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Autore: Neal C_    10/07/2011    4 recensioni
Virginia Foster si trasferisce in una cittadina anonima, Rodeo, in California. Abituata ad essere sempre la prima della classe neppure alla Pinole Valley High School si smentisce e così non può rifiutare una richiesta della cordinatrice del suo corso: aiutare un compagno di classe particolarmente refrattario allo studio, con la testa perennemente nella musica, spesso assente e in continuo conflitto con i professori a cui si rivolge con linguaggio piuttosto colorito, contestando tutto.
Saprà rimettergli la testa a posto o verrà trascinata nel suo mondo di insoddisfazione, di ribellione e continuo rifiuto?
Ha solo cinque mesi per convincerlo* che la scuola non è tutta da buttare, lei che nei libri e nella cultura ci naviga fin da bambina.
*(Armstrong abbandonerà il liceo il 16 febbraio 1990, il giorno prima di compiere diciott'anni.)
[Rating Giallo: linguaggio colorito]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Virginia Foster 1989-2004'
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Novembre-Dicembre
Pax in bello



Non ho più rivolto la parola a nessuno di loro per almeno una settimana.
Tutti in casa, Frank, la mamma e Nick hanno imparato che quando chiama Jenny devono inventarsi una scusa perché non ho nessuna intenzione di parlarle.
Una volta è venuta fino alla nostra porta a chiedere di me.
Non le ho aperto. Ho finto di non essere in casa.
Forse sto esagerando, forse è davvero troppo ma non ce la faccio.
Non ho dormito per almeno due giorni con il senso di colpa che mi attanagliava le viscere, pensando se dovevo o non dovevo spifferare tutto, chiamare i carabinieri oppure andare fino a casa di quel tizio, a scusarmi.
Ma sono una vigliacca. Non ho il coraggio di andare lì a costituirmi con la lista dei nomi.
Né saprei tornare a casa di quel tipo; è praticamente dall’altra parte della città!
Ormai è da secoli che sono continuamente di pessimo umore.
Nessuno dei miei amici mi riconosce più.
Mi dispiace per Jenny ma non posso più avere a che fare con quella gente che frequenta.
Non è il mio mondo, io non sono stata educata alla strada, alla maleducazione, al furto, all’arroganza, al “vivi alla giornata”, allo “studio-perdita di tempo” e tante altre massime con cui ho cercato di convivere negli ultimi mesi.
Mi viene in mente Armstrong, quando quel giorno è venuto da me, alla mensa, per fissare quel famoso appuntamento-studio alle quattro e poi ovviamente non abbiamo aperto libro.

Ragazzina, ti sei già rassegnata con me?

Si, mi sono rassegnata.
Sono una banda di irresponsabili e irrecuperabili.

Nemmeno una settimana dopo il furto, stavo attraversando il cortile della Pinole Valley per entrare a scuola, anche abbastanza in anticipo;  erano appena le otto meno un quarto.
Ero con Mike e Sab, quando scorgo Armstrong che sta uscendo dallo spiazzo.
Ovviamente lo ignoro, e penso per l’ennesima volta che devo escogitare qualcosa per cambiare banco.
Invece lui sembra vedermi e cambiare direzione, accelerando il passo, per raggiungermi.
Mi fa anche segno con la mano ma io tiro dritto per le scale.
Alla fine deve essersi messo a correre perché mi raggiunge e mi afferra per lo zaino, dandomi uno strattone.
Per poco non cado all’indietro e non gli finisco addosso.
Lancio un specie di urlo e ritrovo faticosamente il mio equilibrio.
Finalmente riesco a lanciargli uno sguardo di fuoco.

“Quanta fretta, sei anche schifosamente in anticipo che altro vuoi?”

Non ho nessuna intenzione di rispondergli.
Gli volterei le spalle ma quello continua a tenermi per lo zaino e a rivolgermi un sorrisetto irritante.

“Che c’è, fai l’offesa?
Pensavo ti fosse passata.
Cristo santo, hai i sensi di colpa?
Bene, siamo noi i delinquenti, gli stronzi che ti hanno costretta a sopportare tutto questo.
Adesso puoi andare in pace, contenta?”

Non mi piace questo tono.
Sembra che stia parlando ad un bambinetto deficiente.
Non ha nessuna buona ragione per tirare fuori quel finto tono esasperato e melodrammatico, scherzoso e ironico e Dio solo lo sa che altro.
Non intendo dare segni di vita. Non intendo starlo ad ascoltare un minuto di più.
Mike nel frattempo si è accorto che sono rimasta indietro e ci guarda da sopra la scalinata.
Non abbiamo fretta.  Quando ne avremo probabilmente interverrà.
Una cosa che mi piace di Mike è che da tempo al tempo e valuta quando deve o non deve intervenire.
Anche se, in questo caso, quanto vorrei che gli desse una strigliata e lo cacciasse via a calci.

“Senti, ragazzina, non posso rompermi le palle appresso a te che fai il gioco del silenzio.
Arriverò subito al punto, ok?
Jenny sta una merda per colpa tua, dice che le ha provate tutte con te ma non riesce nemmeno a parlarti.
Che cazzo credi di fare?
Lei non è il tuo fidanzatino, non ti ha tradito, non ha fatto niente di male e sta cercando disperatamente di montarti la tua bella moto ma non riesce nemmeno ad avvicinarti per portarti quei fottutissimi pezzi!
Dopo quel poco che abbiamo passato per averli adesso non li vuoi più?
Ma sei cretina?!”

Oddio.
Questo deve avere qualche problema mentale.
Ma è così difficile da capire?!
Sono pezzi rubati, R-U-B-A-T-I!!!

