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Autore: SweetTaiga    05/07/2011    4 recensioni
TERZA CLASSIFICATA AL CONTEST "NEL NOME DEL CUSTODE" DI Ss904.
"In un’epoca in cui l’uomo è ormai pieno di sé, soggetto alla convinzione di avere nelle proprie mani tutti i misteri del mondo, la vita è dura per gli Angeli Custodi. Nessuno crede davvero in loro, ma per timore vengono invocati senza alcun riguardo, con opportunismo ed avidità. Persino Menadel, l’angelo che favorisce la realizzazione personale, smette di credere in sé e negli esseri umani. La sua fiducia nel prossimo e nelle sue stesse capacità si affievolisce, fino a quando non viene affidata alle sue cure una ragazza dall’animo puro e con un grande sogno nel cuore. Menadel riuscirà a salvare la ragazza, o sarà la ragazza a salvare Menadel?"
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Jerry93,
che è un po' il mio Angelo Custode.
Grazie.

 

 


TERZA CLASSIFICATA AL CONTEST "NEL NOME DEL CUSTODE"

- Data Scelta e Angelo assegnato:
Data 22/09/1993
Il tuo angelo custode è Menadel
Fa parte del Coro delle Potestà
Si colloca dal 26° al 30° della Vergine
Il suo elemento è Terra
- La sua qualità
Favorisce la realizzazione personale e la conquista di una posizione di prestigio all'interno della società. Libera dall'oppressione di chi cerca di imporsi dominando, ottenendo rispetto e gratitudine. Indica la via da seguire nella vita quotidiana per realizzare i propri desideri.


La salvezza dell’ Angelo Custode

Sento la gente chiedersi come nasca un angelo custode.
Sento la gente implorare l’aiuto di un angelo custode.
Sento la gente imprecare contro un angelo custode.
Non vedo gente credere in un angelo custode.



Avevo sette anni la prima volta che sentii i miei genitori nominare Dio, invocando il suo aiuto.
Quando chiesi chi fosse, mi risposero che era un uomo buono e misericordioso.
Chiesi di conoscerlo, di poter andare da lui.
Mia madre mi guardò con occhi sgranati, pieni di terrore. “Non dire queste sciocchezze!”, esclamò.
Non capii perché raggiungere un uomo così meraviglioso fosse motivo di tanto dolore.


Era l’alba dei secoli, quando per la prima volta compresi ciò che sono.
Non ricordo cosa ci fosse prima, né saprei dire se ci sia davvero stato un prima.
Sapevo solo di dover proteggere, esortare a non arrendersi.
Io, che a malapena riuscivo a ricordare il mio nome, dovevo aiutare gli altri a ritrovare se stessi.
Io, che non conoscevo il mio passato, dovevo invogliare gli uomini a conquistarsi un futuro.



Mio padre era il capitano di una grande nave.
Questa grande nave affondò in una notte d’inverno, mentre la tempesta assaliva ogni luogo.
Persino nei miei sogni v’era tempesta.
Mi alzai a notte fonda, abbracciando l’ultimo dono di mio padre.
Avevo dieci anni, e quell’enorme arpa d’oro era tre volte più alta di me.
Piansi senza motivo.
La mattina, quando mi dissero che mio padre era annegato con la sua nave, non avevo più lacrime.
Sentii mia madre implorare Dio, di nuovo.
Io urlai silenziosamente il nome di mio padre.



Un tempo era più facile, era tutto semplice.
L’uomo credeva, l’uomo temeva, l’uomo viveva.
Dio, il mondo, la vita stessa erano un mistero da scoprire pian piano,
qualcosa di incomprensibile da accettare a cuore aperto.
Noi angeli, noi protettori, venivamo venerati, accettati ed inconsapevolmente ascoltati.
Bastava posare la mano sul braccio di un uomo per infondergli il timore di Dio ed allontanarlo dal peccato, da quella selva oscura di intrighi, sofferenze e beni illusori che tentavano e tentano tutt’ora l’essere umano.
Ora, invece, possiamo anche frapporci col corpo tra l’uomo e quel luogo oscuro,
ma veniamo superati senza il minimo sentore di esitazione.

