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Autore: Stephanie86    10/07/2011    5 recensioni
[Questa storia partecipa al concorso "One Shot dell'Estate"]
Bella Swan è partita, da sola, per l'Italia, dove ha deciso di trascorrere le sue vacanze estive. Ha scelto la Toscana e si trova nella calda Volterra, quando incrocia gli sguardi rossi di due persone.. Un ragazzo affascinante le dedicherà attenzioni particolari. Cosa accadrà?
Genere: Dark, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isabella Swan, Sorpresa, Volturi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun libro/film
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Questa One Shot partecipa al concordo "One Shot dell'Estate".

***

SUMMER SHADOWS

Caldo. Un caldo pazzesco. Non facevo altro che agitare il ventaglio per avere un po’ di sollievo.
Tra poco svengo, sono sicura, pensai. Era più che probabile, dato che soffrivo di pressione bassa e un calo improvviso di zuccheri, per me, era una cosa del tutto normale.
Estate. La stagione delle vacanze al mare, del sole, delle ore passate in spiaggia ad abbronzarsi, delle sbronze serali in discoteca, delle relazioni da una botta e via...
No. Non per me. Non quest’anno, almeno.
Io avevo scelto l’Italia. Giro turistico della Toscana. Niente male, no? Non ero mai uscita dagli Stati Uniti in vita mia; mi serviva proprio una bella gita molto lontano da casa, nella splendida Italia.
«La Porta Dell’Arco», disse la nostra accaldata guida, parlando un inglese pressoché perfetto e scostandosi un ciuffo di capelli scuri dalla fronte sudata. «E’ stata originariamente edificata dagli Etruschi  e come potete vedere è perfettamente conservata, anche se ha subìto delle modifiche nel Medioevo, quando Volterra si erse a libero comune».
Iniziava a farmi male la mano, quindi misi via il ventaglio e guardai più attentamente la Porta Dell’Arco, mentre gli altri turisti parlottavano fra di loro o si affrettavano a svuotare le loro bottigliette d’acqua.
Faceva parte della cinta muraria della città ed era stata realizzata con enormi blocchi di tufo sovrapposti a secco, come ci spiegò Martin, la guida. Le tre teste che spiccavano sulla Porta appartenevano probabilmente a Giove, Castore e Polluce, oppure erano ricollegabili all’antica usanza di esporre le teste mozzate dei comandanti sulle mura, in modo tale che i nemici stessero alla larga dalla città.
Figo.
Estrassi la macchina fotografica e scattai qualche foto alla Porta e alle teste.
Un turista mi urtò e per poco non mi fece cadere. Lo guardai, indecisa se fulminarlo o meno, e lui arrossì fino alla radice dei capelli, blaterando scuse.
Martin ci portò in giro per Volterra. Parlava e parlava e parlava. Sapeva essere molto interessante... e attraente. Mi piacevano i suoi occhi scuri e grandi e quei capelli ricci, un po’ scompigliati, ma mi accontentavo di guardare, dato che avevo già visto la fede al dito.
«Bene. Credo che per questo pomeriggio abbiate visto abbastanza», annunciò Martin, un paio d’ore dopo, con un largo sorriso. Era rosso come un gambero. «Avete un paio d’ore di libertà prima del rientro in albergo. Godetevi Volterra».
Avevo proprio voglia di fare compere. Charlie, mio padre, mi aveva chiesto di portagli qualcosa dall’Italia, visto che lui aveva sempre sognato di andarci. In più c’erano anche le mie amiche, Jessica e Angela, da soddisfare.
A lui non pensavo. Gli aveva già dato troppo, per ricevere, in cambio, solo pedate nel sedere.
Mike Newton.
Ma chi me l’aveva fatto fare? Avrei dovuto dare retta a Jessica e rifiutare quell’invito a cena. Non sarebbe successo niente, lui sarebbe passato ad un’altra ragazza ed io avrei evitato di... scottarmi. E di perdere la mia verginità; solo che Mike era stato gentile, mi aveva fatto mille complimenti, mi aveva persino regalato dei fiori e io... ci ero cascata come una povera allocca.
Fanculo.
