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Autore: ColferAddict    06/07/2011    3 recensioni
"Finchè non sarò morta, o non avrò sconfitto questa maledizione, nessuno di quelli che amo sarà al sicuro."
Fan-fiction scritta come seguito di Breaking Dawn e ambientata sei anni dopo la fine del romanzo che tutti amiamo e tutti conosciamo. Dal punto di vista di Bella, una storia che descrive la sua nuova vita da madre e moglie, le reazioni alla crescita della figlia e l'evolversi del suo rapporto con Edward.
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward, Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Capitolo 1: Bambina

 

Correvo, inarrestabile e sicura dei miei movimenti, osservavo il paesaggio intorno a me e, senza nemmeno accorgermene, ne analizzavo ogni minimo dettaglio. Era un giorno perfetto per i canoni della mia città: le nuvole rivestivano il cielo di un sottile strato grigio chiaro. La foresta era ancora addormentata e, di conseguenza, molto silenziosa e tranquilla. Oltre ad analizzare ogni minuscola particolarità del bosco, tenevo anche l’olfatto allerta, in modo da riuscire a percepire qualche preda degna di essere chiamata come tale. Per esperienza sapevo che, in quel periodo dell’anno, la varietà degli animali era particolarmente scarsa a causa del letargo. La neve sugli alberi, sul terriccio, sui cespugli rendeva l’ambiente piuttosto pittoresco anche se non riuscivo a vederlo come tale. Per me era la mia casa ormai, la foresta che circondava la mia città: Forks. Okay, forse chiamarla città era inappropriato... ma non sapevo come altro definirla. Forks era piccola, ma mi aveva cambiato la vita da quando ero venuta ad abitarci. Mi sembrava impossibile che fossero già passati otto anni. Mi sembrava solo ieri che avevo conosciuto l’uomo che ora era mio marito e che stava correndo al mio fianco, elegante e delicato come sempre. Edward Cullen: l’uomo perfetto. Conoscerlo aveva dato tutt’un altro senso alla mia vita. Prima del nostro incontro trascorrevo ogni giornata in modo automatico, senza viverne a pieno nemmeno una. Il suo arrivo aveva portato con sé ciò di cui avevo bisogno per sentirmi viva, felice e appagata. In quel momento mi ritornarono alla mente tutti mesi trascorsi ad ignorarci oppure a punzecchiarci a vicenda, inconsapevoli o forse troppo sicuri di quello che sarebbe successo una volta superata quella fase. Sorrisi al pensiero di quanto tempo avevo perso a chiedermi quale fosse il problema di quel ragazzo che mi sedeva affianco nell’ora di biologia e che faceva di tutto per irritarmi, rimanendo costantemente nei miei pensieri. A quel punto Edward si girò verso di me e mi sorrise, vedendomi assorta nei miei pensieri. Potevano anche essere passati otto anni ma l’effetto della sua presenza non sarebbe variato nemmeno dopo un secolo. Avevo bisogno di lui come un eroinomane ha bisogno della sua dose giornaliera. Anche se il mio cuore non era più in grado di reagire ai suoi sorrisi e alla sua presenza, il mio respiro continuava ad accelerare ogni qual volta i nostri sguardi si incrociavano oppure quando mi sfiorava. Considerando il fatto che ad Edward non scappava nulla delle mie espressioni, si girò di scatto verso di me ed arrestò la sua e la mia corsa. Si fece sempre più vicino e, com’era prevedibile, il mio respiro accelerò come un campanello d’allarme dovuto alla sua vicinanza. Fissavo i suoi occhi, quei due bellissimi laghi d’oro nei quali potevo sempre immergermi per tranquillizzarmi e per sentirmi amata come nessun’altra. La sua mano cercò il mio viso e, nel momento esatto in cui lo trovò, mi alzai sulle punte per baciarlo. A volte era difficilissimo resistere, risultava impossibile voler prolungare quel momento per renderlo più romantico o più dolce. Quando ci separammo rimanemmo qualche secondo a guardarci negli occhi, in silenzio, a volte le parole erano assolutamente superflue.

«Ti amo» disse Edward dopo un po'. Tutte le parole erano superflue tranne quelle.