Dopo la morte di mio padre, l’arpa era la mia unica ancora di salvezza.
Suonavo senza sosta, accarezzando le corde come se avessi sotto le dita le mani ruvide di mio padre.
Mia madre, distrutta dal dolore, aveva smesso di lavorare.
Sapevo di avere in pugno le redini della situazione.
Il carro della mia vita, però, era trainato da cavalli veloci e poco ubbidienti.
Per stringere quelle redini, per riprendere il controllo della mia vita, dovetti abbandonare l’arpa.
Iniziai a pulire i pavimenti delle navi che si fermavano nel porto del mio paese, assaporando il sapore dell’avventura di cui mio padre era così innamorato.
Eppure non mi sentivo sola.
Sapevo di non essere sola.


Alcuni ci chiamano angeli, altri protettori, molti coscienza.
Nessuno ci ascolta.
O quasi.


Mia sorella più piccola, Maddalena, piangeva spesso.
Passarono gli anni, e le sue lacrime si trasformarono in un triste sorriso.
Maddalena era una fanciulla di poche parole.
Quando nostra madre morì, un giovane marinaio chiese la sua mano.
Lei accettò quel matrimonio senza amore.
Lessi nei suoi occhi la disperazione: qualsiasi cosa, pur di abbandonare quelle mura piene di dolore.


Sento che dovrei essere fonte di ispirazione, porto sicuro, donatore di forza e di fiducia,
possessore di quella volontà e di quella passione che aiutano a sopportare il duro lavoro.
Ma quando un angelo ha bisogno di ritrovare la retta via, cosa accade?
Esiste un protettore per gli angeli custodi?



La solitudine non mi spaventava.
La casa però era troppo grande per una sola persona, così misi in affitto il piano superiore, e tenni per me solo un paio di stanze.
L’aula di musica rimase chiusa.
L’ultimo dono di mio padre giaceva addormentato, come in attesa di essere accarezzato di nuovo.



La bambina che mi è stata affidata ha gli occhi grandi, di un nero cupo.
Lui sa che smarrirà la retta via, ed il mio compito è seguirla passo dopo passo
per tenerla lontana dal peccato e dalla sofferenza, dalla crudeltà e dalle debolezze dell’uomo.
La bambina si chiama Angelica: ho il forte sospetto che
Lui si stia prendendo gioco di me.



Continuavo a fare piccoli lavoretti al porto, ma avevo un vuoto nel petto.
Era come se avessi tradito mio padre.
Mia sorella, Maddalena, era rimasta incinta: servivano soldi per mantenere la bambina, e alzando gli occhi al cielo chiesi perdono a mio padre per la mia debolezza.
Dio restava silenzioso, e non volevo certo essere io a disturbarlo.
Ce l’avrei fatta da sola, mi dicevo, aiutando i pescatori a trasportare il pesce.


Angelica non ha mai pregato Dio.
Non ha mai implorato l’aiuto di un essere superiore,
non ha mai approfittato delle preghiere per ottenere ciò che da sola non riusciva a conquistare.
Credeva nelle sue capacità, Angelica.
Credeva in
Lui,ma non aveva mai chiesto nulla.
Non voleva salvezza, non elemosinava perdono: viveva con impegno e saggezza.
La mia presenza era pressoché inutile: non si rivolgeva mai a me.
Gli esseri umani, seppur increduli e scettici,
si inginocchiano sempre a pregare Dio, quando qualcosa ava storto.
E’ così facile scorgere il più assiduo bestemmiatore,
il più crudele assassino o il più convinto ateo alzare gli occhi al cielo.
“Ti prego, per favore, fai qualcosa, Dio”
Angelica no: non ha mai richiesto nulla, nemmeno nei suoi più remoti pensieri.



