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Autore: Ziggie    06/07/2011    2 recensioni
"Scappai di casa a 13anni. Venire picchiato da mattino a sera, da un padre padrone e ubriacone, mi aveva stancato. Non avevo avuto un’infanzia, non sapevo cosa volesse dire essere un bambino, io non lo ero mai stato; non conoscevo l’affetto, io non l’avevo mai ricevuto. Non conobbi il volto di mia madre, morta dandomi alla luce, ma conobbi l’ira del mio vecchio, che ogni sera non mi risparmiava botte e bastonate, così feci quanto andava fatto".
Questa fic parla della vita di Hector Barbossa, sono frammenti che il capitano scrive sul suo diario di bordo quando ancora non è diventato uno tra i temibili pirati dei sette mari. Svariate informazioni sono di mia invenzione, ma la maggiorparte vengono dalle rare informazioni che ci sono pervenute, molti spunti biografici sono presi da questo sito (http://pirates.wikia.com/wiki/Hector_Barbossa) E ora a voi, buona lettura e spero di leggere qualche recensione :)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hector Barbossa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccomi qui con il settimo frammento :D Ancora grazie a FannySparrow che recensisce ogni volta ;) e a tutti i lettori. Yarr Ahrr! E al prossimo capitolo. Buona lettura, gente.


               7. “ E’ Capitan Jack Sparrow”

Il fulcro centrale, dove era solita tenersi la riunione della fratellanza, era quell’ammasso di navi, che formavano una sorta di torre. L’accesso ad essa avveniva tramite cunicoli sotterranei, o meglio sottomarini, dato che la maggior parte del passaggio si trovava sott’acqua. Ogni molo aveva il suo accesso: l’entrata era garantita da alcuni oggetti, che i pirati nobili mostravano ad un energumeno, posto da guardia, delle sottospecie di portafortuna, a mio parere delle cianfrusaglie.
I cunicoli erano dei complessi costruiti con vetro e legno, il primo componeva tutta la parte superiore, l’altro la restante, il tutto era illuminato dalla luce fioca delle lampade ad olio; era grandioso camminare sott’acqua, respirando e rimanendo all’asciutto!

Ragetti e Pintel passarono tutta la marcia a discutere sulla profondità in cui ci trovavamo, mentre io mi limitavo a guardare intorno, come a studiare quel luogo.
- Ancora più in basso e baceremmo direttamente il fondale – grugnì Pintel, mostrandosi più duro di quanto, in realtà, provasse.
- Per lo meno siamo sott’acqua e respiriamo. E’ un’innovazione! – commentò tranquillo Ragetti.
- Innovazione un corno! Se qui cede qualcosa, basta un niente e saremo tutti prigionieri dell’abisso -
Roteai gli occhi, stufo di quella lamentela – Si direbbe che avete paura, mastro Pintel – commentai ovvio.
- Capitano … io … ecco – balbettò appena.
- Vediamo di proseguire senza troppe chiacchiere e se mai dovessimo incappare nel peggio, che tanto temete, affidarvi alle vostre capacità di buon nuotatore, vi darebbe un vantaggio sulle profondità -.

Camminammo per una buona mezzora, prima di giungere ad un’ampia sala: lunga, ma alquanto stretta, illuminata con enormi lampadari adornati con candele di svariate misure, al centro e con dei candelabri, di medie dimensioni, ai lati. Un lungo tavolo in legno scuro e decorato occupava gran parte della sala e ospitava ben nove sedie, tutte occupate tranne tre.
Prima di accomodarsi, Don Rafael e il vecchio Joe, conficcarono le proprie spade in un grande mappamondo all’ingresso della sala, ad indicare il luogo del loro dominio e il fatto che erano arrivati i pirati nobili del mar dei Caraibi e del mar Caspio. Entrambi si sedettero l’uno accanto all’altro, occupando le sedie vuote, mentre a noi altri toccava stare in piedi, come agli altri membri delle ciurme.
Studiai attentamente ogni singolo componente di quel consiglio, senza capire che avessero di così tanto nobile: erano semplici capitani con qualche, o parecchi, anni in più di me!

