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Autore: Anle    04/07/2011    3 recensioni
[Storia partecipante al concorso indetto da UR editore]
"Una pecora che gestisce la nostra scuola?".
"Pensaci: spiegherebbe ogni cosa".
"Intendi dire che darebbe senso al cibo indistinguibile, al tempo sballato, agli orribili vestiti di Featherstone, alle sparizioni e all’animale da pascolo?".
Cal sembrò pensarci su. "Okay, non proprio a tutto".
Genere: Commedia, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Lux, Al, , la prof.ssa e la Sis per aver creduto in me (e nella pecora).

A Lux, ché hai sempre i consigli e le idee al momento giusto.

Ad Al, ché senza i tuoi “Ommioddio!” e sfoggio di pon-pon non sarebbe stato lo stesso.

A Mì, per il tuo amore incondizionato anche al di là della forza del sapone.

Alla prof.ssa, per essere stata la mia prima vera fan.   

Alla Sis, per tutto il resto e i calci in culo dati con saggezza e una buona dose di eleganza.

E infine a te, che probabilmente non leggerai mai questa storia.

 

 

 

 

 

 

La pecora nel cortile

 

 

Quando capita non se ne ha davvero la consapevolezza. È un po’ come essere concentrati sulle meches verdi della ragazza davanti a te, mentre ascolti la teoria della tettonica a zolle e contemporaneamente fai di tutto per non ricordati nemmeno una parola: sentire un suono sordo simile al puff! di pop corn che si gonfiano – ma senza il familiare odore di mais cotto a seguito – e ritrovarsi poi al secondo banco di una terza fila in una classe semi-vuota e il belare lascivo di una pecora in lontananza… Ah no, aspettate: è andata proprio così.

A parte per il belare dell’ovino. Non era poi così sexy (anche se forse Bill non sarebbe d’accordo).

Comunque sia, andiamo con ordine.

Dal fantomatico puff! è passato su per giù un anno e da quasi altrettanto tempo ho smesso di chiedermi perché sia finito qui e perché la campanella non suoni mai all’ora esatta. Ma questa è un’altra storia.

Dicevo, non tutti gli otto componenti dell’unica classe presente nella scuola hanno rinunciato così facilmente a capirci qualcosa. Alcuni anche adesso continuano ad alzare la mano fiduciosi che prima o poi un dei professori dia loro ascolto. Ma il più delle volte questi si limitano a fare l’appello e tentare di spiegare mentre combattono con qualche assurdo tic. Il signor Featherstone, ad esempio, mena in continuazione l’aria con la destra a voler scacciare qualche mosca impertinente. Spesso è capitato che una penna gli volasse via dalla mano e facesse anche centro, colpendo uno di noi: io sono riuscito quasi sempre a schivarla perché Phineas, seduto un posto avanti a me, è una calamita per gli oggetti (letteralmente). È straordinario come quasi ogni gomma da masticare trovi posto fra i suoi vestiti.

Comunque sia, bernoccoli a parte, non siamo mai stati in reale pericolo nella nostra aula.

Per la maggior parte del tempo siamo impegnati a svolgere attività relativamente innocue: studiamo (almeno in teoria: io mi limito a osservare il soffitto, per lo più), mangiamo tre volte al giorno, soddisfiamo i nostri bisogni fisiologici senza fare troppa fila ai bagni, dormiamo, e qualche volta ci ritroviamo a parlare tra di noi mentre giochiamo nel piccolo e unico spazio aperto della scuola: il cortile.

Tuttavia l’unico argomento per cui troviamo interesse comune è quasi sempre l’ammasso di lana rintanato in un angolo del campo e occupato a masticare qualche ciuffo d’erba spaiato qua e là.

<< Signore, perché c’è una pecora nel nostro cortile? >> tentò di chiedere per la millesima volta Cal in una lezione che d’interessante aveva solo il fiocco fucsia della camicia del professor Featherstone. Nessuno si aspettava una risposta, in verità. Di solito i docenti a domande del genere si limitavano, in rigoroso ordine di successione, a: borbottare, accigliarsi, borbottare e avere una crisi piuttosto accentuata dei loro rispettivi spasmi. Però stavolta non volò nulla né cadde qualche dentiera sulla cattedra (la signorina McGrath aveva una costituzione fragile).

