A Lux, Al,
Mì, la prof.ssa e la Sis per aver creduto in me (e nella
pecora).
A Lux, ché hai sempre i consigli e le
idee al momento giusto.
Ad Al, ché senza i tuoi “Ommioddio!” e
sfoggio di pon-pon non sarebbe stato lo stesso.
A Mì, per il tuo amore incondizionato
anche al di là della forza del sapone.
Alla prof.ssa, per essere stata la mia prima
vera fan.
Alla Sis, per tutto il resto e i calci in
culo dati con saggezza e una buona dose di eleganza.
E infine a
te, che probabilmente non leggerai
mai questa storia.
La
pecora nel cortile
Quando capita non se ne ha davvero la consapevolezza. È un po’ come
essere concentrati sulle meches verdi della ragazza davanti a te, mentre ascolti
la teoria della tettonica a zolle e contemporaneamente fai di tutto per non
ricordati nemmeno una parola: sentire un suono sordo simile al puff! di pop corn che si gonfiano – ma
senza il familiare odore di mais cotto a seguito – e ritrovarsi poi al secondo
banco di una terza fila in una classe semi-vuota e il belare lascivo di una
pecora in lontananza… Ah no, aspettate: è andata proprio così.
A
parte per il belare dell’ovino. Non era poi così sexy (anche se forse Bill non
sarebbe d’accordo).
Comunque sia, andiamo con ordine.
Dal
fantomatico puff! è passato su per
giù un anno e da quasi altrettanto tempo ho smesso di chiedermi perché sia
finito qui e perché la campanella non suoni mai all’ora esatta. Ma questa è
un’altra storia.
Dicevo, non tutti gli otto componenti dell’unica classe presente nella
scuola hanno rinunciato così facilmente a capirci qualcosa. Alcuni anche adesso
continuano ad alzare la mano fiduciosi che prima o poi un dei professori dia
loro ascolto. Ma il più delle volte questi si limitano a fare l’appello e
tentare di spiegare mentre combattono con qualche assurdo tic. Il signor
Featherstone, ad esempio, mena in continuazione l’aria con la destra a voler
scacciare qualche mosca impertinente. Spesso è capitato che una penna gli
volasse via dalla mano e facesse anche centro, colpendo uno di noi: io sono
riuscito quasi sempre a schivarla perché Phineas, seduto un posto avanti a me, è
una calamita per gli oggetti (letteralmente). È straordinario come quasi ogni
gomma da masticare trovi posto fra i suoi
vestiti.
Comunque sia, bernoccoli a parte, non siamo mai stati in reale pericolo
nella nostra aula.
Per
la maggior parte del tempo siamo impegnati a svolgere attività relativamente
innocue: studiamo (almeno in teoria: io mi limito a osservare il soffitto, per
lo più), mangiamo tre volte al giorno, soddisfiamo i nostri bisogni fisiologici
senza fare troppa fila ai bagni, dormiamo, e qualche volta ci ritroviamo a
parlare tra di noi mentre giochiamo nel piccolo e unico spazio aperto della
scuola: il cortile.
Tuttavia l’unico argomento per cui troviamo interesse comune è quasi
sempre l’ammasso di lana rintanato in un angolo del campo e occupato a masticare
qualche ciuffo d’erba spaiato qua e là.
<< Signore, perché c’è una pecora nel nostro cortile? >>
tentò di chiedere per la millesima volta Cal in una lezione che d’interessante
aveva solo il fiocco fucsia della camicia del professor Featherstone. Nessuno si
aspettava una risposta, in verità. Di solito i docenti a domande del genere si
limitavano, in rigoroso ordine di successione, a: borbottare, accigliarsi,
borbottare e avere una crisi piuttosto accentuata dei loro rispettivi spasmi.
Però stavolta non volò nulla né cadde qualche dentiera sulla cattedra (la
signorina McGrath aveva una costituzione
fragile).
<< Siamo tutti animali, figliolo >> rispose invece il docente, dopo qualche attimo di
esitazione passato a scrutare la classe e in particolar modo il ragazzo da dietro le lenti spesse. <<
Magari il tuo stesso trisavolo era uno scimpanzé prestante
>>.
<< Balle >> replicò Cal con una smorfia di scetticismo,
appena si fu ripreso dall’inaspettato cenno di attenzione, << non è
normale che un ovino stia a pascolare in un edificio pubblico… ammesso che questo lo sia
>>.
