Questa FF partecipa al "Orgoglio Dramionesco" Contest di LyliRose!
È stata una vera sfida scrivere questa benedetta Fic, anche perché il giorno della scadenza ho... ehm… perso il documento originale, ritrovandomi con solo quattro pagine Word. Vi risparmio la crisi isterica che ne è conseguita, ma non credo serva molta immaginazione per visualizzarmi intenta in un auto-soffocamento con tanto di musichetta tragica di sottofondo ç_ç
Comunque ho provato a riscriverla daccapo e, non so se a voi succede, il risultato è stato decisamente diverso da quello iniziale. Infine, siccome la sfiga è una mia cara amica e mi segue ovunque, ho inviato il documento senza correzioni, lasciando quello ‘buono’ a stagionare nel pc.
Giusto per la cronaca questo sarebbe quello buono >.>
Sono un disastro, lo so, ma non voglio inviare ora il vero documento perché credo che sarebbe una mancanza di rispetto verso le altre sette partecipanti che si sono fatto il … mazzo per consegnare tutto corretto e in tempo e verso la giudice che ha dato una data da rispettare.
Quindi mi aspetto qualcuno che mi bastoni a dovere, non deludetemi!
Questa è la storia della nascita di questa Fic.
Questa è la storia della morte della mia sanità mentale.
Questa è la storia di Legilimens e spero sia meno noiosa di questa presentazione sconclusionata ;)
Un bacio a tutti, belli e brutti!
La Fic è composta da cinque capitoli che verranno pubblicati uno ogni giorno!
Legilimens
-Urla-
Vederla
lì, stesa a terra, lo scosse molto più di quanto non realizzò immediatamente.
Le
urla continuavano a trapassargli i timpani e l’istinto di scappare, mollare
tutto e tutti per nascondersi in un buco e tapparsi le orecchie a vita, era più
forte che mai. Come sempre, invece, il terrore di una possibile ritorsione
prevalse inchiodandolo sul posto, immobile.
Era
appena tornato dopo aver buttato fuori quella feccia di Ghermidori, quando sua
madre lo aveva accolto con uno sguardo strano, quasi compassionevole. Aveva
compreso in seguito il perché.
Sua
zia, Bellatrix, aveva tra le sue tante fisse quella di istruire Draco nell’arte
della tortura. Che lui non fosse neanche
riuscito a uccidere Silente, che avesse sempre dimostrato una notevole
propensione per la codardia e che non fosse nemmeno riuscito a riconoscere tre
suoi compagni di scuola, non le aveva minimamente sfiorato la mente.
Così
si era ritrovato davanti ad uno degli spettacoli più atroci cui aveva
assistito. La tortura era andata avanti per quel che gli erano sembrate intere
ore, mentre in realtà erano trascorsi solamente minuti, forse mezz’ora.
Aveva
provato di tutto per cercare di distrarsi, ma non ci era riuscito. A nulla era
servito fissare il pavimento, contare i secondi, recitare a memoria le vecchie
filastrocche che sua madre gli cantava per farlo addormentare quando era
piccolo. Niente di niente aveva impedito alle urla di passargli da parte a parte
la testa, fino a imprimersi in ogni sua fibra.
Non
era la prima tortura cui assisteva, eppure sembrava la peggiore.
Sedeva
in un angolo, mentre sua zia gli dava le spalle, china sulla ragazza.
La
risata di Bellatrix si alternava e sovrapponeva alle grida e le invocazioni di
aiuto. Ogni tanto sua zia gli domandava anche di aiutarla, magari nel tenere ferma la ragazza o nell’interrogarla,
ma il suo sguardo, a metà tra il nauseato e il terrorizzato, la faceva
desistere e scoppiare in mille lamentele sulla sua codardia.
La
Granger continuava a urlare il suo dolore, andando a creare nella testa di
Draco un continuo sottofondo che lo stava facendo impazzire.
«Portala
nella cella più isolata, nessun contatto con i suoi amichetti. Poi resta lì, se
vuoi, puoi anche divertirti, ma attento a non contaminarti con il suo sangue
sporco!» commentò Bellatrix mentre si sistemava la veste, dopo aver
immobilizzato la ragazza. «Io vado da tuo padre per avvisarlo di non chiamare
l’Oscuro. Dobbiamo prima capire come sono arrivati alla spada, oppure ci
ucciderà tutti» e abbandonò la sala relativamente tranquilla, nonostante
l’agghiacciante conclusione cui lei stessa era appena arrivata.
A
quel punto dovette tirare fuori la bacchetta e con un colpetto sollevò la
ragazza, risparmiandole almeno il tragitto a piedi fino alle segrete.
Non dovresti trattarla
con tutto questo riguardo. Lei è una Sanguesporco, lei merita tutto questo.
Il
tratto fu percorso nel totale silenzio, se non fosse stato per le continue urla
che ancora non cessavano. Le candele tremavano sotto il suono di quelle
suppliche e anche la villa sembrava tacere di fronte a quelle preghiere.
Lei merita tutto questo.
L’ultima
cella Draco la conosceva molto bene. Era stato suo ospite dopo il fallimento
della missione che vedeva lui come assassino di Albus Silente. La sua cara
zietta si era impegnata a fondo nel fargli comprendere quanto avesse deluso la
famiglia e quanta fortuna avesse avuto nel fatto che Piton avesse portato a
termine il compito al posto suo.