<< Siamo tutti animali, figliolo >> rispose invece  il docente, dopo qualche attimo di esitazione passato a scrutare la classe e in particolar modo il ragazzo  da dietro le lenti spesse. << Magari il tuo stesso trisavolo era uno scimpanzé prestante >>.

<< Balle >> replicò Cal con una smorfia di scetticismo, appena si fu ripreso dall’inaspettato cenno di attenzione, << non è normale che un ovino stia a pascolare in un edificio pubblico… ammesso che questo lo sia >>.

<< Ma certo che lo è! >>  esclamò l’altro allargando le braccia in un gesto di esasperazione e tutti ammutolimmo (anche Malcom, che sta sempre zitto). Featherstone non aveva mai sbalzi d’umore e meno che mai repentini; c’era qualcosa nel tono, come se ora cercasse di spiegare ben altro d’una lezione di astronomia. << Non mi sembra ci siano molte differenze tra te seduto al banco e la pecora a brucare >> obiettò ancora con tanto di fronte aggrottata, prima che Cal riaprisse bocca.

<< Bene >> riprese poi, tornando al suo fare gioviale di sempre, << parlavamo degli anelli di Saturno… quante dita della mano pensate gli servano? >>.

La pecora ad ogni modo rimaneva un problema legato per lo più all’odore e ai belati improvvisi durante il giorno; insomma, alla fine ci si fa l’abitudine un po’ come per i clacson delle macchine e l’onnipresente cappa di smog. Certo, ogni tanto sputacchiava e inciampava tra un pallone e l’altro, ma faceva la sua presenza. Inoltre era l’unico essere vivente che ritrovavamo, mattino dopo mattino, a intonare un sentito beee di saluto.

E badate, non tutti tenevano da conto simili cortesie. Molti dei nostri compagni spesso saltavano qualche ora di lezione, poi il pranzo e infine il giorno seguente ti lasciavano una matita smozzicata e una gommina con sopra il calco di un paio notevole d’incisivi e il lavoro di rosicchiamento lasciato a metà.

Almeno questo fu il caso di Gerard: lui era il mio terzo compagno di banco quest’anno, finché non scomparve. Era un ragazzo piuttosto silenzioso (sempre troppo impegnato a modellare qualcosa sotto i denti), ma un grande ascoltatore. Ormai tra un crunch e l’altro si era creata quasi una sorta di confidenza. Una volta mi aveva anche raccontato di essere riuscito a temperare una matita, con i propri denti; io carburai la notizia soltanto il giorno dopo, e quando volli informarlo sulla prevenzione e i rischi di un uso sbagliato della propria bocca non si fece più vivo.

Tutto sommato la presi bene. D’accordo, mi dispiaceva che un altro della nostra classe fosse sparito, ma così com’ero certo che Gerard avrebbe dovuto ben presto fare i conti con una dentiera mobile altrettanto lo ero sul fatto che sarebbe stato ben presto rimpiazzato.

E infatti, qualche giorno dopo, a prendere il posto della sedia accanto alla mia fu Wesley.

Funziona così da quando sono arrivato: uno sparisce e un altro compare. Il che in fondo è un bene, visto che oltre a essere l’unica classe presente nella scuola siamo anche mal’assortiti.

Prendete Rodge, ad esempio: sta qui da molto prima di me, e non è cambiato di una virgola. Perché, sapete, a parte farneticare nozioni mortalmente noiose i nostri professori ripetono spesso che Stare qui ci aiuterà a uscire. Da cosa, non ho ben capito, fatto sta che Rod è di gran lunga avanti a tutti noi altri: è già fuori come un balcone.

Capita che mi ritrovi a fare da arbitro nell’unico sport che più o meno tutti conoscono: il calcio. Anche se le regole sono un po’ inventate sul momento e ogni tanto io fischio solo per il gusto di movimentare la scena di dieci esaltati che corrono appresso a una palla (Bill di solito si assicura che Betty non venga colpita e le tiene compagnia. Benché non credo lei lo ritenga una figura confortante). Quella volta, dopo dieci minuti di miei sbadigli e controllata alle unghie, fischiai una punizione per la squadra di Rod.

<< Ehi, Rodge, tocca a te battere! >>

<< Forza, Rodge, senti la palla, focalizza >>

<< Sì, focalizza la porta, ce la puoi fare: il centro sta proprio lì davanti a te >>

<< Punta bene quei piedi, puntali, fai una bella rincorsa, così… con forza Rodge, tira con– >>.

