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Autore: Shainareth    16/03/2006    9 recensioni
Sei la mia forza e la mia debolezza...
Ringrazio quanti mi hanno spinto a dare un epilogo a questa storia. ^^
CONCLUSA
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO

   «‘Patetica’?» s’imbronciò lei, scuotendo i capelli ramati alla luce della luna. «Non è esattamente quello che vorrei sembrare...»

   A quelle parole seguì un lungo silenzio durante il quale rifletté meglio sulla loro situazione: in effetti non aveva tutti i torti, Robin, a definire quel loro strambo rapporto l'unico sfogo che avevano per non compromettere tutto.

   Sospirò. «Robin la sa più lunga di noi due messi insieme...»

   «Ma davvero vuoi dargliela vinta?»

   «Zoro, qui non si tratta di una sfida con lei, si tratta di...» e tacque, non riuscendo a pronunciare il resto della frase. In compenso si lasciò sfuggire un secondo sospiro.

   Il giovane samurai ruotò gli occhi verso la compagna: se ne stava seduta sotto ai suoi mandarini, un vecchio cardigan sulle spalle, le ginocchia al petto, le braccia conserte, lo sguardo pensieroso.

   «Sembri una mocciosa...»

   «Zitto, cavernicolo» rimbeccò la navigatrice guardandolo in tralice.

   L’altro rise, mettendo finalmente via i suoi pesi. «Nami, mi spieghi perché dobbiamo discuterne proprio ora? Non si può rimandare a domattina?»

   «Quando tu sarai profondamente addormentato?»

   «Beh... di notte mi alleno...»

   «Appunto: è l’unico momento in cui ti si può parlare, visto che sei sveglio»

   Sbadigliò prendendo l'asciugamani che aveva messo da parte, e cominciò ad asciugarsi il sudore di dosso. «Ok, parliamone...» accettò infine. «Sei davvero sicura di quello che mi hai appena detto?»

   Nami aprì la bocca per parlare, ma indugiò nella risposta, tanto che lui la interruppe: «Lo vedi? Non ci credi neanche tu»

   «Ma...»

   «Lascia perdere, Nico Robin non sa quel che dice...» continuò a zittirla lasciandosi cadere seduto sul ponte esattamente sotto a dov’era lei. «Che poi... come diavolo ti salta in mente di parlare dei fatti nostri a quella?»

   «‘Quella’ è una nostra amica» rimbeccò la ragazza, indispettita.

   «TUA amica» precisò Roronoa.

   «Ce l'hai ancora con lei?!» stentò a crederci la rossa.

   «No, ma non mi sembra che fra me e lei ci sia lo stesso rapporto che ho con te»

   «Oh, ora mi consideri tua amica?» s'incuriosì, un sorriso ad illuminarle il volto chiaro.

   Zoro rise con lei. «Più o meno...»

   «Come ‘più o meno’?» s’accigliò l'altra, affacciandosi ad osservare la testa del compagno dall’alto.

   Lui fece lo stesso alzando lo sguardo nella sua direzione; e i loro occhi si incrociarono per la prima volta, quella notte.

   Robin aveva ragione. Cavolo, se l’aveva...

   Lo sapevano entrambi; tuttavia solo Nami era finalmente riuscita ad ammetterlo non solo a se stessa, ma anche nella discussione che ora stava avendo con l’altro diretto interessato.

   «L’orgoglio è una gran brutta bestia, eh, Roronoa?» sospirò per la terza volta, distogliendo lo sguardo per potersi stiracchiare, le braccia verso l’alto, le gambe tese in avanti.

   Lui non rispose, ma dopo qualche istante, incapace di sopportare oltre il silenzio che era sceso, si levò in piedi e si avviò verso le scale.

   «Dove vai?»

   «A farmi una doccia...» disse con voce strascicata, per poi fermarsi e voltarsi a guardarla. «No?»

   Nami rise scuotendo il capo di nuovo. «No, hai ragione tu»

   «Te l’avevo detto, scema...» celiò quello, scomparendo dalla sua vista.

   La ladra rimase ancora un po’ a lasciarsi accarezzare dalla brezza marina della notte, lo sguardo fisso all’orizzonte: Robin la sapeva lunga, ma non poteva immaginare la smisurata cocciutaggine dello spadaccino.

 

   Una scusa...

   Lo sapeva, lo sapeva benissimo.

   Si buttò sotto il getto d'acqua gelida: forse sarebbe servita a calmarlo.