Avevamo bisogno di soldi.
E ne avevamo bisogno in una maniera così urgente ed oppressiva che i nostri sguardi rasentavano la disperazione.
Giunsi ad una decisione difficile.
Chiesi scusa a mio padre, di nuovo, e mi diressi verso l’aula di musica.
Dovetti forzare la serratura, perché col passare degli anni l’apertura s’era arrugginita.
Una volta dentro, immense ragnatele mi accolsero all’istante.
L’arpa giaceva impolverata.
Mi avvicinai per accarezzarla un’ultima volta e trascinarla via.
Non ci riuscii.


Sapevo che non aveva bisogno di me.
Eppure sapevo che aveva bisogno di quell’arpa.
Il suo sogno, il suo lavoro, le sue speranze erano legati ad essa.
Non era destinata a vendere pesce o a pulire luride cantine.
Compresi che era necessario mostrarle, per la prima volta, la retta via.
Le posai una mano sul braccio, dolcemente, ed in qualche modo lei mi sentì.
Lasciò l’arpa e si guardò intorno, come se volesse cercare qualcuno.
Poi sorrise.
Lentamente la sospinsi fuori, dirigendola verso un manifesto in bianco e nero.
“Cercasi arpista.”, citava il titolo.
Le presi la mano, accompagnandola sul foglio.
Una firma nera e sinuosa spiccava più delle altre: Angelica.



Senza nemmeno sapere come, mi ritrovai a suonare su una delle più grandi navi della nazione.
Tutti i passeggeri, chiusi nei loro abiti costosi, ascoltavano ammirati la mia musica.
Mi sentivo finalmente al mio posto.
Mia sorella, col suo bimbo in grembo ed il marito accanto, mi seguì.
Chiesi per loro una delle stanze più belle.
Era strano avere di nuovo la possibilità di comprare il meglio per la mia famiglia.
Era strano accarezzare di nuovo le corde dell’arpa.
Era strano, perché sentivo che qualcuno mi aveva condotto fin lì.


Quando Lui mi chiamò avrei voluto gridare, urlare.
Ma gli angeli non gridano.
Gli angeli sorridono e dicono di sì.
Lui mi mostro il corso del destino.
Avrei voluto fare di più.
Quando il momento arrivò, piansi.



Otto mesi passarono in fretta.
Otto mesi di serate al lume di candela, di danze lente, di risate.
Otto mesi passarono in fretta, e mi trovai a sperare che il tempo tornasse indietro.
Nella cabina di mia sorella, il medico era intento a far nascere mio nipote.
Poi ci fu una profonda scossa, un rumore sordo, e fu il panico.
Un immenso iceberg si stagliava di fronte a noi, e l’acqua entrava da ogni fessura.
Il bambino nacque, mia sorella morì.
Pensai che fosse terribile nascere il giorno in cui si rischiava di morire.


Cercai di spingerla verso le scialuppe di salvataggio,
 ma per alcuni interminabili minuti temetti che non volesse abbandonare la sorella,
 che giaceva inerte sul lettino.
Il marito era già scappato, così come il medico.
La vidi guardare il bambino, poi di nuovo sua sorella.
La quarta volta, riuscii a trascinarla via.