Entrai in un negozietto di cianfrusaglie, molto poco ordinato, ma molto ricco di cazzate che potevano piacere a Jessica, Angela e a mio padre.
Dopo qualche esitazione, comprai una riproduzione in miniatura di Volterra per Charlie e un paio di collane per le mie amiche. Gironzolai per la città, cercando appositamente le zone d’ombra, giusto perché di sole ne avevo preso abbastanza per quel giorno. Con la carnagione chiara, praticamente anemica che mi ritrovavo, avrei fatto in fretta a scottarmi, anche se avevo portato con me la crema protettiva.
Giunsi alla Piazza dei Priori, dove si trovava l’omonimo palazzo che avevamo già visitato, e mi sedetti su una panchina.
Estrassi la bottiglietta d’acqua naturale e bevvi un lungo sorso, che scese in gola e fu una vera benedizione. Avevo la bocca secca e le labbra un po’ screpolate. Su una panchina vicina, una ragazza in maglietta senza maniche e calzoncini molto corti prendeva il sole e, intanto, la sua amica, chiacchierava con aria indolente. Una donna estrasse dalla borsa di pelle un paio di occhiali da sole e se li infilò, lamentandosi di quel caldo assurdo con il marito (se era il marito). Un giovane dall’aria assorta mangiava il suo ghiacciolo alla menta, mentre la sua ragazza gli proponeva un weekend al mare.
Venne voglia anche a me di un ghiacciolo. Possibilmente alla fragola.
Mi alzai e adocchiai un bar proprio vicino a Palazzo dei Priori, ma quando giunsi a metà strada, i miei occhi si posarono sui due individui che se ne stavano in piedi in un vicolo in ombra, vicino al Palazzo. Lei era molto alta, slanciata e decisamente bella, mentre lui era massiccio, con i capelli scuri tagliati corti.
Ero basita. Non avevo mai visto due persone del genere. La pelle della donna era bianca come carta, più chiara persino della mia. Quella dell’altro era leggermente olivastra ma, al tempo stesso, sembrava possedere uno strano pallore. E la loro bellezza fisica era... innaturale. Devastante. Qualcosa di assolutamente inconcepibile.
La donna mi guardò, come se si fosse accorta che li stavo fissando, e mi sorrise, rivolgendomi un cenno.
Una forza misteriosa mi spinse a raggiungerli. Qualcosa costrinse le mie gambe a muoversi e a dirigersi verso di loro.
«Ehi», disse l’uomo, elargendo un sorrisetto sensuale. «Che buon profumo...».
Non risposi. Il mio cuore accelerò i battiti e mi resi conto di aver paura. Cosa ci facevo lì? Che cosa volevano da me?
«Per oggi bastano. Rientriamo, Felix», disse la donna, voltandosi ed incamminandosi. Allora mi accorsi di non essere sola. C’erano altre persone vicino a quei due strani individui, tre o quattro delle quali appartenevano al mio gruppo. C’era persino Martin, la nostra guida! Era forse una sua trovata? Era una sorpresa per i turisti americani in vacanza nella calda Volterra? Dove dovevamo andare esattamente?
La donna e l’uomo che si chiamava Felix si stavano allontanando. Indossavano abiti poco consoni, mantelle grigio fumo che sfioravano la strada e ondeggiavano.
«Seguite Heidi, signori», disse Felix, sorridendo. «Vi porteremo in un luogo meraviglioso. Volterra è piena di sorprese».
Non mi piacque affatto il suo tono. Era sensuale ma, al tempo stesso, gelido, distaccato. La bellissima donna di nome Heidi guidò i turisti lungo il vicolo in discesa. Ma era impossibile non fare ciò che loro chiedevano. Le loro voci erano dolci, armoniose, soprattutto quella di Heidi, una musica che ipnotizzò i miei sensi e convinse i miei piedi ad avanzare. Per quanto ci fosse qualcosa che non mi quadrava, a quei due non ero in grado di dire “no, grazie”.
Quando Felix si voltò verso di me, leccandosi il labbro superiore, io arrossi e abbassai lo sguardo, ma avevo notato il colore dei suoi occhi: rossi. Occhi rosso sangue. Portava le lenti a contatto?
Non feci domande, naturalmente. Senza dire una parola, Heidi si infilò in un tombino aperto e, cinguettando, invitò gli altri a fare lo stesso. Qualcuno borbottò, inquieto.