 

   Nel dirigersi verso la propria cabina, si fermò davanti alla porta del bagno, la luce accesa che filtrava attraverso la tendina tirata che si vedeva dall’oblò della porta, il rumore della doccia che scrosciava sul corpo del giovane.

   Con un gesto istintivo allungò una mano verso la maniglia, ma la ritirò subito indietro e scattò verso il boccaporto per non cadere in una nuova tentazione.

   Discese le scale cercando di non fare troppo rumore, e, lasciando il cardigan ai piedi del letto, si infilò nuovamente sotto le coperte nella speranza che, chiudendo gli occhi, la sua immaginazione non sarebbe corsa troppo in là. Non oltre quella porta chiusa, per lo meno.

   «Nulla?» la voce di Robin non la scosse poi troppo; se l’aspettava che fosse ancora sveglia per sapere l’esito della loro chiacchierata.

   «Dice che non è così...»

   La donna sorrise. «E tu gli credi?»

   «Non lo so» biascicò Nami, rigirandosi nel letto. «So solo che, semmai avessi ragione tu, sarebbe la prima volta che gli sento raccontare bugie...»

   Quel tono così mogio, quelle frasi dette come fossero un sussurro: si accorse lei stessa che ci stava male. Era il minimo, pensò; dopotutto era appena stata rifiutata...

   «Ti arrendi?»

   «Robin, forse ha ragione lui: è una storia senza né capo né coda, un rapporto che non si reggerebbe in piedi neanche per cinque minuti» cercò di appoggiare la tesi del compagno, illudendosi così di poter smentire se stessa, di non essersi mai lasciata vincere dall’istinto.

   E quello di poco prima, allora, cos’era? domandò una voce dentro di lei.

   «Testardi...» fu il sospiro che mise fine alla conversazione.

 

   Giocava col cappello che Rufy le aveva affidato quando aveva deciso di farsi uccidere da Sanji, entrando in cucina di soppiatto per fregargli le provviste mentre il cuoco era intento alla preparazione del pranzo: diceva che magari, se non avesse portato il suo cappello, il biondino non si sarebbe accorto di lui...

   Che ciurma di matti, che erano...

   «Nami! Guarda!»

   Si volse in direzione di Chopper che, incaricato da Sanji, le offrì un piccolo vassoio di stuzzichini.

   «E' l’antipasto: Sanji mi ha chiesto di portartelo prima che Rufy spazzoli via tutto» spiegò allungando le zampine verso di lei.

   «Grazie» sorrise posandosi sulle gambe la paglietta e prendendo la sua porzione. «Il resto è per Robin, immagino...»

   «Sì, vado a portarglielo subito!» e dicendolo, la piccola renna schizzò via verso poppa, dove l'archeologa era intenta ai suoi studi.

   Si assomigliavano... Sì, si convinse Nami, perdendo il sorriso: Zoro e Robin, in un certo qual modo si assomigliavano.

   Che sciocca... era convinta che fosse lei quella più vicina allo spadaccino...

   Aggrottò la fronte: gelosia?!

   Le venne da ridere e riprese a mangiare con un’alzata di spalle. Dopotutto, non era forse Robin che stava cercando di spingerla fra le braccia di quello scimmione?

   Stava per portarsi un altro boccone alle labbra, ma fermò la mano a mezz’aria. Gelosia. Zoro era geloso. Lo era eccome. Che senso avrebbero avuto tutte le frecciate all'indirizzo di Sanji, e unicamente nel preciso istante in cui il cuoco faceva la corte soltanto a lei?

   Sapeva che non era amore. O lo era? Se lo era, si disse, doveva essere in una forma talmente contorta che... oddio, aveva ragione Robin: erano due bambini dell'asilo.

   Rise da sola come un’ebete, e quando Rufy, sbucato da chissà dove le balzò sotto al naso per farglielo notare, la navigatrice, finito ormai il suo antipasto, gli infilò il piatto vuoto in bocca.

   Senza scomporsi un minimo, il ragazzo di gomma si dedicò alla pulitura del vassoio aiutandosi con la lingua, e infine, lasciando il piatto in terra accanto alla sdraio sulla quale la rossa prendeva il sole, allungò una mano per riprendersi il cappello di paglia.

   «GIU' LE MANI DA NAMI-SAN!!!» fu l’urlo che fece sobbalzare entrambi.

   «Ma stavo solo riprendendo il mio cappello!» si difese Rufy digrignando i denti, ancora indispettito con il cuoco per non esser riuscito a farla franca in cucina.

   «E, guarda caso, devi proprio metterle le mani addosso?!»

   «E’ lei che l’ha messo sulle gambe, io che c’entro?!»

