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Autore: _Pulse_    11/07/2011    1 recensioni
Nonostante il discorso di Tom fosse stato persino più convincente di quello che aveva fatto alla famiglia di Anto, il papà di Ary scosse il capo, cingendoselo con le mani, e sprofondò ancora di più nella poltrona.
«Non sapete a che cosa andate in contro», disse stancamente. «Rischiate di essere trascinati in quell’inferno anche voi, proprio com’è successo ad Anto».
«Voglio provarci lo stesso», ripeté Tom, stringendo i pugni sulle ginocchia. Aveva gli occhi lucidi, ma non avrebbe pianto.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sogno che è Realtà'
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III

 

«L’amore non è un abito confezionato,
ma stoffa da tagliare, cucire e, spesso, riparare».

(Michel Quoist)

 

Si svegliò di nuovo, spalancando gli occhi a causa delle urla dell’amica che aveva sentito.
Si guardò intorno e si accorse di non essere nella stanza di Ary. Né lei stava gridando. Erano state solo nella propria testa, come le due volte precedenti.
Si passò le mani sul viso stanco e sospirò pesantemente, poi guardò Bill dormire placidamente al suo fianco. Sorrise inconsciamente, passandogli una mano fra i capelli.

Lui mugugnò e si girò, aprì a fatica gli occhi e la guardò. «Che ci fai sveglia?», le chiese, con la voce impastata di sonno, facendo uno sforzo sovraumano per sollevarsi un poco sulle braccia e guardare la sveglia sul comodino. «Sono le cinque e mezzo del mattino…».

«Scusami, non volevo svegliarti».

Bill si riappoggiò al cuscino con la testa e con un braccio la trascinò giù con sé, se la strinse al petto e le baciò la fronte, respirando il suo profumo.

«Sono così abituata a sentirla gridare alle ore più assurde della notte che me la sono immaginata», gli spiegò, nascondendo il viso contro la sua gola.

«Non ha mai gridato questa notte», sussurrò Bill.

«Già. È… stranamente piacevole».

«Credevi che lo avrebbe fatto?».

«Ne ero certa».

Bill sollevò la testa, ormai sveglio, e la guardò inarcando il sopracciglio. «Tom ce la può fare, abbi un po’ di fiducia in lui».

«Ce l’ho, ce l’ho, però…», abbassò lo sguardo, ma Bill glielo fece subito alzare per incrociare il suo.

«Ce la farà, ne sono certo». Le sorrise e le stampò un bacio sulle labbra. «Ora dormi».

Anto chiuse gli occhi con un sospiro e si accucciò ancora meglio al suo petto, ma non ci volle molto prima di risentire quelle urla nella testa.

«Bill, le sento ancora…», sussurrò, ma neppure quando aprì gli occhi cessarono. Quella volta erano vere.

Sia Bill che Anto si alzarono di corsa dal letto, uscirono dalla camera e si fiondarono verso quella di Tom. Entrarono senza farsi scrupoli e videro Ary stretta fra le sue braccia, che piangeva e gridava come un’ossessa.

«Piccola, piccola calmati», cercò di tranquillizzarla Tom. «Ci sono io qui, ci sono io». Continuò a ripetere quelle frasi fino a quando Ary non si tranquillizzò e smise di urlare, riducendosi solo a singhiozzare violentemente contro la sua spalla e a stringergli i pugni sulla schiena.

«Che cos’è successo?», le domandò allora, accarezzandole i capelli e cercando di guardarla negli occhi, ma era attanagliata a lui e non dava segni di volersi staccare da com’era.

«Sarà il solito incubo», mormorò Anto, appoggiandosi allo stipite della porta e massaggiandosi gli occhi.

«Che ci fai tu in piedi? Vai a dormire che sembri uno zombie», la rimproverò Tom.
«Ci penso io a lei», la rassicurò subito dopo, sorridendole brevemente.

«Okay», disse e uscì dalla camera con un macigno al posto del cuore, trascinandosi dietro un Bill frastornato.

