui si staccò dalla sua, e lui tornò a fissarlo negli occhi.

- Credo… di amare la luna – mormorò, poggiando le sue labbra bellissime sulla bocca appena dischiusa di lui.

Gli sembrò che quel bacio – il primo bacio che lui avesse mai ricevuto - lo annientasse per poi farlo risorgere e morire ancora, in balia delle follie dell’estasi. Le mani di Sirius scesero ancora lungo la sua schiena, per poi insinuarsi sotto la coperta e scivolare lungo la sua pelle nuda, attirandolo maggiormente verso di sé, seguendo con un dito la linea incurvata delle sue vertebre.

Il bacio si fece appena più profondo… le labbra di lui divennero più esigenti, le carezze si fecero più intime. Sirius si staccò un istante, per guardarlo ancora come se lui fosse prezioso come l’aria che stava respirando per vivere… e con la punta della lingua gli sfiorò le labbra, chiedendogli, con una timidezza disciolta in una sensualità felina, di dischiudergli completamente la bocca. Questa volta toccò a lui sorridere… e prendere l’iniziativa, cominciando a baciarlo e carezzare con la sua lingua l’interno tiepido e dolce della sua bocca, assaporando attimo per attimo la sua fragranza, iniziando un gioco malizioso con la lingua di lui.

Dopo un tempo che gli parve interminabile, Sirius si staccò ancora, le guance accese, gli occhi brillanti.

- Torniamo ad Hogwarts… Moony. Mi sa che ho un tantino esagerato con le emozioni… in fondo prima non stavi scoppiando di salute…-

Lui ridacchiò, poi annuì e, prima che Sirius si portasse per la terza volta un suo braccio intorno al collo, lo baciò ancora.

- Sia come vuoi tu… Padfoot. In effetti non mi piace avere la febbre… - sussurrò, piegando un angolo della bocca in un’espressione di forte disapprovazione.

Sirius sorrise… e insieme si incamminarono verso il passaggio della Stamberga Strillante che conduceva alla scuola.

Quel giorno lui si era finalmente convinto …i sogni, ogni tanto, potevano davvero avverarsi.

 

**********

 

Il tuo odore… l’Atlantico increspato dalla pioggia sembra avere davvero il tuo odore, Sirius… vorrei che la brezza marina mi portasse via da qui, e invece mi ritrovo inchiodato al mio corpo, la sola cosa che non hai potuto portare con te quando sei scomparso nella Camera della Morte.

Ti sei già preso la mia anima, ricordi? Da tanto tempo, ormai. E continui a tenerla.

 

Sai, Sirius…non… non è giusto. Non è… affatto giusto.

 

Mi avevi promesso… mi avevi promesso che saremmo diventati vecchi insieme… mi avevi detto che mi avresti amato anche quando il mio viso e il mio corpo sarebbero diventati grinzosi, i miei capelli completamente bianchi, la mia vista flebile.

Azkaban ci ha strappato gli anni da condividere durante la giovinezza…

…il Velo ci ha privati di quelli che sarebbero arrivati con la vecchiaia.

Non sono sicuro di farcela, Sirius. Non sono certo di voler continuare… da solo. Ma qualcuno deve pur badare ad Harry… so che lo amavi come se fosse tuo figlio… una benedizione che noi non avremmo mai potuto avere. Tocca a me adesso prendermi cura di lui…

Ti amo, Padfoot.

La tua mancanza è diventata un dolore sordo e continuo nel petto… quando non sarò in grado di tenerlo a bada, ritornerò qui, sulle rive dell’oceano, i pensieri rivolti al passato.

E lascerò che le onde sommergano i frammenti della mia anima flagellata, annegando la tristezza di aver perduto per sempre la luce di una Stella.

Fine

  
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