<< Ma certo che lo è! >> esclamò l’altro allargando le braccia in
un gesto di esasperazione e tutti ammutolimmo (anche Malcom, che sta sempre
zitto). Featherstone non aveva mai sbalzi d’umore e meno che mai repentini;
c’era qualcosa nel tono, come se ora cercasse di spiegare ben altro d’una
lezione di astronomia. << Non mi sembra ci siano molte differenze tra te
seduto al banco e la pecora a brucare >> obiettò ancora con tanto di
fronte aggrottata, prima che Cal riaprisse bocca.
<< Bene >> riprese poi, tornando al suo fare gioviale di
sempre, << parlavamo degli anelli di Saturno… quante dita della mano
pensate gli servano? >>.
La
pecora ad ogni modo rimaneva un problema legato per lo più all’odore e ai belati
improvvisi durante il giorno; insomma, alla fine ci si fa l’abitudine un po’
come per i clacson delle macchine e l’onnipresente cappa di smog. Certo, ogni
tanto sputacchiava e inciampava tra un pallone e l’altro, ma faceva la sua
presenza. Inoltre era l’unico essere vivente che ritrovavamo, mattino dopo
mattino, a intonare un sentito beee
di saluto.
E
badate, non tutti tenevano da conto simili cortesie. Molti dei nostri compagni
spesso saltavano qualche ora di lezione, poi il pranzo e infine il giorno
seguente ti lasciavano una matita smozzicata e una gommina con sopra il calco di
un paio notevole d’incisivi e il lavoro di rosicchiamento lasciato a
metà.
Almeno questo fu il caso di Gerard: lui era il mio terzo compagno di
banco quest’anno, finché non scomparve. Era un ragazzo piuttosto silenzioso
(sempre troppo impegnato a modellare qualcosa sotto i denti), ma un grande
ascoltatore. Ormai tra un crunch e
l’altro si era creata quasi una sorta di confidenza. Una volta mi aveva anche
raccontato di essere riuscito a temperare una matita, con i propri denti; io
carburai la notizia soltanto il giorno dopo, e quando volli informarlo sulla
prevenzione e i rischi di un uso sbagliato della propria bocca non si fece più
vivo.
Tutto
sommato la presi bene. D’accordo, mi dispiaceva che un altro della nostra classe
fosse sparito, ma così com’ero certo che Gerard avrebbe dovuto ben presto fare i
conti con una dentiera mobile altrettanto lo ero sul fatto che sarebbe stato ben
presto rimpiazzato.
E
infatti, qualche giorno dopo, a prendere il posto della sedia accanto alla mia
fu Wesley.
Funziona così da quando sono arrivato: uno sparisce e un altro compare.
Il che in fondo è un bene, visto che oltre a essere l’unica classe presente
nella scuola siamo anche mal’assortiti.
Prendete Rodge, ad esempio: sta qui da molto prima di me, e non è
cambiato di una virgola. Perché, sapete, a parte farneticare nozioni mortalmente
noiose i nostri professori ripetono spesso che Stare qui ci aiuterà a uscire. Da cosa,
non ho ben capito, fatto sta che Rod è di gran lunga avanti a tutti noi altri: è
già fuori come un balcone.
Capita che mi ritrovi a fare da arbitro nell’unico sport che più o meno
tutti conoscono: il calcio. Anche se le regole sono un po’ inventate sul momento
e ogni tanto io fischio solo per il gusto di movimentare la scena di dieci
esaltati che corrono appresso a una palla (Bill di solito si assicura che Betty
non venga colpita e le tiene compagnia. Benché non credo lei lo ritenga una
figura confortante). Quella volta, dopo dieci minuti di miei sbadigli e
controllata alle unghie, fischiai una punizione per la squadra di
Rod.
<< Ehi, Rodge, tocca a te battere!
>>
<< Forza, Rodge, senti la palla, focalizza
>>
<< Sì, focalizza la porta, ce la puoi fare: il centro sta proprio
lì davanti a te >>
<< Punta bene quei piedi, puntali, fai una bella rincorsa, così…
con forza Rodge, tira con– >>.
<<... Beeeeee
>>.
<< No, Chessy! >>.
Alla
fine venne fuori che la pecora era stata comunque lisciata (per sollievo
generale di tutti, e in particolare di Bill) grazie alla mira pessima di Rod, ma
almeno per qualche giorno avrebbe mantenuto la lana arruffata e sputacchiato con
più energia del solito.