   «Prendilo e sparite tutti e due...» mormorò stancamente la cartografa, richiudendo gli occhi per crogiolarsi al calore dei raggi solari ancora per un po’.

Rufy allungò la mano, afferrò la paglietta per la fondina, e se lo ricacciò in testa regalando una linguaccia al cuoco che, le lacrime agli occhi, meditò furiosa vendetta.

   «La smettete di urlare di prima mattina?» bofonchiò qualcuno alle loro spalle.

   «‘Prima mattina’ un corno...» borbottò Sanji guardando ancora in cagnesco il capitano. «E’ quasi ora di pranzo, sai?»

   «Sì?» domandò Zoro avanzando verso di loro e grattandosi il mento. Sbadigliò e si tuffò a sedere lì vicino anche lui, le braccia incrociate dietro la nuca. «Che succede?»

   «Rufy allunga le mani su Nami

   «Ma non è vero!»

   Lo spadaccino guardò i tre con sguardo divertito, un sopracciglio all’insù.

   Nami ruotò gli occhi verso di lui: geloso?

   «Se lei lo lascia fare, a te che importa?»

   Macchè, si imbronciò la ladra tornando a far finta di nulla.

   «E comunque non sono mica tutti fissati come te, sai?» sbadigliò ancora Roronoa, stropicciandosi un occhio.

   «Ha ragione Zoro...» intervenne lei senza lasciar tempo a Sanji di ribattere. «Non tutti sono abbastanza uomini...»

   Rufy s’accigliò. «Ho come l’impressione che qui si stia mettendo in dubbio la mia virilità...» mormorò indispettito.

   «Non ce l’aveva con te...» lo rassicurò il samurai scoccando un’occhiataccia alla navigatrice che continuava beatamente a tener gli occhi chiusi, il viso rivolto al calore.

   Sanji li fissò pensieroso, lo sguardo che passava dall’uno all’altra. «C’è qualcosa che dovrei sapere?»

   «Non direi...» mugugnò Zoro volgendosi altrove.

   «...non è abbastanza uomo...» sospirò Nami, provocando ancor di più il suo orgoglio.

   Il cuoco restrinse gli occhi in due fessure e mise il grugno: cosa diavolo c’era tra quei due?!

   «Saaanji!» gridò Usop dalla cucina, dov’era concentrato negli esperimenti della ‘Usop Factory’. «Qui c’è qualcosa che brucia!»

   «IL PRANZO!» gridarono all’unisono il biondo e il capitano, partendo a razzo per porre rimedio alla tragedia che si stava per abbattere sui loro stomaci.

   «Cuoco incapace...» sbuffò lo spadaccino mettendosi dritto sulla schiena. «Di’ un po’...» riprese quindi rivolgendosi alla compagna. «Te la sei presa davvero?»

   Lei non rispose.

   «Scema»

   «Non è bello sentirsi rifiutati, sai?»

   «Ti ho forse detto che non mi piaci?»

   Fu a quel punto che anche Nami si mise a sedere in posizione corretta per fissarlo dritto negli occhi.

   «Parliamoci chiaro e tondo:» cominciò. «Ha ragione o no?»

   Zoro sospirò pesantemente. «Forse...» ammise infine, distogliendo lo sguardo dal suo.

   «Ieri notte stavo per raggiungerti...»

   «L’hai fatto, no?»

   «Ma non a poppa!» precisò lei scuotendo il capo. «Dopo!»

   Il samurai si volse di scatto nella sua direzione, rimanendo sorpreso nello scorgere il suo viso arrossato non certo dai raggi del sole, giunto quasi perpendicolare sulle loro teste. «Sotto...»

   «...la doccia, sì!» insistette la ladra, abbassando gli occhi con fare impacciato, il musino quasi offeso per l’imbarazzo.

   L’altro tacque nuovamente. Nami si alzò, incapace di reggere ancora quel silenzio, e prima che potesse sgattaiolare via, lui la bloccò per una mano, invitandola con un semplice gesto a sedersi lì accanto.

   Lei l’accontentò, ma non fiatò, né alzò ancora gli occhi verso di lui.

   «...»

   «...»

   «...»

   «Zoro, se vuoi parlarne da persone adulte, fallo!» lo rimbrottò liberando la mano dalla sua. «Cavolo, sei più timido di quanto pensassi!»

   «Non sono timido, sono... sono...»

   «Stupido?» suggerì la rossa, esasperata. «Ti ho detto che vorrei venire a letto con te, e cosa mi sento rispondere?!»

   «...»

   «Cretino!» si spazientì, rimettendosi in piedi.