«Anch’io» risposi, completamente stregata dalla sua incredibile bellezza. Dopo questa piccola interruzione, totalmente necessaria, riprendemmo la caccia. Erano quasi le sette e tra poco Renesmee si sarebbe svegliata, trovando Alice ad aspettarla, impaziente di cominciare una nuova giornata. Mia figlia, oramai, dimostrava quasi quindici anni, ma in realtà ne aveva solo sei e qualche mese... Era questione di poco tempo e sarebbe diventata un’adulta a tutti gli effetti, interrompendo la sua crescita. Stavo vagando nei ricordi di mia figlia da neonata, quando un forte profumo mi riportò al presente. Era un puma. Anche Edward l’aveva fiutato e ora ci stavamo dirigendo insieme verso la nostra preda. Eravamo in ritardo: dovevamo essere a casa Cullen per le otto e non avevamo ancora cacciato nulla. Il puma era troppo lontano e così dovemmo accontentarci di un paio di cervi che erano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Terminato il pasto mi accostai al corpo marmoreo di mio marito...

«Hai notato?» sussurrai. «Non mi sono sporcata nemmeno un po' questa volta. Forse sto finalmente imparando» continuai, sorridendo.

«È un peccato, sei adorabile quando sei tutta imbrattata» rispose.

«Anche a questo c’è rimedio» risi, buttandomi addosso a lui e trascinandolo sul terreno umido ed innevato. Ridevamo rotolandoci nel fango quando il piccolo palmare che Edward aveva in tasca squillò, insistente. Lui era disteso a terra ed io ero sopra di lui.

«Ti pareva» mormorò Edward, con un tono di sopportazione. Notai che sul display era apparso il nome di Emmett, il mio fratellone. Era così simpatico e di compagnia, ma a volte poteva essere davvero fastidioso.

«Che c’è?» chiese Edward, rispondendo al telefono, con tono un po' alterato.

«Ho interrotto qualcosa?» ribatté Emmett.

«Come sempre. Comunque cosa c’è?». La conversazione era esilarante per il tono di entrambi.

«Niente di che. Volevo solo dirti che è arrivata una partecipazione di nozze». Era evidente che Emmett godesse nell’interromperci con le scuse più stupide. Ora mi ero arrabbiata anch’io.

«Non potevi aspettare che venissimo a casa per comunicarci questa “lieta novella”?». Presi il telefono dalle mani di Edward e lo accostai all’orecchio.

«Saremo felici di conoscere i particolari della tua “importantissima” notizia più tardi. Ciao, Emmett». Edward stava ridendo ed io chiusi la comunicazione senza attendere risposta.

«Secondo me lo fa apposta. Si starà vendicando per tutte le volte che l’ho battuto a braccio di ferro».

«Già. Dov’eravamo rimasti?» chiese. Sorrisi e lo baciai dolcemente. All’improvviso realizzai che le sette erano passate da un bel po'. Eravamo in ritardo, ancora. Il problema era che non riuscivo a fermarmi quando ero con Edward. Non riuscivo ancora a trovare il giusto equilibrio, come aveva detto lui un po' di anni fa. Il suo profumo, il suo sapore, la sua dolcezza, la sua bellezza... non mi aiutavano affatto. Edward, però, era migliore di me in questo...

«Siamo in ritardo, di nuovo» sussurrò.

«Ops». Ci alzammo e cominciammo la corsa verso la bellissima casa dei Cullen. Ormai era inutile fare una gara, tanto vinceva sempre lui. Non ero più la neonata più forte della famiglia... peccato. Come prima riuscivo a notare ogni più piccolo particolare della foresta, ma ormai ero concentrata su altro, qualcosa di più interessante e soprattutto più piacevole da osservare. Dopo una decina di minuti eravamo a casa, la nostra casa. Le pareti dei muri erano, anche in quel periodo dell’anno, rivestite di piante di rose. Entrammo dalla piccola porta d’ingresso e ci precipitammo in camera da letto. Eravamo completamente rivestiti di fango e neve e quindi dovevamo necessariamente cambiarci. Non volevo sorbirmi Alice e le sue prediche sul look. Aprii le porte dell’enorme cabina-armadio e trovai subito un paio di jeans attillati ed un maglioncino blu. Oramai avevo imparato come tenere a bada la mia sorellina: bastavano un paio di tacchi e un jeans aderente per renderla felice e appagata. Edward indossava una camicia bianca con un maglione beige sopra e un pantalone marrone. Lui, invece, non aveva mai avuto problemi ad assecondare la sorella: era sempre impeccabile e perfetto nel vestire... e non solo.