Tirando le somme, tra chi aveva la capacità di focalizzarsi di un bradipo
con i pattini e chi aveva crisi ormonali per ogni genere femminile, c’ero io. In
verità non amo parlare di me, anzi, non amo parlare di niente in generale. Sono
probabilmente qui per sbaglio, ma non è che sia questo dramma alla fine.
Ad
ogni modo, da un paio di giorni a questa parte, iniziavo a sentirmi diverso.
Come se dentro di me qualcosa cominciasse a punzecchiare la mia visione delle
cose in maniera diretta e martellante, e non volesse
andarsene.
Wesley diceva che quella sensazione si chiamava fastidio. Wesley era quello bravo a dare
un nome alle cose. Ma non ero sicuro che fosse proprio quella la parola.
Col
passare dei giorni aumentava e addirittura mi rese inquieto (penso si dica
così). Incredibilmente, la soluzione mi si presentò quando mi ritrovai a fissare
il mio compagno di banco, intento in una delle sue solite facce strampalate, e
una serie di versi altrettanto equivoci.
Lui
allora ricambiò il mio sguardo e mi sorrise (almeno credo: la bocca sembrava più
una doppia vu molto arrotondata). << Tu che ci fai ancora qui? >>
gli chiesi, con qualcosa di somigliante allo stupore nel tono della
voce.
Wes
accentuò il sorriso rispondendo semplicemente con un << Potrei dire lo
stesso di te >>.
Quello che trovavo insolito in Wesley era stata la sua capacità di
adattamento. Nonostante fosse l’ultimo arrivato, era quello che aveva capito fin
da subito come funzionassero le cose qui dentro. Molto più di Cal e di tutte le
sue teorie di complotto da parte di alieni mutaforma che ci tenevano come cavie
per i loro esperimenti culinari.
Anche se a essere onesti, la mensa della scuola metteva a dura prova le
papille gustative di tutti noi; per ben inteso, non si mangiava male, ma il più
delle volte identificare cosa stessi infilzando con la forchetta richiedeva una
buona dose di inventiva:
<< Perché stai tagliando le polpette con un cucchiaino?
>>
<< Veramente è un budino alla fragola
>>.
<< Ma è beige >>
<< Sì, be’, pensa alla tua frittata
>>
<< … è roastbeef >>.
Insomma, quello che stavo dicendo è che Wesley mi aveva fatto arrivare
alla fonte del mio malessere: non c’era stata nessuna sparizione nell’ultimo
mese. Ma forse la cosa che più non mi tornava era perché gli altri non ne
parlassero.
Ero
certo che se ne fossero accorti, e non era neanche improbabile che fossi stato
uno degli ultimi a rendersene conto. Sembravano tutti a loro agio, meno tesi
sulle sedie e più ciarlieri. Anche i professori non ci fecero gran caso, così
come non se n’erano mai curati prima.
L’unico che invece sembrava essersene intristito (come avrebbe detto lui)
era Wesley. Non pareva esattamente dispiaciuto, piuttosto come preoccupato: ora
la sua bocca assomigliava a una linea di matita con gli angoli all’insù appena
tratteggiati. Io d’altra parte non riflettei più di tanto se esserne turbato o
meno. Era qualcosa di imprevisto e lo stesso Malcolm (che si trovava qui da più
tempo di tutti noi) confermava non essere mai successo. Almeno da quanto
riferiva Jan.
Ma
qualche giorno dopo fu Cal a venire a parlare da
me.
<< Indovina >> mi fece, sedendosi sulla sedia di fronte con
un vassoio in mano.
<< Te lo ripeto, non credo siano le carote la causa di quel prurito
a– >>.
<< No no, non c’entra >> replicò in fretta, mascherando un
colpo di tosse. << Senti qua: lo sai cosa ho visto di fronte alla porta
del preside ieri mattina? >> chiese compiaciuto, e se non avesse fatto
così con tutti avrei detto che ci stesse provando. << Biada
>>.
A me
non sembrava niente di emozionante, ma non volevo deluderlo. << È
fantastico >>.
<< Esatto! >> abboccò entusiasta. << Avevo ragione su
tutta la linea >>.
<< Sono contento, ma… >> replicai, << perché lo stai
dicendo a me? >>.
Cal
strabuzzò gli occhi. << Te ne ho parlato qualche mese fa, Nath, riguardo
la pecora e il preside >>.