Corsi verso una scialuppa.
Sentivo una mano invisibile poggiata sulla schiena, che mi esortava a correre, a fare in fretta.
Mi guardai intorno.
Le scialuppe erano piene di donne, bambini e ragazzi.
Gli uomini stavano baciando per l’ultima volta le loro mogli.
Alcuni si gettavano in mare, seguendole. Altri, rassegnati, le salutavano con la mano, senza timore di mostrare le loro lacrime di dolore.
Scorsi una donna che aveva assistito ai miei concerti.
La chiamai, posandole tra le braccia il bambino prima che la scialuppa venisse  lasciata in mare.
«Salvalo, ti prego.», le chiesi.
Lei annuì, ed una lacrima solitaria le solcò il viso.
«Tutti conosceranno il tuo nome, Angelica. La tua musica diventerà leggenda, lo giuro.», sussurrò la donna, stringendomi per l’ultima volta la mano.
Le sorrisi, poi gridai, mentre la scialuppa raggiungeva lentamente il mare.
«Menadel. Il nome del bambino è Menadel.», dissi, senza sapere esattamente perché avessi scelto quel nome e non un altro.
La scialuppa svanì nell’ombra, in balia delle onde. L’ennesimo scossone colpì la nave.
Mi voltai, e sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla.
Compresi in quel momento il perché di quel nome.
Finalmente, piansi.
«Grazie, Menadel. So che sei qui, so che ci sei sempre stato. Prenditi cura di mio nipote, ti prego. Io credo in te.», sussurrai, e sentivo che mi stavo allontanando da colui che mi aveva sempre seguito silenziosamente.
Mi sedetti accanto agli altri musicisti, ed iniziammo a suonare.
Volevo che la morte mi trovasse così: intenta nel mio lavoro, impegnata a fare ciò che amavo.
Piena del mio coraggio, che ho ritrovato grazie a lui.
«Dio, ti prego, fammi arrivare in fretta da te.»
Con un ultimo scossone, capii che l’unico desiderio della mia vita si stava avverando.
 

E’ proprio vero: passiamo metà della vita a deridere ciò in cui altri credono,
e l'altra metà a credere in ciò che altri deridono.

Deridevo gli angeli che credevano nella bontà dell’uomo,
e questa bambina, questa ragazzina, questa donna che mi ha salvato
credeva in tutto ciò che gli altri deridevano.
Credeva in me, crede in me.
Non pensavo che un essere umano potesse salvarmi.
Non pensavo che sarei riuscito a salvare un essere umano.
Per la prima volta da tempo immemore io, l’angelo del lavoro,
avevo svolto egregiamente il mio compito.
Ed avevo finalmente ricordato il mio nome: Menadel.



 

IL GIUDIZIO DELLA GIUDICIA
 

Terza Classificata: “La salvezza dell’Angelo Custode” di SweetTaiga
Premio Serafino: per la storia che più mi ha colpito


Grammatica:9 punti
Lessico e Stile:10 punti
Originalità:8 punti
Caratterizzazione dei Personaggi:9 punti
Rispetto degli obblighi:15 punti
Gradimento personale:4.5 punti

Totale: 55.5 punti+ 2 punti: 57.5 punti
 
Ritengo che questa sia un ottima storia, corretta sia dal punto di vista ortografico che stilistico. Ho potuto riscontrare solamente l’assenza di un paio di virgole e un errorino di distrazione, niente di sconvolgente insomma! Lo stile che hai deciso di utilizzare è molto particolare, infatti sul momento mi ha lasciato un po’ spiazzata, infatti è fortemente incentrato sulla paratassi. Certo, anche io personalmente non prediligo i discorsi complessi ed ampollosi, ma in questo scritto non c’è dubbio sul fatto che tu ne sia stata più alla larga possibile. Tuttavia la tua scelta, integrata nel giusto contesto, l’ho pienamente condivisa. L’unica altra possibilità che potevi avere era creare un testo diametralmente opposto focalizzandoti su arcaismi e latinismi tentando di dare una valenza più “storica” al tuo racconto. Altrimenti tempo sarebbe risultato uno stile banale, temo. Comunque a parer mio hai fatto un’ottima scelta, quindi ti meriti il punteggio pieno.
La voce originalità ne ha un po’ risentito però, perché il tema che hai deciso di trattare è piuttosto noto e, nel corso degli anni, è diventato un intramontabile classico. Comunque sei riuscita a gestirlo piuttosto bene.
I personaggi sono bene integrati tra di loro e nel complesso ben descritti e tratteggiata la loro personalità.
La frase di Stefano Benni è stata ben utilizzata, ho molto gradito il fatto che sia proprio l’angelo custode a pronunciarla, hai saputo ben fondere entrambi i parametri che avrebbero influenzato questa voce. Il personaggio di Menadel mi è piaciuto come lo hai presentato, come un anima tormentata alla ricerca di quelle risposte che veniva costretto per dovere a fornire agli umani.
In definitiva questa storie mi è molto piaciuta!
Complimenti!


 

   
 
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