<<... Beeeeee >>.

<< No, Chessy! >>.

Alla fine venne fuori che la pecora era stata comunque lisciata (per sollievo generale di tutti, e in particolare di Bill) grazie alla mira pessima di Rod, ma almeno per qualche giorno avrebbe mantenuto la lana arruffata e sputacchiato con più energia del solito.

Tirando le somme, tra chi aveva la capacità di focalizzarsi di un bradipo con i pattini e chi aveva crisi ormonali per ogni genere femminile, c’ero io. In verità non amo parlare di me, anzi, non amo parlare di niente in generale. Sono probabilmente qui per sbaglio, ma non è che sia questo dramma alla fine.

Ad ogni modo, da un paio di giorni a questa parte, iniziavo a sentirmi diverso. Come se dentro di me qualcosa cominciasse a punzecchiare la mia visione delle cose in maniera diretta e martellante, e non volesse andarsene.

Wesley diceva che quella sensazione si chiamava fastidio. Wesley era quello bravo a dare un nome alle cose. Ma non ero sicuro che fosse proprio quella la parola.

Col passare dei giorni aumentava e addirittura mi rese inquieto (penso si dica così). Incredibilmente, la soluzione mi si presentò quando mi ritrovai a fissare il mio compagno di banco, intento in una delle sue solite facce strampalate, e una serie di versi altrettanto equivoci.

Lui allora ricambiò il mio sguardo e mi sorrise (almeno credo: la bocca sembrava più una doppia vu molto arrotondata). << Tu che ci fai ancora qui? >> gli chiesi, con qualcosa di somigliante allo stupore nel tono della voce.

Wes accentuò il sorriso rispondendo semplicemente con un << Potrei dire lo stesso di te >>.

Quello che trovavo insolito in Wesley era stata la sua capacità di adattamento. Nonostante fosse l’ultimo arrivato, era quello che aveva capito fin da subito come funzionassero le cose qui dentro. Molto più di Cal e di tutte le sue teorie di complotto da parte di alieni mutaforma che ci tenevano come cavie per i loro esperimenti culinari.  Anche se a essere onesti, la mensa della scuola metteva a dura prova le papille gustative di tutti noi; per ben inteso, non si mangiava male, ma il più delle volte identificare cosa stessi infilzando con la forchetta richiedeva una buona dose di inventiva:

<< Perché stai tagliando le polpette con un cucchiaino? >>

<< Veramente è un budino alla fragola >>.

<< Ma è beige >>

<< Sì, be’, pensa alla tua frittata >>

<< … è roastbeef >>.

Insomma, quello che stavo dicendo è che Wesley mi aveva fatto arrivare alla fonte del mio malessere: non c’era stata nessuna sparizione nell’ultimo mese. Ma forse la cosa che più non mi tornava era perché gli altri non ne parlassero.

Ero certo che se ne fossero accorti, e non era neanche improbabile che fossi stato uno degli ultimi a rendersene conto. Sembravano tutti a loro agio, meno tesi sulle sedie e più ciarlieri. Anche i professori non ci fecero gran caso, così come non se n’erano mai curati prima.

L’unico che invece sembrava essersene intristito (come avrebbe detto lui) era Wesley. Non pareva esattamente dispiaciuto, piuttosto come preoccupato: ora la sua bocca assomigliava a una linea di matita con gli angoli all’insù appena tratteggiati. Io d’altra parte non riflettei più di tanto se esserne turbato o meno. Era qualcosa di imprevisto e lo stesso Malcolm (che si trovava qui da più tempo di tutti noi) confermava non essere mai successo. Almeno da quanto riferiva Jan.

Ma qualche giorno dopo fu Cal a venire a parlare da me.

<< Indovina >> mi fece, sedendosi sulla sedia di fronte con un vassoio in mano.

<< Te lo ripeto, non credo siano le carote la causa di quel prurito a– >>.

<< No no, non c’entra >> replicò in fretta, mascherando un colpo di tosse. << Senti qua: lo sai cosa ho visto di fronte alla porta del preside ieri mattina? >> chiese compiaciuto, e se non avesse fatto così con tutti avrei detto che ci stesse provando. << Biada >>.

A me non sembrava niente di emozionante, ma non volevo deluderlo. << È fantastico >>.