<< Oh, ma certo >> improvvisai, un attimo spiazzato al
pensiero che oltre a non-esserci il nostro direttore aveva anche propensioni
particolari. << Mi raccomando: non dirlo a Bill, potrebbe rimanerci male
>>.
<< Sto dicendo che il preside è l’ovino
>>.
<< Una pecora che gestisce la nostra scuola?
>>.
<< Pensaci: spiegherebbe ogni cosa
>>
<< Intendi dire che darebbe senso al cibo indistinguibile, al tempo
sballato, agli orribili vestiti di Featherstone, alle sparizioni e all’animale
da pascolo? >>.
Cal
sembrò pensarci su. << Okay, non proprio a tutto
>>.
Assunsi un’aria che avrebbe dovuto risultare scettica (ultimamente stavo
diventando bravo).
<< Non spiega neanche perché nessuno sparisce più >> feci
notare, mentre punzecchiavo un rigatone nel piatto con la
forchetta.
<< Sono quasi sicuro c’entri la pecora >> disse allora, con
fare cospiratorio.
Inspirai a fondo. << Senti, vorrei stare a sentirti, davvero, ma–
>>.
<< Hai notato che tutti quelli che spariscono il giorno prima si
sono avvicinati a Pam? >> continuò Cal guardandomi con
insistenza.
<< Deve avere uno stomaco notevole
>>.
Lui
aggrottò la fronte. << Non scherzare, sono convinto che anche Wes la pensi
così >>
In
effetti era vero. Wesley mi aveva accennato qualcosa a riguardo, ma pensavo
fosse uno dei suoi deliri da eroe manga.
<< A proposito, dov’è?
>>.
<< Nel dormitorio, dice che lo aiuta a pensare
>>.
Oltre
ai professori, non c’era un vero e proprio personale. Ogni tanto appariva Glenn,
il custode della scuola: appena finite le lezioni si assicurava che la porta
dell’aula non rimanesse aperta, come quella dell’entrata principale. L’unica
porta sempre chiusa rimaneva quella
direzione.
Come
per la stragrande maggioranza delle cose qui dentro, abbiamo finito col farci
l’abitudine. Io ero uno tra quelli che prendeva tutto per il verso giusto, senza
stare tanto a farsi domande. Ma probabilmente non ero l’unico a trovare questo
posto tutt’altro che malaccio; in un certo senso fa pensare come mai nessuno
abbia mai tentato in qualche modo di scappare durante tutto questo tempo.
Cal
sosteneva fosse per via del cibo. Ci tengono sotto controllo sedandoci tra una
foglia di lattuga e un muffin, diceva (ultimamente metteva in mezzo anche la teoria dei
lassativi).
Droghe a parte, Wesley non migliorava: passava diverso tempo a scrutare
da fuori la finestra che dava sul cortile, impensierito. Io in quanto suo
compagno di banco mi sentivo tutto sommato in dovere di preoccuparmi per lui;
non era facile avvicinarlo e né tanto meno amava parlare (non quanto Jan,
almeno). Sarà che la maggior parte di noi lo trovava inquietante, mentre a me
spiazzava la sua capacità espressiva: sul viso c’era una continuo alzarsi di
sopracciglia e zigomi, aggrottamenti e smorfie. Un pasticcio,
insomma.
Così
una sera, decisi che era arrivato il momento di sfoggiare tutta la perplessità
di cui ero capace e comunicarla agli altri.
<< Secondo me è strano >> dissi d’un tratto con il tono della
voce un po’ più alto del normale, quando ormai le luci del dormitorio si erano
spente e in sottofondo si sentiva quello che sembrava un russare piuttosto
insistente. << No? >> continuai cercando un cenno vago di
risposta.
Okay,
magari non avevo scelto il momento più adatto, ma era una delle poche situazioni
in cui eravamo riuniti tutti in uno stesso posto e poteva essere l’occasione per
condividere delle idee.
Un
grugnito qualche letto più in là mi convinse a ritentare. << Dicevo
>> mi schiarii la gola in modo che la voce fosse ancora più udibile,
<< è insolito che all’improvviso non ci siano più sparizioni. Questo non
vi fa pensare? Va bene, le teorie di Cal sono un tantino azzardat–
>>.
<< Ma la vuoi piantare? >> replicò d’un tratto Bill due letti
più in là con un filo di quello che doveva essere irritazione, nel
tono.
