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Autore: Natalja_Aljona    06/07/2011    2 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Ottantadue - It seems like years since it's been clear


Parte Prima


Ma perché non scolori mai

Ma perché torni e dopo vai

Perché queste scelte poi

In me si alternano

Per un attimo tu sei mia

Poi l'onda arriva e ti porta via

Perché sono così travolto

Così sensibile

(L'Onda, Riccardo Cocciante)


Li aveva visti.

Gli occhi sereni, infiammati, innamorati.

Li aveva visti.

Impudichi, incuranti, indiscreti.

Li aveva visti.

Folli d'amore, amanti abbagliati.

Era andato via.

Lui non ce l'aveva, un amore così.

Non l'aveva detto a nessuno.

A che sarebbero servite le urla, gli strepiti, la cosiddetta "convenienza" andata a farsi benedire?

Lui non lo sapeva, quello che provavano loro.

Non li conosceva, quei sorrisi.

Non le aveva mai vissute, quelle trasfusioni d'anima.

E dire che sua moglie l'amava, l'amava da morire.

E le stringeva le mani, le accarezzava i capelli appena poteva, ma lei scuoteva la testa e gli rideva in faccia.

Tu non sei come lui.

E no che non lo era.

Era andato via, Dekapolites.

Voleva sapere come stava George.

Aveva scoperto che stava meglio di come era stato lui per tutta la vita.


Era un bravo guerriero, o perlomeno lo era stato.

Incontrava Leonida ogni mattina e non riusciva a rimproverargli niente, mai.

Non era come lui, ma l'amicizia che il primo dei Kléftes provava per lui era dannatamente sincera.

Leonida lo considerava davvero il suo più grande amico.

E lui avrebbe voluto fare altrettanto.

Ma non era come lui.


Ricordava bene, Dekapolites, il giorno in cui l'aveva incontrato.

Quattro anni di meno aveva lui, fiero in sella al suo puledro, spavaldo il guardo e rude il sorriso, con lo xiphos infilato di traverso nella cintura, di recente affilatura e splendente terrore dei nemici.

E il più grande dei due era lì, a fumare e a cercare la riva, che gli pareva un mare, quel bosco infinito.

Ma era così, la loro Spárti, era tutta un bosco e una rovina di glorie passate, e nel cuore del paese ci sarebbero stati loro, gli eroi del presente, l'indissolubile amicizia dei poemi omerici.

Leonida l'inizio e Dekapolites la fine, i capi dei Kléftes, allo stesso livello nel cuore e lontani paesi nella gerarchia.

A Leonida non importava e lui col pensiero non vi tornava quasi mai, che doveva essere eroe per se stesso, che l'amicizia e la Patria eran sempre più importanti.

Come il giorno in cui aveva sposato Adrasteia, che lo baciava distrattamente e sorrideva a lui, che fedele amico qual'era le voltava le spalle e abbracciava la sua Talia.

E adesso eccolo lì, cinquantun anni e un sorriso ch'era una maschera di tristezza, con una fama discreta, un amico invincibile e una moglie che non l'aveva mai amato.

Ma c'era chi gli voleva bene, in quel mondo.

C'erano i suoi tre nipotini biondi, Akhylleus, Dimokratìa e Theodorakis, che un nonno come lui non l'avrebbero mai cambiato.

C'era sua figlia Eiréne, che ultimamente sorrideva poco ma per lui un istante di luce ce l'aveva sempre.

C'era quel pazzo di Geórgos, ch'era stato suo allievo e lo era ancora, lo chiamava "vecchia carogna" e barcollava sotto le sue pacche amichevoli, che se ne fregava della guerra e combatteva da poeta, faceva disperare Leonida e poi tirava fuori un'ira d'Achille che faceva tremare l'Acropoli dall'Atena crisoelefantina alla Gigantomachia sulla metopa del Partenone.

C'erano giorni da veder splendere, ali da schiudere e nemici da vincere, c'erano giorni in cui essere felici.

C'era ancora tanto e quella vita, con tutti i suoi giorni e i suoi sorrisi, Dekapolites non l'avrebbe sacrificata mai.


Parte Seconda


Era persa, Natal'ja.

Assorta, forse.