Si
era ripreso da quei trattamenti
giusto una settimana prima dell’inizio del settimo anno, quando era tornato a
scuola. Lì almeno era attorniato dai suoi compagni, semplici ragazzi, non più
da Mangiamorte.
Anche tu sei un
Mangiamorte, non lo vedi il marchio che hai sull’avambraccio sinistro?
Aveva
cercato di dimenticare tutto buttandosi nello studio ma gli era stato
impossibile; la vista di Piton che girava indisturbato per il castello dopo il
delitto che aveva compiuto,
(al tuo posto)
lo
turbava, anche se non comprendeva il perché.
È un tuo alleato, ricordalo.
Ma
a Hogwarts aveva anche dovuto pagare l’odio e il rancore degli studenti che lo incrociavano
nei corridoi e nelle aule, sospettosi sulla portata del suo nella morte dei
loro famigliari.
Hanno ragione, se non fossi
così codardo, saresti anche tu un assassino.
Lo
distruggeva sapere che tutto questo sangue era sparso per la supremazia di
altro sangue, che si sporcava sempre di più sotto il peso di tutti quei
delitti.
Delitti
commessi contro altri esseri umani; altri uomini, donne, bambini, anziani e
ragazzi. Ragazzi come lui, la cui unica colpa scorreva dentro le loro vene.
Ragazzi come lei, che accasciata a terra tremava sotto il suo sguardo e sotto
la punta della sua bacchetta che ancora la teneva sotto tiro.
Chiuse
la porta della cella, sigillandola e la lasciò a terra, tremante, mentre si
accomodava sulla brandina incastrata nella parete.
«Non
uscirai viva da qui»
Perché le rivolgi la
parola, non lo merita!
I
suoi singhiozzi prevalsero un attimo sulle urla che non cessavano di uscire
dalla sua gola rauca e secca, ma la ragazza non lo degnò comunque di una
risposta. Che poi non gli aveva fatto una domanda, ma la buona educazione
prevedeva almeno una replica alla sua affermazione.
I Sanguesporco non sanno
nemmeno cos’è l’educazione.
Ma
doveva ammettere che non era nemmeno educato torturare e rinchiudere in una
cella una ragazza apparentemente innocente.
La sua colpa le scorre
nelle vene.
Urlava,
urlava e urlava.
Non
smetteva neanche un attimo, sembrava che quell’unico mezzo che aveva a
disposizione per esprimere il suo dolore fosse diventato strumento di tortura
nei suoi confronti.
Lui
rimaneva impassibile e la ignorava, sarebbe morto piuttosto che dimostrargli
quanto quelle grida lo stessero facendo impazzire, mentre lei continuava
imperterrita fingendo a sua volta di non notarlo.
Draco
si sforzava persino di non guardarla, ma ogni due minuti si concedeva veloce
un’occhiata e la trovava sempre nella stessa posizione, accovacciata a terra,
con il volto coperto dai capelli.
Tienila d’occhio, non
ci si deve fidare dei Sanguesporco, chissà quali maledetti piani si potrebbero
inventare pur di sopravvivere!
Sembrava
quasi una bambina con il capo sporco di terra sommerso da una cresta di capelli
sporchi, i vestiti strappati e consunti, il volto terrorizzato, che conservava
comunque quel briciolo di orgoglio Grifondoro che l’avrebbe accompagnata fino
alla tomba. Che colpa poteva avere una bambina in quella guerra maledetta?
La sua colpa le scorre
nelle vene.
Che
cosa poteva lei, così piccola di fronte alla forza dell’Oscuro?
È impotente, e merita
tutto questo.
E
perché lui continuava a porsi tutte queste domande?
Lui
non doveva rivolgerle parola, non doveva pensarle, non doveva lasciare che la
sua presenza lo infettasse.
La sua colpa le scorre
nelle vene.
Sanguesporco.
Mezzosangue. Purosangue.
Sangue.
Urla.
Sangue.
Urla.
Sangue.
Urla.
Sangue.
Urla.
«Smettila!»
Con uno scatto si alzò per sfogare tutta la tensione accumulata in quei minuti
a causa di tutti quei pensieri e la guardò allucinato.
Doveva
smetterla di urlare, non ce la faceva più. Quella maledetta litania lo stava
facendo impazzire, era tutto un complotto per fargli perdere il senno e
ucciderlo!
Maledetta
Sanguesporco era lei il carnefice, non lui!
Poi
la vide.
Sembrava quasi una
bambina, con il capo sporco di terra sommerso da una cresta di capelli sporchi,
i vestiti strappati e consunti, il volto terrorizzato…
Sembrava
quasi lui, neanche un anno prima, rannicchiato a terra in posizione fetale.
Era stato ospite di quella
cella dopo il fallimento della missione…
Ma
una cosa era indubbia:
Lei
non aveva mai urlato.
La
sua bocca era sigillata, la stoffa avvolta intorno parlava chiaro.
Allora
quelle urla da dove venivano?
Rimase
in piedi immobile, sotto lo sguardo timoroso della ragazza che si era
spaventata nel vederlo scattare in quel modo. Le sue orecchie ricevettero
solamente il suono di un ronzio insistente, come quando dopo esser stato in un
luogo rumoroso, si piomba improvvisamente nel silenzio.
Un silenzio pieno di rumori.