“Io sarei cretina?! Siete voi che siete un branco di coglioni, di fottuti criminali, ladri schifosi!
E io dovrei accettare dei pezzi rubati? Sai quanto me ne frega di Jenny!
Doveva pensarci prima di mischiarsi a gentaglia come voi!
E tu che cazzo vuoi, eh?! Fai il messaggero di turno?!
Che te ne fotte di come vanno le cose fra me e Jenny?!
Lei è una stupida. Doveva pensarci prima...
Ma tu fatti i cazzi tuoi!”

Armstrong arrossisce, di rabbia, e si morde il labbro con violenza, masticandone la carne morbosamente.
Non capisco. Non mi sembra che lui è Jenny siano così amici.
Fanno solo parte dello stesso gruppo.
E lei è la fidanzata di Juls e non ha mai nominato Armstrong, nemmeno per sbaglio.
Come mai adesso tutto questo interesse?

“Ti ho zittito finalmente!
Ti dispiacerebbe toglierti dai piedi?!
E magari non ricapitarmi più vicino, grazie?”
“Come vuoi, stronza.”
“Grazie tante, coglione.”

Ci mette un po’ a lasciare il mio zaino, come se fosse indeciso sul da farsi.
Io sono stanca di questa tarantella.
Lo guardo in faccia.
È una specie di peperone e sembra tremendamente a disagio, oltre che indeciso.
Con me non si è mai fatto problemi di sorta. E adesso si interessa un sacco a Jenny.
Non sarà che...

“Vig!
Ci sbrighiamo?”
“Arrivo, Mike!”

Percorro le scale, concentrata quanto basta per non cadere ma ho la testa da un’altra parte.
Tra l’altro Armstrong si è dileguato invece di entrare a scuola come il resto del genere umano.
Cerco di ripensare a tutti i momenti in cui lui e Jenny si sono rivolti la parola.
Il fatidico giorno delle quattro: per un attimo li vedo che si fronteggiano, lui, incazzato per un amplificatore rotto, lei, che fa l’innocentina, con quella faccia da cerbiatto e cerca di farsi perdonare.
Mi ricordo un Armstrong imbarazzato e intontito che finisce per cambiare aria.
E poi?
Un altro episodio:  una sera, mentre lei e Juls tubavano in un angolo, Armstrong distoglieva lo sguardo e incrociava i miei occhi. Due specchi verde acceso, malinconici, colmi di rimpianto.
Mah, forse sono io che mi faccio i film.

Neanche me ne accorgo e sono in classe, accanto il posto vuoto e io continuo a rimuginare quando la prof attira la mia attenzione. È  Mrs. Law, quella di storia.
è una donnina carina, modesta, probabilmente non ha trovato niente di meglio da fare nella vita e non ha grandi aspirazioni per il futuro.
Quello che la preoccupa è di preservare il suo micro-universo, il suo piccolo mondo privato qui a Berkley, come molti che ho incontrato in effetti. Gente noiosa che non ha altra aspirazione se non vivere per il resto dei suoi giorni salutando il lattaio sotto casa e andando la domenica a pranzo dalle amiche.
Patetico.

“Buongiorno ragazzini. Mi pare di capire che oggi ci siete tutti.”

Ma questa donna è cieca o cosa?
Il posto accanto al mio è vuoto, vuotissimo, più vuoto di così si muore.
Lo so che tanto uno come Armstrong può passare inosservato ma non fino a questo punto.
Non riesco a resistere e alzo la mano.

“Mi scusi Mrs Law, ma sicuramente manca il mio compagno di banco.”
“Chi?”
“Armstrong, quello che sta affianco a me.”
“Oh, capisco. Eppure mi pareva di averlo visto entrare stamattina.”
“Però è assente.”
“Chiamerò i genitori* per accertamenti.”

Scrollo le spalle. Non me ne frega niente.
Incrocio piuttosto lo sguardo stupito, quasi scandalizzato di Mike.
Cerco di seguire il labiale.

-Ma che cazzo fai?!
-Come?
-Perché gliel’hai detto?
-Non capisco!
- D-O-P-O

Lascio perdere i bisbigli di Mike.
Abbiamo incominciato un altro esaltante capitolo di storia, non sia mai che mi perda la spiegazione sulla crisi del ’29.
Questa donna quando spiega è soporifera; diciamo che non spiega, legge il manuale, fa qualche commento ovvio e la sua voce è più monotona che mai. E soprattutto non si ricorda mai quello che spiega o commenta quindi io studio sul vecchio libro universitario di mia madre, faccio prima.
La crisi del ’29 è spiegata bene anche sul mio vecchio libro di storia, quello tedesco.
Potrei fare un confronto fra il primo dopoguerra e l’inflazione in Germania* e l’inflazione del crollo della borsa di Wall Street*...o è troppo azzardato?
Sento a malapena la campanella. Così presto?
Improvvisamente qualcuno mi strattona per il braccio.
AHI!
Mi fa male!
Cerco di ribellarmi ma sono costretta a lasciare sul banco la borsa con i libri e a seguire un Michael Edwards un pochino alterato.
Mi trascina in corridoio mentre io ho smesso di fare resistenza da un pezzo.

“Vig! Ma che diavolo ti è saltato in testa, Cristo santo! Questa è davvero una bastardata!
Non pensavo fossi così stronza!”
“Cosa?”
“E piantala di fare la finta tonta! Va bene, mi hai raccontato come è andata, Armstrong e i suoi amichetti hanno fatto i cretini e tu? Ti vendichi così?!
Ma lo sai che lui ha ancora due richiami e poi lo sospendono? E lo sai che fine merdosa fa se si becca un’altra sospensione?!”
“Mike...”
“Si, ok, non sono mai stato un gran difensore di Armstrong, ma insomma, che cazzo!
Questa è davvero una carognata! Lo vuoi far bocciare? Tutto per una scemenza?!”
“Mike!”
“Eh...”
“Ascoltami. Io...”
“Tu cosa?”
“Non l’ho fatto apposta!”

