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Autore: Feel Good Inc    10/07/2011    2 recensioni
La macchina giunse a destinazione ed Aerith portò il piede sul freno così bruscamente che, non fosse stato per la cintura di sicurezza, sarebbe finita sul parabrezza a fare compagnia ai tergicristalli. Tirò il freno a mano e si fiondò fuori senza neppure spegnere il motore, subito imitata da Cloud, con la pistola pronta in pugno già da un pezzo.
Percorsero in fretta lo slargo costeggiato di siepi, e raggiunsero il cortile su cui si affacciava il portone principale dello stabile. Cloud imprecò ad alta voce.
«Merda...»
La sagoma massiccia dell’agente Lexaeus giaceva immobile davanti a loro, e il chiarore della luna inargentava il rosso del suo sangue mescolato all’erba verdissima del giardino da anni abbandonato a se stesso.

* * *
«Entra e fammi vedere.»
«Ma allora avevo ragione.» Axel sogghignò di nuovo, puntando il gomito destro sul davanzale e guardandolo con malizia. «Vuoi
davvero giocare al dottore.»
Roxas si sentì arrossire. «Sei proprio un idiota.»
«Grazie, bimbo, anche tu non sei male.»
Si tirò su ed entrò dalla finestra. Una volta posati i piedi a terra, si guardò intorno ostentando indifferenza – ma Roxas notò che il suo viso era decisamente pallido. Lasciò scivolare il cappotto sul pavimento.
Un tonfo metallico.
Roxas guardò interrogativamente prima il viso impassibile di Axel, poi il punto in cui l’indumento aveva toccato terra. Da una tasca sbucavano pochi centimetri di qualcosa di lucido e scuro.
La canna di una pistola.

* * *
Quando un adolescente in fuga dalla legge si nasconde in un condominio in cui vive un ragazzino che si ostina a fuggire dal suo passato, e quando le loro storie s'intrecciano a quella di una ragazza che torna da un posto che è lontano in tutti i sensi, ci si accorge che qualche volta bene e male non esistono. Esiste solo il destino.
{ AkuRoku; accenni SoKai, MaruDem, RokuNami, CloudAerith, Sorpresa }
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
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36

Assoluzione

 

 

 

 

A guardia del portone di legno, l’uomo in uniforme era chiaramente intenzionato a dimostrare di meritarsi lo stipendio.

«Senti, piccolo, te lo dirò per l’ultima volta. Questo non è un posto per ragazzini. È il mio ultimo avvertimento. Fuori di qui

Roxas avrebbe desiderato con tutto il cuore di potergli sferrare un calcio nella mascella; ma sapeva che così facendo, oltre a minare la stabilità delle proprie gambe, avrebbe certamente peggiorato il suo status.

Gli altri cercavano ancora di tenere testa alla guardia.

«Lei non capisce...»

«È importante...»

«Dobbiamo entrare!»

L’uomo mise mano a una ricetrasmittente e la brandì con fare minaccioso.

«E io invece dico che dovete andarvene!» sputacchiò. «Non fatemi perdere definitivamente la pazienza, o sarò costretto a...»

«A perdere il posto di lavoro?»

Roxas si voltò di scatto. Gli si allargò il cuore alla vista del tenente Lockhart che marciava verso la guardia con la sua migliore espressione da poliziotta in carriera, mostrando il distintivo. Dietro di lei venivano due giovani agenti che ben conosceva.

«I ragazzi sono con noi» spiegò il tenente, amabile, appoggiandosi al banco. «Ora ti conviene aprire quella porta e farci entrare, se ci tieni che le tue chiappe continuino a poggiare su quella tua bella poltrona di pelle. Non mettermi alla prova, ho molte conoscenze.»

L’uomo esitò per un istante; ma alla fine, contrariato, ripose nella cintura la ricetrasmittente e si voltò con uno sbuffo stizzito ad aprire il portone alle sue spalle.

Roxas alzò di nuovo lo sguardo sulla donna. Lei gli rivolse una strizzatina d’occhi e un sorrisetto impercettibile. Ci volle solo un istante perché il ragazzo si rendesse conto di aver ricambiato il sorriso.

 

 

* * *

 

 

Non somigliava affatto a ciò che aveva immaginato.

