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Autore: Baby Moonlace    06/07/2011    1 recensioni
Londra, diciannovesimo secolo. Alla giovane ladra Daphne viene pagata la cauzione proprio dall’affascinante ragazzo che l’ha fatta arrestare. In cambio, Blake vuole il suo aiuto in un’impresa a prima vista per niente attraente e anche molto pericolosa.
Mentre lei e Blake si fanno sempre più vicini, Daphne si trova suo malgrado coinvolta in una fitta trama di inganni e menzogne, che riportano alla luce vecchi interrogativi che si era da tempo imposta di ignorare e, assieme ad essi, nuove domande senza risposta.
Che cosa è lei veramente? Che cosa si nasconde dietro alla sua capacità di vedere il piccolo popolo? E qual'è il significato del marchio che porta sulla mano? Ha qualcosa a che vedere con la misteriosa morte di sua madre tanti anni prima? Cos'è la Gilda? E che interessi ha Blake in questa storia? Vuole davvero solamente sventare un complotto ai danni della regina, o ha una motivazione più profonda?
*Classificata terza al Contest Scacco Matto! indetto da Fe85*
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era dentro la tenuta. Non credeva che sarebbe arrivata fin lì, anzi, a quel punto sarebbe già dovuta essere appesa per il collo. Eppure la sicurezza di Blake non aveva mai vacillato in quei giorni di pianificazione, e a quanto pareva era stato davvero bravo.
Il palazzo dei Lennox era bellissimo, molto diverso da quello del giovane conte che l’aveva invischiata in quel complotto. Era splendido, grande e curato, di un colore chiaro e dolce che gli donava un aspetto fiabesco. Il prato era di un verde brillante e per il giardino erano diffusi cespugli a forma di animali o statue, incredibilmente grandi. Daphne si chiese come facessero i nobili a trovare di buon gusto un cespuglio a forma di giraffa. Scrollando le spalle ricominciò il piano.
Sapeva perfettamente la disposizione delle guardie e delle porte di quel luogo, la aveva studiata per giorni, aggrappandosi a quell’unica possibilità di salvezza. Lei aveva provato a scappare, in tutti i modi, ma Blake non aveva usato guardie qualsiasi per controllarla, si era servito di quelle terribili creature invisibili e immaginarie che Daphne ripugnava e fingeva di non vedere. Rabbrividì solo al pensiero. Blake sosteneva che la sua non fosse pazzia, ma una vista speciale. Daphne si era convinta che fosse pazzo anche lui; ma quante possibilità c’erano che proprio lei avesse incontrato una persona con la sua stessa patologia? Beh, poteva anche accadere, solo che Blake non era solo pazzo, ma anche ricco, potente e pericoloso. Ma soprattutto pazzo.
Trovò immediatamente sul retro del palazzo la scala che portava al magazzino, inoltrandosi verso il basso. Prima di scendere buttò un’occhiata al muro che circondava il palazzo. Scavalcarlo non era difficile, ma scorse subito creature piccole e colorate volteggiare dinanzi alle mura, con i loro sorrisi angosciosamente perfetti e innaturali.
Scese le scale abbandonando l’idea. Aveva il cuore che tentava di fracassarle il petto, il sudore che stava rovinando il suo travestimento, facendo scendere qualche ciocca bionda dal cappello. Nessuno l’aveva notata fino a quel momento e non trovava nulla di strano in questo. Lei era nata con questo splendido dono. L’anonimato. Aveva la capacità di passare inosservata ovunque, di essere sempre insospettabile ed invisibile fra la gente. Le persone rimuovevano immediatamente il suo volto dalla memoria e ogni vago sospetto veniva prontamente rimosso. Inoltre Blake per farla infiltrare, le aveva fatto indossare abiti maschili da servitore e. dopo essere entrata a palazzo con il giovane conte, era sgattaiolata via senza alcun problema. Nessuno avrebbe notato la sua assenza, come nessuno aveva notato la sua presenza. Era solo un’ombra, una delle tante in quel giardino assolato. Quegli abiti poi le stavano bene, purtroppo non aveva curve pronunciate che potessero tradirla.
