Capitolo
1: Bambina
Correvo,
inarrestabile e sicura dei miei
movimenti, osservavo il paesaggio intorno a me e, senza nemmeno
accorgermene,
ne analizzavo ogni minimo dettaglio. Era un giorno perfetto per i
canoni della
mia città: le nuvole rivestivano il cielo di un sottile
strato grigio chiaro.
La foresta era ancora addormentata e, di conseguenza, molto silenziosa
e
tranquilla. Oltre ad analizzare ogni minuscola particolarità
del bosco, tenevo
anche l’olfatto allerta, in modo da riuscire a percepire
qualche preda degna di
essere chiamata come tale. Per esperienza sapevo che, in quel periodo
dell’anno, la varietà degli animali era
particolarmente scarsa a causa del
letargo. La neve sugli alberi, sul terriccio, sui cespugli rendeva
l’ambiente
piuttosto pittoresco anche se non riuscivo a vederlo come tale. Per me
era la
mia casa ormai, la foresta che circondava la mia città:
Forks. Okay, forse
chiamarla città era inappropriato... ma non sapevo come
altro definirla. Forks
era piccola, ma mi aveva cambiato la vita da quando ero venuta ad
abitarci. Mi
sembrava impossibile che fossero già passati otto anni. Mi
sembrava solo ieri
che avevo conosciuto l’uomo che ora era mio marito e che
stava correndo al mio
fianco, elegante e delicato come sempre. Edward Cullen:
l’uomo perfetto.
Conoscerlo aveva dato tutt’un altro senso alla mia vita.
Prima del nostro
incontro trascorrevo ogni giornata in modo automatico, senza viverne a
pieno
nemmeno una. Il suo arrivo aveva portato con sé
ciò di cui avevo bisogno per
sentirmi viva, felice e appagata. In quel momento mi ritornarono alla
mente
tutti mesi trascorsi ad ignorarci oppure a punzecchiarci a vicenda,
inconsapevoli o forse troppo sicuri di quello che sarebbe successo una
volta
superata quella fase. Sorrisi al pensiero di quanto tempo avevo perso a
chiedermi quale fosse il problema di quel ragazzo che mi sedeva
affianco
nell’ora di biologia e che faceva di tutto per irritarmi,
rimanendo costantemente
nei miei pensieri. A quel punto Edward si girò verso di me e
mi sorrise, vedendomi
assorta nei miei pensieri. Potevano anche essere passati otto anni ma
l’effetto
della sua presenza non sarebbe variato nemmeno dopo un secolo. Avevo
bisogno di
lui come un eroinomane ha bisogno della sua dose giornaliera. Anche se
il mio
cuore non era più in grado di reagire ai suoi sorrisi e alla
sua presenza, il
mio respiro continuava ad accelerare ogni qual volta i nostri sguardi
si
incrociavano oppure quando mi sfiorava. Considerando il fatto che ad
Edward non
scappava nulla delle mie espressioni, si girò di scatto
verso di me ed arrestò
la sua e la mia corsa. Si fece sempre più vicino e,
com’era prevedibile, il mio
respiro accelerò come un campanello d’allarme
dovuto alla sua vicinanza.
Fissavo i suoi occhi, quei due bellissimi laghi d’oro nei
quali potevo sempre
immergermi per tranquillizzarmi e per sentirmi amata come
nessun’altra. La sua
mano cercò il mio viso e, nel momento esatto in cui lo
trovò, mi alzai sulle
punte per baciarlo. A volte era difficilissimo resistere, risultava
impossibile
voler prolungare quel momento per renderlo più romantico o
più dolce. Quando ci
separammo rimanemmo qualche secondo a guardarci negli occhi, in
silenzio, a
volte le parole erano assolutamente superflue.
«Ti
amo»
disse Edward dopo un
po'. Tutte le parole erano superflue tranne quelle.
«Anch’io»
risposi, completamente stregata
dalla sua incredibile bellezza. Dopo questa piccola interruzione,
totalmente
necessaria, riprendemmo la caccia. Erano quasi le sette e tra poco
Renesmee si
sarebbe svegliata, trovando Alice ad aspettarla, impaziente di
cominciare una
nuova giornata. Mia figlia, oramai, dimostrava quasi quindici anni, ma
in
realtà ne aveva solo sei e qualche mese... Era questione di
poco tempo e
sarebbe diventata un’adulta a tutti gli effetti,
interrompendo la sua crescita.