«Blu? Oggi sono fortunato» disse, notando il colore che avevo scelto. Sorrisi e ci precipitammo fuori, consapevoli che Renesmee era già stata accompagnata da Alice e Jasper a casa di Carlisle. Arrivammo quasi subito presso la residenza dei miei “suoceri”. Era strano, ma non riuscivo a definirli come tali, dopotutto dimostravano un’età così giovane che nessuno se la sarebbe mai sentita di assegnargli quell’appellativo.  Sentivo Renesmee che chiacchierava con Rosalie, mentre Jacob era, come sempre, in cucina a rifocillarsi.  Presi la mano di Edward ed entrammo dall’ingresso principale. Quasi tutti si girarono vedendoci ed io andai subito incontro a mia figlia e l’abbracciai con calore. Il contatto con la sua pelle calda mi fece tranquillizzare ulteriormente. Renesmee restituì l’abbraccio e poi Edward la salutò con un bacio delicato sulla fronte. Tutti gli altri rimasero impassibili davanti alla nostra entrata ma, d’altronde, erano abituati alla nostra presenza.

«Allora, questa partecipazione di matrimonio?» chiese Edward, rivolgendosi al fratello che ci aveva interrotti.

«Il capo-branco si sposa» intervenne Rosalie, acida. Renesmee le diede una piccola spinta affettuosa. Non sopportava che si prendessero in giro i licantropi, giustamente. Il suo migliore amico era uno di loro.

«Dovremmo vestirci eleganti, no?». Alice era già super eccitata... infatti io e mia figlia, che aveva ereditato l’odio per lo shopping da me, ci lamentammo all’unisono. Renesmee si accasciò sul divano mentre Edward si avvicinò a me per darmi sostegno. «Che bello! Ancora shopping!» gongolava Alice. Anche con tutti gli sforzi di questo mondo, non riuscivo a condividere il suo entusiasmo. Si, avevo imparato ad assecondarla il più possibile ma, a volte, il suo entusiasmo era talmente accentuato che risultava assolutamente fuori luogo. Purtroppo, Alice era così e nessuno sarebbe mai riuscito a cambiarla. A quel punto Jacob uscì dalla cucina, finalmente sazio. Alice lo guardò: effettivamente indossava un paio di bermuda ed una maglietta logora, ma quando mai Jacob era andato in giro in smoking? Nemmeno al mio matrimonio con Edward si era presentato in quel modo.

«Anche per te, cane!» continuò Alice.

«Certo, certo» rispose Jacob, incurante. Era carino quando assumeva quel tono menefreghista, anche se poteva infastidire. Jacob era sempre stato così: sapevo che non l’avrebbe data vinta ad Alice senza combattere. Terminati i convenevoli ogni membro della famiglia tornò alla sua occupazione: Alice e Jasper salirono al piano di sopra. Emmett si accomodò sul divano, abbracciando Rosalie, e cominciò con il suo solito zapping. Carlisle tornò nel suo studio ed Edward si accostò con me al pianoforte. Rosalie e Renesmee continuarono a conversare tranquillamente e poco dopo la stanza si riempì della musica composta da Edward. Riconobbi all’istante la melodia della mia ninnananna e mi strinsi a lui, sorridendo ed affondando il viso nel suo braccio. Jacob passò davanti al pianoforte, dirigendosi al fianco di Renesmee sul divano.

«Che strazio!» esclamò, infastidito dalla musica dolce.

