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Autore: Tenoch    08/07/2011    0 recensioni
La storia di uno skaven, divenuto famoso per le sue abilità in combattimento, che lotterà contro un odiato nemico e otterrà uno dei titoli più importanti della società skaven, oltre ad un potente clan di guerrieri tutto suo.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un’orda di crudeli uomini-ratto si stagliava davanti a Shweek come un’infinita marea nera; avevano preso la fortezza sotterranea, e ora la stavano difendendo con le unghie e con i denti. Da buon ratto d’assalto, Shweek se ne stava di fianco al suo comandante, Snitz, pronto a difenderlo fino alla morte in caso di pericolo. Erano cresciuti insieme, e tra di loro si era sviluppato un sentimento quasi simile all’amicizia, un lato del sistema emotivo sconosciuto agli skaven; diciamo piuttosto che si rispettavano quel poco che basta ad evitare di pugnalarsi alle spalle. In combattimento davano il meglio di loro anche quando la loro unità era in netta inferiorità numerica, e grazie al loro carisma riuscivano a ridonare coraggio anche agli altri skaven attorno a loro, che di solito in queste situazioni fuggivano terrorizzati. Snitz dunque, era uno dei comandanti dei ratti d’assalto che quel giorno avrebbero dovuto proteggere il Capoclan, un ratto crudele e spietato, che combatteva solo per vedere soffrire gli altri skaven, non importa se alleati o nemici. Non conoscevano nemmeno il suo nome, ma erano costretti a combattere per chiunque li avesse comprati dai loro recinti. Il Capoclan voleva riconquistare una vecchia fortezza nanica, contesa da molti anni da due clan minori; egli era riuscito a prevalere su i due clan e aveva conquistato la fortezza, ma ora i piccoli clan si erano uniti in un grande clan e avevano costretto gli skaven occupanti a fuggire dalla fortezza. Nonostante le grandi perdite, il Capoclan non si era arreso e aveva reclutato i migliori ratti d’assalto dai recinti di Pozzo Infernale, i quali avevano relazioni piuttosto proficue con i clan minori che avevano preso il forte… Ora, il Capoclan aveva speso gran parte del suo patrimonio per comprare tutti i ratti d’assalto di Pozzo Infernale e portarli davanti alla fortezza del nemico; nessuno schiavo, nessuna creatura, nessuna macchina da guerra: come pretendeva di assediare una fortezza servendosi solo di ratti d’assalto? Dalle mura della fortezza, centinaia di perfidi occhietti rossi osservavano scrupolosamente il branco di ratti d’assalto, attendendo una loro mossa. Fuori dalle grandi porte del castello, erano disordinatamente schierati ratti di ogni tipo, incluse mostruose creature del Clan Moulder, contro i quali Shweek e i suoi compagni non avrebbero avuto nessuna possibilità. Il Capoclan si fece avanti dalle retrovie e si mise a strillare verso le mura della fortezza: “Guarda-guarda, piccolo e insignificante clan; questi sono i migliori guerrieri di vostre covate si-si. Avete bisogno di loro si? Ora loro appartenere a me! Io dimostra voi potenza del mio esercito di ombre si-si! Massacrateli!!” Le paure di Shweek non erano infondate: il Capoclan aveva comprato tutti i ratti d’assalto solo per dare una dimostrazione di forza agli altri clan, uccidendoli davanti ai suoi nemici. Con la coda dell’occhio, Shweek vide alcune figure ammantate balzare dietro di loro e subito comprese di essere circondato. “Snitz, ci hanno incastrati, presto-presto, scappiamo!” Fece in tempo a voltarsi che davanti a loro erano apparsi decine e decine di ratti ammantati di nero; brandivano piccoli coltelli impregnati di veleno mortale, e scontrarsi con loro avrebbe significato morte certa. Shweek serrò le zampe sulla sua lancia e cominciò a farla roteare