Anto si gettò sul letto e affondò il viso nel cuscino, iniziando a piangere. Bill la raggiunse e le massaggiò la schiena con una mano.
«Ehi», le sussurrò all’orecchio. «Va tutto bene».

«No, non va affatto tutto bene», singhiozzò e lo guardò negli occhi, poi gli gettò le braccia al collo, stringendolo a sé. «Se Tom non dovesse farcela?».

Bill deglutì il groppo che gli si era formato in gola e chiuse gli occhi. «Ce la deve fare», le sussurrò.

 

Si passò una mano sul viso, ripensando a quando si era svegliato di soprassalto, trovando Ary seduta al suo fianco, che si stringeva le gambe al petto, mentre piangeva e gridava. Aveva avuto una tremenda paura, all’inizio, ma poi aveva pensato che quella era la sua Ary e non ci aveva messo poi moltissimo per farla riaddormentare: le aveva sussurrato che c’era lui con lei, che non era sola, e le aveva accarezzato i capelli, sapendo che la rilassava. Infatti, aveva chiuso gli occhi senza fare troppe storie e aveva dormito ancora qualche ora, fino ad allora precisamente, mentre lui era rimasto sveglio per un bel po’, ad ascoltare il suo respiro, a guardare il suo viso inespressivo ma comunque bellissimo nel sonno, e a rimuginare su quello che era appena successo. Aveva creduto che quella notte non ci sarebbero state né urla né pianti, ma non era stato così, purtroppo. Nemmeno la sua vicinanza aveva impedito agli incubi di tormentarla.

Guardò le sue palpebre sollevarsi lentamente e quei due fari azzurri fondersi con il castano dei suoi, poi sorrise.

«Buongiorno, piccola», la salutò, scostandole i capelli dalla guancia. «Fatto altri incubi?».

Ary chiuse gli occhi. Perché gliel’aveva ricordato? Quella notte aveva sperato di non fare incubi, visto che non era a casa sua e nemmeno con Anto, ma alla fine aveva sognato e quel sogno che sembrava così bello all’apparenza, si era trasformato in un incubo. Ne aveva vissuti di peggiori, ma era stato uno shock sempre e comunque, tanto da gridare e piangere. Non pensava che Tom avrebbe avuto la prontezza di stringerla fra le braccia e di rassicurarla in quel modo, ma ci era riuscito e, come già aveva appurato prima di addormentarsi, era riuscito a farla sentire protetta, a casa. Era una strana sensazione, ma non affatto nuova.

Scosse il capo, mugugnando, e si stiracchiò senza invadere la parte di letto di Tom. Sapeva che non gli avrebbe dato fastidio, anzi, ma si sentiva ancora in tremendo imbarazzo, anche se, molto probabilmente, erano una coppia. Avrebbe dovuto trovare il coraggio di chiederglielo, un giorno.

«Andiamo a fare colazione?», le domandò ancora e Ary, in effetti, sentiva lo stomaco troppo vuoto: aveva fame.

Annuì con il capo e si lasciò prendere per mano, si alzarono insieme dal letto ed uscirono dalla stanza.

«Ah, devi andare in bagno? Ti ricordi dov’è, giusto?».
Ary annuì di nuovo, un po’ imbarazzata, e lasciò la mano di Tom per andare in bagno.

«Ti aspetto giù», le disse con un sorriso e poi scomparve giù per le scale.
Scese in salotto grattandosi la nuca, sbuffando, e una volta in cucina si accorse di Gustav. Non si sorprese vedendolo, visto che era il mattiniero del gruppo.

«’giorno», lo salutò.

«Ciao Tom», ricambiò il saluto. «Come mai così presto?».

«Mi sono svegliato prima», scrollò le spalle.

«Ho… ho sentito Ary, stanotte», gli confessò, tossicchiando imbarazzato. «È tutto a posto?».

«Sì, era solo… un incubo», spiegò, con un sorriso tirato sulle labbra.

Gustav annuì, soprappensiero, e si alzò dal tavolo con la propria tazza di caffè vuota fra le mani, che mise nel lavandino.