Entrò nel magazzino con un leggero cigolio della porta, e se la richiuse alle spalle con dolcezza. Il magazzino era buio e odorava di stantio.  In ogni angolo erano ammassati sacchi di patate, cipolle e farina, grossi cesti di frutta e cereali, e tante botti sigillate.
La porta si aprì di colpo e si richiuse con uno scatto e una ragazza si presentò davanti a lei. Daphne la riconobbe all’istante. Coincideva con la descrizione fattale da Blake. Cappelli mori e pelle scurissima. Aveva indosso un abito nero lungo fino alle caviglie e un grembiule bianco tutto merletti e fronzoli.
“Sei Anne?” Domandò la ladra con un’occhiataccia.
La ragazza annuì senza parlare e le tese il vestito che aveva fra le mani. Era identico al suo, ma aveva in più una cuffia bianca di pizzo. Daphne inorridì guardando quell’abito. Blake non aveva specificato che il travestimento sarebbe stato così umiliante. La servitrice di fronte a lei era una loro alleata a quanto aveva capito, ma non aveva idea di quali rapporti avesse con il conte.
Indossò l’abito togliendo i suoi guanti con riluttanza. I guanti lunghi che le aveva regalato sua madre. Con il travestimento da maggiordomo andavano ancora bene, ma con quell’abito no. Anne le porse anche una benda per coprire il tatuaggio della gardenia e le consegnò uno spolverino. Daphne si stupì e ammise che Blake era stato incredibilmente previdente e accorto. Infine nascose i suoi abiti dietro una botte.
“Lo studio è al terzo piano, se qualcuno ti ferma, dì che sei nuova e che stai sostituendo un’altra cameriera”, sorrise, “tanto qui nessuno si ricorda di tutti i servitori.”
La ragazza annuì, confusa dalla parlantina improvvisa di quella ragazza. Si era quasi convinta che non sapesse parlare, invece notò che aveva uno strano accento, sicuramente non era inglese.
“Devi sbrigarti, il padrone tratterrà il duca solo per mezz’ora.”
La ladra annuì e uscì subito dal magazzino per andare in cucina. Il calore e l’odore di bruciato si appiccicarono al volto con una ventata di vapore. Cuochi e serve sbraitavano chissà cosa, intenti ad accaldarsi presso i forni o le pentole, mentre il fumo si diffondeva per la cucina. Un uomo stava spennando un’anatra sopra un bancone sporco di sangue mentre una donna grassa girava in continuazione il mestolo in una pentola. La ragazza non si fece distrarre e uscì dalla cucina senza farsi minimamente notare. Dovette salire un’altra scala per risalire e si ritrovò su un corridoio.
Da lì l’arredamento diventava più semplice. Il pavimento era di marmo, il soffitto dipinto di un chiaro color salmone e alcune armature vuote decoravano il vestibolo. La ladra non poteva far a meno di pensare a quanto fosse diverso dal palazzo di Blake in cui aveva messo piede per la prima volta circa quattro giorni prima.
Di ripercorrere col ricordo:“Io non ci entro qua”, aveva detto guardando il palazzo decadente e oscuro.
Lui si era girato distratto, come se non l’avesse proprio sentita. “Cosa?”
“Non entro in quel posto orribile finché non mi dici che cosa diavolo vuoi da me.”
“Ma te l’ho già spiegato.”
Aveva alzato un sopracciglio. “Non è vero. Hai detto che cercavi una certa ‘gilda’ poi hai subito deviato il discorso. Cosa volevi in realtà? E cosa c’entra il piccolo popolo?”
Aveva sorriso. “Ogni cosa a sua tempo, Daphne”, le aveva risposto e lei aveva provato uno strano brivido sentendogli pronunciare il suo nome. Un brivido di paura e…? Fascino? Sì, quel ragazzo ne aveva tanto, era carismatico e molto pericoloso. Non doveva farsi abbindolare dal suo bel visino, i nobili erano tutti dei parassiti, quello non era diverso.