In lacrime, dentro.

E le sue mani erano diventate ali d'angelo, bianche di cielo, troppo leggere, maledettamente fragili.

Oh, era quella, la libertà.

Un leggero fruscio di capelli sul cuscino e tanti, troppi sorrisi.

George la scrutava con sfacciata curiosità, con quella traccia di spensierato divertimento di chi aveva appena assistito alla cosa più buffa e adorabile del mondo.

Le cercò la mano e piano piano gliela strinse, carezzandole un dito dopo l'altro, con la leggerezza di quando stava per rubare un anello, quasi di nascosto, ma senza la minima intenzione di lasciarla andare.

Come ad un avversario dopo un duello, le strinse la mano.

Natal'ja sbuffò, lanciando uno sguardo fuori dalla finestra.

Avrebbe dovuto crescere un poco, eppure si sentiva ancora tanto bambina, lei.

Era stato il sogno della sua infanzia, quell'assurdo brigantello.

Adesso era cresciuta, forse, ma lo stringeva davvero troppo forte perché potesse essere solo un sogno.

E che ridere, che piangere, a pensare ai sogni che si confondevano, al respiro che sfumava, al sorriso che nasceva, al sole che tornava.

Era di più.

Era molto più di una semplice stretta di mano.

E con un balzo scese dal letto e corse verso la finestra, ignorando il ragazzo che, ancora aggrappato alla sua mano, era rotolato sul pavimento.

Lanciò uno sguardo di sfida al sole, Natal'ja.

Sembravano passati anni dall'ultima volta che era stato chiaro.

E poi uno schianto, come di eroe rotolato nel fango e spogliato dell'armi, o come di greco cretino contro il fianco del cavallo di Troia.

S'era quasi rotto la testa contro la gamba del letto, George.

Quelle poche diottrie che gli rimanevano, gliele aveva rubate lei.

E gli anni eran passati sì, e il sole era chiaro come giglio splendente nel cielo, e pareva ammiccare alle ardite fanciulline rinate nel bagliore del bacio della vita, così come ai greci caduti, dal cavallo o dal letto, senza differenza.


E ti sento respirare

Come se non lo sapessi fare

E stiamo per dimenticare

Tutto quello che non era amore

(Sulle labbra e nel pensiero, Riccardo Cocciante)




Note


Finalmente sono riuscita a scrivere qualcosa su Dekapolites!

E' uno dei miei personaggi preferiti, eppure è estremamente difficile, scrivere del vecchio Calie.

Dekapolites Calie, l'amico di Leonida, il primo maestro di George...un uomo strano, un grande brigante ma prima di tutto un grand'uomo, a parer mio.

Non è come Leonida, lui, e questo glielo ripete ogni giorno Adrasteia, altro personaggio da analizzare, un amore assoluto non l'ha mai vissuto, eppure non si arrende facilmente, non si scoraggia, non ancora, non del tutto.

Personalmente lo adoro e la foto a inizio capitolo, semplicemente, è lui.

E' da quell'immagine che è nato, insieme alle altre due o tre che trovate sull'Album -tra l'altro aggiornato con le foto delle sorelle Zemekis e di due dei Dounas, Theodorakis e Dimokratìa- è il riflesso più assoluto della mia immagine di Dekapolites.

La sua scheda, invece, con tutte le altre che ho aggiornato ieri, la trovate sul Blog.

Anche all'ultima scena sono tanto affezionata.

E' un po' comica un po' romantica, perché io son fatta così -e ormai l'avrete capito- e spero che sia piaciuta anche a voi ;)

Il titolo, che poi è anche l'essenza del capitolo, It seems like years since it's been clear, sembrano passati anni dall'ultima volta che è stato chiaro, è una citazione della mia amata Here comes the sun, fantastica e -penso- universalmente nota canzone dei Beatles, cantata dal mio ancora più amato Georgino -si legga: George Harrison- e penso che dica tutto, in questo capitolo ottantadue.

Inutile dire che vi consiglio tantissimo di ascoltarla, un po' perché trovo ogni sua parola perfetta come descrizione del capitolo, ma soprattutto perché è veramente, veramente bella, ed è dire ancora poco.


A presto! :)

Marty

  
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