D’un tratto, passi decisi ruppero quel silenzio e distolsero la mia attenzione: un uomo alto, con un’andatura barcollante e dei dreadlock castano scuro, scendeva le scalette sul fondo della stanza e si avvicinava verso di noi; dietro di lui, la sua copia più giovane con la stessa andatura, portava un enorme libro, che appoggiò con malagrazia sul tavolo, venendo fulminato con lo sguardo, da quello che teoricamente doveva essere il padre.
- Siete giunti fin qui dai più svariati mari della terra ed è mettendo il codice a vostra disposizione che, io, capitan Teague, dichiaro aperto il secondo consiglio della fratellanza -.
E così quello era il famoso codice di Morgan e Bartholomew, la faccenda si faceva interessante. Teague si sedette sull’unica sedia rimasta vuota, mettendo mano ad una chitarra e iniziando a suonare una dolce melodia di sottofondo, mentre il ragazzo, che stava con lui, si appoggiò con le spalle al muro, studiando tutti i presenti, soffermandosi su chi vedeva per la prima volta, sottoscritto compreso; l’avrei freddato con lo sguardo, se le parole di Rafael non avessero colto la mia attenzione.
- E’ solo una questione di accordi e chiarimenti – prese la parola il pirata nobile dei Caraibi, alzandosi in piedi – di questi tempi, chi è incappato nelle acque a nord delle Bermuda, ha pagato con la propria nave o peggio, con la propria vita. Mi chiedo quindi se è diventato reato, attaccare e conquistare merci e navi mercantili francesi, se poi si viene affondati da una nave pirata della medesima nazionalità -.
- Che cosa volete insinuare, Rafael?! – esclamò punto sul vivo, Chevalle, con la sua cadenza francese e la sua r moscia.
- Insinuo, mio caro buon capitano, che una delle vostre navi e per giunta la più possente della vostra flotta, la Fleur du Mal, stia impedendo a pirati di ogni sorta, di arricchirsi a spese francesi -
- E’ una menzogna, sacrable! –
- Sembrate punto sul vivo, Chevalle, avete forse la coda di paglia? – intervenne il vecchio Joe sorridendo nel notare, lo sguardo di Chevalle, spostarsi verso di sé, facendo poi una piccola, ma alquanto ironica, riverenza con il capo. Tra i due non era mai scorso buon sangue, le molte razzie che Joe aveva compiuto nel Mediterraneo, a danno francese e con l’aiuto dello spagnolo Villanueva, avevano mandato su di giri Chevalle, che aveva giurato di vendicarsi, in seguito ad una sconfitta subita.
- Sempre ad oscurarmi, eh! Monsieur Joe? – sputò a forza quelle parole.
- Oscurarvi?! – si finse sorpreso – no di certo! Avete fatto tutto voi, stavolta -.
- Per quanto hanno visto i miei occhi e per quanto ha affrontato la mia pelle, la Fleur du Mal affondava navi per il semplice gusto di farlo. Non era guidata da particolari ordini, al suo interno vigeva l’anarchia – presi parola, sentendomi gli occhi di tutti puntati addosso, non ci feci più molto caso, ero lì per parlare, quello era il momento adatto; osservai Chevalle notandolo tentennare, a quanto pare avevo toccato un tasto dolente. Il francese mise mano ad una carta da gioco stropicciata, che portava nella manica e la gettò sul tavolo.
- Il gioco d’azzardo vi prosciuga l’anima signori miei, così ha fatto con la mia, ma non vedo come, le parole di un semplice ragazzo, possano reggere il confronto con le mie -.
Sia Don Rafael che il vecchio Joe cercarono di prendere le mie difese, ma fui più svelto di loro, incrociai le braccia al petto e guardai il mio avversario negli occhi, ghignando – Sono semplicemente più nobile di voi – dissi molto tranquillamente, notando l’ira crescere sul volto del francese.
- Ma davvero?! – commentò sarcastico Chevalle sul punto di scoppiare – io vedo davanti a me uno sfacciato, che si crede più grande di quello che è in realtà -.
Ridacchiai – avete buon occhio, senza dubbio – commentai. Lo stavo facendo arrabbiare e non poco, chissà se anche i pirati nobili scatenavano risse! Ghignai.
- Orsù, dunque in cosa vi ritenete più nobile del sottoscritto? -
Volli osare, osservando uno per uno quei nove suddetti signori dei mari – Oh! Ma io non mi ritengo soltanto più nobile di voi, Chevalle, ma di ognuno dei presenti -. Le mie parole suscitarono ampio scalpore, si alzò un vociare, tanto che molti mi vollero sparare, ma non mi scomposi.
- Hai un po’ esagerato ragazzo, non trovi? -
- Sto solo facendo il vostro gioco Joe, avete detto che potevo tenere un discorso, lasciatemi fare -. Il vecchio sorrise così come quel ragazzo dall’andatura ciondolante nell’angolo, credo colpito dalla mia sfacciataggine; coloro che invece non si scomposero furono Teague e Rafael, poco male, non erano poi loro i diretti interessati. – Ho tenuto testa a quella nave abbandonata da Dio senza temere la morte, affrontandola a testa alta dopo un altro scontro, finché i flutti del mare non mi sovrastarono. Sono poi incappato nel vecchio Joe e in Rafael e sono venuto a conoscenza dei pirati nobili; da quel momento mi sono domandato chi fossero, che cosa avessero compiuto, per ritenersi tali, ma di fronte a me trovo solo un branco di caproni, che non sanno ammettere le proprie disgrazie, come voi Chevalle, o che se ne stanno seduti in panciolle, aspettando il resoconto di qualcun altro, per puntare il dito contro lo sfortunato di turno. Non so voi, signori, ma io ho preso la mia decisione, quella nave va fermata -.
- E con quale nave di grazia? -
- La mia – si alzò Rafael.
- E la nostra – una giovane voce enne dal fondo della sala, il figlio di Teague aveva preso la parola, facendo strabuzzare, per un attimo, gli occhi del padre.
- Non essere troppo avventato, ragazzo – lo ammonì il vecchio Joe.
- Lui lo può essere e io no? – sorrise mellifluo indicandomi.
- Io so quello che faccio – ribattei.
- Anche io amico, hai davanti la futura leggenda dei Caraibi -.
Lo guardai alzando un sopracciglio – Si, certo. Muoviamoci, signor leggenda -.
- E’ capitan Jack Sparrow – precisò.
- E’ uguale, non ha importanza adesso – cercai di tagliare corto.
- Io ho sempre importanza -.
- No, direi di no. Apprezzo l’appoggio, ma bando alle ciance Sparrow, dobbiamo affrettarci -. Non so come spiegare quanto quel battibecco mi suscitò: un misto di simpatia e antipatia, non rabbia, non disaccordo, come se avessi molto in comune con quel buffo ragazzino, ma non vi feci caso, avevamo una nave da fermare. 
 

  
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