Seduto su una semplice sedia di legno, accanto a un tizio che chiamavano ‘avvocato’ e che era un semplice sconosciuto, in una semplice sala quasi vuota, Axel si guardava intorno. Considerando quella che era stata tutta la sua vita, si disse che avrebbe dovuto figurarsi spesso una scena del genere; adesso, invece, si rendeva conto che non ci aveva mai riflettuto davvero. E di certo i pochi pensieri confusi degli ultimi sei giorni non corrispondevano a realtà.

Anche ora che ci si ritrovava dentro, non sapeva bene come dovesse sentirsi. Era piuttosto apatico, in fondo, e senza un vero interesse faceva scorrere lo sguardo sui volti severi e quelli curiosi e quelli indifferenti come il suo, ascoltando senza sentirlo il brusio delle chiacchiere che – forse – precedevano sempre l’inizio di un processo a un delinquente redento ma senza scopi nella vita.

Rendendosi conto del proprio pensiero, Axel abbassò la testa a guardare il parquet per nascondere un sorriso. Uno scopo forse no, ma qualcos’altro certo l’aveva trovato.

Quando alzò di nuovo gli occhi, si ritrovò a guardare una platea di sguardi puntati sul fondo della sala. Li seguì automaticamente e si chiese se quel qualcos’altro, tra le sue varie facoltà, detenesse anche quella di materializzarsi dai suoi pensieri.

La porta si era appena spalancata sull’ingresso di Roxas. Il ragazzino si guardava intorno come lui, un po’ intimidito, ma con lo sguardo di chi sa quel che fa, che vuole andare fino in fondo, che cammina per la sua strada.

Da solo e, finalmente, sulle sue stesse gambe.

Dietro di lui intravide Sora e Hayner, e un passo più in là Kairi, Olette e Pence. Chiudevano il corteo nientemeno che Aerith Gainsborough, Cloud Strife e Tifa Lockhart.

Axel tornò a fissare Roxas, interdetto. Non si era aspettato di vederlo in aula quel giorno. Un paio d’ore prima, quando si era affacciato alla sua finestra per salutarlo, si era visto accogliere da un sorriso sicuro, ma vederlo lì era comunque una sorpresa.

«... Andrà tutto bene...»

Roxas incrociò il suo sguardo. Si fermò in piedi accanto a una fila di posti vuoti e gli sorrise, ancora. La distanza non bastò ad impedire ad Axel di vedere con chiarezza l’azzurro chiaro dei suoi occhi.

Mentre quello strano assembramento di ragazzini e poliziotti, sognatori e disillusi – chi era cosa, in realtà? – prendeva posto in quella sala di tribunale, Axel guardò fisso davanti a sé, nel punto in cui da un momento all’altro un nuovo estraneo in toga avrebbe deciso se fargli scontare i suoi ultimi due mesi di esistenza al buio e da solo, o se permettergli di uscire e cominciare a vivere.

Andrà tutto bene.

Questa volta non si curò di nascondere il sorriso.

 

 

Dov’era finito?

Nella confusione di teste e gambe e persone sconosciute che si alzavano e sparivano dalla sua strada, aveva finito col perderlo di vista.

Scrutò nervoso le facce intorno a lui, con un nuovo interesse. Doveva vederlo, doveva parlargli, adesso...

«Axel

La sua voce. Un vuoto allo stomaco.

Si voltò e vide Roxas, appena sbucato dalla folla, e di colpo si rese conto di non avere le parole.

Si guardarono. Si sorrisero. Lasciarono che l’eco di quella parola parlasse per loro.

Assolto.

«Te l’avevo detto.» Roxas si avvicinò di un passo. Sembrava emozionato. «Ti ricordi, no?»

Axel rifugiò lo sguardo sulle sue scarpe da tennis, le stesse che gli aveva visto il giorno in cui si era trovato a sorreggerlo per la prima volta.

«Però non mi avevi detto che saresti venuto.»

Roxas si avvicinò ancora e si chinò per poterlo guardare in faccia. Axel osservò il suo sorriso euforico e si chiese se in quel preciso istante, su quel pianeta, ci fosse un’altra persona altrettanto felice.

