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Autore: xstaystrongandsmile    09/07/2011    1 recensioni
Guardo quelle pillole: sono la mia salvezza.
Guardo i numeri sulla bilancia: quaranta chili.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'E guardavo la storia crearsi sotto i miei occhi.'
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Io ero Samantha;

 
 

- Flashback

 
- Non puoi continuare così, ragazza. Non te lo permetterò.- il ragazzo entra di botto nella mia camera e mi toglie dalle mani le pasticche colorate, per poi gettarle a terra e sparpagliarle tutte.
- Fantastico, ora mi tocca rimetterle tutte a posto. – dico curandomi minimamente della sua presenza.
Non è la prima volta che qualcuno fa così.
Ci hanno provato Taylor, Miley e Selena. Demi ci era quasi riuscita a convincermi, ma poi, mi è bastato lo specchio per ricominciare.
- Guardami cazzo, Samantha. – grida.
- Perché stai gridando? Mi fa male la testa, non urlare per favore. – scendo dalla sedia e mi piego a terra, per raccogliere i vari medicinali.
Lo sento sbuffare e poi chiudere la porta sbattendola.

 

‘Meno male che non c’è nessuno a casa, altrimenti si sarebbero spaventati.’
 
‘Anche se qui, in verità, non c’è mai nessuno.’

 
Passa qualche minuto, durante i quali raccolgo minuziosamente le pasticche e le conto, per controllare che non ne manchi nemmeno una. Poi, sollevata del fatto che ci sono tutte, richiudo la scatolina e la tengo in mano, stringendola a me.
È la mia sicurezza, questo barattolino. È quello che ho bisogno per stare tranquilla e rilassata, perché so che mi fa più forte.
- Dalle a me. – vedo la mano del canadese porgersi verso di me e quindi la stringo ancora di più, in modo possessivo.
- No.- ringhio guardandolo.
Leggo la furia nascere nei suoi occhi castano dorati. La furia preoccupata, quella che in questo periodo mi accompagna sempre. Si sta distruggendo le labbra, ed io non voglio, perché quelle labbra sono bellissime, come petali di rosa.
Fottuti petali di rosa che però non oso toccare da circa sei mesi.
- Te lo dico con calma, per l’ultima volta. Dammi quel contenitore. –

 

‘sembra un padre che ripete alla figlia qualcosa che deve fare’

 
- No. – ripeto,
 

‘ed io sembro la bambina capricciosa e testarda.’

 
Fa un sospiro e in cinque secondi mi si getta addosso, cercando di afferrare la medicina.
Qualche tempo fa, mi sarei messa a ridere e ci saremmo divertiti, ma non è più quel tempo, ed ora mi sta fracassando la scatola toracica, le costole e la schiena.
Le posso sentire scricchiolare, le ossa.
Scricchiolare e prossime alla rottura.
Urlo di dolore e lui si leva, saltando via, con le pillole in mano.

 

‘Ridammele.’

 
- Ridammele, Justin. – dico gelida, alzandomi in piedi e mettendo la mano avanti.
- No. – i ruoli si invertono.
Annullo la distanza e cerco di afferrargli la mano, ma lui è più alto e non ci arrivo.
Inizio a piangere e urlare per non so quanto tempo. La follia si impossessa di me e mi fa comportare come una drogata a cui togli la cocaina o un alcolista a cui togli la birra.
Sono la mia droga, quelle pillole. Sono indispensabili e senza di esse sto da cani.
Non vado mai davanti allo specchio, senza averne ingerite tre e avere il contenitore in mano.
Mi fanno sentire sicura.
Infatti poi mi guardo allo specchio e mi sorrido, mostrando quasi il cranio, perché la pelle si è rinsecchita, ma in generale sono diventata scheletrica.
Ecco, il mio sogno era proprio questo.
Diventare scheletrica.
Far vedere le costole e quasi i polmoni. Essere guardata dalle persone perché sono la più magra. Essere invidiata dalle ragazze perché non ho forme troppo prosperose e non avere le mestruazioni ogni mese. Essere la persona più adatta per i salti, i giri e le prese. Essere la prima ballerina, l’etoilè.
Mi fa sentire forte.
Ed io sono una persona forte, solo grazie a quelle pillole rosa, che questo fottuta ragazzo non mi vuole restituire.
- Cazzo Justin, vuoi ridarmele o no? Sono la mia forza! – grido isterica, con le lacrime che scivolano senza tregua sul mio viso – Io… Io ne ho bisogno… - improvvisamente sono senza forze, come se urlare e muovermi mi avesse prosciugato tutta l’energia che avevo in corpo.
Mi lascio scivolare a terra, come corpo morto, fino a stare seduta sui ginocchi, sbattendo sul parquet come un sassolino appuntino.
Resto immobile, a piangere.
Justin si inginocchia anche lui al mio lato.
Non osa circondarmi le spalle, per paura di rompermi, lo so.
Ma io sono forte.
- Non sono la tua forza. Sono la tua rovina. Ti stanno uccidendo. –
- Non è vero. –
- Sì, che è vero. –
- No, Justin. Tu non sai niente, niente. – ripeto sottolineando l’ultima parola.
- So quanto basta per capire che ti stai ammazzando. –
- No, Justin, non è così! Loro, loro mi aiutano a non ammazzarmi! Mi stanno sempre vicino e mi danno il coraggio!-

 

‘parlo di pasticche come se fossero persone amiche, bene.’

