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Autore: Plazer    09/07/2011    0 recensioni
"Apri gli occhi; vita. Erano passati 5 mesi, eppure mi era sembrato un respiro lento e quieto, di quelli che solo lei sapeva fare.."
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Fate. Quanta classe in un sol concetto; oserei dire l'eleganza per antonomasia. Non confondiamoci amici miei, non sto parlando di prostitute, ma di fate ci tengo a precisarlo. La sola élite femminile in grado di godere d'ogni voluttà libertina, annullando qualsiasi tabù con un batter di ciglia. Loro sono così; affogano pienamente nel piacere mondano, passeggiano a testa alta accompagnate da forme prorompenti, mentre raccolgono lo sguardo perentorio e colmo d'invidia, di almeno un centinaio di mancate-colleghe. Loro sono così, le fate .
“Lenocka!” gridai nella mente. Ed ecco che fece ingresso la donna di cui non ricordavo il nome. Di famiglia russa, si era trasferita a Roma in età appena cosciente per ricordare le sue origini. Era così cresciuta nella “città eterna”, dove a poco a poco aveva trovato la sua vera identità. Non ricordo né dove l’avevo incontrata, né come l’avevo conosciuta. Era apparsa all’improvviso, come un qualcosa di astratto che viene spinto alla ricerca di forme armoniose e concrete. Sembrava una farfalla privata della sua polverina magica e, alla ricerca disperata del volo, usava la vita solo come mezzo per raggiungere i suoi scopi. Già i suoi scopi, motivo per cui mi cruccio ancora adesso che sono sveglio. Lei aveva una filosofia tutta sua, al quale aveva dedicato l’intera trama vitale. I suoi occhi erano l’emblema, e conferivano al suo essere un che di dispersivo; zampillavano al contempo di speranza e d’oblio. Aveva una capacità che la contraddistingueva dalle altre donne; sapeva concedersi ai piaceri più crudi dell’amore e si inoltrava nei godimenti sessuali più profondi. Ma il meglio stava nel fatto che nessun problema sembrava sfiorarla: sapeva che per il suo comportamento smodato era ormai sulla bocca di tutti ma non se ne curava minimamente. Eppure era una ragazza interessantissima; lanciava lampi di luce accecante, anche in una stanza in cui il buio aveva preso il sopravvento. Straripava di idee, che sgorgavano meticolosamente dalle sue labbra: amava parlare del tempo:

IL TEMPO COME PERCEZIONE
IL TEMPO COME CIELO E NUVOLE
IL TEMPO COME ILLUSIONE
IL TEMPO COME PRIGIONE
IL TEMPO COME LIBERAZIONE
IL TEMPO COME METRONOMO DEL MONDO.

Amavamo stare sospesi sulle parole che arricchivano i nostri pomeriggi. Era come rincorrersi dentro un luminarium di stelle, dove ogni movimento era il tassello di un mosaico gigantesco; c’era fervore, c’era ansia e paura; c’erano mani che si allungavano nel vuoto; c’erano gesti che rifulgevano i nostri spazi di libidine. “Lenocka!”, ripetei quasi esagitato.
Dopo 5 anni, o quantomeno mi pareva fosse passato così tanto, la rividi. Era lì a due passi e sembrava che il tempo su di lei non fosse passato, ma avesse deviato completamente il suo percorso. Probabilmente si erano accordati in segreto; avevano stabilito tutto nei minimi dettagli. Una sorta di Dorian Gray al femminile, soltanto che stavolta il diavolo veniva sostituito dal tempo.“il tempo incombe anche sul diavolo; lui quell’omaccione tutto muscoli, dal color rosso profondo. Proprio lui, che stringe in mano il tridente maligno in volto. Anche lui veniva sconvolto dal tichettio delle lancette..” pensai tra me, tentando di nascondere un piacevole sorriso. Lei doveva aver pensato a tutto questo, o forse no. Eppure era lì davanti a me, leggiadra e divina nei suoi vestiti che aveva scelto con minuta accuratezza; avevo davanti un corpo governato da microspami, culminanti in un esplosione di vitalità. Era il coronamento di una danza perfetta, un artificio incontaminato di colori intensi che rifuggivano all’istante, per poi mescolarsi ad una luce vespertina inondante. Era lì. Ora, passeggiavamo. Ora, ci tenevamo per mano. Ora, i nostri corpi uniti l’uno all’altro erano un effluvio di suoni, di fantasie e di forze luccicanti. Poi, i nostri volti, l’uno di fronte all’altro, in stretta connessione, immersi in una fitta rete di parole. Lei mi cominciò il solito discorso sul tempo; stavolta però mi sentivo immerso in una sensazione diversa, a cui non ero abituato. A poco a poco la sua bocca si aprì facendo spazio ad una luce densa e forte dal quale ero incredibilmente attratto. Nel giro di un attimo le sue parole cominciarono a risuonare sempre più lontane, e intanto corpo e anima mi venivano risucchiati da quella luce così confortevole, calda e placida. Tuttavia più ci ero dentro e più sentivo la sofferenza soverchiarmi. Andai inevitabilmente incontro ad un blackout.

A questo punto Lennon avrebbe intonato “Happiness is a warm gun”

Apri gli occhi; vita. Erano passati 5 mesi, eppure mi era sembrato un respiro lento e quieto, di quelli che solo lei sapeva fare. Allungai una mano, quasi a prenderla e a raggiungere il suo odore che sentivo ancora nell’aria; tutto ciò che riuscii a stringere però fu una manciata di nulla. Mi guardai attorno, girando lentamente la testa, per quel che potevo; ma nulla era apposto, nulla era come lo ricordavo; le pareti erano fredde e scostanti. Probabilmente ero sul lettuccio di un ospedale e le foglie cadevano sorde là fuori. Era autunno, e riuscivo a scorgerlo dalla finestra che distava qualche metro dal letto in cui ero immobilizzato.
  
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