«Oggi siamo liberi, vero?», chiese Tom, pregando che fosse così.

«Sì, dobbiamo passare solo il pomeriggio: David ci deve parlare».

«Okay».

Si girò, appoggiandosi al lavandino, e vide Ary attraversare il salotto guardandosi intorno, come una bambina spaesata. Si intenerì all’istante, ma allo stesso tempo ricordò cosa l’aveva ridotta così e si incupì, senza darlo però a vedere.

«Caffèlatte?», le chiese, indicandola. Ary si strinse le braccia intorno al petto ed annuì, entrando definitivamente in cucina e sedendosi al tavolo.
Tom si voltò per mettere a scaldare un po’ di latte, visto che un bricco di caffè l’aveva già preparato Gustav.

«Ciao Ary», la salutò proprio il batterista.

Tom non udì nessuna risposta, come si aspettava, ma vide con la coda dell’occhio Ary fare un cenno con il capo, ricambiando appena il sorriso che il biondino le aveva rivolto, carico di affetto.

Quando il latte fu finalmente caldo, lo tirò via dal fuoco e ne mise un po’ in una tazza, poi ci aggiunse un po’ di caffè e lo porse ad Ary, che lo ringraziò con lo sguardo.

«Prego», le rispose.

Decise di farsi la stessa cosa e si mise seduto al tavolo, al suo fianco, ma in modo tale da poterla guardare negli occhi semplicemente sollevando lo sguardo. Infatti, ogni volta che poteva la guardava e rimaneva sempre con il cucchiaio vicino alla bocca, dicendosi che era davvero bellissima, nonostante non fosse nella sua forma migliore.

Si era ridotta a leggere gli ingredienti dei biscotti che stava pucciando nel caffèlatte, per la terza volta, pur di non incontrare gli occhi di Tom. Se li sentiva bruciare addosso, oppure era arrossita e il suo viso aveva preso colore?
Non sentiva tutte quelle strane sensazioni da tanto ormai e riprovarle era strano, ma bello, come molte altre cose che aveva rivissuto e stava rivivendo grazie a loro.

Si costrinse ad alzare lo sguardo, dicendosi che non era poi così terribile guardare quello di Tom, tutt’altro, e appena incrociò quel castano da togliere il fiato lo stomaco le si chiuse e il cervello si scollegò dal resto del suo corpo. Sapeva soltanto che era bellissimo e che nutriva per lui un affetto smisurato, ben più grande di quello che immaginava di poter provare per una persona. Già il fatto che volesse così bene ad Anto per lei era strano, in quel periodo, figuriamoci scoprire di essere così irrimediabilmente attratta da lui…

Qualcosa distrasse Tom, che interruppe il contatto visivo e la fece barcollare sulla sedia, come se improvvisamente l’avesse liberata da delle catene che però non erano state affatto dolorose, e quel qualcosa entrò in cucina sottoforma di Bill.
Si stava stropicciando gli occhi, privi di trucco, e quando passò al suo fianco le posò una mano sulla testa, scompigliandole teneramente i capelli, mugugnando: «’giorno, scricciolo».

Ary, inizialmente, corrugò la fronte all’udire quel soprannome, poi ricordò il perché lui la chiamasse così e dallo stupore lasciò cadere sul tavolo il cucchiaino. Aveva sentito di nuovo quel calore dentro, quello che le era tanto mancato… Ma che cos’era? Non l’aveva ancora capito, ma si sentiva invasa da esso ogniqualvolta ricordava qualcosa di bello, quindi era legato alle cose belle…

«B-Bill». Aveva la voce che tremava, ma riuscì a pronunciare il suo nome, fra le lacrime che avevano iniziato a rigarle il viso.

Il frontman si girò, irrigidito, e guardò istintivamente il fratello: aveva abbassato lo sguardo e stringeva i pugni sulle gambe. Ne capì immediatamente il motivo e si sentì colpevole: quanto tempo era che Ary non chiamava Tom con il suo nome? O con qualsiasi altro nome? Per lui, invece, l’aveva appena fatto.
Bill tornò indietro e si inginocchiò di fronte ad Ary, posando le mani sul suo viso rigato dalle lacrime. «Dimmi».

