36
Assoluzione
A guardia del portone di legno, l’uomo in
uniforme era chiaramente intenzionato a dimostrare di meritarsi lo stipendio.
«Senti, piccolo,
te lo dirò per l’ultima volta. Questo non è un posto per
ragazzini. È il mio ultimo avvertimento. Fuori di qui.»
Roxas avrebbe desiderato con
tutto il cuore di potergli sferrare un calcio nella mascella; ma sapeva che
così facendo, oltre a minare la stabilità delle proprie gambe,
avrebbe certamente peggiorato il suo status.
Gli altri cercavano
ancora di tenere testa alla guardia.
«Lei non
capisce...»
«È
importante...»
«Dobbiamo entrare!»
L’uomo mise mano a
una ricetrasmittente e la brandì con fare minaccioso.
«E io invece dico
che dovete andarvene!» sputacchiò. «Non fatemi perdere
definitivamente la pazienza, o sarò costretto a...»
«A perdere il
posto di lavoro?»
Roxas si voltò di
scatto. Gli si allargò il cuore alla vista del tenente Lockhart che marciava verso la guardia con la sua migliore
espressione da poliziotta in carriera, mostrando il distintivo. Dietro di lei
venivano due giovani agenti che ben conosceva.
«I ragazzi sono
con noi» spiegò il tenente, amabile, appoggiandosi al banco.
«Ora ti conviene aprire quella porta e farci entrare, se ci tieni che le
tue chiappe continuino a poggiare su quella tua bella poltrona di pelle. Non
mettermi alla prova, ho molte conoscenze.»
L’uomo
esitò per un istante; ma alla fine, contrariato, ripose nella cintura la
ricetrasmittente e si voltò con uno sbuffo stizzito ad aprire il portone
alle sue spalle.
Roxas alzò di nuovo lo
sguardo sulla donna. Lei gli rivolse una strizzatina d’occhi e un
sorrisetto impercettibile. Ci volle solo un istante perché il ragazzo si
rendesse conto di aver ricambiato il sorriso.
* * *
Non somigliava affatto a ciò che aveva
immaginato.
Seduto su una semplice
sedia di legno, accanto a un tizio che chiamavano ‘avvocato’ e che
era un semplice sconosciuto, in una semplice sala quasi vuota, Axel si guardava intorno. Considerando quella che era stata
tutta la sua vita, si disse che avrebbe dovuto figurarsi spesso una scena del
genere; adesso, invece, si rendeva conto che non ci aveva mai riflettuto
davvero. E di certo i pochi pensieri confusi degli ultimi sei giorni non
corrispondevano a realtà.
Anche ora che ci si ritrovava
dentro, non sapeva bene come dovesse sentirsi. Era piuttosto apatico, in fondo,
e senza un vero interesse faceva scorrere lo sguardo sui volti severi e quelli
curiosi e quelli indifferenti come il suo, ascoltando senza sentirlo il brusio
delle chiacchiere che – forse – precedevano sempre l’inizio
di un processo a un delinquente redento ma senza scopi nella vita.
Rendendosi conto del
proprio pensiero, Axel abbassò la testa a
guardare il parquet per nascondere un sorriso. Uno scopo forse no, ma
qualcos’altro certo l’aveva trovato.
Quando alzò di
nuovo gli occhi, si ritrovò a guardare una platea di sguardi puntati sul
fondo della sala. Li seguì automaticamente e si chiese se quel qualcos’altro, tra le sue varie
facoltà, detenesse anche quella di materializzarsi dai suoi pensieri.
La porta si era appena
spalancata sull’ingresso di Roxas. Il ragazzino
si guardava intorno come lui, un po’ intimidito, ma con lo sguardo di chi
sa quel che fa, che vuole andare fino in fondo, che cammina per la sua strada.
Da solo e, finalmente,
sulle sue stesse gambe.
Dietro di lui intravide
Sora e Hayner, e un passo più in là Kairi, Olette e Pence. Chiudevano il corteo nientemeno che Aerith Gainsborough, Cloud Strife e Tifa Lockhart.
Axel tornò a fissare Roxas, interdetto. Non si era aspettato di vederlo in aula
quel giorno. Un paio d’ore prima, quando si era affacciato alla sua
finestra per salutarlo, si era visto accogliere da un sorriso sicuro, ma
vederlo lì era comunque una sorpresa.
«... Andrà tutto bene...»
Roxas incrociò il suo
sguardo. Si fermò in piedi accanto a una fila di posti vuoti e gli
sorrise, ancora. La distanza non bastò ad impedire ad Axel di vedere con chiarezza l’azzurro chiaro dei
suoi occhi.
Mentre quello strano
assembramento di ragazzini e poliziotti, sognatori e disillusi – chi era cosa, in realtà? – prendeva posto in quella sala di
tribunale, Axel guardò fisso davanti a
sé, nel punto in cui da un momento all’altro un nuovo estraneo in
toga avrebbe deciso se fargli scontare i suoi ultimi due mesi di esistenza al
buio e da solo, o se permettergli di uscire e cominciare a vivere.
