Questa One Shot partecipa al concordo "One Shot dell'Estate".
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SUMMER SHADOWS
Caldo.
Un caldo pazzesco. Non facevo altro che agitare il ventaglio per avere
un po’
di sollievo.
Tra
poco svengo, sono
sicura, pensai.
Era più che probabile, dato che soffrivo di
pressione bassa e un calo improvviso di zuccheri, per me, era una cosa
del
tutto normale.
Estate.
La stagione delle vacanze al mare, del sole, delle ore passate in
spiaggia ad
abbronzarsi, delle sbronze serali in discoteca, delle relazioni da una
botta e
via...
No.
Non per me. Non quest’anno, almeno.
Io
avevo scelto l’Italia. Giro turistico della Toscana. Niente
male, no? Non ero
mai uscita dagli Stati Uniti in vita mia; mi serviva proprio una bella
gita
molto lontano da casa, nella splendida Italia.
«La
Porta Dell’Arco», disse la nostra accaldata guida,
parlando un inglese
pressoché perfetto e scostandosi un ciuffo di capelli scuri
dalla fronte
sudata. «E’ stata originariamente edificata dagli
Etruschi e come
potete vedere è perfettamente
conservata, anche se ha subìto delle modifiche nel Medioevo,
quando Volterra si
erse a libero comune».
Iniziava
a farmi male la mano, quindi misi via il ventaglio e guardai
più attentamente
la Porta Dell’Arco, mentre gli altri turisti parlottavano fra
di loro o si
affrettavano a svuotare le loro bottigliette d’acqua.
Faceva
parte della cinta muraria della città ed era stata
realizzata con enormi
blocchi di tufo sovrapposti a secco, come ci spiegò Martin,
la guida. Le tre
teste che spiccavano sulla Porta appartenevano probabilmente a Giove,
Castore e
Polluce, oppure erano ricollegabili all’antica usanza di
esporre le teste
mozzate dei comandanti sulle mura, in modo tale che i nemici stessero
alla
larga dalla città.
Figo.
Estrassi
la macchina fotografica e scattai qualche foto alla Porta e alle teste.
Un
turista mi urtò e per poco non mi fece cadere. Lo guardai,
indecisa se
fulminarlo o meno, e lui arrossì fino alla radice dei
capelli, blaterando
scuse.
Martin
ci portò in giro per Volterra. Parlava e parlava e parlava.
Sapeva essere molto
interessante... e attraente. Mi piacevano i suoi occhi scuri e grandi e
quei
capelli ricci, un po’ scompigliati, ma mi accontentavo di
guardare, dato che
avevo già visto la fede al dito.
«Bene.
Credo che per questo pomeriggio abbiate visto abbastanza»,
annunciò Martin, un
paio d’ore dopo, con un largo sorriso. Era rosso come un
gambero. «Avete un
paio d’ore di libertà prima del rientro in
albergo. Godetevi Volterra».
Avevo
proprio voglia di fare compere. Charlie, mio padre, mi aveva chiesto di
portagli qualcosa dall’Italia, visto che lui aveva sempre
sognato di andarci.
In più c’erano anche le mie amiche, Jessica e
Angela, da soddisfare.
A
lui non pensavo. Gli aveva già dato troppo, per ricevere, in
cambio, solo
pedate nel sedere.
Mike
Newton.
Ma
chi me l’aveva fatto fare? Avrei dovuto dare retta a Jessica
e rifiutare
quell’invito a cena. Non sarebbe successo niente, lui sarebbe
passato ad
un’altra ragazza ed io avrei evitato di... scottarmi. E di
perdere la mia
verginità; solo che Mike era stato gentile, mi aveva fatto
mille complimenti,
mi aveva persino regalato dei fiori e io... ci ero cascata come una
povera
allocca.
Fanculo.
Entrai
in un negozietto di cianfrusaglie, molto poco ordinato, ma molto ricco
di
cazzate che potevano piacere a Jessica, Angela e a mio padre.
Dopo
qualche esitazione, comprai una riproduzione in miniatura di Volterra
per
Charlie e un paio di collane per le mie amiche. Gironzolai per la
città,
cercando appositamente le zone d’ombra, giusto
perché di sole ne avevo preso
abbastanza per quel giorno. Con la carnagione chiara, praticamente
anemica che
mi ritrovavo, avrei fatto in fretta a scottarmi, anche se avevo portato
con me
la crema protettiva.