Il mio migliore amico sgrana gli occhi e allenta un po’ la presa sul mio braccio.
Non mi crede. Glielo leggo negli occhi che non crede ad una parola di quello che ho detto.
Fa una finta risata, nervoso, e sbotta:

“Ma andiamo Vig! Credi che sia un idiota?
Non sono un bambinetto che si beve tutte le stronzate che gli raccontano!
O credi che, visto che me ne sto sempre a casa quando tu esci con i tuoi amichetti punk, io legga ancora le favolette e mi faccia imboccare per non sbrodolare sul bavaglino?
Tra l’altro, tu menti uno schifo!”

Oddio, ma stavolta non sto mentendo.
Davvero non ci ho pensato!

“Mike...mi è venuto così. D’istinto. Lui era assente, no?
Beh, quando quella ha chiesto se c’eravamo tutti...insomma non ci ho pensato!”
“La verità è che qualche volta ti comporti davvero da bambinetta di cinque anni.
Dì la verità, quella sera eri incazzata perché nessuno ti aveva detto niente, tutti erano complici e tu hai solamente fatto una figura di merda!”
“Ma stai scherzando, Mike?! Quelli hanno RUBATO!“
“Andiamo, Vig, te lo dovevi aspettare no? Hanno fatto un’idiozia, niente di più.
Sai quante ne faranno ancora!”

Nemmeno lui capisce o è coglione come loro?
L’unico vero motivo per cui non li ho denunciati, a parte la vigliaccheria, è stato che fra i ladri c’era anche suo fratello. Insomma praticamente l’ho fatto per lui!
Ok, lo ammetto: non ho minimamente pensato a Mike a questo proposito.
Non volevo che Juls finisse nei guai.
La sola idea mi fa arrossire. Devo smettere di pensarci...in fondo è il ragazzo di Jenny!

“Non lo so, Mike, se non mi credi tu chi dovrebbe farlo? Sei tu il mio migliore amico, l’unico che riesce a sopportarmi tutti i giorni, specie in questi giorni.
è stato uno strano impulso. Chiamami secchiona, rompipalle, maestrina, come vuoi.
Ma io sono così. Sono pedante, noiosa, puntigliosa e chi ne ha più ne metta.
E in più, in questo periodo, sto una merda. Dovresti capirmi invece di criticarmi in continuazione!”
“In continuazione?
Io magari ti critico in CONTINUAZIONE ma tu sei CONTINUAMENTE insopportabile in questo periodo!”
“VAFFANCULO!”

Me ne scappo.
Basta, ne ho le scatole piene!
Ma che razza di amici ho?! Un amico che mi fa esasperare quando sto così?!
Vorrei che Hana fosse qui. Ho anche provato a chiamarla, ieri sera.
Mi ha praticamente liquidato. Era eccitatissima perché stava a casa dei suoi adorati cugini, quelli di Berlino Est.
Sentivo battute e risate in sottofondo mentre Hana mi salutava, poi mi diceva che si stava divertendo un mondo ma adesso doveva andare perché  dovevano prendere la metro e là dentro non prende.
Andavano ad Ovest, in un pub, a prendersi una bella bistecca con birra, o un hamburger.
Non mi ha neanche ascoltato. Non importa.
Non mi ha chiesto perché avevo quella voce da funerale. Non importa.
Non mi ha detto che mi voleva bene, come fa di solito.
NonImportaNonImportaNonImporta.
Pare che io, qui, non conti più per nessuno.
E adesso Mike mi fa questo...

*********************

Mi scaravento in classe per prendere la mia roba che è rimasta sul banco.
La porto via, infilandola nello zaino, con movimenti bruschi ed evidentemente frustrati.
Non penso che scenderò a pranzo, non ho nessuna fame, né voglia di rivedere le brutte facce dei miei amici su cui è stampata una perenne espressione di rimprovero.
Mi limito ad uscire fuori al cortile e a fare il giro lungo, fin sul retro dove c’è l’entrata della palestra.
C’è un campetto di tennis all’aperto circondato da una rete per pollaio, e poi un grosso edificio di cemento e mattoncini rossi con un portellone di metallo. È quella l’entrata per la palestra, con un campo da basket che più che altro serve durante le ore di educazione fisica per correre o fare ginnastica.
Accanto all’entrata della palestra c’è un’aiuola, uno dei pochi posti verdi che questa scuola conservi.
è lì che mi vado a sedere, tanto non mi cercherà mai nessuno.
Voglio stare sola, voglio crogiolarmi nel mio vittimismo e bestemmiare augurando quanto c’è di peggio al mio migliore amico che adesso ha deciso di mettersi a fare la parte della mia coscienza.
Non mi serve un grillo parlante, grazie.
Rimango lì per un po’, ma mi sento inquieta, come se qualcuno mi stesse osservando.

“Stavi meglio con la mia camicia.”

Salto su, i capelli mi si rizzano sulla nuca.
Giro la testa di qua e di là per cercare la bocca che ha pronunciato quelle parole.
Ci metto un po’ ad inquadrare Mike-biondo-platino che sta accovacciato dietro un cespuglio di more e sembra rovistare nell’erba.
Dopo averlo osservato con un’espressione idiota stampata in faccia, giro le spalle e faccio per allontanarmi.

“Eddai su, fermati un attimo, ok? Parliamone.”