Andrà tutto bene.
Questa volta non si
curò di nascondere il sorriso.
Dov’era finito?
Nella confusione di
teste e gambe e persone sconosciute che si alzavano e sparivano dalla sua
strada, aveva finito col perderlo di vista.
Scrutò nervoso le
facce intorno a lui, con un nuovo interesse. Doveva vederlo, doveva parlargli, adesso...
«Axel!»
La sua voce. Un vuoto
allo stomaco.
Si voltò e vide Roxas, appena sbucato dalla folla, e di colpo si rese conto
di non avere le parole.
Si guardarono. Si
sorrisero. Lasciarono che l’eco di quella parola parlasse per loro.
Assolto.
«Te l’avevo
detto.» Roxas si avvicinò di un passo.
Sembrava emozionato. «Ti ricordi, no?»
Axel rifugiò lo
sguardo sulle sue scarpe da tennis, le stesse che gli aveva visto il giorno in
cui si era trovato a sorreggerlo per la prima volta.
«Però non
mi avevi detto che saresti venuto.»
Roxas si avvicinò
ancora e si chinò per poterlo guardare in faccia. Axel
osservò il suo sorriso euforico e si chiese se in quel preciso istante,
su quel pianeta, ci fosse un’altra persona altrettanto felice.
«Volevo portarti
in un posto, quando fossi uscito di qui. Perché ero sicuro che saresti uscito di qui.»
«Mmm.» Quasi senza volerlo, Axel
si ritrovò a sogghignare. «Se non sbaglio, questo dovrebbe essere
il tuo primo appuntamento in piedi e con un uomo libero.»
Il biondino
avvampò all’istante. Si raddrizzò, incrociò le
braccia e alzò gli occhi al cielo.
«Sempre il
solito» sbuffò. «Mai serio, neanche oggi!»
Axel abbassò la voce.
«Guarda che io sono
serio.»
Roxas lo guardò,
imbarazzato. L’arrivo tempestivo di Sora gli evitò di ribattere a
quelle parole.
«Axeeel!» Piombò tra di loro come un
acquazzone, portandosi appresso i suoi amici sorridenti. Aveva tutta
l’aria di aver preso quella storia di processi e compagnia bella come un
gioco divertente. «Evvai, è fatta!
Torniamo insieme al condominio, allora?»
L’adolescente
sorrise all’espressione spumeggiante di Sora.
«Non subito. Prima
avrei da fare con tuo fratello.» Guardò oltre le sue spalle, nel
semicerchio che i compagni di Sora e Roxas stavano
formando davanti a loro. «Vero, bimbo?»
Curioso, Sora si
voltò a guardare il fratello, subito imitato dagli altri. Lui li
ignorò tutti e ricambiò l’occhiata di Axel.
Il suo colorito stava tornando normale.
«Vero.»
Annuì e sorrise. «Abbiamo un appuntamento.»
* * *
Era un lunedì ventoso. Roxas camminava sicuro sul sentiero di ghiaia, pugni in
tasca e sguardo fisso, al fianco di Axel. La loro
meta si stagliava davanti a loro, bianca nel sole di maggio, con una traccia
sottile di nero a recare alcune scritte impresse nel marmo e nella memoria.
Ci aveva pensato molto,
prima di tornare in quel posto. Si era svegliato nel cuore della notte nel suo
letto, in lacrime, e aveva avuto paura e aveva avuto rimorsi. Ma aveva capito
che paura e rimorsi andavano affrontati. Li aveva
affrontati. Forse superati.
Con Axel.
Ed era così che
doveva finire. Con Axel, ancora una volta.
A pochi passi di
distanza da quelle scritte, Roxas chiuse gli occhi e
rivisse il sogno che glieli aveva aperti.
«Roxas.»
La camera era buia, rischiarata solo dal riflesso azzurrino
del cellulare che Sora, addormentato con la bocca aperta e una gamba fuori dal
materasso, aveva ancora in mano. Roxas sorrise
ricordando il fratello che durante la notte messaggiava
freneticamente con Kairi, affermando di poter andare
avanti fino all’alba e sbadigliando intanto come un sanbernardo.
«Roxas...»
Si sollevò a sedere, più perplesso che
preoccupato. Non riusciva ancora a individuare la fonte della voce.
Guardò la finestra ai piedi del letto, aspettandosi di vedere la figura
alta e scura di Axel; ma la scala antincendio al di
là delle persiane sembrava deserta. Guardò di nuovo Sora, ma lui
continuava a dormire beato.
«Roxas, svegliati.»
«Sono sveglio» mormorò confusamente nel
buio.
Poi avvertì un peso accanto alle gambe e si
voltò ancora, per scoprirsi osservato dagli occhi di suo padre.
Roxas si
sentì mancare il fiato. Il papà era identico a come lo ricordava,
il sorriso buono, l’odore del dopobarba che una volta Sora aveva provato
di nascosto – gli erano rimaste le guance rosse per giorni – la
pelle chiara, priva di ferite, priva di sangue, senza alcun ricordo di quella
macchina distrutta.
