A questa
mattina,
al tuo silenzio
ormai perpetuo
ed alle mie
paure.
Buon viaggio, se
è giusto dire così!
Cronaca
di un dolore
La motocicletta
aderiva
alla strada, missile veloce e rombante nella notte scura. Le ruote,
schizzate
di fango, scorrevano veloci sulle corsie Babbane, macinando chilometri e
lasciando dietro una scia di acuto dolore. Il fumo di una
città –nebbiolina fitta
e macabre ombre stagliate contro l’orizzonte- gli riempiva i
polmoni; respirava
rapido, le lacrime che sostavano un poco sulla barba sfatta prima di
cadere sul
petto. La campagna sfilava, veloce anch’essa, sfocata e buia.
La moto si alzò
in volo, cedendo a qualche forza misteriosa il dominio della
gravità. Il cielo,
turbinio di stelle su sfondo blu, sfrecciava con lui. E nessun pensiero
lo
possedeva se non la cantilena che aveva iniziato quando era ancora su
Bristol. “James
è morto, James è morto, James è
morto”. James era morto per davvero, da qualche
parte laggiù. Non c’era più, nel suo
sarcofago di mattoni spezzati e brandelli
di abiti. Sirius lo seppe quando varcò l’ingresso
di quella che un tempo era
stata la villa dei Potter. Un miagolio lo salutò da dietro
un cespuglio
polverizzato. Il gatto di James si avvicinò, la zampa
sanguinante per schegge e
dolore.
Nessuno si
prenderà più cura di te.
Sirius lo
accarezzò, in
un ultimo gesto di umanità, prima che un latrato gli
nascesse in gola,
animalesco. La forza con cui scavò, il sangue che
versò sui residui di vita che
lo circondavano, si arrese davanti alla morte. James lo stava
aspettando, le
labbra socchiuse, le guance rigate dal fango. Era un burattino nelle
mani della
guerra, morto in virtù delle parole di una vecchia
pipistrella svalvolata.
Sirius gli sfiorò il petto, sentendolo rigido e freddo. La
pioggia batteva
forte, i Babbani passavano lì davanti senza sapere. Un bambino
era vestito da
scheletro, un altro da lupo mannaro.
I
vostri giochi sono reali nel mio mondo.
Lily non
c’era. Sarebbe
stato bello pensare che lei era viva, da qualche parte. I suoi sogni di
mamma
si sarebbero avverati, le sue mani avrebbero stretto quelle di suo
figlio. Ed
un lamento- pianto distante e nervoso- svegliò Sirius
dall’incantesimo della
morte. Una manina svettava poco lontano, paffuta ma fragile. Ed il suo
latrato
si spense, i Babbani continuavano a passare ignari, la notte di
Halloween si
chiuse su quella nuova vita che strillava . Una cicatrice scintillava
sul suo
volto, sottile e potente. Sirius la sfiorò con un dito,
reverente. Era il
segno di una vittoria, sull’oscurità,
sulla morte, sul sangue e sul dolore. Avvicinò il suo
figlioccio al petto,
piangendo sul suo capo e sulla sua sventura, la loro sventura.
Sarai
un eroe, un giorno.
E quando la
figura di
Hagrid lo sovrastò – un’ombra gettata
sulla sua disperazione- con riluttanza
lasciò andare il figlio del suo migliore amico. I suoi occhi
brillavano di
speranza, poteva dire di essere stato il primo a toccare il
“Bambino-che-è-sopravvisuto”.
E quel tocco non bastò a nulla quando le redini della
disperazione lo
incatenarono ad Azkaban, dimentico di tutto, dimentico di lui.
Arrivederci,
Harry. Avrò la mia vendetta, tu la tua felicità.