Mi blocco.
Se adesso me ne vado dovrò cercare un altro nascondiglio e rischio di incrociare Mike, Meggy o qualcun altro e davvero non mi va.
A malavoglia mi giro e torno a sedermi, dandogli comunque le spalle.
E soprattutto con l’intenzione di fare scena muta finchè non suonerà la campanella.
Continuo ad avere lo stomaco vuoto e una grande rabbia in corpo.
Spero di riuscire a sopportare la presenza di questo fastidioso troglodita.

“Ehi. Mi dispiace per quella sera, da quel tizio. Avrebbero dovuto dirtelo.
Ma se lo avessi saputo prima sicuramente ti saresti opposta. Io lo avrei fatto.”

Non mi frega.
Può fare il bravo bambino quanto vuole, ma non mi frega.
Lui continua a rovistare per un po’ fra i rovi lanciando ogni tanto un gemito per ogni spina che le sue dita incrociavano nei loro movimenti.
Quindi lancia un sospiro di sollievo ed estrae un accendino.

“Finalmente! Lo sto cercando da un quarto d’ora!”

Lo sento che rovista, stavolta in una tasca per poi estrarre qualcosa che fruscia, forse fatto di carta.
Poi viene a sedersi vicino a me e posso scorgere nelle sue mani un pacchetto di sigarette e un accendino rosso.
Lo osservo con la coda nell’occhio mentre se ne accende una.
Poi mi tende il pacchetto. Ho un déja vu.

“Vuoi?”

Lo guardo.
Quegli occhi azzurri, così vicini, sono davvero imperscrutabili.
E ci separano pochi centimetri.

“Si, grazie”

Il mio è una specie di grugnito ma a lui basta per passarmi una Camel.
Me la infilo in bocca e mastico un po’ il filtro.
Lui intanto avvicina la mano per limitare l’aria e il vento e fa scattare l’accendino.
La fiamma tremula un attimo e poi sento il fumo del tabacco in combustione.
Mi viene una gran voglia di sputarla ma non lo faccio, non so perché.
Aspiro con forza, troppo, e mi sale la tosse.
Sputacchio davanti a me facendo cadere la sigaretta per terra.
Nel frattempo sento il mio viso che si arrossa, le guance che bruciano, e probabilmente assumo tutti i colori possibili e immaginabili, dal rosso peperone, all’arancio mandarino, al verde malaticcio.

“Prima volta?”

Mike biondo-platino raccoglie da terra la sigaretta e ne stringe la canna facendo scivolare un po’ di tabacco carbonizzato nell’erba.
Io nel frattempo borbotto, infastidita, più nervosa di prima:

“Embè, non si vede?”

Lui si limita a ridacchiare, quasi benevolo, e mi porge la sua, di sigaretta.
Me la metto in bocca e aspiro di nuovo, un po’ più lentamente.
Fa davvero vomitare però stavolta ho intenzione di andare fin in fondo.
Oddio, e se Mike-biondo-platino avesse l’herpes? E se fosse raffreddato e mi prendessi un’influenza?
Metto a tacere tutti i campanelli d’allarme e mi limito a sfumacchiare dal filtro della Camel;
quel filtro che, pochi secondi fa, era in quel ricettacolo di germi che è la bocca del compare affianco a me.
Silenzio. Aspiro. Espiro.

“Uhm...almeno non sei impedita. Hai capito come funziona.”
“Bene, uno a zero.”

Lui nel frattempo si è riacceso la mia, di sigaretta, e ci facciamo compagnia, brave e allegre ciminiere che non siamo altro.
Dopo un primo momento di disgusto e profondo schifo è quasi rilassante.
Il movimento è abbastanza meccanico, bisogna solo fare un po’ di attenzione al respiro e a non soffocare con tutto questo fumo in gola.
Solletica il palato e la gola.
Effetti collaterali: un leggero mal di testa, qualche giramento, un lieve pulsare.

“Ehi”
“Ehi”
“Io dicevo sul serio prima.
Quando Billie mi ha raccontato quel che è successo l’altra sera, gli ho fatto una lavata di capo.
Si sono comportati davvero da idioti. Non si rischia per così poco.”
“Mhm...”
“Comunque, secondo me, dovresti dargli un’altra chance. In fondo non fanno niente di male.”
“No”
“Mhm...
Billie mi ha raccontato che te la sei presa.”
“Si, e avevo tutte le ragioni.”
“Sono d’accordo, ma ormai è successo. Vuoi tenergli il broncio per sempre?
è un po’ da stupidi. Insomma, non vorrai fare la bambina capricciosa.”

Detto da lui non suona così offensivo come dalla bocca di Mike o di Armstrong.
Finalmente uno vagamente gentile. E poi questa sigaretta è più rilassante del previsto.

“Mi hanno fatto incazzare.”

Sento uscire dalla mia bocca una voce terribilmente infantile, oltre che strascica e masticata, mentre la cenere della sigaretta cade sul selciato dell’aiuola.
Lui si mette a ridere. Ha una bella risata, sincera, un po’ rauca.

“Ehi, come sta la mia camicia? La tratti bene?”
“Beh, intanto l’ho lavata...già un passo avanti no? Rispetto a come me l’hai presentata!”
“Non scherzare. Quella è una signora camicia*! Ci ho sudato come un porco quando, per la prima volta, con Billie e Al abbiamo suonato Why do you want him al Gilman!”
“Che schifo! E non la lavavi da allora?!”
“Boh...non mi ricordo.”

Il tono misterioso con cui lo dice mi fa scoppiare a ridere e per poco non rischio di far cadere la seconda sigaretta della giornata. Finisco per stritolarla un pochino, cercando di trattenere le risate.