in direzione degli assassini. Combatteva al massimo delle sue capacità, ma gli skaven neri erano troppo veloci; balzavano fulminei da un lato all’altro dei ratti d’assalto e ne mietevano dozzine in pochi istanti. Anche Snitz stava combattendo, e la sua armatura arrugginita era stata colpita più volte dalle lame degli assassini; un vigoroso affondo, e un assassino venne trapassato da parte a parte dalla sua grossa lancia. Snitz e Shweek si misero spalla a spalla e iniziarono a farsi largo tra i nemici e i corpi dei ratti d’assalto, che giacevano straziati ai loro piedi. L’esercito nemico intanto era rientrato nella fortezza, e i loro comandanti osservavano terrorizzati il massacro. Shweek uccise diversi assassini nella fuga, e finalmente lui e Snitz riuscirono ad uscire dalla calca; Snitz si diede un colpo secco sul petto, e la sua corazza cadde a terra. Lasciò anche la lancia e si mise a correre come indemoniato in direzione del suo compagno, che era già lontano e fuori dalla visuale degli assassini, sperando di essere così più agile e veloce. All’improvviso, diverse ombre scure si materializzarono tutte intorno a Snitz, che si bloccò terrorizzato: lanciò un ultimo sguardo a Shweek, prima che diverse lame gli si conficcarono nel corpo. Cadde riverso sul suolo impolverato, gli occhi sbarrati e un rivolo di sangue che fuoriusciva dalla bocca. Shweek assistette alla scena da molto lontano, e quando gli assassini si voltarono nella sua direzione, lui era già scomparso. Dopo diverse ore di cammino, Shweek fece ritorno alla sua tana; i suoi denti erano ancora digrignati dalla rabbia, e nei suoi occhi bruciava un fuoco di vendetta che non aveva mai arso così violentemente prima d’ora. I tradimenti da parte degli altri skaven erano all’ordine del giorno, questo lo sapeva, ma il Capoclan non solo li aveva costretti al suo arrogante volere, ma aveva anche giustiziato brutalmente il suo compagno di guerra e tutti i ratti d’assalto con il quale era cresciuto; quello che voleva era distruggere quello skaven, non importa quanto ci avrebbe messo o quanti sarebbero morti. Diede uno sguardo alla sua armatura incrostata di sangue: se la tolse e la gettò in un angolo assieme all’altra sporcizia; poco dopo anche la lancia arrugginita fece la stessa fine: non avrebbe mai sconfitto quel bastardo con dei rottami del genere, doveva trovare qualcosa di meglio. Si stese su un mucchio di sudicia paglia e si addormentò. Dormì profondamente: sognò un’alta montagna scalfita da raffiche di vento che si stagliava in un’oscura pianura ricoperta da ossa di skaven; ai piedi della montagna, diversi tunnel portavano ad un immenso bacino di warpietra, il  tesoro più grande per uno skaven. Si svegliò di soprassalto; conosceva quel luogo, ci era stato quando combatté per un’ingegnere skaven completamente folle, che riteneva di essere vicino ad un posto stracolmo di warpietra. Doveva assolutamente andare a Picco Storpio e trovare della warpietra. Frugò nei mobili bruciacchiati che aveva razziato da una villa dell’Impero, e vi trovò un pendaglio d’argento. Si ricordò di quel pendaglio appena vide la grossa pietra viola; lo aveva preso dal cadavere di un principe elfico ucciso come trofeo, ma lo aveva presto dimenticato da qualche parte nella sua tana. Guardò attentamente la pietra: al suo interno una misteriosa sostanza nera fluttuava come un fantasma nel vuoto; doveva essere una sorta di oggetto magico o simile. Dopo aver fissato intensamente la sostanza nera, si riprese e mise l’amuleto nella sua sacca: avrebbe potuto servirgli. Raccattò le sue poche cose e partì alla volta di Picco Storpio, deciso a trovare un po di warpietra e un buon fabbro.
  
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