«Come mi hai chiamata?». Faticò tantissimo a dire quelle parole, con la gola in fiamme e gli occhi colmi di lacrime, ma ci riuscì.

«Scricciolo?», ridacchiò, guardando Ary annuire. «Tu sei il mio scricciolo, non te lo ricordavi più?».

«Perché, assomiglio ad un uccello?», sussurrò, avvicinandosi al viso di Bill con l’ombra di un sorriso sulle labbra.

Il cantante sobbalzò, perché quelle erano esattamente le stesse parole che aveva usato lei quando lui l’aveva chiamata per la prima volta così. Allora si ricordava davvero… Sorrise a trentadue denti, commosso.

«Il mio scricciolo», mormorò ancora e l’abbracciò, stringendola forte a sé.

Tom, guardandoli, non poté fare a meno di abbozzare un sorriso perché era il bene della sua piccola che voleva e non doveva essere geloso se aveva chiamato prima Bill di lui, anche se si sentiva ferito. Insomma, lui era il suo ragazzo, avrebbe dovuto prima pensare a lui…
Scacciò via dalla testa quegli stupidi pensieri e finì la propria tazza di caffèlatte. Nello stesso momento, Bill si sollevò da Ary e le sorrise affettuosamente, accarezzandole la guancia, prima di versarsi del caffè in una tazza.

Tom incrociò, quasi per sbaglio, gli occhi di Ary, ma lei quella volta non arrossì né li abbassò, il che voleva dire soltanto una cosa: gli stava facendo qualche richiesta silenziosa. Cercò di capire che cosa volesse, affilando lo sguardo, e notò che per un millesimo di secondo aveva guardato verso la porta del salotto.

«Vuoi andare a vedere la tv?», provò. Lei parve scioccata da quel patetico tentativo. «E allora cosa? Hai parlato adesso con Bill, parla anche con me, no?».

Ary perse ogni voglia di comunicare con lui, scossa da quella punta di aggressività che aveva visto nei suoi occhi, e si concentrò sulla propria tazza di caffèlatte. Sentì Tom sospirare, poi la sua mano grande posarsi sulla propria, appoggiata sul tavolo.

«Scusa, mi dispiace», le disse, cercando di guardarla negli occhi ma senza costringerla. «È che… non so, è strano che tu non mi parli».

Sollevò lo sguardo su di lui e lesse nei suoi occhi del dispiacere. Ancora una volta, come la sera prima, le si strinse il cuore: non poteva e non voleva vederlo soffrire. Così, si avvicinò a lui con la sedia e al suo orecchio, mormorò: «Dov’è Anto?».

«Oh», disse, sorpreso ma non troppo. «Bill, Anto è ancora su che dorme?», chiese, rivolto al gemello.

«Sì, non si è ancora svegliata. Meglio così, è stanca».

Ary tornò al suo posto, abbassando gli occhi, intristita. Tom guardò Bill, come se volesse che facesse qualcosa, ma non gli venne in mente niente.

«Per me?», mormorò Ary.

«No, non è stanca per te», disse frettolosamente Bill.

Lei lo guardò, alzando di scatto la testa, e gli disse con gli occhi: “Non sono stupida”. Quello fu fin troppo chiaro. Poi si alzò dal tavolo e uscì dalla cucina. Tom la seguì con lo sguardo, dondolandosi sulla sedia, ma la perse quando salì su per le scale.

Ary ricordava perfettamente anche dove fosse la camera di Bill, non si era dovuta nemmeno sforzare, e vi entrò senza fare rumore. Al centro di letto, sotto le lenzuola, c’era Anto. Sorrise in modo amaro, stringendo una mano intorno alla maglia, all’altezza del cuore, e si disse che era stata una stupida perché non si era mai accorta di quanto l’amica avesse fatto per lei e di quanto fosse stanca. Era stata una pessima migliore amica.