“Mike, ma tu che fai, oltre che suonare al Gilman?”
“Beh, vado a scuola, poi lavoro, come cameriere e come installatore di fiberglass*, quello però solo un paio di volte a settimana. Poi, ogni tanto, il pomeriggio e la sera, quando posso provo, e quando ci danno il locale, suoniamo tutti insieme. Gli Sweet Children al completo.”
“è così che vi chiamate?”
“Già. È  un po’ un controsenso, basta guardarci per capire che siamo tutto tranne che dolci bambini indifesi.”
“Già. E da quanto tempo vi conoscete?”
“Con Billie ci conosciamo da quando lui aveva dieci anni. Con quest’anno fanno otto.
Con Al da non più di un paio d’anni. Tre massimo.”
“Uhm...e dove abiti più o meno?”
“Beh, casa mia l’hai vista.”

Davvero? Ho visto casa sua?
Ero ubriaca per caso?
Non mi pare di esserlo mai stato a meno che non sono in preda ad un’amnesia.
Scuoto il capo, perplessa.

“Impossibile.”
“Cosa?”
“Non sono mai stata a casa tua. Sono stata solo a quel raduno di amichetti vostri.
Quando avete suonato quella sdolcinata canzone d’amore.”
“Quella è casa mia.”

Non è possibile.
Quella è una tana, un posto dove giocare, dove lanciarsi le bottiglie di birra, dove ubriacarsi, dove fumare, dove suonare, dove sballarsi in qualunque altro modo possibile e immaginabile.
è il posto più sporco, malridotto, fatiscente, disordinato, confusionario, caotico, merdoso che abbia mai visto.

“Tu abiti lì’?!?!”
“Si. Insieme a Matt, Jason e... qualcun altro. Gente che ha casa altrove ma che passa le notti fuori, sui nostri divani.”
“Ma...ma la tua famiglia?”
“è un po’ lungo da spiegare.”
“hai fretta?”
“Mia madre si bucava, mio padre non esisteva e quindi sono stato adottato.
I miei attuali genitori sono separati e non si parlano da anni.
Mia madre e mia sorella abitano a Santa Rosa. Ci si sono trasferite due anni fa.
Io le ho detto che non mi rompesse le scatole. Qua ho il gruppo, ho la mia vita, il mio lavoro, e i miei amici. Lei non mi ha mai seguito più di tanto, salvo poi, alle volte, urlare isterica per i miei voti che raggiungono a malapena la sufficienza.
Ma con la vita che faccio quando cazzo lo trovo il tempo per studiare?”
“Oh.”

Adesso che me lo ha detto mi sento un tantino a disagio.
E soprattutto mi sento patetica e insignificante.
Come ho fatto a farmi venire un attacco depressivo per quella stronzata di una settimana fa?
Ce li avessero tutti i miei problemi!
Viceversa non vorrei mai avere la vita e i problemi di Mike biondo-platino, anche se ne parla con la tranquillità più assoluta.
Sento il suono della campanella; penso che farò tardi.
Ormai la sigaretta l’ho finita.
Mi alzo, sollevando con me l’Eastpack, e gli faccio un cenno di saluto.

“Ehi, allora ci pensi?
Lo hanno fatto solo per facilitarsi la vita.”
“Te lo ha chiesto Billie?”
“Che cosa?”
“Te lo ha chiesto Billie di convincermi a chiudere un occhio su questa cosa?”
“Come lo sai?”
“Così.
Grazie per la sigaretta”

Lui rimane a guardarmi meravigliato e incuriosito.
Poi l’azzurro dei suoi occhi perde quelle sfumature e ritorna ad essere solo ceruleo, impenetrabile.
Cazzo, se ha degli occhi da favola.
Mi avvio. Non so lui che lezioni abbia ma se lo aspetto faccio tardi.
E mentre salgo le scale per raggiungere la classe di matematica mi chiedo:
ma perché diamine Armstrong insiste così tanto che io faccia pace con Jenny?!
Se è davvero così, è cotto a puntino.

**********************

Arriviamo finalmente a oggi.
Oggi è il 10 Dicembre ed fino al 25 Novembre credevo che mi sarei presentata senza un regalo pronto per il compleanno di mio padre.
Alla fine, il 25 stesso, Jenny si è presentata sotto casa mia con i pezzi e non solo con questi.
è arrivata alle undici del mattino mentre stavamo preparando il pranzo per festeggiare i cinquanta del mio vecchio.
Mia madre stava preparando la lasagna anche se cucinare piatti elaborati decisamente non è il suo forte.
Specie quando non c’è Frank, e, fortunatamente, almeno quel giorno aveva avuto il buon gusto di lasciarci per una giornata in famiglia.
April Foster era curva su un libro di ricette, davanti a lei un tavolo con il ripiano di marmo e una sfilza di grossi taglieri in cui sembra impastata la farina, vicino un contenitore di carne macinata cotta, del formaggio in fette e una manciata di pentole abbandonate sul bordo del tavolo.
Bussano alla porta e ovviamente io schizzo via, asciugandomi le mani su uno straccio.
Stavo impastando le lasagne.
Papà è arrivato ieri sera tardi e dorme ancora.
Ma non c’è bisogno di controllare perché tanto so benissimo di che si tratta.
Davanti a me c’è Jenny con la sua fedele saccoccia di cuoio, e una grossa torta in mano.
Accanto a lei ci sono Juls che porta un contenitore di vetro, da cui si intravedono le onion rings e le chips che emanano un profumino di appena fatto:  mi fa venir voglia di sciogliermi là davanti.
Sono fumanti;  le avrà fatte a casa del fidanzatino.
Con mia grande sorpresa c’è anche Mike.
Lui porta una busta con delle vaschette di gelato e una busta di supermercato.
Non appena Jenny mi vede, sembra fermarsi a guardarmi, con gli occhi che si fanno lucidi e via via più emozionati. Mette a terra la torta con quanta delicatezza riesce e si getta fra le mie braccia.

