Ottantuno - Sole, rispondi
Non la guerra, l'amore
Quel giorno lo sguardo di Cosette rese Marius pazzo e quello di Marius rese Cosette tremante; lui se n'andò fiducioso e lei inquieta; da allora si adorarono.
(I Miserabili, Volume Terzo, Victor Hugo)
Liverpool, Quartiere di Wavertree, 4 Febbraio 1835
E poi era tornato il sole.
Natal'ja aveva acceso un fiammifero dopo l'altro, e aveva le punte delle dita bruciacchiate, quel giorno aveva raccolto poche monetine e con il sole non avrebbe avuto clienti fino all'indomani.
Aveva finito per addormentarsi sul suo muretto, con le sue dita bruciacchiate e un pugno di fiammiferi in mano, la lunga treccia bionda disfatta e l'abito blu tutto spiegazzato.
Lui era arrivato con il sole, con un sorriso un po' triste e un po' sognante, un graffio nuovo sulla guancia destra e una spolverata di malinconia nei begli occhi di lama d'oplita.
Con un dito le aveva sfiorato i capelli, socchiudendo gli occhi e sussurrando parole ch'era un piacere sentire, scivolavano sulla pelle e morivano in gola, negli occhi splendidi d'un viso ch'era meraviglia osservare, anche nel sonno rubato a un pomeriggio di sole troppo intenso.
-Sole, rispondi-
Lacrime trattenute, George, tacita preghiera.
Impotente brigante, adultero sospiro d'una vita che doveva essere dedicata alla violenza.
Di battaglie in quella vita ne avrebbe vinta solo una, e il sorriso a riscaldare le cicatrici gelide del corpo, il raggio di sole a riscattare il sangue sulle lame, era lei.
La guerra era persa, ma la vittoria non brillava come lei.
-Stárlet, abbiamo perso. E' la fine, l'inizio? Oggi ho rubato poco o niente. Oggi voglio rubare il tuo sorriso e legarlo all'impugnatura del mio xiphos, oggi voglio accendere tutti i tuoi fiammiferi e vederti felice, oggi voglio vedere il mare e la Grecia nei sogni, toccare la stella, la luce...la vedi?-
-Georgij, i capelli-
Forse non aveva compreso ogni sua parola o ascoltato tutti i battiti del suo cuore, anche se come sorrideva lui, questo sì, l'immaginava, forse nemmeno era riuscita a farsi capire, ma il ragazzo si era seduto sui suoi capelli e la smorfia di dolore dipinta sul suo viso pareva essere universale.
E così si era alzato, le aveva offerto una mano per fare altrettanto e l'aveva guardata così, come si guardavano le ragazze già donne, le ragazze troppo belle, le ragazze sognate sulle quali i sogni si era costretti a nascondere.
Era ammutolita un poco, indietreggiando come fanciullina dinnanzi alla piena del fiume, ma lui aveva sorriso, l'aveva stretta a sé.
-Non è vero, non è vero che abbiamo perso. Non perderemo più niente, noi-
Sparta, 1 Maggio 1838
Era così bella, lei.
Nel sorriso aveva la fiammella di un fiammifero appena acceso, la piccola dea di Brian George.
Lui le accarezzava i piedini gelidi e segnati dai mesi ad Omsk, e gli sarebbe venuto da ridere, in un altro momento, perché sembrava proprio un bambino, adesso, l'impetuoso e spavaldo Geórgos dei Kléftes.
Gli tremavano le mani e aveva una spolverata di zucchero sulle guance, da tanto che impallidiva nello sfiorarla a quel modo.
E poi c'era stato quel gesto troppo ardito, quella mano ardimentosa che copriva le distanze e sussultava d'imbarazzo sulla pelle che bruciava, ed il nastro del vestito sciolto con dita deboli e rossore del viso, il primo bottone del corsetto e la luce accecante del loro primo amore.
Ed era mare sciolto negli occhi, era pioggia battente nel freddo delle mani, splendore incandescente, ombra di sabbia tra le dita e un po' di più, un silenzio che mangiava l'aria di stelle che si respirava.
E non bastava più, respirare, non bastava più.
E quei capelli scomposti a nascondere l'ardore degli occhi che morivano nel sole, nella pelle chiara e nella pelle bruna, nell'eburneo candore e nell'illune delizia.
E vedeva il cielo, lei, guardava il cielo, nel sole a picco dell'infanzia che volava via, e per lui Sparta bruciava di un altissimo rogo, con il canto delle sirene nelle orecchie, con le lacrime calde d'un ignara carezza.
Mai più legge a gridare ch'era presto, mai più sangue a gridare ch'era ingiusto.
Solo loro a gridare ch'era vero.
E per una volta, a Sparta, lame abbassate e faide lontane, furono le stelle a brillare.
Non la guerra, l'amore.
Note
Questo è uno dei capitoli che ho più amato scrivere negli ultimi tempi, per quanto difficile e relativamente breve.
Ci sono tante sensazioni, in questo capitolo, un momento tanto, troppo importante per Alja e Gee, un momento che prima o poi doveva arrivare e che per incapacità mia ho rimandato all'ottantunesimo -argh- capitolo, eppure adesso ne sono abbastanza contenta e spero proprio che vi sia piaciuto.
Anche alla citazione iniziale sono tanto affezionata e mi pareva calzasse a pennello con il contesto. ;)
A presto!
Marty