«Volevo portarti in un posto, quando fossi uscito di qui. Perché ero sicuro che saresti uscito di qui.»

«Mmm.» Quasi senza volerlo, Axel si ritrovò a sogghignare. «Se non sbaglio, questo dovrebbe essere il tuo primo appuntamento in piedi e con un uomo libero.»

Il biondino avvampò all’istante. Si raddrizzò, incrociò le braccia e alzò gli occhi al cielo.

«Sempre il solito» sbuffò. «Mai serio, neanche oggi!»

Axel abbassò la voce. «Guarda che io sono serio.»

Roxas lo guardò, imbarazzato. L’arrivo tempestivo di Sora gli evitò di ribattere a quelle parole.

«Axeeel!» Piombò tra di loro come un acquazzone, portandosi appresso i suoi amici sorridenti. Aveva tutta l’aria di aver preso quella storia di processi e compagnia bella come un gioco divertente. «Evvai, è fatta! Torniamo insieme al condominio, allora?»

L’adolescente sorrise all’espressione spumeggiante di Sora.

«Non subito. Prima avrei da fare con tuo fratello.» Guardò oltre le sue spalle, nel semicerchio che i compagni di Sora e Roxas stavano formando davanti a loro. «Vero, bimbo?»

Curioso, Sora si voltò a guardare il fratello, subito imitato dagli altri. Lui li ignorò tutti e ricambiò l’occhiata di Axel. Il suo colorito stava tornando normale.

«Vero.» Annuì e sorrise. «Abbiamo un appuntamento.»

 

 

* * *

 

 

Era un lunedì ventoso. Roxas camminava sicuro sul sentiero di ghiaia, pugni in tasca e sguardo fisso, al fianco di Axel. La loro meta si stagliava davanti a loro, bianca nel sole di maggio, con una traccia sottile di nero a recare alcune scritte impresse nel marmo e nella memoria.

Ci aveva pensato molto, prima di tornare in quel posto. Si era svegliato nel cuore della notte nel suo letto, in lacrime, e aveva avuto paura e aveva avuto rimorsi. Ma aveva capito che paura e rimorsi andavano affrontati. Li aveva affrontati. Forse superati.

Con Axel.

Ed era così che doveva finire. Con Axel, ancora una volta.

A pochi passi di distanza da quelle scritte, Roxas chiuse gli occhi e rivisse il sogno che glieli aveva aperti.

 

 

«Roxas

La camera era buia, rischiarata solo dal riflesso azzurrino del cellulare che Sora, addormentato con la bocca aperta e una gamba fuori dal materasso, aveva ancora in mano. Roxas sorrise ricordando il fratello che durante la notte messaggiava freneticamente con Kairi, affermando di poter andare avanti fino all’alba e sbadigliando intanto come un sanbernardo.

«Roxas...»

Si sollevò a sedere, più perplesso che preoccupato. Non riusciva ancora a individuare la fonte della voce. Guardò la finestra ai piedi del letto, aspettandosi di vedere la figura alta e scura di Axel; ma la scala antincendio al di là delle persiane sembrava deserta. Guardò di nuovo Sora, ma lui continuava a dormire beato.

«Roxas, svegliati.»

«Sono sveglio» mormorò confusamente nel buio.

Poi avvertì un peso accanto alle gambe e si voltò ancora, per scoprirsi osservato dagli occhi di suo padre.

Roxas si sentì mancare il fiato. Il papà era identico a come lo ricordava, il sorriso buono, l’odore del dopobarba che una volta Sora aveva provato di nascosto – gli erano rimaste le guance rosse per giorni – la pelle chiara, priva di ferite, priva di sangue, senza alcun ricordo di quella macchina distrutta.

Seduto sul suo letto c’era proprio lui, suo padre, in carne ed ossa.

«No che non lo sei.» Il papà scosse la testa, sorridendo tristemente. «Da molto tempo vivi ancorato ai tuoi sogni, Roxas. Ma è tempo di svegliarsi.»

Roxas avrebbe voluto toccarlo, abbracciarlo, ma qualcosa lo bloccava.

«Che cosa vuoi dire?» chiese, anche se conosceva già la risposta.

Il papà scosse ancora il capo. «Non chiedere cose che già sai.»