Stavo vagando nei ricordi di mia figlia da neonata, quando un forte
profumo mi
riportò al presente. Era un puma. Anche Edward
l’aveva fiutato e ora ci stavamo
dirigendo insieme verso la nostra preda. Eravamo in ritardo: dovevamo
essere a casa
Cullen per le otto e non avevamo ancora cacciato nulla. Il puma era
troppo
lontano e così dovemmo accontentarci di un paio di cervi che
erano nel posto
sbagliato al momento sbagliato. Terminato il pasto mi accostai al corpo
marmoreo di mio marito...
«Hai
notato?»
sussurrai. «Non
mi sono sporcata nemmeno un
po' questa volta. Forse sto finalmente imparando»
continuai, sorridendo.
«È
un peccato, sei adorabile quando sei tutta imbrattata»
rispose.
«Anche
a questo c’è rimedio»
risi,
buttandomi addosso a lui e trascinandolo sul terreno umido ed innevato.
Ridevamo rotolandoci nel fango quando il piccolo palmare che Edward
aveva in
tasca squillò, insistente. Lui era disteso a terra ed io ero
sopra di lui.
«Ti
pareva»
mormorò Edward, con
un tono di sopportazione. Notai che sul display era apparso il nome di
Emmett,
il mio fratellone. Era così simpatico e di compagnia, ma a
volte poteva essere
davvero fastidioso.
«Che
c’è?» chiese Edward, rispondendo al
telefono, con tono un po' alterato.
«Ho
interrotto qualcosa?» ribatté Emmett.
«Come
sempre. Comunque cosa c’è?». La
conversazione era esilarante per il tono di entrambi.
«Niente
di che. Volevo solo dirti che è
arrivata una partecipazione di nozze». Era evidente che
Emmett godesse
nell’interromperci con le scuse più stupide. Ora
mi ero arrabbiata anch’io.
«Non
potevi aspettare che venissimo a casa
per comunicarci questa “lieta novella”?».
Presi il telefono dalle mani di
Edward e lo accostai all’orecchio.
«Saremo
felici di conoscere i particolari
della tua “importantissima” notizia più
tardi. Ciao, Emmett». Edward stava
ridendo ed io chiusi la comunicazione senza attendere risposta.
«Secondo
me lo fa apposta. Si starà
vendicando per tutte le volte che l’ho battuto a braccio di
ferro».
«Già.
Dov’eravamo rimasti?» chiese. Sorrisi
e lo baciai dolcemente. All’improvviso realizzai che le sette
erano passate da
un bel po'. Eravamo in ritardo, ancora. Il problema era che non
riuscivo a
fermarmi quando ero con Edward. Non riuscivo ancora a trovare il giusto
equilibrio, come aveva detto lui un po' di anni fa. Il suo profumo, il
suo
sapore, la sua dolcezza, la sua bellezza... non mi aiutavano affatto.
Edward,
però, era migliore di me in questo...
«Siamo
in ritardo, di nuovo» sussurrò.
«Ops».
Ci alzammo e cominciammo la corsa
verso la bellissima casa dei Cullen. Ormai era inutile fare una gara,
tanto
vinceva sempre lui. Non ero più la neonata più
forte della famiglia... peccato.
Come prima riuscivo a notare ogni più piccolo particolare
della foresta, ma
ormai ero concentrata su altro, qualcosa di più interessante
e soprattutto più
piacevole da osservare. Dopo una decina di minuti eravamo a casa, la
nostra
casa. Le pareti dei muri erano, anche in quel periodo
dell’anno, rivestite di
piante di rose. Entrammo dalla piccola porta d’ingresso e ci
precipitammo in
camera da letto. Eravamo completamente rivestiti di fango e neve e
quindi
dovevamo necessariamente cambiarci. Non volevo sorbirmi Alice e le sue
prediche
sul look. Aprii le porte dell’enorme cabina-armadio e trovai
subito un paio di
jeans attillati ed un maglioncino blu. Oramai avevo imparato come
tenere a bada
la mia sorellina: bastavano un paio di tacchi e un jeans aderente per
renderla
felice e appagata. Edward indossava una camicia bianca con un maglione
beige
sopra e un pantalone marrone. Lui, invece, non aveva mai avuto problemi
ad
assecondare la sorella: era sempre impeccabile e perfetto nel
vestire... e non
solo.