“Virgin! Mio Dio, finalmente!!!”

Mi sento un mostro.
Lei è adorabile, è felice come una bambinetta il giorno di pasqua, io invece a stento ho sentito la sua mancanza in queste ultime settimane.
Lei mi abbraccia, mi da delle pacche sulle spalle, mi bacia in fronte, sul naso sulle guancie.
La solita esagerata.

“Jenny...mi sei mancata”
“Oh, Ginny, sapessi tu quanto! Per una cosa così stupida, poi, abbiamo litigato!”
“Lasciamo stare, altrimenti litighiamo anche ora.”

Lei allegramente si stacca da me e riprende in mano la torta varcando la porta senza nemmeno chiedermi il consenso. Si sente a casa sua e questo mi riempie di gioia.
Davanti a me sfilano un Juls abbastanza mansueto e di buon umore e un Mike imbarazzatissimo.
Ignoro entrambi e mi affretto a seguire Jenny che si è subito fiondata in cucina, forse sperando di monopolizzare il campo.
Mia madre rimane piuttosto perplessa quando si trova davanti una ragazzina dai capelli bianchi, una tappa fra l’altro, sottile come lo stelo di una margherita che irrompe, salutando a destra e manca e presentandosi subito a lei, con la voce stridula:

“Salve signora Foster! Sono Jenny, un’amica di Vig! Le ho portato qualcosa di caldo, appena pronto per festeggiare il compleanno di suo marito!”

Mia madre è decisamente stordita.
Mi lancia uno sguardo smarrito mentre io mi faccio avanti, contagiata da quell’energia travolgente.

“Mamma, Jenny è venuta parecchie volte e ha sempre detto che un giorno avrebbe voluto cucinare lei per tutti noi...e questo è quanto!”
“Aehm...cara! Ciao, che pensiero carino. Io sono April, la mamma di Vig.”
“Non si preoccupi signora, l’avevo intuito e non la disturberò per molto.
Sta cercando di preparare un ragù?”
“No, una lasagna.”
“Oh! Allora mi lasci fare! uhm...non così, con la pasta, intendo...”

Mentre Jenny si immerge nella sua nuova attività di capocuoco in casa Foster, mia madre la guarda affascinata ed ammaliata. Direi che l’ha conquistata.
Io mi limito a uscire dalla cucina e a tornare in soggiorno dove stanno Juls e Mike che sembrano giocare alle belle statuine.

“Ehi, ragazzi, potete anche sedervi anche senza un invito formale, sapete?”

Ottengo  che entrambi si assestino su una poltroncina, Juls, tranquillo e rilassato, con l’occhio indagatore, Mike, agitato e inquieto, mentre i suoi occhi guizzano per sfuggire i miei.
Sembrano guardarsi i due fratelli mentre fa noi il silenzio si carica di imbarazzo e un po’ di tensione.
Alla fine Juls sbotta, annoiato:

“Eddai, Mike, stiamo facendo notte!”
“Devi dirmi qualcosa Michael?”

Nonostante sia il mio miglior amico, nonostante gli voglia un bene dell’animo, mi piace vederlo in imbarazzo in questo frangente. Anzi, sono sadica e contenta, specie quando quello si morde il labbro  e sembra parlare stretto stretto, appiccicando le parole l’una alle altre.

“Scusami, mi sono sbagliato. Colpa mia.”
“Come scusa?”
“Ho detto scusami, perché ti ho trattato una merda e mi dispiace un sacco.”
“Mhm...grazie tante Mike.”

In effetti non l’ho veramente perdonato ma per lo meno ha assunto un’espressione diversa da quella di prima, un vero cane bastonato. Mi lancia un sorriso speranzoso.
Io ricambio e poi, con l’espressione più innocente e la voce più mielosa che riesco a tirare fuori, continuo:

“Mike, vuoi farti perdonare?”
“Certo!”
“Allora va in cucina e renditi utile.
MAAAAMMAAAAA!!!”
“Che c’è, amore?!?!”
“Mike si è offerto di apparecchiare lui, di sparecchiare e poi lavare i piatti!!!”
“Oh! Ma che carino!”

Spunta fuori mia madre, con il grembiule in mano, che gronda di farina, di acqua, di carne e di passata di pomodoro. Si agita, non osa uscire dalla cucina per non macchiare il pavimento.
Si limita a sporgersi sullo stipite e poi osserva Mike, leggermente preoccupata:

“Caro, ma sei certo di voler fare tutto tu? So che sei un vero tesoro, ma non c’è bisogno...”

Osservo Mike che arrossisce come il culetto di un babbuino e si morde il labbro:
“Assolutamente si, signora Foster. Non si preoccupi. È un piacere.”

Mia madre tira un sospiro di sollievo e gli fa uno dei suoi luminosi sorrisi a trentadue denti.
Io vorrei sganasciarmi dalle risate ma mi trattengo a stento.
è troppo bello! Era da una vita che sognavo di farlo.
Il sadico piacere di mettere in imbarazzo gli altri è una cosa che tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita. Secondo me ha proprietà terapeutiche.
Non mi sentivo così bene da secoli!
Ho fatto pace con la mia migliore amica, qui in America, e  mi sto divertendo troppo!

“Oh, Vig, li avessi avuti io degli amici adorabili come i tuoi alla mia età!
Grazie caro, allora vieni con me che ti mostro dove sono i piatti.
Apparecchiamo fuori. Jeeeeenny!!! A che punto è la cottura della passata?!?!”
“Cotta a puntino April! Anche la pasta è pronta!”