<< Già, stiamo cercando di dormire >> si accodò Phineas
vicino a lui, sbuffando un idiota tra
i denti.
<< Che succede? >> intervenne allora Cal, mettendosi a sedere
allerta. << Stanno venendo a prenderci?
>>.
<< Chi è che sta arrivando? >> domandò poi confuso Rodge, nel
letto di fronte al suo.
<< Come chi?! I conigli mannari!
>>.
<< …? >> si unì Malcolm, quando ricevette un calcio da Cal
che nel frattempo era sceso giù dal letto con un salto e aveva preso a girare
per lo stanzone dimenando le braccia.
<< Niente, Mal, è quel rompiballe di Nathaniel >> rispose
Jan. << Dev’essere in quel periodo del mese >>.
<< Zitti tutti adesso
>>. Era stato Wesley a parlare, frenando per un momento la baraonda in
atto. << Lasciatelo parlare >> seguitò, sollevando la testa dal
cuscino e guardando dritto nella mia direzione. Anche se era quasi del tutto
buio, intuii che mi stesse sorridendo. O forse stava sbadigliando. Quello che
fosse, lo presi come incoraggiamento e tra sbuffi di protesta vari continuai:
<< Voi cosa pensate succederà
ora che siamo rimasti solo noi? Voglio dire, perché nessuno se n’è ancora
andato? >>.
Calò
di nuovo il silenzio. Ma questa volta sembrava un po’ più
denso.
<< A me pare un bene >> disse Phineas, poggiando i gomiti
sulle ginocchia. << Non sappiamo neanche che fine facciano quelli che
scompaiono >>.
Ci
furono mormorii d’assenso (Cal stava ancora farneticando “mannari mannari”,
anche se pareva più calmo).
<< Non sono d’accordo >>. Wes si era alzato dal letto.
<< Non ricordate cosa dicono i nostri professori? Dobbiamo stare qui
dentro per poter uscire >>.
<< La signorina Limon ha detto anche che la luna è un marshmellow
gigante ma– >>.
<< Featherstone intendeva il mondo reale, dove vivevamo prima di adesso
>> incalzò Wesley, l’espressione era per la
prima volta stranamente immobile.
<< Stai dicendo che… siamo bloccati qui? >> chiese allora
Bill, stringendo il cuscino tra le braccia.
Tutti
tacquero di nuovo. Intanto qualcuno aveva acceso una luce e le facce di ognuno
erano tra lo scombussolato e l’assorto (io ero ancora indeciso tra le due, ma
avevo comunque un sopracciglio sollevato in maniera
significativa).
<< La pecora >> disse d’un tratto Cal, in quello che sarebbe
dovuto sembrare un momento di lucidità. << Credo sia lei l’artefice di
tutto >>.
<< Che c’entra Chessie? >> chiese Bill subito risentito, ma
gli altri non parevano avergli dato granché retta, ancora occupati a
metabolizzare il tutto. Nel frattempo, si stava avvicinando l’alba e il buio
nello stanzone si era rischiarato di un po’.
<< Seguitemi! >> replicò invece Cal incamminandosi a passo di
carica verso la porta (la folgorazione del momento gli aveva decisamente fuso i
neuroni sopravvissuti fino allora). E non si sa bene per quale motivo ma dopo i
primi trentasette secondi di incertezza ci ritrovammo davvero a seguirlo.
Prendemmo a percorrere il corridoio che portava dritto alla porta del
preside in fila indiana, tra una spintonata e l’altra e gli shhh! di Cal a intimarci di starcene
buoni. Ci acquattammo lungo il muro appena sentimmo un rumore provenire più
avanti, come di qualcosa di incastrato che fa fatica ad uscire. Sporgendomi per
vedere meglio notai nella penombra la porta della direzione aperta e un ammasso
scuro intrappolato fra gli infissi. Strabuzzai gli occhi e misi a fuoco un’altra
figura dietro in una posizione quasi ingobbita sulla prima.
Fu
Malcolm a rompere il ghiaccio. << …?!
>>.
<< Professore… ?! >> ripeterono in coro tutti gli altri (io
mi limitai ad una espressione di incredulità). La figura ingobbita di prima si
allungò di colpo e sembrò inclinare quella che doveva essere una testa a forma
di pera. << Che… che ci fate qui? >> parlò poi l’ombra affusolata,
mentre l’ammasso sospeso nella porta non mosse un muscolo. Tutti facemmo un
passo avanti.