«Blu?
Oggi sono fortunato» disse, notando il
colore che avevo scelto. Sorrisi e ci precipitammo fuori, consapevoli
che
Renesmee era già stata accompagnata da Alice e Jasper a casa
di Carlisle.
Arrivammo quasi subito presso la residenza dei miei
“suoceri”. Era strano, ma
non riuscivo a definirli come tali, dopotutto dimostravano
un’età così giovane
che nessuno se la sarebbe mai sentita di assegnargli
quell’appellativo. Sentivo
Renesmee che chiacchierava con
Rosalie, mentre Jacob era, come sempre, in cucina a rifocillarsi. Presi la mano di Edward ed
entrammo
dall’ingresso principale. Quasi tutti si girarono vedendoci
ed io andai subito
incontro a mia figlia e l’abbracciai con calore. Il contatto
con la sua pelle
calda mi fece tranquillizzare ulteriormente. Renesmee
restituì l’abbraccio e
poi Edward la salutò con un bacio delicato sulla fronte.
Tutti gli altri
rimasero impassibili davanti alla nostra entrata ma,
d’altronde, erano abituati
alla nostra presenza.
«Allora,
questa partecipazione di
matrimonio?» chiese Edward, rivolgendosi al fratello che ci
aveva interrotti.
«Il
capo-branco si sposa» intervenne
Rosalie, acida. Renesmee le diede una piccola spinta affettuosa. Non
sopportava
che si prendessero in giro i licantropi, giustamente. Il suo migliore
amico era
uno di loro.
«Dovremmo
vestirci eleganti, no?». Alice era
già super eccitata... infatti io e mia figlia, che aveva
ereditato l’odio per
lo shopping da me, ci lamentammo all’unisono. Renesmee si
accasciò sul divano
mentre Edward si avvicinò a me per darmi sostegno.
«Che bello! Ancora
shopping!» gongolava Alice. Anche con tutti gli sforzi di
questo mondo, non
riuscivo a condividere il suo entusiasmo. Si, avevo imparato ad
assecondarla il
più possibile ma, a volte, il suo entusiasmo era talmente
accentuato che
risultava assolutamente fuori luogo. Purtroppo, Alice era
così e nessuno
sarebbe mai riuscito a cambiarla. A quel punto Jacob uscì
dalla cucina,
finalmente sazio. Alice lo guardò: effettivamente indossava
un paio di bermuda
ed una maglietta logora, ma quando mai Jacob era andato in giro in
smoking?
Nemmeno al mio matrimonio con Edward si era presentato in quel modo.
«Anche
per te, cane!» continuò Alice.
«Certo,
certo» rispose Jacob, incurante. Era
carino quando assumeva quel tono menefreghista, anche se poteva
infastidire.
Jacob era sempre stato così: sapevo che non
l’avrebbe data vinta ad Alice senza
combattere. Terminati i convenevoli ogni membro della famiglia
tornò alla sua
occupazione: Alice e Jasper salirono al piano di sopra. Emmett si
accomodò sul
divano, abbracciando Rosalie, e cominciò con il suo solito
zapping. Carlisle
tornò nel suo studio ed Edward si accostò con me
al pianoforte. Rosalie e
Renesmee continuarono a conversare tranquillamente e poco dopo la
stanza si
riempì della musica composta da Edward. Riconobbi
all’istante la melodia della
mia ninnananna e mi strinsi a lui, sorridendo ed affondando il viso nel
suo
braccio. Jacob passò davanti al pianoforte, dirigendosi al
fianco di Renesmee
sul divano.
«Che
strazio!» esclamò, infastidito dalla
musica dolce.
«Guarda
chi è arrivato, lo strazio fatto
persona!» ribattei subito. Jacob fece un inchino teatrale,
strafottente, e si
accomodò ai piedi di Renesmee. Edward era rimasto
impassibile. Appoggiai una
mano sulla sua gamba e lui sembrò tranquillizzarsi, potevano
anche essere
passati sei anni dalla nascita di nostra figlia, ma la costante
presenza di
Jacob tuttora non gli andava giù. Ad un certo punto, verso
il centro della
composizione, Edward smise di suonare. Lo conoscevo troppo bene per
poter
credere che avesse smesso per una ragione superflua, così mi
guardai intorno in
cerca di qualcosa di anomalo che aveva causato
l’interruzione.