<< Esatto! >> abboccò entusiasta. << Avevo ragione su tutta la linea >>.

<< Sono contento, ma… >> replicai, << perché lo stai dicendo a me? >>.

Cal strabuzzò gli occhi. << Te ne ho parlato qualche mese fa, Nath, riguardo la pecora e il preside >>.

<< Oh, ma certo >> improvvisai, un attimo spiazzato al pensiero che oltre a non-esserci il nostro direttore aveva anche propensioni particolari. << Mi raccomando: non dirlo a Bill, potrebbe rimanerci male >>.

<< Sto dicendo che il preside è l’ovino >>.

<< Una pecora che gestisce la nostra scuola? >>.

<< Pensaci: spiegherebbe ogni cosa >>

<< Intendi dire che darebbe senso al cibo indistinguibile, al tempo sballato, agli orribili vestiti di Featherstone, alle sparizioni e all’animale da pascolo? >>.

Cal sembrò pensarci su. << Okay, non proprio a tutto >>.

Assunsi un’aria che avrebbe dovuto risultare scettica (ultimamente stavo diventando bravo).

<< Non spiega neanche perché nessuno sparisce più >> feci notare, mentre punzecchiavo un rigatone nel piatto con la forchetta.

<< Sono quasi sicuro c’entri la pecora >> disse allora, con fare cospiratorio.

Inspirai a fondo. << Senti, vorrei stare a sentirti, davvero, ma– >>.

<< Hai notato che tutti quelli che spariscono il giorno prima si sono avvicinati a Pam? >> continuò Cal guardandomi con insistenza.

<< Deve avere uno stomaco notevole >>.

Lui aggrottò la fronte. << Non scherzare, sono convinto che anche Wes la pensi così >>

In effetti era vero. Wesley mi aveva accennato qualcosa a riguardo, ma pensavo fosse uno dei suoi deliri da eroe manga.

<< A proposito, dov’è? >>.

<< Nel dormitorio, dice che lo aiuta a pensare >>.

Oltre ai professori, non c’era un vero e proprio personale. Ogni tanto appariva Glenn, il custode della scuola: appena finite le lezioni si assicurava che la porta dell’aula non rimanesse aperta, come quella dell’entrata principale. L’unica porta sempre chiusa rimaneva quella direzione.

Come per la stragrande maggioranza delle cose qui dentro, abbiamo finito col farci l’abitudine. Io ero uno tra quelli che prendeva tutto per il verso giusto, senza stare tanto a farsi domande. Ma probabilmente non ero l’unico a trovare questo posto tutt’altro che malaccio; in un certo senso fa pensare come mai nessuno abbia mai tentato in qualche modo di scappare durante tutto questo tempo.

Cal sosteneva fosse per via del cibo. Ci tengono sotto controllo sedandoci tra una foglia di lattuga e un muffin, diceva (ultimamente metteva in mezzo  anche la teoria dei lassativi).

Droghe a parte, Wesley non migliorava: passava diverso tempo a scrutare da fuori la finestra che dava sul cortile, impensierito. Io in quanto suo compagno di banco mi sentivo tutto sommato in dovere di preoccuparmi per lui; non era facile avvicinarlo e né tanto meno amava parlare (non quanto Jan, almeno). Sarà che la maggior parte di noi lo trovava inquietante, mentre a me spiazzava la sua capacità espressiva: sul viso c’era una continuo alzarsi di sopracciglia e zigomi, aggrottamenti e smorfie. Un pasticcio, insomma.

Così una sera, decisi che era arrivato il momento di sfoggiare tutta la perplessità di cui ero capace e comunicarla agli altri.

<< Secondo me è strano >> dissi d’un tratto con il tono della voce un po’ più alto del normale, quando ormai le luci del dormitorio si erano spente e in sottofondo si sentiva quello che sembrava un russare piuttosto insistente. << No? >> continuai cercando un cenno vago di risposta.

Okay, magari non avevo scelto il momento più adatto, ma era una delle poche situazioni in cui eravamo riuniti tutti in uno stesso posto e poteva essere l’occasione per condividere delle idee.

Un grugnito qualche letto più in là mi convinse a ritentare. << Dicevo >> mi schiarii la gola in modo che la voce fosse ancora più udibile, << è insolito che all’improvviso non ci siano più sparizioni. Questo non vi fa pensare? Va bene, le teorie di Cal sono un tantino azzardat– >>.