Vedo mia madre e il mio migliore amico scomparire in cucina mentre lei si affretta a precisare:

“Caro, ma puoi chiamarmi anche April. Nella credenza ci sono le posate...”

******************

È stata una giornata stupenda.
Abbiamo mangiato a tavola tutti insieme, papà compreso, e gli abbiamo fatto un bel brindisi con quello champagne da supermercato che aveva portato Mike.
Beh, meglio di niente. Ammetto che noi a questo non ci avevamo pensato.
Mamma aveva comprato il tiramisù, il dolce preferito di papà, e lui ha spento le sue quaranta candeline fra gli applausi della tavolata. Poi però, con grande sorpresa di mamma, si è ingozzato di torta panna e fragole, quella fatta in casa da Jenny.
I dolci non mi fanno impazzire ma quella panna e fragole era meravigliosa, riscaldata nel microonde per una manciata di secondi era divina.
E ovviamente Mike ha sparecchiato e lavato i piatti.
Mentre lui e la mamma si affaccendavano in cucina, io, papà, Jenny e Juls siamo andati dritti dritti in garage: era arrivata l’ora di scartare il regalo.
Papà ha assistito di persona al montaggio della nostra adorata Honda con gli occhi spalancati dalla meraviglia mentre osservava con attenzione Jenny smontare di qua, oliare di là, rimontare, provare i nuovi freni a disco,trafficare a più non posso con molle, pezzi di lamiera, di ferro e altra chincaglieria di questo genere.
È  ufficiale. Mio padre ADORA Jenny.
La ama, la vorrebbe come figlia o, se fosse abbastanza giovane come un tempo, come ragazza.
Da come la guarda sembra uno scolaretto cotto, oppure un bambino davanti al suo supercampione preferito...

“Come hai detto che ti chiami?”

Una Jenny con il grembiule sporco di olio, il volto annerito, un cacciavite nella mano, o meglio nel guanto di pelle, gli concede uno sguardo e un secondo del suo tempo preziosissimo per poi rimettersi a lavorare.

“Jenny, signor Foster.”
“Si, ma esattamente qual è il tuo nome?”
“Uhm...Eugenie Lyndon”

Aspetta...ho sentito bene?

“Eugenie? Ma io credevo ti chiamassi Jennifer!”
“E questo chi te l’ha detto?”
“Ho sentito Billie chiamarti così un paio di volte. E poi pensavo che Jenny fosse il soprannome di Jennifer.”
“Boh, si, probabilmente la maggior parte dei miei amici crede che io mi chiami Jennifer, Billie incluso.”

 In effetti suona davvero strano il fatto che lei si chiami Eugenie.
È troppo austero, antico, da romanzetto rosa, pesante, ridondante.
Non è lei.
Lei è una ventata di allegria, di energia, di solarità, di leggerezza, una specie di striscia comica, una tavoletta di cioccolata che ti illumina le giornate più gelide e invernali.
Lei è solo Jenny.

********************

Dicevo, oggi è il 10 Dicembre ed è una giornata abbastanza anonima, tranne per il fatto che finalmente sembra arrivato il freddo, un freddo continentale, polare, gelato e decisamente odioso.
Io soffro il freddo molto più che il caldo.
Sarà che, come dice mia madre, sono una lucertola, una di quelle che stanno a rosolare al sole ma quando si tratta di affrontare climi più rigidi, è una tragedia.
Tra l’altro non posso nemmeno contare su una massa grassa e quindi il freddo mi gela direttamente le ossa. Insomma come orso polare non valgo granché.
Sono talmente imbacuccata che mi si vede a stento il naso e la bocca.
Sembro un eschimese che si fa il giro della Lapponia alla ricerca di legna da ardere.
Io non avrò la legna da ardere, ma secondo me, i libri fanno lo stesso piacevole effetto.
Se potesse servire a riscaldarmi, finalmente i libri di scuola acquisterebbero un senso.
Ma una bella lezione di inglese a prima mattina non me la leva nessuno.
Dovrei essere contenta.
Durante le ore della Carson mi scaldo abbastanza da cancellare qualunque brivido di freddo mi strisci lungo la schiena.
Probabilmente, se fossi un ragazzino, avrei già radunato una baby gang per darle la caccia e ridurla in poltiglia.  Altro fertilizzante altamente nutritivo per il nostro giardino, gratis poi.
Mi siedo al mio solito posto.
Armstrong è di nuovo assente ma stavolta ha una vera giustificazione.
Ha la febbre.
Meno male che non è venuto a contagiare tutta la scuola.
Trovo molto stupide certe prese di posizione dei genitori che costringono i loro figli ad andare a scuola mentre magari i poveretti hanno un’emicrania da paura e trentanove di febbre.
Se stai una merda come diamine fai ad ascoltare una frigida rettile che spiega quattro stronzate per ignoranti?
Quella parla.
Continua a parlare.
Tanto non ti sento.
Voglio chiudere gli occhi, voglio dormire nel mio lettuccio, sotto il piumino, con quattro coperte, due grossi cuscinoni e...

“Mss Foster! Mi dispiace rubarle un secondo del suo preziosissimo tempo specie mentre è impegnata a dormire sul banco. Dov’è la relazione, ms Foster?”

Cado dalle nuvole.
Scuoto la testa, cercando di inquadrare quel tacchino spennacchiato che non è altro.

“Quale relazione, mi scusi?”
“Come quale relazione! Non le avevo chiesto, a fine modulo, di presentarmi  una relazione scritta dal suo compagno su un qualsiasi argomento del programma che fosse di suo interesse?”

Ah si. Che buffonata.

“Mi stupisco veramente di lei. La reputavo una persona a modo.
D’altro canto io ho bisogno di uno scritto e, se non mi sbaglio, Armstrong ha lasciato in bianco il test su Poe*.
Sarebbe il caso di approfondire l’argomento che ne dice?”