«Cosa
c’è?» gli chiesi.
«Nulla»
rispose. Il mio sguardo cadde subito
su Renesmee, che stava stringendo la mano a Jacob. Ecco, ci mancava
solo
questa. Rivolsi a mia figlia uno sguardo arrabbiato, sperando che
recepisse il
messaggio muto che le stavo inviando, ma lei non se ne curò
minimamente, anzi.
Mi rigirai verso Edward, per osservare la sua reazione e lui si
alzò dicendo:
«Dobbiamo andare».
«Io
resto ancora un po'» rispose Renesmee.
Non capiva che stava per venirsi a creare un putiferio?! Edward era
già
furioso, anche se lo mascherava benissimo.
«No,
tu vieni» ribatté Edward. Il suo tono
era visibilmente mutato: ora la rabbia non era nascosta.
«Devo
ancora studiare con Esme» si
giustificò Renesmee. Edward si era già avviato
verso l’uscita ed ora era di
fronte al divano chiaro. Rose ed Emmett sembravano incuranti della
situazione,
tanto era all’ordine del giorno.
«Studierai
a casa» sentenziò Edward.
«Ha
detto che vuole restare» disse Jacob,
alzandosi. La goccia che fece traboccare il vaso. Jacob ora aveva messo
in
bella mostra la mano stretta in quella di mia figlia e questo avrebbe
sicuramente fatto impazzire Edward. Apprezzavo il fatto che fosse
sempre
disposto a difendere mia figlia, ma perché, ogni volta che
lo faceva, era sempre
per contraddire mio marito?! Della serie: il lupo perde il pelo ma non
il
vizio. Mai proverbio fu più azzeccato di questo.
«Tu
non sei nessuno per dirmi cosa pensa mia
figlia!» urlò Edward. Udii Emmett che diceva a
bassissima voce a Rosalie:
«Scommetto che questa volta se le danno». Sempre il
solito. Per evitarlo mi
precipitai al fianco di Edward e condivisi con lui il mio pensiero:
“Calmati,
tesoro. Non è niente”. Però Renesmee
fece l’ennesimo errore della giornata:
poggiò una mano sulla spalla di Jake e non so se
iniziò ad urlare mentalmente o
cos’altro, ma fece infuriare Edward più del
dovuto. Emmett stava per vincere la
scommessa. Edward si stava avvicinando a Jacob, con aria terribilmente
minacciosa. Non potevo permetterlo.
«Dai,
Nessie, andiamo. Jake vieni anche tu?»
dissi, per calmare gli animi.
«Con
piacere» rispose Jacob, sorridendo.
Stavo quasi per dargli un ceffone, ma mi trattenni. Non capiva che
l’aveva
scampata per poco?! Edward lanciò uno sguardo di rimprovero
a Renesmee che gli
rispose con un’occhiata fiera. Forse l’influenza di
Jacob le faceva più male
che bene. Lei non si sarebbe mai permessa di sfidare il padre
così. “Andiamo,
dai. Parleremo a casa” dissi ad Edward, con il pensiero. Lui
ringhiò e mi prese
la mano. Uscimmo dalla porta principale. Forse mia figlia poteva
pensare che il
peggio fosse passato... ma non sapeva cosa l’attendeva a
casa... il ringhio di
suo padre le sarebbe sembrato un “Ti voglio bene”
rispetto a quello che avevo
da dirle. Edward era infuriato, si notava benissimo.
«Cos’hai
da guardare? È orrendo!» stava
dicendo Jacob, mentre correvamo alla volta della nostra casetta immersa
nella
foresta.
«E’
bellissimo, invece!» rispose Renesmee.
Non sapevo a cosa si stessero riferendo, ma potevo immaginarlo: il
simbolo dei
Cullen. Renesmee aveva un anello con quella sorta di stemma inciso
sopra. Io
avevo una collana che non toglievo mai. D’altronde era come
l’anello di
fidanzamento, la fede nuziale e il braccialetto con il cristallo a
forma di
cuore e il piccolo lupo di legno. Erano alcuni degli oggetti
più cari che avevo
e che avrei conservato per l'eternità.
«Creano
più problemi di quanti ne risolvano»
continuò Jacob.