Non scenderò là sotto. Mai e poi mai.
Nessuna persona con un minimo di buonsenso l’avrebbe fatto. C’era una scaletta che si perdeva nell’oscurità, un buco nero che forse conduceva all’inferno.
«Scendi», disse Felix, dietro di me. «Non temere. Non ti accadrà nulla».
La sua voce... Mio Dio, quanto era bella. Nonostante il timore, avvertii un languore in basso.
Guardai giù e sperai ardentemente di non cadere di sotto. Essendo molto goffa, dovevo aspettarmelo.
Non scivolai, invece. Scesi con calma, con il cuore in gola e la pelle d’oca che mi increspava le braccia.
Quello che attendeva me e gli altri turisti era una galleria semibuia, anonima, con il pavimento e le pareti in pietra. Felix appoggiò una mano sulla mia schiena per invitarmi a camminare ed io potei sentire quanto erano fredde le sue dita... Come il ghiaccio.
In fondo alla galleria c’era una porta massiccia, in legno, che Heidi spalancò, afferrando i battenti arrugginiti.
Oltre si apriva un corridoio illuminato da lampade al neon.
«Dove siamo?», osò chiede qualcuno.
«Benvenuti nella dimora dei Volturi, signori. Oggi potrete visitare il castello», trillò Heidi, mentre pigiava un pulsante per chiamare l’ascensore, le cui porte si spalancarono un istante dopo.
Entrammo tutti.
Felix slacciò la mantella che indossava e vidi che sotto di essa portava abiti comuni, una camicia chiara che metteva in risalto il petto muscoloso e un paio di pantaloni scuri. Heidi, invece, indossava un abito rosso, attillato e corto.
Dopo una breve salita, l’ascensore ci lasciò in un ufficio di lusso, con poltrone di pelle chiara e tavoli laccati sui quali spiccavano vasi di fiori freschi.
«Wow...», commentò Martin, guardandosi intorno con gli occhi sbarrati.
Non commentai. Avevo la lingua annodata.
«Salve, Gianna», disse Heidi alla donna seduta dietro alla scrivania. Lei sembrava una normale segretaria, una donna molto carina, abbronzata e con gli occhi verdi.
Oltrepassammo un'altra porta e lì incontrammo il resto dell’accoglienza; altre mantelle grigie. Altri occhi rossi che ci scrutarono con vivo interesse.
«Finalmente, Heidi. Morivo di fame», disse un ragazzino con i capelli scuri.
«Abbi pazienza, Alec».
Vicino a lui c’era quella che poteva essere solo la sua gemella, una ragazzina che, a quanto compresi, si chiamava Jane. Quando le passai accanto, le sue narici si dilatarono e, rivolgendomi un’occhiata strana, sorrise.
«Aspetta un momento, Heidi». Una voce maschile costrinse tutti a voltarsi. La donna in rosso aggrottò la fronte nel vedere il ragazzo che si dirigeva verso di noi. Quest’ultimo sotto il mantello grigio non aveva niente. Era a torso nudo. Il petto era quello di una persona che si teneva in allenamento costante. Scolpito e perfetto.
«Cosa c’è, Jasper?».
«Vorrei che questa la lasciassi a me».
Si stava rivolgendo alla sottoscritta. Io battei le palpebre, confusa e stordita, diventai nuovamente rossa come un peperone e deglutii a fatica.
«Non so se Aro approverà», disse Heidi, intanto.
«Non devi preoccuparti. Ci penserò io. Ti prego».
«Come vuoi». Heidi sorrise. Mi guardò. «Vai pure con Jasper».
Mentre gli altri riprendevano la visita guidata di quel castello, Jasper tese la mano bianca ed io, come in sogno, l’afferrai.
«Andiamo».
Avrei dovuto fuggire, terrorizzata. Avrei dovuto svegliarmi da quel torpore e gridare. Quegli occhi rossi erano laghi profondi nei quali non volevo perdermi.
Ma proprio mentre qualcosa nel mio corpo si svegliava, un velo di calma e pace calò su di me e mi annebbiò di nuovo la mente. Fu come se un mantello di serenità mi avvolgesse in un abbraccio confortevole. Mi lasciai condurre da Jasper su per una rampa di scale e così potei guardarlo meglio: era bello. Alto e con una folta chioma biondo miele, leonina, sembrava un modello che avrebbe potuto sfilare in passerella o posare per la copertina di qualche giornale.
Aprì la porta di una stanza e mi invitò ad entrare.
«Grazie», mi ritrovai a dire, con la voce che tremolava.
«Come ti chiami?», mi domandò, poi.
«Isabella Swan», risposi, prontamente. «Bella...».
«Bella. Che bel nome. E’ italiano». Non era una domanda.
«Sì, ma io... sono... americana. Sono qui... in vacanza», dissi, balbettando. Mi sentivo una sciocca.
Jasper appoggiò le sue mani fredde sulle spalle e poi mi accarezzò le braccia. I suoi occhi mi scrutavano ed io non ebbi difficoltà a riconoscere un certo desiderio in quello sguardo intenso, penetrante. Mi sentii pervadere da quella stessa serenità che mi aveva abbracciata pochi istanti prima.
Avvampai quando lui sfiorò il mio viso con le nocche.
«Il tuo nome ti rende onore. Sei bella. E... il tuo profumo è sublime».
Non ricordavo di aver usato un profumo, quella mattina, quindi non capivo cosa ci trovasse di così sublime.
Il suo viso bianco e privo di qualsiasi imperfezione si avvicinò al mio. Sentii il respiro fresco sul volto e il mio cuore, lanciato a tutta velocità, accelerò ulteriormente, per quanto potesse sembrare impossibile.
«Jasper...», mormorai. «Chi sei?».
«Non ha importanza». Le sue labbra marmoree toccarono le mie ed io avvertii chiaramente un piacere inquietante esplodermi dentro. La mia bocca parve incendiarsi a contatto con la sua e quando la lingua mi accarezzò il labbro inferiore, mi sfuggì un gemito soffocato.
«Non...», iniziai. Volevo dirgli che non potevo. Volevo dirgli che io non andavo con gli sconosciuti.
«Taci», mi zittì Jasper. Poi mi prese in braccio con facilità. Il suo corpo era duro, oltre che freddo, duro come la pietra.