 

- Non dire cazzate, Samantha Tanya. – sa quanto odio quando mi chiama con il mio nome per intero. Sembra il nome di una fatina delle Winx mischiato al nome di un pony.

 

‘Una merda’

 
rabbrividisco disgustata.
Justin si alza e pesa che lo faccia anch’io, ma me ne sto inginocchiata, perché non ne trovo di forza per alzarmi. Sento le sue mani afferrarmi per i polsi, attente a non farmi male.
Mi lascia in piedi in mezzo alla testa. Sto dritta solo grazie all’equilibrio di fisica, perché ‘l'equilibrio statico è lo stato delle particelle , dei corpi o del punto materiale in cui, in un dato sistema di riferimento inerziale, non c'è movimento e non agiscono (localmente) forze che lo possano innestare.’

 

‘Fantastico, ora ci si mette anche quella di Scienze.’

 
- Vieni. – mi prende la mano, sempre attento a non spezzarmela dal polso e comincia a camminare. Cemento i piedi a terra.
- Dove? –
- In un posto. -
- Non ci vengo. –
- Non sai nemmeno dove. –
- So già che non mi piacerà. -
- Non fare la bambina, Samantha. –
- Non chiamarmi Samantha. –
- E come devo chiamarti? Tanya? O meglio, Tany? – leva la mano e incrocia le braccia al petto. Sputa quei nomi quasi ridendomi in faccia.
- Non chiamarmi come… come loro. –
- Come chi? I tuoi genitori? –

 

‘perché ora fai così?’

 
- Justin… - sussurro e qualche lacrima comincia a scendere dai miei occhi.
Ormai non controllo più nulla del mio corpo. È come se avesse vita propria. Fa ciò che vuole.
Piange, ride, salta, cade, si rompe e cammina a proprio piacimento.
Justin mi riprende la mano e stavolta lo seguo senza fare discussioni.
Scendiamo le scale e usciamo di casa, il ragazzo ha le chiavi.
Iniziamo a camminare.
Quanto tempo è che non uscivo?
Da quando è cominciata la mia auto-reclusione, sei mesi fa.
Ho deciso di non farmi più vedere quando sotto una foto, ho letto un commento di qualcuno.

 

‘È così grassa.’

 
Con quel commento, ho perso tutta l’autostima che mi era rimasta, dopo la morte di tutta la mia famiglia in quell’incidente.
Mi fisso i piedi.


Le Converse nere.


Justin si ferma.
- Alza lo sguardo, Samantha. – dice freddo.
Non lo faccio. Mi rifiuto.
C’è qualcosa che mi dice che non mi piacerà.
Al posto mio lo fa lui, ma chiudo gli occhi e lo sento sbuffare, spazientito.
- Apri questi cazzo di occhi, Samantha Tayla. –

 

‘Lo odio, lo odio, lo odio.’

 
Penso ma lo faccio.
La mia forza di volontà è così fottutamente fragile ed inutile davanti a questo.
È così inutile che si spezza come una foglia secca e con il vento che frusta sui miei capelli vola via, chissà dove.
- Perché mi hai portato qui? – sussurro
- Per aiutarti. – dice.
- Aiutarmi a fare cosa, Justin? A ricordare? Voglio andare a casa. – mi giro sui tacchi e l’improvviso cambio di direzione mi fa girare la testa e perdere il senso d’equilibrio.
- Se vuoi andartene, vattene pure. Così però, perdi la tua ultima occasione per fare conti col passato. – fa una piccola pausa, poi vedendo che non mi fermo continua, gettando l’ultima carta sul tavolo – Me ne andrò. Parto per il tour in Europa. –
Mi fermo.

 

‘Come parti per il tour in Europa?’

 
Ho bisogno di quelle pillole.
 
In preda ad incoscienza, ad astinenza, torno indietro.
Faccio dei passi indietro.
Cammino fino alla porta di quell’edificio che mi ha ospitata per tutti questi anni.
La mia scuola di danza.
Non so se Justin mi sta seguendo, non m’importa.
 
La mia vecchia scuola di danza.
La solita unica sala, il solito vecchio pianoforte, i soliti vecchi specchi e le solite vecchie sbarre.
Mi lascio cadere a terra e sfioro il pavimento, segnato da tanti anni di punte, mezze punte e piedi scalzi.
Che strano, ricordare i vecchi tempi.

 

…quando vivevo,la danza era tutta la mia vita. Passavo ore e ore a ballare.
A undici anni ebbi il mio primo assolo.
È da cinque anni che sono la prima ballerina.
Quest’anno, ho avuto la parte di Odette ne ‘Il Lago Dei Cigni’.

 
È qui che è cominciato tutto.
 
La mia insegnante, sei mesi fa, mi strinse i centimetri di ciccia dicendomi:

 

‘Mangia di meno, che poi non entri nel costume.’