«Guarda chi è arrivato, lo strazio fatto persona!» ribattei subito. Jacob fece un inchino teatrale, strafottente, e si accomodò ai piedi di Renesmee. Edward era rimasto impassibile. Appoggiai una mano sulla sua gamba e lui sembrò tranquillizzarsi, potevano anche essere passati sei anni dalla nascita di nostra figlia, ma la costante presenza di Jacob tuttora non gli andava giù. Ad un certo punto, verso il centro della composizione, Edward smise di suonare. Lo conoscevo troppo bene per poter credere che avesse smesso per una ragione superflua, così mi guardai intorno in cerca di qualcosa di anomalo che aveva causato l’interruzione.

«Cosa c’è?» gli chiesi.

«Nulla» rispose. Il mio sguardo cadde subito su Renesmee, che stava stringendo la mano a Jacob. Ecco, ci mancava solo questa. Rivolsi a mia figlia uno sguardo arrabbiato, sperando che recepisse il messaggio muto che le stavo inviando, ma lei non se ne curò minimamente, anzi. Mi rigirai verso Edward, per osservare la sua reazione e lui si alzò dicendo: «Dobbiamo andare».

«Io resto ancora un po'» rispose Renesmee. Non capiva che stava per venirsi a creare un putiferio?! Edward era già furioso, anche se lo mascherava benissimo.

«No, tu vieni» ribatté Edward. Il suo tono era visibilmente mutato: ora la rabbia non era nascosta.

«Devo ancora studiare con Esme» si giustificò Renesmee. Edward si era già avviato verso l’uscita ed ora era di fronte al divano chiaro. Rose ed Emmett sembravano incuranti della situazione, tanto era all’ordine del giorno.

«Studierai a casa» sentenziò Edward.

«Ha detto che vuole restare» disse Jacob, alzandosi. La goccia che fece traboccare il vaso. Jacob ora aveva messo in bella mostra la mano stretta in quella di mia figlia e questo avrebbe sicuramente fatto impazzire Edward. Apprezzavo il fatto che fosse sempre disposto a difendere mia figlia, ma perché, ogni volta che lo faceva, era sempre per contraddire mio marito?! Della serie: il lupo perde il pelo ma non il vizio. Mai proverbio fu più azzeccato di questo.

«Tu non sei nessuno per dirmi cosa pensa mia figlia!» urlò Edward. Udii Emmett che diceva a bassissima voce a Rosalie: «Scommetto che questa volta se le danno». Sempre il solito. Per evitarlo mi precipitai al fianco di Edward e condivisi con lui il mio pensiero: “Calmati, tesoro. Non è niente”. Però Renesmee fece l’ennesimo errore della giornata: poggiò una mano sulla spalla di Jake e non so se iniziò ad urlare mentalmente o cos’altro, ma fece infuriare Edward più del dovuto. Emmett stava per vincere la scommessa. Edward si stava avvicinando a Jacob, con aria terribilmente minacciosa. Non potevo permetterlo.

«Dai, Nessie, andiamo. Jake vieni anche tu?» dissi, per calmare gli animi.

«Con piacere» rispose Jacob, sorridendo. Stavo quasi per dargli un ceffone, ma mi trattenni. Non capiva che l’aveva scampata per poco?! Edward lanciò uno sguardo di rimprovero a Renesmee che gli rispose con un’occhiata fiera. Forse l’influenza di Jacob le faceva più male che bene. Lei non si sarebbe mai permessa di sfidare il padre così. “Andiamo, dai. Parleremo a casa” dissi ad Edward, con il pensiero. Lui ringhiò e mi prese la mano. Uscimmo dalla porta principale. Forse mia figlia poteva pensare che il peggio fosse passato... ma non sapeva cosa l’attendeva a casa... il ringhio di suo padre le sarebbe sembrato un “Ti voglio bene” rispetto a quello che avevo da dirle. Edward era infuriato, si notava benissimo.

«Cos’hai da guardare? È orrendo!» stava dicendo Jacob, mentre correvamo alla volta della nostra casetta immersa nella foresta.

«E’ bellissimo, invece!» rispose Renesmee. Non sapevo a cosa si stessero riferendo, ma potevo immaginarlo: il simbolo dei Cullen. Renesmee aveva un anello con quella sorta di stemma inciso sopra. Io avevo una collana che non toglievo mai. D’altronde era come l’anello di fidanzamento, la fede nuziale e il braccialetto con il cristallo a forma di cuore e il piccolo lupo di legno. Erano alcuni degli oggetti più cari che avevo e che avrei conservato per l'eternità.