<< Ma la vuoi piantare? >> replicò d’un tratto Bill due letti più in là con un filo di quello che doveva essere irritazione, nel tono.

<< Già, stiamo cercando di dormire >> si accodò Phineas vicino a lui, sbuffando un idiota tra i denti.

<< Che succede? >> intervenne allora Cal, mettendosi a sedere allerta. << Stanno venendo a prenderci? >>.

<< Chi è che sta arrivando? >> domandò poi confuso Rodge, nel letto di fronte al suo.

<< Come chi?! I conigli mannari! >>.

<< …? >> si unì Malcolm, quando ricevette un calcio da Cal che nel frattempo era sceso giù dal letto con un salto e aveva preso a girare per lo stanzone dimenando le braccia.

<< Niente, Mal, è quel rompiballe di Nathaniel >> rispose Jan. << Dev’essere in quel periodo del mese >>.

<<  Zitti tutti adesso >>. Era stato Wesley a parlare, frenando per un momento la baraonda in atto. << Lasciatelo parlare >> seguitò, sollevando la testa dal cuscino e guardando dritto nella mia direzione. Anche se era quasi del tutto buio, intuii che mi stesse sorridendo. O forse stava sbadigliando. Quello che fosse, lo presi come incoraggiamento e tra sbuffi di protesta vari continuai:  << Voi cosa pensate succederà ora che siamo rimasti solo noi? Voglio dire, perché nessuno se n’è ancora andato? >>.

Calò di nuovo il silenzio. Ma questa volta sembrava un po’ più denso.

<< A me pare un bene >> disse Phineas, poggiando i gomiti sulle ginocchia. << Non sappiamo neanche che fine facciano quelli che scompaiono >>.

Ci furono mormorii d’assenso (Cal stava ancora farneticando “mannari mannari”, anche se pareva più calmo).

<< Non sono d’accordo >>. Wes si era alzato dal letto. << Non ricordate cosa dicono i nostri professori? Dobbiamo stare qui dentro per poter uscire >>.

<< La signorina Limon ha detto anche che la luna è un marshmellow gigante ma– >>.

<< Featherstone intendeva il mondo reale, dove vivevamo prima di adesso  >>  incalzò Wesley, l’espressione era per la prima volta stranamente immobile.

<< Stai dicendo che… siamo bloccati qui? >> chiese allora Bill, stringendo il cuscino tra le braccia.

Tutti tacquero di nuovo. Intanto qualcuno aveva acceso una luce e le facce di ognuno erano tra lo scombussolato e l’assorto (io ero ancora indeciso tra le due, ma avevo comunque un sopracciglio sollevato in maniera significativa).

<< La pecora >> disse d’un tratto Cal, in quello che sarebbe dovuto sembrare un momento di lucidità. << Credo sia lei l’artefice di tutto >>.

<< Che c’entra Chessie? >> chiese Bill subito risentito, ma gli altri non parevano avergli dato granché retta, ancora occupati a metabolizzare il tutto. Nel frattempo, si stava avvicinando l’alba e il buio nello stanzone si era rischiarato di un po’.

<< Seguitemi! >> replicò invece Cal incamminandosi a passo di carica verso la porta (la folgorazione del momento gli aveva decisamente fuso i neuroni sopravvissuti fino allora). E non si sa bene per quale motivo ma dopo i primi trentasette secondi di incertezza ci ritrovammo davvero a seguirlo.

Prendemmo a percorrere il corridoio che portava dritto alla porta del preside in fila indiana, tra una spintonata e l’altra e gli shhh! di Cal a intimarci di starcene buoni. Ci acquattammo lungo il muro appena sentimmo un rumore provenire più avanti, come di qualcosa di incastrato che fa fatica ad uscire. Sporgendomi per vedere meglio notai nella penombra la porta della direzione aperta e un ammasso scuro intrappolato fra gli infissi. Strabuzzai gli occhi e misi a fuoco un’altra figura dietro in una posizione quasi ingobbita sulla prima.

Fu Malcolm a rompere il ghiaccio. << …?! >>.

<< Professore… ?! >> ripeterono in coro tutti gli altri (io mi limitai ad una espressione di incredulità). La figura ingobbita di prima si allungò di colpo e sembrò inclinare quella che doveva essere una testa a forma di pera. << Che… che ci fate qui? >> parlò poi l’ombra affusolata, mentre l’ammasso sospeso nella porta non mosse un muscolo. Tutti facemmo un passo avanti.

