Nella calda aria afosa di
quell’estate di tanti anni fa, un potente tuono ruppe il silenzio cocente. Un
boato assordante che fece trasalire il ragazzo seduto sul suo letto a leggere I
principi della Matematica. Alzò gli occhi dal libro, e con mezza bocca aperta,
si voltò verso la finestra della sua camera. Fino a quel momento non si era
accorto di come il tempo fuori stesse cambiando, e assumendo toni sempre più
scuri e minacciosi. “Porca miseria…” bisbigliò, e lasciando cadere il libro sul
materasso, si alzò e corse verso la finestra. Scostò una tenda, e ciò che vide
al di là del vetro lo rese dapprima impaurito, poi sbalordito, poi eccitato.
C’era aria da temporale, ragazzi,
uno di quei temporali estivi che fanno paura persino agli adulti, anche se loro
ci scherzano sopra. Aprì la finestra e inspirò profondamente il vago odore di
ozono che pervadeva l’aria. Ma la cosa più straordinaria era la luce; sembrava
quasi che fosse una specie di lotta tra il dio Notte e il dio Giorno: e la
situazione era di parità assoluta. Un’atmosfera verde, non nera né luminosa;
proprio una via di mezzo che ne faceva una cosa spettacolare agli occhi del
ragazzino. Stette lì ancora un momento, a guardare i riflessi strani sui vetri
delle finestre delle altre case, e a inspirare un po’ di quell’aria così
strana. Dopodiché, chiuse la finestra, e correndo all’impazzata attraverso la
casa – quasi non urtò sua madre, e attento a dove corri prima di andare a
sbattere contro qualcosa – e si diresse alla porta di casa.
Uscì sulla verandina, e iniziò a
guardare il cielo… diavolo ragazzi, era così scuro! Ma da un lato era pure
limpido e chiaro, quasi fosse una mescolanza tra due giorni diversi! Andò al
cancello del giardino, tutto eccitato, e con le mani aggrappate alle fredde
trame di ferro, guardò in strada: non c’era in giro nessuno, nemmeno un cane.
Tornò velocemente indietro sui suoi passi, e aprì, tramite il pulsante sulle
scale, il cancello del condominio. Uscì in strada, e proprio nel momento in cui
metteva un piede fuori dal giardino, un altro tuono scosse la giornata di quel
10 luglio 1997. Preso da chissà quale ispirazione, il ragazzino prese a
camminare, sempre più velocemente, per la strada. Tempo trenta secondi e stava
correndo, non all’impazzata come poco prima in casa, bensì ad un’andatura
regolare e non faticosa per il suo giovane corpo. Un’andatura da jogging, se
vogliamo. Intanto, i suoi giovani occhi schizzavano quasi nelle orbite, prima a
guardare il giardino della signora Maria, poi il negozio della cartolaia.
“Sembra tutto così strano!” si disse mentre perseguiva a correre. Quasi senza
rendersene conto. Eppure macinava metri dopo metri, e dopo pochi minuti stava
già correndo sullo stradone che divideva in due il paese. Una macchina – bella
grossa, un BMW – gli schizzò accanto a tutta velocità, lui spaventato si
appiattì per quanto poteva contro il muro in possente pietra che costeggiava la
strada, poi, sorprendendosi pure lui della sua intraprendenza, levò in aria un
braccio, e fece il Gestaccio, quello che usava fare insieme ai suoi (pochi)
amici.
«Vaffanculo!» - gridò al
conducente della BMW, che comunque non se ne accorse poiché andava veramente
troppo veloce, e il ragazzo tenne il braccio alzato per tutto il tempo finché
non vide più la macchina, che scomparve dietro una curva. Nel momento in cui
abbassava il braccio sentì la prima goccia. Lo urtò sulla mano con talmente
tanta forza che dapprima penso che qualche uccello gli avesse scaricato un
ricordino addosso. No, poi guardò meglio e capì che era proprio acqua e che il
temporale stava finalmente aprendo le danze. E per quel giorno lui corse,
corse… sotto alla pioggia, si sentiva libero, il temporale non lo spaventava
più, anzi dannazione, gli piaceva, lo faceva sentire leggero e volare nell’aria
di quella giornata così speciale… e quelli che lo guardavano dalla finestra
delle loro case! Oh mio Dio, guarda quel bambino! E lui intanto correva, con un
sorriso sulle labbra, e si sentiva così felice, dannazione, si sentiva
libero. E la pioggia non accennava a smettere, anzi, se possibile aumentava
costantemente d’intensità! Eppure faceva un caldo assurdo, ed era così bello
sentire il ciaff ciaff che facevano i suoi piedi – le sue Nike Air, Dio
come gli piacevano quelle scarpe, grazie mamma, ti voglio bene! – sull’asfalto
fumante, e le gocce che gli cadevano in testa, sembrava una doccia! Una doccia
assolutamente naturale e imponente… E continuava a correre, sotto quelle nuvole
per altri minacciose e che lui trovava così meravigliose. Corse quasi fino al
paese sotto il suo, distante 6 km. Eppure pioveva ancora, e sentiva di poter
correre fino in capo al mondo, finché avesse continuato il temporale. Ma quando
sarebbe finito? Eh vabbé, ci avrebbe pensato al momento, per ora continuava a
correre nella pioggia, e i capelli gli ricadevano sul viso, quei capelli che
erano sempre stati ricci ora ricadevano lisci e scuri sulla sua faccia e – Dio
quant’era bello! – arrivò al centro del paese sotto il suo, non c’era
nessuno per le strade, tanto meno BMW
spericolate. E quindi si sentiva potente, e libero e leggero, e quindi
passò troppo leggermente, troppo liberamente, troppo prepotentemente in mezzo
all’incrocio principale della città, e poi qualcosa lo prese in pieno, giusto
il tempo di accorgersene, e di sentire vagamente il rumore assordante di un
clacson nell’aria così calda di quella giornata e lui era per terra, e tutto
perse consistenza, e un attimo dopo tutto diventò buio e freddo.
«Hey ragazzo, oh mio Dio, ragazzo!
Oh cazzo no, cazzo no fa che non sia così, no!» - il grosso conducente del
grosso TIR scese con un balzo dalla sua cabina, senza nemmeno preoccuparsi di
chiudere quella maledetta portiera, e, MALEDIZIONE!, cosa diavolo aveva
combinato, non ci poteva credere. Si diresse verso quel corpicino riverso in
mezzo alla strada, e si accorse in quel momento che sull’asfalto fumante di
quel tratto di strada, l’acqua che defluiva verso i tombini era colorata di
rosso, un rosso scuro, un rosso che lo avrebbe perseguitato per tutta la vita
nei suoi sogni agitati. «NO CRISTO NO, EHY RAGAZZO SVEGLIATI PER PIACERE, SU
ALZATI TI PREGO! OOHH!» Singhiozzi proruppero nella sua gola, e gli impedirono
di dire altro, mentre, accasciato contro il corpo ancora caldo del ragazzo,
guardava il viso – era così giovane ancora, Dio perché?! – e gli occhi
spalancati e senza vita che cominciarono, lentamente, a riempirsi di pioggia.