Non è umano, pensai, sbigottita. Non può essere umano.
Jasper mi adagiò su un divanetto in pelle e affondò il naso nei miei capelli scuri e folti, inspirando profondamente e rilasciando il fiato dopo un tempo che mi parve estremamente lungo. Le mie mani toccarono il suo torace. Mi sentivo in balia di quel giovane seducente e di quegli occhi rossi, di quelle braccia così forti e di quel viso così attraente. Il respiro si era trasformato in un affanno incontrollabile. Il sangue mi pulsava nelle tempie.
Le labbra di Jasper conquistarono il mio collo e lo baciarono, tanti piccoli, gelidi baci che, tuttavia, tracciarono una scia rovente.
Gemetti, incapace di controllarmi, mentre con le dita affondavo nella sua chioma bionda.
«Oh...», mi sfuggì in un soffio.
La sua mano destra mi accarezzò un seno e poi il ventre. L’espressione del suo viso era eccitata; gli occhi rossi erano dilatati, le sue spalle tremavano e non faceva altro che passarsi la punta della lingua sulle labbra, un gesto che io trovavo irresistibile. Non riuscivo più a ragionare. Non importava quanto fosse assurda quella situazione, tutti i miei freni inibitori avevano ceduto.
Jasper mi baciò ancora, un bacio profondo, intenso, appassionato. La lingua cercò la mia ed io gliela offrii senza remore, iniziando una danza spasmodica.
Quando si separò da me, digrignò i denti e la sua mano si posò sulla mia gola, accarezzandola. Poi, prima che io potessi rendermi conto di ciò che stava per fare, la mano mi strappò la camicetta con un semplice strattone. Gridai, colta alla sprovvista.
«Ssh...», sussurrò Jasper. E di nuovo quel velo di calma e sicurezza calò, avvolgendomi.
Le dita di Jasper sfiorarono il mio ventre nudo e poi scesero più in basso, in mezzo alle mie gambe. Io sussultai, inarcando la schiena, mentre lui tornava a sfiorare il mio collo con le labbra. Il respiro freddo mi fece rabbrividire.
«Ora dammi quello che voglia, Bella», disse Jasper.
Non capii a cosa si stesse riferendo. Le sue dita si infilarono nei miei capelli e tirarono quel tanto che bastava per costringermi a piegare la testa all’indietro.
«Jasper... cosa...?», iniziai.
Poi lui affondò i denti nel mio collo ed io urlai.

   
 
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