Era Featherstone, realizzai ora da più vicino, in una sgargiante tenuta da notte. Con Betty incastrata nel mezzo. << Ah-ah, lo sapevo! >> fece Cal, puntando il dito contro la scena madre.
<< Pervertito! >> disse Bill da poco più dietro, l’unico che sembrava aver interpretato la cosa in maniera sconcia.

<< La pecora è a capo di questa scuola! >> continuò Cal ignorando l’interruzione, e nessuno osò fiatare. Betty intanto ruminava soddisfatta (qualche volta agitava le zampe e allungava il collo per tentare di recuperare altra biada).

Featherstone sbatté le palpebre più volte, in un’espressione a metà tra lo stupore e l’imbarazzo, spostando lo sguardo su ognuno di noi mentre il grande cappello floscio a forma di pera - con tanto di pon-pon sulla punta - ondeggiava. Sospirò.

<< Ehm, va bene ragazzi, meglio che vi spieghi >>.

Qualche ora più tardi (dopo aver sbloccato Betty, legato Cal ad una sedia, tranquillizzato Bill e di nuovo sbloccato la pecora) si scoprì che Featherstone non era né un depravato né un sequestratore o un coniglio mannaro. E la pecora era soltanto una pecora.

In pratica, essendo sprovvisti di una stalla e visto che l’unica posto libero era proprio l’ufficio del non-presente preside, i nostri professori avevano pensato di comune accordo di metterla lì per la notte. Però ultimamente era un po’ ingrassata, per via di tutte quelle ore lasciata sola a masticare foraggio.

Comunque, benché piuttosto interessante come storia, non spiegava le sparizioni. E rimaneva il fatto che noi non avevamo un preside.

<< Perché le sparizioni, perché noi siamo ancora qui? >> aveva preso allora la parola Wes, dando voce per la millesima volta agli interrogativi di tutti noi. Ma Wesley doveva possedere una qualche dote magica.

Infatti il professore dopo averlo guardato per qualche secondo, sorrise. << Non ci siete ancora arrivati? >> disse, stavolta soffermandosi sulle facce d’ognuno di noi. << L’ufficio del preside è vuoto, è vero. Ma per il semplice fatto che siete voi l’unico direttore esistente >>.

<< … ? >> intervenne prontamente Malcolm, mentre tutti gli altri erano troppo occupati a slogarsi la mascella e fare espressioni buffe.

<< Già, che vuol dire? >> tradusse Jan qualche secondo dopo.

Featherstone si lasciò mollemente andare su una sedia accanto a Cal. << Basta pensare a come siete arrivati qui >> cominciò. << Tutto in questo posto >> allargò le braccia ad indicare lo spazio attorno, << l’avete creato voi,  lo gestite voi… è sempre stato nella vostra testa >>. Lo slogamento delle mascelle proseguì. << Non scompare più nessuno perché siete voi a non volervene andare e non volete che altri si aggiungano >>.

Prima che fosse necessario chiamare il reparto ortopedia, Wes parlò di nuovo. << Quindi anche lei e gli altri professori sareste… nostre proiezioni mentali? >>.

Featherstone sorrise ancora. << Si può dire così >>.

<< Ma è assurdo >> intervenne Phineas, mentre si grattava una guancia ricoperta da scotch.

Il professore aggrottò la fronte. << Non credo che l’espressione “essere fuori dal mondo” vi sia nuova  >> disse solo. A quel punto tutti noi ci guardammo l’un l’altro, con un tacito altroché! negli occhi. Una volta mia mamma era riuscita a dirmelo urlando per dieci volte di fila: ha sempre avuto dei grandi polmoni. << Allora >> il professore si alzò in piedi, << chi mi aiuta a portare Ginger in cortile? >>.

Inutile dire che si offrì subito Bill. Assieme agli altri l’accompagnai giù (anche a Cal venne concesso di essere sbavagliato) e fino a che non entrammo nel portico ci fu uno strano silenzio. Appena venne lasciata andare, la pecora belò un “grazie” e riprese a farsi i fatti propri.

<< Pensate sia tutto vero? >> chiese qualcuno, e mi stupii quando riconobbi la mia voce.