«Beh,
lo fanno tutti i genitori, per questo
esistono gli amici licantropi, no?».
«Già,
amici...». Jacob sospirò. Edward mi
strinse la mano più forte, senza accorgersene.
«Edward...
è solo innamorato...» lo
giustificai. Non se lo meritava, a dire il vero, ma sapevo cosa provava
e non
potevo fare finta di nulla.
«Lo
so». L’arrabbiatura era ancora evidente,
almeno a me. All’improvviso sentii un licantropo in
avvicinamento: Leah.
Tornammo indietro per salutarla e soprattutto perché Jacob
aveva bisogno di
Edward per conoscere il motivo della visita della sua amica licantropo.
«Ciao,
Leah» intonammo in coro io e mio marito.
Le nostre voci all’unisono erano come una festa di campane.
Lei ci ignorò: Leah
odiava i vampiri e la sua educazione non le imponeva di rivolgere loro
un
minimo cenno. Da quando Jacob aveva avuto l’imprinting con
Renesmee il nostro
rapporto era migliorato, quindi non osavo ricordare come fosse prima.
«Devi
dirmi qualcosa?» chiese Jacob.
«Vuole
un giorno libero. Deve comprarsi un
vestito» tradusse Edward, alzando un sopracciglio. Ovviamente
nessuno di noi si
aspettava che Leah onorasse la cugina Emily della sua presenza al
matrimonio.
Renesmee e Jacob la guardarono stupiti.
«Dice
che è sempre sua cugina» disse Edward,
riportando i pensieri di Leah.
«Okay,
ma prima avverti Quil che vi
scambiate il turno... e mi raccomando: i vestiti per le donne sono
quelli con
la gonna!» continuò Jacob sghignazzando. Avrebbe
anche potuto evitare la
battuta, visto che la lupa grigia era facilmente irritabile. Leah se ne
andò
ringhiando ed io e Edward continuammo la nostra corsa. Il tragitto fu
molto
breve, e questo non permise ad Edward di calmarsi. O forse era anche il
fatto
che Renesmee stesse parlando amabilmente con Jacob come se nulla fosse.
Non
riuscivo a sopportare la tensione di Edward, così entrando
in casa dissi:
«Edward, ci penso io, okay?».
«No»
il suo tono non ammetteva repliche.
“Comunque non esagerare... sai com’è
fatto Jacob” gli dissi con la mente.
«Jacob
dovrebbe imparare a stare al suo
posto!» ringhiò quasi. Rimasi piuttosto sorpresa.
Non era da Edward perdere il
controllo in quel modo: come poteva arrabbiarsi così per un
piccolo gesto
d’affetto?
«Scusami»
disse, avvicinandosi e prendendo
il mio viso fra le mani. «Sono un po' nervoso» si
giustificò.
«Ho
notato» risposi. «Si sono solo presi per
mano...».
«Si,
lo so. Ma sembra che Jacob voglia
sempre portarmi via ogni cosa... Prima te, poi Renesmee... nostra
figlia è
ancora una bambina... Io...».
«Tuo
padre mi da sui nervi!». Questo era Jacob che si
stava rivolgendo a
Renesmee, inoltrati ancora di qualche passo nella foresta.
«Vedi?»
chiese Edward, che aveva sentito
tutto. Non era il gesto di per sé a dargli fastidio, ma il
fatto che Jacob
volesse portargli via sua figlia, la nostra bambina. Era ancora troppo
presto e
lo sapevo anch’io. Nel frattempo aveva distolto lo sguardo,
posandolo sul
pavimento e aveva fatto cadere le braccia.
«Edward,»
dissi, prendendo il suo viso tra
le mani, «Ti capisco... tu non sai quanto ti capisco. Anche a
me danno fastidio
questi atteggiamenti, ma so che non posso farci nulla. Renesmee e Jacob
sono
innamorati e lo saranno per sempre. Lo sapevamo già, non
è una sorpresa. Lui
non vuole provare a portarti via tua figlia... è solo
innamorato di lei. Vuole
passare il suo tempo con lei... E, per quanto riguarda me... nessuno ci
avrebbe
mai separati, e lo sai. L’unico che potrebbe separarci sei
tu, dicendomi di non
volermi più».