«Creano più problemi di quanti ne risolvano» continuò Jacob.

«Beh, lo fanno tutti i genitori, per questo esistono gli amici licantropi, no?».

«Già, amici...». Jacob sospirò. Edward mi strinse la mano più forte, senza accorgersene.

«Edward... è solo innamorato...» lo giustificai. Non se lo meritava, a dire il vero, ma sapevo cosa provava e non potevo fare finta di nulla.

«Lo so». L’arrabbiatura era ancora evidente, almeno a me. All’improvviso sentii un licantropo in avvicinamento: Leah. Tornammo indietro per salutarla e soprattutto perché Jacob aveva bisogno di Edward per conoscere il motivo della visita della sua amica licantropo.

«Ciao, Leah» intonammo in coro io e mio marito. Le nostre voci all’unisono erano come una festa di campane. Lei ci ignorò: Leah odiava i vampiri e la sua educazione non le imponeva di rivolgere loro un minimo cenno. Da quando Jacob aveva avuto l’imprinting con Renesmee il nostro rapporto era migliorato, quindi non osavo ricordare come fosse prima.

«Devi dirmi qualcosa?» chiese Jacob.

«Vuole un giorno libero. Deve comprarsi un vestito» tradusse Edward, alzando un sopracciglio. Ovviamente nessuno di noi si aspettava che Leah onorasse la cugina Emily della sua presenza al matrimonio. Renesmee e Jacob la guardarono stupiti.

«Dice che è sempre sua cugina» disse Edward, riportando i pensieri di Leah.

«Okay, ma prima avverti Quil che vi scambiate il turno... e mi raccomando: i vestiti per le donne sono quelli con la gonna!» continuò Jacob sghignazzando. Avrebbe anche potuto evitare la battuta, visto che la lupa grigia era facilmente irritabile. Leah se ne andò ringhiando ed io e Edward continuammo la nostra corsa. Il tragitto fu molto breve, e questo non permise ad Edward di calmarsi. O forse era anche il fatto che Renesmee stesse parlando amabilmente con Jacob come se nulla fosse. Non riuscivo a sopportare la tensione di Edward, così entrando in casa dissi: «Edward, ci penso io, okay?».

«No» il suo tono non ammetteva repliche. “Comunque non esagerare... sai com’è fatto Jacob” gli dissi con la mente.

«Jacob dovrebbe imparare a stare al suo posto!» ringhiò quasi. Rimasi piuttosto sorpresa. Non era da Edward perdere il controllo in quel modo: come poteva arrabbiarsi così per un piccolo gesto d’affetto?

«Scusami» disse, avvicinandosi e prendendo il mio viso fra le mani. «Sono un po' nervoso» si giustificò.

«Ho notato» risposi. «Si sono solo presi per mano...».

«Si, lo so. Ma sembra che Jacob voglia sempre portarmi via ogni cosa... Prima te, poi Renesmee... nostra figlia è ancora una bambina... Io...».

«Tuo padre mi da sui nervi!». Questo era Jacob che si stava rivolgendo a Renesmee, inoltrati ancora di qualche passo nella foresta.

«Vedi?» chiese Edward, che aveva sentito tutto. Non era il gesto di per sé a dargli fastidio, ma il fatto che Jacob volesse portargli via sua figlia, la nostra bambina. Era ancora troppo presto e lo sapevo anch’io. Nel frattempo aveva distolto lo sguardo, posandolo sul pavimento e aveva fatto cadere le braccia.

«Edward,» dissi, prendendo il suo viso tra le mani, «Ti capisco... tu non sai quanto ti capisco. Anche a me danno fastidio questi atteggiamenti, ma so che non posso farci nulla. Renesmee e Jacob sono innamorati e lo saranno per sempre. Lo sapevamo già, non è una sorpresa. Lui non vuole provare a portarti via tua figlia... è solo innamorato di lei. Vuole passare il suo tempo con lei... E, per quanto riguarda me... nessuno ci avrebbe mai separati, e lo sai. L’unico che potrebbe separarci sei tu, dicendomi di non volermi più».