Il ragazzo chinò lo sguardo. Vide il lenzuolo distorto da un velo improvviso di pianto represso. Strinse le mani, e non gli sembrarono più le sue.

«Ma io non posso lasciarvi andare» mormorò.

Una mano calda gli scostò i capelli dalla fronte. Un profumo nuovo si sparse nella stanza – nuovo, ma conosciuto – e gli fece battere il cuore più forte. Quando sollevò lo sguardo sul viso di sua madre, Roxas si sentì tornato ai suoi tredici anni.

«Ascoltami, Roxas. Noi sappiamo cosa provi.» Anche il sorriso della mamma era triste. «Per tutta la vita ti sei sentito paragonato a tuo fratello, non è vero? Hai sempre pensato di essere meno forte, perché ti sentivi meno sicuro, perché avevi più paura. Lo vedevi amato e benvoluto da tutti, non solo da noi.» Si sedette accanto a lui e lo abbracciò con dolcezza, annullando il tempo e tutto il resto. Ed era così reale. «Quando siete rimasti soli, tu sentivi di essere quello che aveva più bisogno di noi. E questo finora ti ha impedito di rialzarti. Di svegliarti.»

Roxas si strinse a lei e chiuse gli occhi. Intuiva ciò che sarebbe arrivato dopo, ma non era sicuro di volerlo ascoltare.

«Ma adesso hai trovato qualcosa che ti rende unico.» La mamma lo baciò sulla fronte, senza sciogliere l’abbraccio. «Hai trovato qualcuno da salvare. E l’hai salvato. Questo significa che sei pronto.»

Il ragazzino singhiozzava, si sentiva più bambino ad ogni millesimo di secondo, disperso e disperato.

«Non posso. Non è vero. Io non ho fatto niente, non posso fare niente! Non sono capace di lasciarvi andare! Non posso fare più niente

Sua madre lo allontanò e lo costrinse gentilmente a guardarla negli occhi, azzurri come i suoi.

«Ti sbagli, e lo sai. Guarda il braccio di tuo padre.»

Roxas obbedì. Vide una manica di camicia arrotolata al gomito del papà. Nella penombra spiccava una cicatrice, quella che lui stesso gli aveva ricucito in una baita di montagna, non troppo diversa dalla piccola mezzaluna sotto la spalla di Axel.

Forse fu per quella vista, forse per quel pensiero, ma di colpo capì di avere di nuovo quindici anni.

«Tu sei pronto, Roxas. Sei pronto a svegliarti.»

Gli occhi e i sorrisi e i profumi svanirono come erano apparsi, come se non ci fossero mai stati, e di fronte al suo letto ci fu di nuovo soltanto una finestra.

La stessa da cui, un giorno al crepuscolo, aveva visto Axel.

Allora capì che poteva svegliarsi davvero.

 

 

Inginocchiato di fronte a due lapidi bianche, Roxas chiese scusa al cielo e a se stesso per non essere riuscito prima a venire a camminare in quel cimitero.

Una parte di lui era ancora convinta di non potercela fare – eppure, riuscì a non abbassare gli occhi.

Guardò le due foto di volti sorridenti che aveva visto per la prima e ultima volta alla fine dell’unico funerale cui avesse assistito in vita sua. Riconobbe intatti come nel suo sogno i lineamenti che aveva sperato di dimenticare e che mai avrebbe voluto dimenticare. Sorrise e si concesse di crederci.

«Grazie» sussurrò soltanto.

Il vento gli restituì solo il silenzio di Axel, in piedi dietro di lui.

Roxas si alzò e si voltò, lasciandosi alle spalle i ricordi dei sogni degli ultimi due anni – e trovandosi davanti agli occhi gli occhi verdi di una nuova realtà.

 

 

 

 

 

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Pare proprio velocissima, la riabilitazione fisica di Roxas. Vi imploro di perdonarne la superficialità. Questa storia mi ha messa in difficoltà come nessun’altra ç////ç

E ora, siete pronti alla notiziona? La fanfic si concluderà tra dieci capitoli esatti. Eh già, finalmente ci avviamo alla conclusione. Spero di non deludervi troppo, strada facendo. ^^

Aya ~

   
 
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