«Mai»
rispose, semplicemente. I nostri
sguardi erano intrecciati. Sentivo di poter leggere la sua anima, era
una
sensazione bellissima. Eravamo l’uno per l’altra.
Niente e nessuno ci avrebbe
mai diviso, neanche la morte, oramai. Speravo sinceramente che mia
figlia
potesse provare tanto amore per il suo licantropo quanto io ne provavo
per il
mio vampiro. Glielo auguravo, ma ora non riuscivo ancora ad accettare
l'idea di
lasciarla andare. Le braccia di Edward mi avvolsero, stringendomi a
lui. Lo
baciai dolcemente nello stesso istante in cui Jacob e Renesmee
varcarono la
soglia ci casa. Edward era di spalle ma aveva sentito il rumore dei
loro passi.
Subito ci staccammo.
«Jacob,
vieni. Andiamo in camera mia» disse Renesmee.
Jacob stava per seguirla.
«Tu
non vai da nessuna parte con lui!» urlò
Edward. Ci risiamo: l’istinto paterno di mio marito era
alquanto
incontrollabile. “Calma, amore” dissi, liberandomi
dello scudo.
«Perché
no?!» urlò Renesmee di rimando. Io e
Jacob eravamo gli unici a rimanere calmi. Anche se a Jacob costava un
certo
sforzo.
«Perché
lo dico io!». Tipica frase da padre:
lo dicono ogni volta che non sanno darti una motivazione valida.
«Edward,
basta...» dissi, con tono pacato.
«E voi due, non potete stare in salotto?».
«Perché?
Non facciamo nulla di male!»
intervenne Jacob.
«Jacob,
smettila!» urlai quasi. Ecco, stavo
perdendo il controllo. Il problema era che Jake voleva a tutti i costi
difendere Renesmee ed io sapevo che, nonostante fosse un po' esagerato,
Edward
aveva ragione. Potevano tranquillamente stare in salotto, no?
«Di
fare cosa?!».
«Okay...
Jacob è meglio se ora te ne vai!».
Edward si stava pericolosamente avvicinando a lui.
«No»
fu la sua risposta secca.
«Papà
smettila! Jacob può rimanere quanto
gli pare! Non sopporto quando mi tratti come una bambina!»
esclamò Renesmee.
«Tu
sei una bambina!» ribattei.
«Ho
quasi sei anni, è vero, ma ne dimostro
almeno quindici!».
«Ti
risulta che le “ragazzine” di quindici
anni stiano chiuse in camera con i loro ragazzi?!».
«No!
Ma Jacob non è il mio
“ragazzo”».
Renesmee enfatizzò la parola come se fosse un insulto.
«Nemmeno
con i loro amici, se è questo
quello che vuoi dire!». Mia figlia si stava arrampicando
sugli specchi con le
sue stupide scuse. Non riuscivo a credere che stessimo litigando in
quel modo
per un motivo così stupido. Non che non avessimo mai avuto
una discussione, ma
mai di quel genere.
«Perché
non vuoi che stiamo insieme? Cosa
c’è di male?» chiese Jacob.
«Jacob
non fare finta di non capire! È una
bambina! Deve comportarsi come tale!» intervenne Edward.
«Certo!
Ma, invece, ti stava benissimo
quando entravi nella camera di Bella, di notte, all’insaputa
di Charlie!»
rispose Jacob. Quella frase mi fece infuriare ma Edward mi precedette:
spinse
Jacob verso il muro, mentre lui tremava tutto. Fortunatamente Jacob non
subì
lesioni, al contrario della parete. Si formò velocemente una
crepa. Renesmee
andò subito da Jacob, il quale, per fortuna, era riuscito a
non trasformarsi.
Io andai subito davanti ad Edward per fermarlo. Se avesse fatto del
male a
Jacob, nostra figlia non glielo avrebbe mai perdonato. Lo sapevo bene e
non
volevo che la mia famiglia si sfasciasse così.
“Basta, Edward! Per favore”
urlai, mentalmente. Sembrò calmarsi.
«Stai
bene? Tutto apposto? Niente di rotto?»
continuava a chiedere Renesmee a Jacob, che rispondeva annuendo.
«Renesmee
vai in camera tua, per favore»
sussurrai.
«Mamma...
ti prego...» implorò lei.
«Vai,
ci penso io. Vi rivedrete stasera».