Giunsi
alla Piazza dei Priori, dove si trovava l’omonimo palazzo che
avevamo già
visitato, e mi sedetti su una panchina.
Estrassi
la bottiglietta d’acqua naturale e bevvi un lungo sorso, che
scese in gola e fu
una vera benedizione. Avevo la bocca secca e le labbra un po’
screpolate.
Venne
voglia anche a me di un ghiacciolo. Possibilmente alla fragola.
Mi
alzai e adocchiai un bar proprio vicino a Palazzo dei Priori, ma quando
giunsi
a metà strada, i miei occhi si posarono sui due individui
che se ne stavano in
piedi in un vicolo in ombra, vicino al Palazzo. Lei era molto alta,
slanciata e
decisamente bella, mentre lui era massiccio, con i capelli scuri
tagliati corti.
Ero
basita. Non avevo mai visto due persone del genere. La pelle della
donna era
bianca come carta, più chiara persino della mia. Quella
dell’altro era
leggermente olivastra ma, al tempo stesso, sembrava possedere uno
strano
pallore. E la loro bellezza fisica era... innaturale. Devastante.
Qualcosa di
assolutamente inconcepibile.
La
donna mi guardò, come se si fosse accorta che li stavo
fissando, e mi sorrise,
rivolgendomi un cenno.
Una
forza misteriosa mi spinse a raggiungerli. Qualcosa costrinse le mie
gambe a
muoversi e a dirigersi verso di loro.
«Ehi»,
disse l’uomo, elargendo un sorrisetto sensuale.
«Che buon profumo...».
Non
risposi. Il mio cuore accelerò i battiti e mi resi conto di
aver paura. Cosa ci
facevo lì? Che cosa volevano da me?
«Per
oggi bastano. Rientriamo, Felix», disse la donna, voltandosi
ed incamminandosi.
Allora mi accorsi di non essere sola. C’erano altre persone
vicino a quei due
strani individui, tre o quattro delle quali appartenevano al mio
gruppo. C’era
persino Martin, la nostra guida! Era forse una sua trovata? Era una
sorpresa
per i turisti americani in vacanza nella calda Volterra? Dove dovevamo
andare
esattamente?
La
donna e l’uomo che si chiamava Felix si stavano allontanando.
Indossavano abiti
poco consoni, mantelle grigio fumo che sfioravano la strada e
ondeggiavano.
«Seguite
Heidi, signori», disse Felix, sorridendo. «Vi
porteremo in un luogo
meraviglioso. Volterra è piena di sorprese».
Non
mi piacque affatto il suo tono. Era sensuale ma, al tempo stesso,
gelido,
distaccato. La bellissima donna di nome Heidi guidò i
turisti lungo il vicolo
in discesa. Ma era impossibile non fare ciò che loro
chiedevano. Le loro voci
erano dolci, armoniose, soprattutto quella di Heidi, una musica che
ipnotizzò i
miei sensi e convinse i miei piedi ad avanzare. Per quanto ci fosse
qualcosa
che non mi quadrava, a quei due non ero in grado di dire “no,
grazie”.
Quando
Felix si voltò verso di me, leccandosi il labbro superiore,
io arrossi e
abbassai lo sguardo, ma avevo notato il colore dei suoi occhi: rossi.
Occhi
rosso sangue. Portava le lenti a contatto?
Non
feci domande, naturalmente. Senza dire una parola, Heidi si
infilò in un
tombino aperto e, cinguettando, invitò gli altri a fare lo
stesso. Qualcuno
borbottò, inquieto.
Non
scenderò là sotto.
Mai e poi mai.
Nessuna
persona con un minimo di buonsenso l’avrebbe fatto.
C’era una scaletta che si
perdeva nell’oscurità, un buco nero che forse
conduceva all’inferno.
«Scendi»,
disse Felix, dietro di me. «Non temere. Non ti
accadrà nulla».
La
sua voce... Mio Dio, quanto era bella. Nonostante il timore, avvertii
un
languore in basso.
Guardai
giù e sperai ardentemente di non cadere di sotto. Essendo
molto goffa, dovevo
aspettarmelo.
Non
scivolai, invece. Scesi con calma, con il cuore in gola e la pelle
d’oca che mi
increspava le braccia.
