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Autore: Natalja_Aljona    04/07/2011    2 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Ottantuno - Sole, rispondi

Non la guerra, l'amore


Quel giorno lo sguardo di Cosette rese Marius pazzo e quello di Marius rese Cosette tremante; lui se n'andò fiducioso e lei inquieta; da allora si adorarono.

(I Miserabili, Volume Terzo, Victor Hugo)


Liverpool, Quartiere di Wavertree, 4 Febbraio 1835


E poi era tornato il sole.

Natal'ja aveva acceso un fiammifero dopo l'altro, e aveva le punte delle dita bruciacchiate, quel giorno aveva raccolto poche monetine e con il sole non avrebbe avuto clienti fino all'indomani.

Aveva finito per addormentarsi sul suo muretto, con le sue dita bruciacchiate e un pugno di fiammiferi in mano, la lunga treccia bionda disfatta e l'abito blu tutto spiegazzato.

Lui era arrivato con il sole, con un sorriso un po' triste e un po' sognante, un graffio nuovo sulla guancia destra e una spolverata di malinconia nei begli occhi di lama d'oplita.

Con un dito le aveva sfiorato i capelli, socchiudendo gli occhi e sussurrando parole ch'era un piacere sentire, scivolavano sulla pelle e morivano in gola, negli occhi splendidi d'un viso ch'era meraviglia osservare, anche nel sonno rubato a un pomeriggio di sole troppo intenso.

-Sole, rispondi-

Lacrime trattenute, George, tacita preghiera.

Impotente brigante, adultero sospiro d'una vita che doveva essere dedicata alla violenza.

Di battaglie in quella vita ne avrebbe vinta solo una, e il sorriso a riscaldare le cicatrici gelide del corpo, il raggio di sole a riscattare il sangue sulle lame, era lei.

La guerra era persa, ma la vittoria non brillava come lei.

-Stárlet, abbiamo perso. E' la fine, l'inizio? Oggi ho rubato poco o niente. Oggi voglio rubare il tuo sorriso e legarlo all'impugnatura del mio xiphos, oggi voglio accendere tutti i tuoi fiammiferi e vederti felice, oggi voglio vedere il mare e la Grecia nei sogni, toccare la stella, la luce...la vedi?-

-Georgij, i capelli-

Forse non aveva compreso ogni sua parola o ascoltato tutti i battiti del suo cuore, anche se come sorrideva lui, questo sì, l'immaginava, forse nemmeno era riuscita a farsi capire, ma il ragazzo si era seduto sui suoi capelli e la smorfia di dolore dipinta sul suo viso pareva essere universale.

E così si era alzato, le aveva offerto una mano per fare altrettanto e l'aveva guardata così, come si guardavano le ragazze già donne, le ragazze troppo belle, le ragazze sognate sulle quali i sogni si era costretti a nascondere.

Era ammutolita un poco, indietreggiando come fanciullina dinnanzi alla piena del fiume, ma lui aveva sorriso, l'aveva stretta a sé.

-Non è vero, non è vero che abbiamo perso. Non perderemo più niente, noi-



Sparta, 1 Maggio 1838


Era così bella, lei.

Nel sorriso aveva la fiammella di un fiammifero appena acceso, la piccola dea di Brian George.

Lui le accarezzava i piedini gelidi e segnati dai mesi ad Omsk, e gli sarebbe venuto da ridere, in un altro momento, perché sembrava proprio un bambino, adesso, l'impetuoso e spavaldo Geórgos dei Kléftes.

Gli tremavano le mani e aveva una spolverata di zucchero sulle guance, da tanto che impallidiva nello sfiorarla a quel modo.

E poi c'era stato quel gesto troppo ardito, quella mano ardimentosa che copriva le distanze e sussultava d'imbarazzo sulla pelle che bruciava, ed il nastro del vestito sciolto con dita deboli e rossore del viso, il primo bottone del corsetto e la luce accecante del loro primo amore.

Ed era mare sciolto negli occhi, era pioggia battente nel freddo delle mani, splendore incandescente, ombra di sabbia tra le dita e un po' di più, un silenzio che mangiava l'aria di stelle che si respirava.

E non bastava più, respirare, non bastava più.

E quei capelli scomposti a nascondere l'ardore degli occhi che morivano nel sole, nella pelle chiara e nella pelle bruna, nell'eburneo candore e nell'illune delizia.

E vedeva il cielo, lei, guardava il cielo, nel sole a picco dell'infanzia che volava via, e per lui Sparta bruciava di un altissimo rogo, con il canto delle sirene nelle orecchie, con le lacrime calde d'un ignara carezza.

Mai più legge a gridare ch'era presto, mai più sangue a gridare ch'era ingiusto.

Solo loro a gridare ch'era vero.

E per una volta, a Sparta, lame abbassate e faide lontane, furono le stelle a brillare.

Non la guerra, l'amore.



Note


Questo è uno dei capitoli che ho più amato scrivere negli ultimi tempi, per quanto difficile e relativamente breve.

Ci sono tante sensazioni, in questo capitolo, un momento tanto, troppo importante per Alja e Gee, un momento che prima o poi doveva arrivare e che per incapacità mia ho rimandato all'ottantunesimo -argh- capitolo, eppure adesso ne sono abbastanza contenta e spero proprio che vi sia piaciuto.

Anche alla citazione iniziale sono tanto affezionata e mi pareva calzasse a pennello con il contesto. ;)


A presto!

Marty


  
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