Renesmee si alzò, convinta, e, sul punto di scoppiare in
lacrime, andò nella
sua stanza. Edward era di fronte a me, impietrito. Aveva
un’espressione
arrabbiata, ma sapevo che il peggio era passato. Mi accovacciai su
Jacob e gli
diedi una mano ad alzarsi. Era un po' frastornato ma non si era ferito.
“Amore,
lasciaci un attimo soli. Gli devo parlare. Tu vai da Renesmee.
Grazie” pensai.
Edward fece ciò che gli avevo chiesto, senza rispondere.
«Tutto
bene?» chiesi, appena Edward se ne fu
andato.
«Dovresti
tenere a bada tuo marito. La prossima
volta non gliela faccio passare liscia!» assicurò
Jake.
«Perché
dai per scontato che ci sarà una
prossima volta?» chiesi, sorridendo. Volevo alleggerire la
situazione. Anche
Jacob sembrava troppo alterato.
«E’
ovvio! Il succhiasangue è geloso anche
della figlia!».
«Jacob,
smettila. Non sai cosa significhi
avere una figlia».
«Okay,
te lo concedo. Ma, in teoria,
dovrebbe conoscere i miei pensieri... dovrebbe sapere che non sono
malintenzionato».
«Forse
è proprio perché conosce i tuoi
pensieri che non gli vai a genio. Non ci hai mai pensato?».
«In
effetti no» ammise. «Ma come è possibile
che tutto questo si sia scatenato solo perché io e Nessie ci
tenevamo per
mano?».
«Jake,
devi ammettere che è un gesto
piuttosto intimo».
«Si,
forse. Ma allora perché quando io ti
stringevo la mano, era solo amicizia... e ora che stringo quella di tua
figlia
è, per forza, qualcosa di più?» chiese.
Aveva colpito nel segno. Aveva ragione.
Io non avevo mai considerato quel suo gesto, da umana, come un simbolo
di
amore. Ma ora tutto mi sembrava una situazione diversa: quella che
stringeva la
mano a qualcuno era Renesmee. Questo cambiava tutto. Rimasi a
riflettere per
partorire una risposta coerente, ma non mi venne nulla in mente.
«Non
lo so» concessi, «Ma so solo che per il
momento è così».
«Ma
sai anche che non è giusto» mi ammonì.
Sembrava un bambino lamentoso, ma capivo le sue ragioni. Lui amava
Renesmee e
voleva solo che lei fosse felice. D’altronde come me ed
Edward.
«Jacob,
per favore, cerca di non esagerare.
Sai perfettamente che Edward è molto protettivo e geloso.
Non provocarlo in
continuazione».
«Ma
chi è quello saggio e responsabile?! Non
dovrei essere io!» si giustificò.
«Edward
è molto responsabile e anche maturo.
Anche lui, ogni tanto, ha i
suoi cinque
minuti, come tutti».
«E’
andato un po' oltre, rispetto ai cinque
minuti».
«E’
vero, ma devi ammettere che anche tu hai
esagerato un po'».
«Pensala
come vuoi. Ci vediamo stasera e,
per favore, io e Nessie potremmo goderci qualche momento da
soli?» chiese.
«D’accordo.
Solo se fai il bravo» dissi,
ridendo.
«Grazie,
Bella» sussurrò.
«Ti
voglio bene, Jake». Detto questo
scomparì nella foresta. Tesi l’orecchio per
sentire le voci di Edward e
Renesmee...
«Beh,
il minimo che possa fare, per farmi
perdonare, è cercare di fare il bravo...» ma non
finì la frase.
«Grazie
papà!» urlò Renesmee, soddisfatta.
Aveva ottenuto ciò che voleva.
«Ti
voglio bene» disse Edward.
«Anch’io»
assicurò mia figlia. Edward tornò
in salotto. Il peggio era passato.
«Sai che sei il miglior padre del mondo?» dissi, sorridendo e abbracciando l’adone marmoreo che era mio marito. Sorrise a mo’ di conferma. Mi prese il viso tra le mani e mi baciò con passione. Ora, finalmente, era tornato tutto alla normalità, per il momento.
NDA:
spero vi sia piaciuto e, se è così, mi
raccomando, fatemelo sapere! Per chi volesse: una mia amica sta
scrivendo la versione dal punto di vista di Renesmee (Pole Star). Ecco
il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=754263&i=1