Quello
che attendeva me e gli altri turisti era una galleria semibuia,
anonima, con il
pavimento e le pareti in pietra. Felix appoggiò una mano
sulla mia schiena per
invitarmi a camminare ed io potei sentire quanto erano fredde le sue
dita...
Come il ghiaccio.
In
fondo alla galleria c’era una porta massiccia, in legno, che
Heidi spalancò,
afferrando i battenti arrugginiti.
Oltre
si apriva un corridoio illuminato da lampade al neon.
«Dove
siamo?», osò chiede qualcuno.
«Benvenuti
nella dimora dei Volturi, signori. Oggi potrete visitare il
castello», trillò
Heidi, mentre pigiava un pulsante per chiamare l’ascensore,
le cui porte si
spalancarono un istante dopo.
Entrammo
tutti.
Felix
slacciò la mantella che indossava e vidi che sotto di essa
portava abiti
comuni, una camicia chiara che metteva in risalto il petto muscoloso e
un paio
di pantaloni scuri. Heidi, invece, indossava un abito rosso, attillato
e corto.
Dopo
una breve salita, l’ascensore ci lasciò in un
ufficio di lusso, con poltrone di
pelle chiara e tavoli laccati sui quali spiccavano vasi di fiori
freschi.
«Wow...»,
commentò Martin, guardandosi intorno con gli occhi sbarrati.
Non
commentai. Avevo la lingua annodata.
«Salve,
Gianna», disse Heidi alla donna seduta dietro alla scrivania.
Lei sembrava una
normale segretaria, una donna molto carina, abbronzata e con gli occhi
verdi.
Oltrepassammo
un'altra porta e lì incontrammo il resto
dell’accoglienza; altre mantelle
grigie. Altri occhi rossi che ci scrutarono con vivo interesse.
«Finalmente,
Heidi. Morivo di fame», disse un ragazzino con i capelli
scuri.
«Abbi
pazienza, Alec».
Vicino
a lui c’era quella che poteva essere solo la sua gemella, una
ragazzina che, a
quanto compresi, si chiamava Jane. Quando le passai accanto, le sue
narici si
dilatarono e, rivolgendomi un’occhiata strana, sorrise.
«Aspetta
un momento, Heidi». Una voce maschile costrinse tutti a
voltarsi. La donna in
rosso aggrottò la fronte nel vedere il ragazzo che si
dirigeva verso di noi.
Quest’ultimo sotto il mantello grigio non aveva niente. Era a
torso nudo. Il
petto era quello di una persona che si teneva in allenamento costante.
Scolpito
e perfetto.
«Cosa
c’è, Jasper?».
«Vorrei
che questa la lasciassi a me».
Si
stava rivolgendo alla sottoscritta. Io battei le palpebre, confusa e
stordita,
diventai nuovamente rossa come un peperone e deglutii a fatica.
«Non
so se Aro approverà», disse Heidi, intanto.
«Non
devi preoccuparti. Ci penserò io. Ti prego».
«Come
vuoi». Heidi sorrise. Mi guardò. «Vai
pure con Jasper».
Mentre
gli altri riprendevano la visita guidata di quel castello, Jasper tese
la mano
bianca ed io, come in sogno, l’afferrai.
«Andiamo».
Avrei
dovuto fuggire, terrorizzata. Avrei dovuto svegliarmi da quel torpore e
gridare. Quegli occhi rossi erano laghi profondi nei quali non volevo
perdermi.
Ma
proprio mentre qualcosa nel mio corpo si svegliava, un velo di calma e
pace
calò su di me e mi annebbiò di nuovo la mente. Fu
come se un mantello di
serenità mi avvolgesse in un abbraccio confortevole. Mi
lasciai condurre da
Jasper su per una rampa di scale e così potei guardarlo
meglio: era bello. Alto
e con una folta chioma biondo miele, leonina, sembrava un modello che
avrebbe
potuto sfilare in passerella o posare per la copertina di qualche
giornale.
Aprì
la porta di una stanza e mi invitò ad entrare.
«Grazie»,
mi ritrovai a dire, con la voce che tremolava.
«Come
ti chiami?», mi domandò, poi.
«Isabella
Swan», risposi, prontamente. «Bella...».
«Bella.