Seduto sul suo letto c’era proprio lui, suo padre, in carne ed ossa.
«No che non lo sei.» Il papà scosse la
testa, sorridendo tristemente. «Da molto tempo vivi ancorato ai tuoi
sogni, Roxas. Ma è tempo di svegliarsi.»
Roxas avrebbe
voluto toccarlo, abbracciarlo, ma qualcosa lo bloccava.
«Che cosa vuoi dire?» chiese, anche se conosceva
già la risposta.
Il papà scosse ancora il capo. «Non chiedere
cose che già sai.»
Il ragazzo chinò lo sguardo. Vide il lenzuolo
distorto da un velo improvviso di pianto represso. Strinse le mani, e non gli
sembrarono più le sue.
«Ma io non posso lasciarvi andare»
mormorò.
Una mano calda gli scostò i capelli dalla fronte. Un
profumo nuovo si sparse nella stanza – nuovo, ma conosciuto – e gli
fece battere il cuore più forte. Quando sollevò lo sguardo sul
viso di sua madre, Roxas si sentì tornato ai
suoi tredici anni.
«Ascoltami, Roxas. Noi
sappiamo cosa provi.» Anche il sorriso della mamma era triste. «Per
tutta la vita ti sei sentito paragonato a tuo fratello, non è vero? Hai
sempre pensato di essere meno forte, perché ti sentivi meno sicuro,
perché avevi più paura. Lo vedevi amato e benvoluto da tutti, non
solo da noi.» Si sedette accanto a lui e lo abbracciò con
dolcezza, annullando il tempo e tutto il resto. Ed era così reale.
«Quando siete rimasti soli, tu sentivi di essere quello che aveva
più bisogno di noi. E questo finora ti ha impedito di rialzarti. Di
svegliarti.»
Roxas si
strinse a lei e chiuse gli occhi. Intuiva ciò che sarebbe arrivato dopo,
ma non era sicuro di volerlo ascoltare.
«Ma adesso hai trovato qualcosa che ti rende unico.»
La mamma lo baciò sulla fronte, senza sciogliere l’abbraccio.
«Hai trovato qualcuno da salvare. E l’hai salvato. Questo significa
che sei pronto.»
Il ragazzino singhiozzava, si sentiva più bambino ad
ogni millesimo di secondo, disperso e disperato.
«Non posso. Non è vero. Io non ho fatto niente,
non posso fare niente! Non sono capace di lasciarvi andare! Non posso fare
più niente!»
Sua madre lo allontanò e lo costrinse gentilmente a
guardarla negli occhi, azzurri come i suoi.
«Ti sbagli, e lo sai. Guarda il braccio di tuo
padre.»
Roxas
obbedì. Vide una manica di camicia arrotolata al gomito del papà.
Nella penombra spiccava una cicatrice, quella che lui stesso gli aveva ricucito
in una baita di montagna, non troppo diversa dalla piccola mezzaluna sotto la
spalla di Axel.
Forse fu per quella vista, forse per quel pensiero, ma di
colpo capì di avere di nuovo quindici anni.
«Tu sei pronto, Roxas. Sei
pronto a svegliarti.»
Gli occhi e i sorrisi e i profumi svanirono come erano
apparsi, come se non ci fossero mai stati, e di fronte al suo letto ci fu di
nuovo soltanto una finestra.
La stessa da cui, un giorno al crepuscolo, aveva visto Axel.
Allora capì che poteva svegliarsi davvero.
Inginocchiato di fronte a due lapidi bianche, Roxas chiese scusa al cielo e a se stesso per non essere
riuscito prima a venire a camminare in quel cimitero.
Una parte di lui era
ancora convinta di non potercela fare – eppure, riuscì a non
abbassare gli occhi.
Guardò le due
foto di volti sorridenti che aveva visto per la prima e ultima volta alla fine dell’unico
funerale cui avesse assistito in vita sua. Riconobbe intatti come nel suo sogno
i lineamenti che aveva sperato di dimenticare e che mai avrebbe voluto
dimenticare. Sorrise e si concesse di crederci.
«Grazie»
sussurrò soltanto.
Il vento gli restituì
solo il silenzio di Axel, in piedi dietro di lui.
Roxas si alzò e si
voltò, lasciandosi alle spalle i ricordi dei sogni degli ultimi due anni
– e trovandosi davanti agli occhi gli occhi verdi di una nuova
realtà.
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Pare proprio velocissima, la riabilitazione
fisica di Roxas. Vi imploro di perdonarne la
superficialità. Questa storia mi ha messa in difficoltà come
nessun’altra ç////ç
E ora, siete pronti alla notiziona? La fanfic si concluderà tra dieci capitoli esatti. Eh
già, finalmente ci avviamo alla conclusione. Spero di non deludervi troppo,
strada facendo. ^^
Aya ~