Era
Featherstone, realizzai ora da più vicino, in una sgargiante tenuta da notte.
Con Betty incastrata nel mezzo. << Ah-ah, lo sapevo! >> fece Cal,
puntando il dito contro la scena madre.
<< Pervertito! >> disse
Bill da poco più dietro, l’unico che sembrava aver interpretato la cosa in
maniera sconcia.
<< La pecora è a capo di questa scuola! >> continuò Cal
ignorando l’interruzione, e nessuno osò fiatare. Betty intanto ruminava
soddisfatta (qualche volta agitava le zampe e allungava il collo per tentare di
recuperare altra biada).
Featherstone sbatté le palpebre più volte, in un’espressione a metà tra
lo stupore e l’imbarazzo, spostando lo sguardo su ognuno di noi mentre il grande
cappello floscio a forma di pera - con tanto di pon-pon sulla punta -
ondeggiava. Sospirò.
<< Ehm, va bene ragazzi, meglio che vi spieghi
>>.
Qualche ora più tardi (dopo aver sbloccato Betty, legato Cal ad una
sedia, tranquillizzato Bill e di nuovo sbloccato la pecora) si scoprì che
Featherstone non era né un depravato né un sequestratore o un coniglio mannaro.
E la pecora era soltanto una pecora.
In
pratica, essendo sprovvisti di una stalla e visto che l’unica posto libero era
proprio l’ufficio del non-presente preside, i nostri professori avevano pensato
di comune accordo di metterla lì per la notte. Però ultimamente era un po’
ingrassata, per via di tutte quelle ore lasciata sola a masticare
foraggio.
Comunque, benché piuttosto interessante come storia, non spiegava le
sparizioni. E rimaneva il fatto che noi non avevamo un
preside.
<< Perché le sparizioni, perché noi siamo ancora qui? >>
aveva preso allora la parola Wes, dando voce per la millesima volta agli
interrogativi di tutti noi. Ma Wesley doveva possedere una qualche dote
magica.
Infatti il professore dopo averlo guardato per qualche secondo, sorrise.
<< Non ci siete ancora arrivati? >> disse, stavolta soffermandosi
sulle facce d’ognuno di noi. << L’ufficio del preside è vuoto, è vero. Ma
per il semplice fatto che siete voi l’unico direttore esistente
>>.
<< … ? >> intervenne prontamente Malcolm, mentre tutti gli
altri erano troppo occupati a slogarsi la mascella e fare espressioni
buffe.
<< Già, che vuol dire? >> tradusse Jan qualche secondo
dopo.
Featherstone si lasciò mollemente andare su una sedia accanto a Cal.
<< Basta pensare a come siete arrivati qui >> cominciò. <<
Tutto in questo posto >> allargò le braccia ad indicare lo spazio attorno,
<< l’avete creato voi, lo
gestite voi… è sempre stato nella vostra testa >>. Lo slogamento delle
mascelle proseguì. << Non scompare più nessuno perché siete voi a non
volervene andare e non volete che altri si aggiungano >>.
Prima
che fosse necessario chiamare il reparto ortopedia, Wes parlò di nuovo. <<
Quindi anche lei e gli altri professori sareste… nostre proiezioni mentali?
>>.
Featherstone sorrise ancora. << Si può dire così
>>.
<< Ma è assurdo >> intervenne Phineas, mentre si grattava una
guancia ricoperta da scotch.
Il
professore aggrottò la fronte. << Non credo che l’espressione “essere
fuori dal mondo” vi sia nuova
>> disse solo. A quel punto tutti noi ci guardammo l’un l’altro,
con un tacito altroché! negli occhi.
Una volta mia mamma era riuscita a dirmelo urlando per dieci volte di fila: ha
sempre avuto dei grandi polmoni. << Allora >> il professore si alzò
in piedi, << chi mi aiuta a portare Ginger in cortile?
>>.
Inutile dire che si offrì subito Bill. Assieme agli altri l’accompagnai
giù (anche a Cal venne concesso di essere sbavagliato) e fino a che non entrammo
nel portico ci fu uno strano silenzio. Appena venne lasciata andare, la pecora
belò un “grazie” e riprese a farsi i fatti
propri.
<< Pensate sia tutto vero? >> chiese qualcuno, e mi stupii
quando riconobbi la mia voce.