«Mai» rispose, semplicemente. I nostri sguardi erano intrecciati. Sentivo di poter leggere la sua anima, era una sensazione bellissima. Eravamo l’uno per l’altra. Niente e nessuno ci avrebbe mai diviso, neanche la morte, oramai. Speravo sinceramente che mia figlia potesse provare tanto amore per il suo licantropo quanto io ne provavo per il mio vampiro. Glielo auguravo, ma ora non riuscivo ancora ad accettare l'idea di lasciarla andare. Le braccia di Edward mi avvolsero, stringendomi a lui. Lo baciai dolcemente nello stesso istante in cui Jacob e Renesmee varcarono la soglia ci casa. Edward era di spalle ma aveva sentito il rumore dei loro passi. Subito ci staccammo.

«Jacob, vieni. Andiamo in camera mia» disse Renesmee. Jacob stava per seguirla.

«Tu non vai da nessuna parte con lui!» urlò Edward. Ci risiamo: l’istinto paterno di mio marito era alquanto incontrollabile. “Calma, amore” dissi, liberandomi dello scudo.

«Perché no?!» urlò Renesmee di rimando. Io e Jacob eravamo gli unici a rimanere calmi. Anche se a Jacob costava un certo sforzo.

«Perché lo dico io!». Tipica frase da padre: lo dicono ogni volta che non sanno darti una motivazione valida.

«Edward, basta...» dissi, con tono pacato. «E voi due, non potete stare in salotto?».

«Perché? Non facciamo nulla di male!» intervenne Jacob.

«Jacob, smettila!» urlai quasi. Ecco, stavo perdendo il controllo. Il problema era che Jake voleva a tutti i costi difendere Renesmee ed io sapevo che, nonostante fosse un po' esagerato, Edward aveva ragione. Potevano tranquillamente stare in salotto, no?

«Di fare cosa?!».

«Okay... Jacob è meglio se ora te ne vai!». Edward si stava pericolosamente avvicinando a lui.

«No» fu la sua risposta secca.

«Papà smettila! Jacob può rimanere quanto gli pare! Non sopporto quando mi tratti come una bambina!» esclamò Renesmee.

«Tu sei una bambina!» ribattei.

«Ho quasi sei anni, è vero, ma ne dimostro almeno quindici!».

«Ti risulta che le “ragazzine” di quindici anni stiano chiuse in camera con i loro ragazzi?!».

«No! Ma Jacob non è il mio “ragazzo”». Renesmee enfatizzò la parola come se fosse un insulto.

«Nemmeno con i loro amici, se è questo quello che vuoi dire!». Mia figlia si stava arrampicando sugli specchi con le sue stupide scuse. Non riuscivo a credere che stessimo litigando in quel modo per un motivo così stupido. Non che non avessimo mai avuto una discussione, ma mai di quel genere.

«Perché non vuoi che stiamo insieme? Cosa c’è di male?» chiese Jacob.

«Jacob non fare finta di non capire! È una bambina! Deve comportarsi come tale!» intervenne Edward.

«Certo! Ma, invece, ti stava benissimo quando entravi nella camera di Bella, di notte, all’insaputa di Charlie!» rispose Jacob. Quella frase mi fece infuriare ma Edward mi precedette: spinse Jacob verso il muro, mentre lui tremava tutto. Fortunatamente Jacob non subì lesioni, al contrario della parete. Si formò velocemente una crepa. Renesmee andò subito da Jacob, il quale, per fortuna, era riuscito a non trasformarsi. Io andai subito davanti ad Edward per fermarlo. Se avesse fatto del male a Jacob, nostra figlia non glielo avrebbe mai perdonato. Lo sapevo bene e non volevo che la mia famiglia si sfasciasse così. “Basta, Edward! Per favore” urlai, mentalmente. Sembrò calmarsi.

«Stai bene? Tutto apposto? Niente di rotto?» continuava a chiedere Renesmee a Jacob, che rispondeva annuendo.

«Renesmee vai in camera tua, per favore» sussurrai.

«Mamma... ti prego...» implorò lei.