   Ma di nuovo lui la bloccò aggrappandosi all'orlo della sua gonna.

   «Cosa?» sospirò la ragazza, gli occhi al cielo, le mani ai fianchi.

   «...ha ragione lei...»

   «E ci voleva tanto, ad ammetterlo?» scosse il capo tornando a sedersi accanto a lui, il viso raddolcito, lo sguardo che, curioso, scrutava i lineamenti marcati del compagno.

   «E’ che...» cominciò questi con difficoltà. «...ho paura che tu possa diventare la mia debolezza»

   «Ah...» ci rimase male la ladra.

   «Non ti sto rifiutando, ti dico

   «Ma hai paura che io possa diventare troppo importante per te...»

   «...»

   «Fare un discorso del genere con Rufy sarebbe di gran lunga meno snervante...»

   «Non paragonarmi agli altri...» s’indispettì Roronoa.

   «Di’, ti ho forse detto ‘Ti amo e voglio passare il resto della mia vita con te’

   «No...» sbuffò chinando il capo e passandosi le mani fra i capelli corti.

   «Allora non vedo dove sia il problema»

   «Il problema è che non sono capace di...» ma si interruppe. No, non voleva dirglielo. Se l'avesse fatto se ne sarebbe di certo pentito.

   Nami aggrottò le sopracciglia. «Impotente?» lo prese in giro, facendogli alzare di colpo lo sguardo. Scoppiò a ridere davanti all'espressione del suo viso.

   «Tripla scema!» inveì il giovane. «Non è questo!»

   «E allora?» si sforzò di tornare seria lei.

   A salvare Zoro ci pensò il provvidenziale urlo di Sanji che richiamò tutti per il pranzo, e mentre Chopper si catapultava in cucina, dietro di lui spuntava Robin che, lo sguardo attento, si soffermò per un attimo ad osservare i due. Non disse nulla, sorrise soltanto. Infine, raggiunse gli altri per il pranzo.

 

   «Non puoi più scappare...» canticchiò Nami attirando lo spadaccino a sé, dopo averlo condotto di sotto, nella sua cabina.

   La notte era ormai calata da un pezzo e tutti dormivano, eccetto loro due e Robin che si era volontariamente offerta di stare di vedetta, una coperta sulle spalle, un termos di tè caldo e tanti libri da leggere alla luce della lampada ad olio che aveva portato sulla coffa affinché le tenessero compagnia in quella lunga veglia.

   Zoro sospirò, lo sguardo basso.

   Nami sbuffò, gli occhi dritti sul suo volto.

   «Rimarremo fermi in silenzio per molto?»

   «Nami, ascolta...» ma il seguito di quella frase non arrivò.

   Anche lei abbassò il capo, lasciando andare la maglia del giovane che stringeva fra i pugni per trascinarlo.

   «Mi pareva di aver capito che lo volessi anche tu...» biascicò con voce malferma: la stava respingendo di nuovo?

   «Tu ti accontenteresti davvero di un rapporto basato esclusivamente sul piano fisico?» fu la domanda inaspettata che le giunse alle orecchie.

   Levò lo sguardo su di lui, senza osare esporsi troppo.

   Una carezza.

   Una mano a sfiorarle il viso: sentì un tuffo al cuore.

   «I-io...»

   Non poté continuare, perchè le sue labbra furono colte alla sprovvista da quella mano che ne carezzò i contorni con dolcezza.

   «Non ho alcuna intenzione di rifiutarti ancora una volta...» la rassicurò il giovane, la voce calda, gli occhi fissi sulla bocca schiusa di lei. La sentiva tremare. «...ma non voglio farti del male...»

   Nami scostò le dita del compagno dal suo volto e tornò ad abbassare il capo. Inumidì le labbra. «Non ho bisogno di tanti riguardi»

   «Ho un sogno»

   «Lo so. Ma sei un uomo: o devo forse cominciare a dubitarne?»

   «Smettila con questa storia»

   «Mi spieghi perchè hai così paura di me?» s’innervosì la cartografa, allontanandosi di qualche passo e volgendogli le spalle.

   «Non ho paura di te, Nami... Ho paura... di quello che potresti diventare» precisò lui, sforzandosi di aprire finalmente il suo cuore, o almeno parte di esso, a qualcuno.

   Sul volto di Nami si dipinse un sorriso che nulla aveva di gioioso, ma che probabilmente serviva a tranquillizzare se stessa più che l’amico. «Non ti sto chiedendo di amarmi...»

«Ma io non riesco a non donarmi completamente a quello che faccio»

«Lo so»

 

  
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