 

Ho i brividi al solo ricordo.
 
Il mondo mi è crollato addosso, letteralmente.
 
E poi i miei.

 

La cosa peggiore è stata la loro perdita.
Mia madre e mio padre.
Andati, spariti nel nulla.

 

Quella stupida autostrada.
Avevo detto loro di stare attenti, di non guidare, ma mi avevano tranquillizzata con

 

‘Tu vai a prepararti, noi arriviamo subito. Ci sono anche i nonni, per fare il tifo per te.’

 

Erano venuti per me, per vedermi alle prove.
Da Toronto, dal Canada.

 

Da quel giorno, decisi di non ballare più e mi rinchiusi in casa.

 
Tutti hanno paura di affrontare i problemi nella vita.
Ed io ho trovato sollievo nelle pillole per dimagrire.
Ne mangio a dozzine ogni giorno e i risultati si vedono.
 
Mi alzo in piedi e mi guardo allo specchio.
Magra, magrissima.
Gambe che sembrano dei rami, come la braccia.
Dei rami rinsecchiti che un tempo, difficile da credere, sono state premiate con il primo posto al concorso internazionale di danza e che hanno meritato una borsa di studio per Milano, alla Scala.
Questi rami, attaccati a questo corpo martoriato.
Se aguzzi lo sguardo, puoi contare le costole e tutte le vertebre che ha.
 

È questo quello che volevo raggiungere.
La perfezione.
Così. Sono. Perfetta.
E.Sto.Bene.

 
Lentamente cado a terra, di nuovo.
Lo sento correre verso di me, ma lo fermo con una mano.
- Sto bene – mento, poi mi rialzo in piedi – Un attimo di capogiro. –

 

Bugiarda. Bugiarda. Bugiarda.

 

Se non li avessi fatti correre, la macchina non avrebbe slittato e loro sarebbero ancora vivi.

 

No, io non c’entro niente. La macchina ha slittato perché le ruote non erano quelle adatte.
Lo hanno detto anche i poliziotti.
 
Scema, ti pare che ti avrebbero detto,a undici anni, che i tuoi genitori erano morti perché avevano corso troppo per raggiungerti?
 

Silenzio.

 
- Samantha… voglio farti conoscere una persona. – dice dopo un po’Justin.
Dalla porta entra un ragazzo biondo, dai capelli corti e gli occhi azzurri.

 

Assomiglia un sacco a papà.

 
- Samantha, lui è Jackson… - comincia ma Jackson mi corre incontro, zittendolo e sorprendendo me.
- Samantha! Sorellina! – esclama.

 

Scusa?
Sorellina?
 
Ehm, mi dispiace, io non ho fratelli. Devi aver sbagliato persona.

 
- Samantha, lui è Jackson, tuo fratello. –
 
 

 - Presente

- È così che Justin mi ha salvato la vita. Mi ha fatto conoscere mio fratello, l’unico sangue del mio sangue non morto. Eravamo gli ultimi Barker.  Qualche giorno dopo, io e mio fratello decidemmo di partire per l’Italia. Sempre insieme a lui, decisi di prendermi una pausa dalla danza, e nei pomeriggi mi misi a scrivere. – faccio una piccola pausa – Ed è così che è nato questo libro. -
- Samantha, quindi il tuo libro, è un’autobiografia? –
- Sì. – rispondo con un sorriso. Elena mi fa cenno dell’orario. Do un’occhiata all’orologio sopra di me.

 

Le sette e trenta.

 
Tra poco Justin, comincerà il suo concerto qui in Italia.
 

Non posso mancare.

 
- Bene signori, grazie per la vostra presenza qui oggi. – dico con voce allegra.
Pensare che lo incontrerò di nuovo mi mette di buon umore.
Loro ringraziano e si congedano, facendo un po’ di confusione.
- Ora sono curiosa di sapere cosa ne penseranno i critici… - dico mentre entriamo dentro l’auto che mi porterà al Medionalum Forum di Assago.
 
Venti minuti dopo sto correndo dietro il backstage, salutando con un ‘ciao’ chiunque incontro.
Pattie, Ryan, Scooter, Kenny, Chaz, Chris.
Corro verso il camerino della superstar.
Busso un paio di volte e sento la sua voce pigra dietro:
- Chi è? –
Faccio la voce maschile – Pizza signore. –
Posso vedermelo alzarsi dal letto e venire ad aprirmi. – Scusi ma io non ho ordinato nessuna pizza e… - alza lo sguardo – Sam! –
Apro le braccia e mi lancio addosso a lui.

Cadiamo sul letto, ma ridiamo.

 
Sam.
È così che mi chiamo, ora.
Samantha?
Samantha non c’è più.
È morta e sepolta tra le pagine di un libro. È incastrata tra le righe e le parole, i caratteri scritti in Times New Roman ad altezza undici, tra gli spazi che le dividono.
Quel libro respira di Samantha.
E sa di esperienza. Sa di ciò che ero.
Sa di ciò che mi ha fatto diventare ‘Sam’.
  
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