<< Avrebbe senso >> rispose Wes, seduto su uno scalino poco
distante da me. << Spiegherebbe gli orologi fermi e l’assenza di ragazze
>>. In un attimo, tutti pendemmo dalle labbra di
Wesley.
<< Se è vero che siamo fuori dal mondo, allora anche questo posto
lo è: nel reale il tempo scorre mentre qui no >> continuò, gli occhi
enormi e limpidi mentre gesticolava.
<< Perciò è tipo stare “in pausa”, alla maniera dei videogiochi
>> espose il suo esempio calzante Rod.
<< Stai dicendo che in realtà qualcuno di noi è una femmina?
>> domandò poi Bill perplesso, ritornando sull’altra
questione.
<< No, sta dicendo che le ragazze sono troppo in gamba per finire
in posti del genere >> risposi io per lui e mi ritrovai gli occhi di tutti
puntati addosso. << L’ho letto una volta in un libro >> spiegai
facendo spallucce.
<< Credete che… dimenticheremo ogni cosa una volta tornati?
>> chiese d’un tratto Jan ma stavolta nessuno voleva conoscere la
risposta. Ce ne rimanemmo seduti in semicerchio, cercando il più possibile di
non incrociare lo sguardo l’uno dell’altro.
<< Però ragionate un attimo >> parlò poi per la prima volta
Cal, assorto. << Se non fosse stato per la pecora non avremmo mai scoperto
la verità. L’entrare e l’uscire da questo posto era stato bloccato per causa
nostra e in fondo non era poi così giusto: ci sono altri come noi fuori di qui,
e lo scopo non è rimanere, ma prendere fiato dal reale… Sì, insomma, non avrebbe
più senso se fosse stata Pam fin dal principio a gestire tutto, a farci capire
che stavamo sbagliando? E il fatto stesso che l’abbiamo trovata nell’ufficio del
preside non vi fa pensare che fors– ?
>>.
<< Pallaaa! >> avvertì Rod in posizione per tirare. Nessuno
lo stava più ascoltando dal ragionate un
attimo. E il fatto era che cinque minuti prima Malcolm aveva proposto:
<< …? >>. Quindi ora erano tutti presi a giocare.
In
verità, anch’io mi ero un attimo perso quando Wes aveva stretto la sua mano
nella mia. Lei in tutto questo ci osservava ignara a bordo campo, gli occhi
acquosi e il muso intento a odorare l’aria.
D’improvviso il pallone lanciato da Rod disegnò una perfetta curva nel
cielo dritto verso il lato in cui si trovava Betty. Mi girai sperando si
spostasse in tempo, ma non c’era già più. Un forte odore di muschio mi fece
riportare lo sguardo ai piedi: stava brucando le mie
scarpe.
Preside, se non fosse per tutta quella lana al vento, sarebbe anche stata
credibile.
Fine
Note dell’autrice:
Mia
prima vera originale nonché partecipante ad un concorso. Al di là del risultato
ringrazio l’UR per l’opportunità di avermi fatto impegnare di qualcosa che
andasse oltre la carta elettronica della
rete.
Se
fosse stato per me, la storia sarebbe stata un filino più lunga: ergo, come minimo
altre dieci pagine di sbattimento di scatole per voi lettori su questa
combriccola di poveri pazzi e ovini occasionali.
XD
Seriamente: avrei voluto scrivere di più perché la fine non fosse così
sbrigativa, per dire, ci sarebbe stato ancora taaanto da aggiungere. Comunque
sia!, i caratteri concessi erano finiti ed è andata così e non mi lamento.
Piuttosto ringrazio la Sis - ergo la Ross, aka Lady Antares Degona Lienan - perché senza di lei non avrei saputo
dove sbattere la testa non avrei mai avuto il coraggio di inviare la traccia
alle 23 e 57, e soprattutto la pecora sarebbe rimasta solo una banale pecora.
Grazie per non avermi ucciso ma essermi stata
accanto.
Piccole precisazioni
1) Se
ve lo state chiedendo, sì: Betty, Chessie/Chessy, Pam e Ginger sono la stessa
persona - o meglio, ovino: la pecora.
2) La frase di Nathaniel, “Le ragazze sono troppo in gamba per finire in posti del genere” non è mia, ma di Barrie, il creatore di Peter Pan.
3) E no, se avete notato un vago slash, non è solo un'impressione.
4) La
pecora è il preside, una pecora e basta, o un dio-ovino di un mondo parallelo? A
voi l’ardua sentenza. C:
Anle