«Vai, ci penso io. Vi rivedrete stasera». Renesmee si alzò, convinta, e, sul punto di scoppiare in lacrime, andò nella sua stanza. Edward era di fronte a me, impietrito. Aveva un’espressione arrabbiata, ma sapevo che il peggio era passato. Mi accovacciai su Jacob e gli diedi una mano ad alzarsi. Era un po' frastornato ma non si era ferito. “Amore, lasciaci un attimo soli. Gli devo parlare. Tu vai da Renesmee. Grazie” pensai. Edward fece ciò che gli avevo chiesto, senza rispondere.

«Tutto bene?» chiesi, appena Edward se ne fu andato.

«Dovresti tenere a bada tuo marito. La prossima volta non gliela faccio passare liscia!» assicurò Jake.

«Perché dai per scontato che ci sarà una prossima volta?» chiesi, sorridendo. Volevo alleggerire la situazione. Anche Jacob sembrava troppo alterato.

«E’ ovvio! Il succhiasangue è geloso anche della figlia!».

«Jacob, smettila. Non sai cosa significhi avere una figlia».

«Okay, te lo concedo. Ma, in teoria, dovrebbe conoscere i miei pensieri... dovrebbe sapere che non sono malintenzionato».

«Forse è proprio perché conosce i tuoi pensieri che non gli vai a genio. Non ci hai mai pensato?».

«In effetti no» ammise. «Ma come è possibile che tutto questo si sia scatenato solo perché io e Nessie ci tenevamo per mano?».

«Jake, devi ammettere che è un gesto piuttosto intimo».

«Si, forse. Ma allora perché quando io ti stringevo la mano, era solo amicizia... e ora che stringo quella di tua figlia è, per forza, qualcosa di più?» chiese. Aveva colpito nel segno. Aveva ragione. Io non avevo mai considerato quel suo gesto, da umana, come un simbolo di amore. Ma ora tutto mi sembrava una situazione diversa: quella che stringeva la mano a qualcuno era Renesmee. Questo cambiava tutto. Rimasi a riflettere per partorire una risposta coerente, ma non mi venne nulla in mente.

«Non lo so» concessi, «Ma so solo che per il momento è così».

«Ma sai anche che non è giusto» mi ammonì. Sembrava un bambino lamentoso, ma capivo le sue ragioni. Lui amava Renesmee e voleva solo che lei fosse felice. D’altronde come me ed Edward.

«Jacob, per favore, cerca di non esagerare. Sai perfettamente che Edward è molto protettivo e geloso. Non provocarlo in continuazione».

«Ma chi è quello saggio e responsabile?! Non dovrei essere io!» si giustificò.

«Edward è molto responsabile e anche maturo. Anche lui, ogni tanto, ha  i suoi cinque minuti, come tutti».

«E’ andato un po' oltre, rispetto ai cinque minuti».

«E’ vero, ma devi ammettere che anche tu hai esagerato un po'».

«Pensala come vuoi. Ci vediamo stasera e, per favore, io e Nessie potremmo goderci qualche momento da soli?» chiese.

«D’accordo. Solo se fai il bravo» dissi, ridendo.

«Grazie, Bella» sussurrò.

«Ti voglio bene, Jake». Detto questo scomparì nella foresta. Tesi l’orecchio per sentire le voci di Edward e Renesmee...

«Beh, il minimo che possa fare, per farmi perdonare, è cercare di fare il bravo...» ma non finì la frase.

«Grazie papà!» urlò Renesmee, soddisfatta. Aveva ottenuto ciò che voleva.

«Ti voglio bene» disse Edward.

«Anch’io» assicurò mia figlia. Edward tornò in salotto. Il peggio era passato.

«Sai che sei il miglior padre del mondo?» dissi, sorridendo e abbracciando l’adone marmoreo che era mio marito. Sorrise a mo’ di conferma. Mi prese il viso tra le mani e mi baciò con passione. Ora, finalmente, era tornato tutto alla normalità, per il momento.

NDA: spero vi sia piaciuto e, se è così, mi raccomando, fatemelo sapere! Per chi volesse: una mia amica sta scrivendo la versione dal punto di vista di Renesmee (Pole Star). Ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=754263&i=1

   
 
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