Lo aveva seguito oltre il portone principale, restia ad entrare. La villa all’interno era ugualmente in abbandono. Ragnatele dovunque, muri scrostati, tavoli e sedie mangiucchiati dai tarli. A parte qualche valletto era praticamente deserto.
“Ho fatto preparare un bagno per te. Lavati e riposati, ti aspetto in sala da pranzo per la cena.”
“Ma cosa…?”
Un servo la affiancò. Era alto e allampanato, i capelli grigi e uno sguardo austero.
“Ronald ti scorterà nella tua stanza, per qualsiasi cosa chiedi a lui.”
Lei aveva guardato turbata Blake che le sorrideva. Le si era avvicinato e le aveva preso il mento fra le dita, in un gesto prepotente. Aveva provato a colpirlo con una ginocchiata ma lui si era spostato prima che potesse riuscirci.
“Non fare sciocchezze, ladra, o ti do la mia parola che rimpiangerai il carcere”, aveva mormorato, senza abbandonare il suo sorriso.
Spaventata, aveva annuito meccanicamente, senza sapere più che fare.
La ragazza arrivò finalmente nell’atrio principale. Era grande e spazioso, con un grosso tappeto rosso persiano e due scalinate che si aprivano ai lati di un corridoio centrale. Blake aveva avuto ragione a dirle che non ci sarebbe stato quasi nessuno in giro. Il duca Edmund non voleva ficcanaso in giro per il palazzo.
Salì la prima scalinata, svoltò a destra e salì la seconda. Fu incredibilmente facile, incontrò solo due persone e nessuno la degnò di uno sguardo. Arrivata al terzo piano, proseguì per il corridoio, diretta alla penultima porta sulla sinistra. Sulla sua strada si frappose un uomo nobilmente vestito, con un fioretto al fianco. Le passò accanto senza dirle nulla, ma prima che potesse aprire lo studio, le riapparve alle spalle. “Ehi tu!”
Daphne trasalì. “Sì signore?”
“Non ti ho mai visto a palazzo, sei nuova per caso?”
“Sì signore, sostituisco Anne, che sta male”, inventò.
Quello annuì e fece un sorriso galante. “la mia stanza non è stata pulita molto bene, ti spiacerebbe tornarci un’altra volta dopo?” Il suo tono aveva un che di malizioso.
Maledizione! Imprecò la ladra.
“No, mio signore, ma se non pulisco lo studio del padrone, verrò punita.”
L’uomo annuì con gravità. “Non indugiare, ma ricordati anche la mia camera.”
La lasciò andare e la ragazza con un sospiro di sollievo entrò nello studio.
Non si soffermò a guardarsi intorno, scorse i punti essenziali: una scrivania, una libreria e un mappamondo. La sua vista si sfocò appena e i toni presero ad avere un soffuso colore smorto. Ogni oggetto aveva una sfumatura arancione, il colore degli umani. Ma proprio lì, al secondo cassetto della scrivania, c’era una luce bluastra che effondeva pulviscolo. Il colore della corte delle tenebre. Daphne sorrise. Troppo facile. Non sapeva il perché di quella vista sovrannaturale, sua madre le aveva detto che lei era speciale ed era capace di vedere le impronte di ogni creatura. Ma a dire la verità, non si sentiva ‘speciale’, ma solo diversa.
 Il cassetto ovviamente era chiuso, ma i suoi anni di ladra le avevano insegnato qualcosina. La serratura scattò dopo qualche tentativo e dopo un po’ di rovistare, trovò ciò che cercava. Il foglio era essenziale, bianco con quelle linee sottili nere ed eleganti. In fondo una firma compariva precisa, ammaliante e antica. Impregnata di un’oscurità profonda.
Melinoe.


Mi scuso per il ritardo, avrei dovuto aggiornare lunedì, ma causa problemi tecnici (internet non funzionava) ho dovuto rimandare. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e vi invito a recensire.
  
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