Che bel nome. E’ italiano». Non era una domanda.
«Sì,
ma io... sono... americana. Sono qui... in vacanza», dissi,
balbettando. Mi sentivo
una sciocca.
Jasper
appoggiò le sue mani fredde sulle spalle e poi mi
accarezzò le braccia. I suoi
occhi mi scrutavano ed io non ebbi difficoltà a riconoscere
un certo desiderio
in quello sguardo intenso, penetrante. Mi sentii pervadere da quella
stessa
serenità che mi aveva abbracciata pochi istanti prima.
Avvampai
quando lui sfiorò il mio viso con le nocche.
«Il
tuo nome ti rende onore. Sei bella. E... il tuo profumo è
sublime».
Non
ricordavo di aver usato un profumo, quella mattina, quindi non capivo
cosa ci
trovasse di così sublime.
Il
suo viso bianco e privo di qualsiasi imperfezione si
avvicinò al mio. Sentii il
respiro fresco sul volto e il mio cuore, lanciato a tutta
velocità, accelerò
ulteriormente, per quanto potesse sembrare impossibile.
«Jasper...»,
mormorai. «Chi sei?».
«Non
ha importanza». Le sue labbra marmoree toccarono le mie ed io
avvertii chiaramente
un piacere inquietante esplodermi dentro. La mia bocca parve
incendiarsi a
contatto con la sua e quando la lingua mi accarezzò il
labbro inferiore, mi
sfuggì un gemito soffocato.
«Non...»,
iniziai. Volevo dirgli che non potevo. Volevo dirgli che io non andavo
con gli
sconosciuti.
«Taci»,
mi zittì Jasper. Poi mi prese in braccio con
facilità. Il suo corpo era duro,
oltre che freddo, duro come la pietra.
Non
è umano, pensai,
sbigottita. Non può essere umano.
Jasper
mi adagiò su un divanetto in pelle e affondò il
naso nei miei capelli scuri e
folti, inspirando profondamente e rilasciando il fiato dopo un tempo
che mi
parve estremamente lungo. Le mie mani toccarono il suo torace. Mi
sentivo in
balia di quel giovane seducente e di quegli occhi rossi, di quelle
braccia così
forti e di quel viso così attraente. Il respiro si era
trasformato in un
affanno incontrollabile. Il sangue mi pulsava nelle tempie.
Le
labbra di Jasper conquistarono il mio collo e lo baciarono, tanti
piccoli,
gelidi baci che, tuttavia, tracciarono una scia rovente.
Gemetti,
incapace di controllarmi, mentre con le dita affondavo nella sua chioma
bionda.
«Oh...»,
mi sfuggì in un soffio.
La
sua mano destra mi accarezzò un seno e poi il ventre.
L’espressione del suo
viso era eccitata; gli occhi rossi erano dilatati, le sue spalle
tremavano e
non faceva altro che passarsi la punta della lingua sulle labbra, un
gesto che
io trovavo irresistibile. Non riuscivo più a ragionare. Non
importava quanto
fosse assurda quella situazione, tutti i miei freni inibitori avevano
ceduto.
Jasper
mi baciò ancora, un bacio profondo, intenso, appassionato.
La lingua cercò la
mia ed io gliela offrii senza remore, iniziando una danza spasmodica.
Quando
si separò da me, digrignò i denti e la sua mano
si posò sulla mia gola,
accarezzandola. Poi, prima che io potessi rendermi conto di
ciò che stava per
fare, la mano mi strappò la camicetta con un semplice
strattone. Gridai, colta
alla sprovvista.
«Ssh...»,
sussurrò Jasper. E di nuovo quel velo di calma e sicurezza
calò, avvolgendomi.
Le
dita di Jasper sfiorarono il mio ventre nudo e poi scesero
più in basso, in
mezzo alle mie gambe. Io sussultai, inarcando la schiena, mentre lui
tornava a
sfiorare il mio collo con le labbra. Il respiro freddo mi fece
rabbrividire.
«Ora
dammi quello che voglia, Bella», disse Jasper.
Non
capii a cosa si stesse riferendo. Le sue dita si infilarono nei miei
capelli e
tirarono quel tanto che bastava per costringermi a piegare la testa
all’indietro.
«Jasper...
cosa...?», iniziai.
Poi
lui affondò i denti nel mio collo ed io urlai.