<< Avrebbe senso >> rispose Wes, seduto su uno scalino poco distante da me. << Spiegherebbe gli orologi fermi e l’assenza di ragazze >>. In un attimo, tutti pendemmo dalle labbra di Wesley.

<< Se è vero che siamo fuori dal mondo, allora anche questo posto lo è: nel reale il tempo scorre mentre qui no >> continuò, gli occhi enormi e limpidi mentre gesticolava.

<< Perciò è tipo stare “in pausa”, alla maniera dei videogiochi >> espose il suo esempio calzante Rod.

<< Stai dicendo che in realtà qualcuno di noi è una femmina? >> domandò poi Bill perplesso, ritornando sull’altra questione.

<< No, sta dicendo che le ragazze sono troppo in gamba per finire in posti del genere >> risposi io per lui e mi ritrovai gli occhi di tutti puntati addosso. << L’ho letto una volta in un libro >> spiegai facendo spallucce.

<< Credete che… dimenticheremo ogni cosa una volta tornati? >> chiese d’un tratto Jan ma stavolta nessuno voleva conoscere la risposta. Ce ne rimanemmo seduti in semicerchio, cercando il più possibile di non incrociare lo sguardo l’uno dell’altro.

<< Però ragionate un attimo >> parlò poi per la prima volta Cal, assorto. << Se non fosse stato per la pecora non avremmo mai scoperto la verità. L’entrare e l’uscire da questo posto era stato bloccato per causa nostra e in fondo non era poi così giusto: ci sono altri come noi fuori di qui, e lo scopo non è rimanere, ma prendere fiato dal reale… Sì, insomma, non avrebbe più senso se fosse stata Pam fin dal principio a gestire tutto, a farci capire che stavamo sbagliando? E il fatto stesso che l’abbiamo trovata nell’ufficio del preside non vi fa pensare che fors– ? >>.

<< Pallaaa! >> avvertì Rod in posizione per tirare. Nessuno lo stava più ascoltando dal ragionate un attimo. E il fatto era che cinque minuti prima Malcolm aveva proposto: << …? >>. Quindi ora erano tutti presi a giocare.

In verità, anch’io mi ero un attimo perso quando Wes aveva stretto la sua mano nella mia. Lei in tutto questo ci osservava ignara a bordo campo, gli occhi acquosi e il muso intento a odorare l’aria.

D’improvviso il pallone lanciato da Rod disegnò una perfetta curva nel cielo dritto verso il lato in cui si trovava Betty. Mi girai sperando si spostasse in tempo, ma non c’era già più. Un forte odore di muschio mi fece riportare lo sguardo ai piedi: stava brucando le mie scarpe.

Preside, se non fosse per tutta quella lana al vento, sarebbe anche stata credibile.

 

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

 

Mia prima vera originale nonché partecipante ad un concorso. Al di là del risultato ringrazio l’UR per l’opportunità di avermi fatto impegnare di qualcosa che andasse oltre la carta elettronica della rete.

Se fosse stato per me, la storia sarebbe stata un filino più lunga: ergo, come minimo altre dieci pagine di sbattimento di scatole per voi lettori su questa combriccola di poveri pazzi e ovini occasionali. XD

Seriamente: avrei voluto scrivere di più perché la fine non fosse così sbrigativa, per dire, ci sarebbe stato ancora taaanto da aggiungere. Comunque sia!, i caratteri concessi erano finiti ed è andata così e non mi lamento. Piuttosto ringrazio la Sis - ergo la Ross, aka Lady Antares Degona Lienan - perché senza di lei non avrei saputo dove sbattere la testa non avrei mai avuto il coraggio di inviare la traccia alle 23 e 57, e soprattutto la pecora sarebbe rimasta solo una banale pecora.

Grazie per non avermi ucciso ma essermi stata accanto.

 

Piccole precisazioni

 

1) Se ve lo state chiedendo, sì: Betty, Chessie/Chessy, Pam e Ginger sono la stessa persona - o meglio, ovino: la pecora.

2) La frase di Nathaniel, “Le ragazze sono troppo in gamba per finire in posti del genere” non è mia, ma di Barrie, il creatore di Peter Pan.

3) E no, se avete notato un vago slash, non è solo un'impressione.

4) La pecora è il preside, una pecora e basta, o un dio-ovino di un mondo parallelo? A voi l’ardua sentenza. C:

 

 

Anle

 

  
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