Si si, certo.
Approfondiremo sicuramente.
Ve lo dico io come andrà a finire: io seduta a terra a leggere i paragrafi su Poe mentre lui prova sull’acustica.

“Mhm...”
“Bene. Allora voglio, entro la settimana prossima una relazione su Poe e sul romanzo gotico ottocentesco. Minimo quindici pagine, fatto per bene;
lo considererò alla stregua di un test, varrà come voto per lo scritto.
Lo comunichi ad Armstrong. Voglio quel lavoro la settimana prossima.
Fra lei e il suo compagno avete ancora sette giorni.”

Più chiaro di così si muore.
Lo sapevo che questa mi vessava.
Brutta vacca disgustosa.

*******************



Note

* In generale in America le assenze sono molto monitorate. Gli studenti hanno un numero davvero ridotto di assenze e molto spesso sono avvertite le famiglie, specie quando l’alunno ne ha già fatte in precedenza. Poi ovviamente bisogna presentare una giustifica scritta ma il più delle volte gli insegnanti vogliono parlare direttamente a telefono con i genitori.

* Dopo la prima guerra mondiale la Germania, sconfitta, è costretta a pagare tutti i danni di guerra e cade in una grave crisi economica, dovuta anche al fatto che l’unica forza produttiva del paese era l’industria bellica, siderurgica e pesante, ormai inutile e anche abbastanza obsoleta; dilaga l’inflazione tanto che è famosa una foto di una carriola piena di marchi (moneta della Germania) sospinta da alcuni bambini, soldi che bastavano a malapena per pagare il pane.
è a causa di questa grave crisi e dello stato confusionario in cui versava il paese che il popolo ha appoggiato il partito nazional-socialista di Hitler che prometteva di ricostruire una nuova grande e potente nazione, ma soprattutto sembrava promettere quell’ordine a cui aspiravano i tedeschi.
 
* Il 1929 è ricordato dall’America come l’anno della crisi più grave che gli U.S.A abbiano mai affrontato. Fino agli anni ’20 l’economia americana registrò un boom notevole mentre il resto dell’Europa uscì molto provata dalla prima guerra mondiale. Questo portò ad una progressiva sovrapproduzione, un crollo dei prezzi e delle borse, prima fra tutte quella di Wall Street.
Immaginerete il dramma all’epoca. Non entro nello specifico ma per approfondimenti vi lascio questo link
 
* Non si può più ignorare la “signora camicia”,  è il momento di darle un volto!
 Ringrazio da morire Old Whatshername per avermi fornito quell’immagine oltre che per avermi fatto scoprire quella meravigliosa gallery   *_______*


* Quando Mike, appena quindicenne, decide di andare a vivere da solo, per pagare l’affitto in casa Armstrong e per sopravvivere, si fa assumere in un ristorante popolare per  duecentocinquanta dollari al mese. Poi in seguito lavora come installatore di fiberglass e si fa assumere come cameriere assieme ad Armstrong al Red’s (allora però si era già trasferito in uno di quegli edifici occupati dagli squatter.)
Siccome non sono riuscita a capire con precisione i tempi, l’ho interpretato così  ù.ù
FONTE: “Green Day: New Punk Explosion”

*Edgar Allan Poe, già citato in precedenza, scrittore di romanzi gotici americani della metà dell’ottocento.


Ringraziamenti

A Time Bomb per averla segnata come preferita.
A tutte voi che leggete, seguite, commentate, preferite o passate per caso!


L’angolo dell’autrice

Ciao a tutte,
ora che sono in piena vacanza ho un bel po’ di tempo per pensare a nuovi sviluppi per questa vicenda che mi appassiona un sacco, anche se poi penso che cambierò band, perché altrimenti mi fisso troppo e finisco per non ascoltare altro...sopratutto perché un mio caro amico mi ha passato l’intera discografia dei GD e quindi adesso la sto mettendo su CD con l’intento di ascoltarla moooolte volte, per la gioia di mia sorella, che divide la stanza con me. U.U
-Ma perché ci racconti i fatti tuoiiii?!?!?!?
-perché oggi mi va così!
Anyway, gente, questo capitolo è un capitolo di riassestamento, come qualcuno di voi avrà intuito ( se non l’avete intuito, salute a noi, ve lo sto spiattellando in faccia ù.ù)  e penso si delinei moooolto meglio la figura di Jenny (MyLove!!! *_* ).
Eh lo so, che sono crudele, specie con la povera Underthesky che mi aveva espresso chiaramente la sua speranza, ma vi assicuro che niente andrà come sembra mwahahahhahahah
È tutto più complicato di così...e ovviamente, come al solito, tutto abbastanza verosimile, visto che il mio libriccino sulla band supplisce alla straziante mancanza di internet...
Devo elemosinare il pc di un mio amico, un paio di volte a settimana per controllare la posta, fb e EFP ovviamente <.<
E così, con le dolci note di Homecoming (GD) e di Brown Sugar (Rolling Stones) poi, pianifico la fine della mia ff e vi anticipo che ci saranno quattro, massimo cinque capitoli ancora da postare e poi...
Cest’ Finit!
Dopo che ho spoilerato il mio piano diabolico posso andare in pace. (oddio, “spoilerato” poi, tanto lo sapevate che con il chappy di febbraio la festa era finita; da dicembre a febbraio manca davvero poooco.)
Fatemi un applauso, stavolta con le note vi ho graziato xD
Comunque per chi vorrà continuare a seguire fino alla fine, non sapete quanto vi ringrazio!
è sempre un piacere leggervi, vedervi partecipi o comunque sapere che ci siete!
Sayonara,

Misa

  
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