Si avvicinò al letto e si mise seduta in un angolino, accanto al suo capo, ed iniziò ad accarezzarle i capelli scuri, proprio come aveva sempre fatto lei per farla addormentare. Si sentì bene, facendo qualcosa per lei, e si promise che lo avrebbe fatto più spesso.

 

Ormai erano tutti svegli, anche Anto. Era quasi ora di pranzo e Ary si era messa in salotto, a guardare un po’ di tv. Non che le interessasse sul serio, ma almeno nessuno la osservava aspettando che parlasse. Non ne aveva voglia.

«Bill! Bill, smettila!».

Sobbalzò alle grida, seppure divertite, della sua migliore amica, e si sporse sul divano, in modo tale da riuscire a vedere che cosa stesse accadendo in cucina. Sorprese Anto mentre scappava via da Bill, ridendo; lui riuscì a prenderla per i fianchi e a trascinarla a sé, l’abbracciò, sussurrandole qualcosa all’orecchio, e Anto arrossì. Poi successe ciò che lei stessa aveva provato il giorno prima, con Tom. Le loro labbra si unirono e rimase incantata ad osservarli mentre si baciavano con passione. Non era come quando Tom l’aveva baciata, loro usavano pure la lingua…
Ricordò che anche lei aveva baciato così Tom, una volta, ma non ricordava bene come fosse la sensazione prettamente fisica che si provava.

Si guardò intorno, spinta da una strana curiosità, ma di Tom nemmeno l’ombra. Guardò Georg, che stava apparecchiando la tavola, e si schiarì la gola per attirare la sua attenzione. Ci riuscì, infatti i suoi occhi verdi si posarono su di lei, incuriositi e sorpresi allo stesso tempo.

«Dov’è…?», si morse le labbra, non riuscendo ancora a pronunciare il suo nome, ma Georg sorrise amorevole.

«Tom?», le domandò; lei annuì. «Fuori». Le indicò la terrazza ed in effetti era lì, in piedi di fronte al parapetto, che osservava la città.

Ary si alzò dal divano e lo raggiunse, un po’ indecisa. Non era certa di saper fare quello che aveva appena visto, ma nei suoi ricordi lo faceva, quindi… perché non avrebbe dovuto esserne capace? E poi lo voleva, ora che si era immaginata come potesse essere lo voleva con ogni fibra del suo corpo.
Uscì in terrazza, ma Tom non si accorse di lei. Per questo, quando gli posò una mano sul braccio, sussultò.

«Piccola», disse, portandosi una mano sul petto. «Mi hai spaventato».

Ary abbassò lo sguardo. Era andata da lui con così tanti buoni propositi, ora non sapeva assolutamente che cosa fare. In più, si sentiva tremendamente in imbarazzo. Ma come aveva solo potuto pensare che potesse fare davvero una cosa del genere? Che stupida.

«Dovevi dirmi qualcosa?», chiese Tom. Le sollevò il viso, permettendole di guardare i suoi occhi pieni di speranza e permettendo a se stesso di affievolire quella tristezza che gli stava graffiando il cuore.

Ary si sentì infinitamente piccola e stupida di fronte a lui e scosse il capo, per poi appoggiare la fronte al suo petto. Lo fece del tutto inconsciamente e quando se ne accorse ne rimase sorpresa, ma nemmeno troppo… l’aveva già fatto molte volte, se lo ricordava.

Tom, sorpreso da quel gesto così da “Ary”, le avvolse le braccia intorno alla schiena e la strinse a sé, respirando fra i suoi capelli profumati. Avrebbe pagato oro per riavere la sua Ary subito, ma doveva lottare e l’avrebbe fatto. Ormai se n’era convinto pienamente, perché dentro quella ragazza fragile che aveva fra le braccia, nascosta nel profondo, c’era la sua Ary.
Si scostò lentamente, per guardarla negli occhi, ma si trovò solamente ad osservare le sue labbra. Erano ad un soffio dalle sue, le sentiva tremare impercettibilmente, e le desiderò forse come non le aveva mai desiderate prima. La gola al solo pensiero gli andava in fiamme e il cuore gli scoppiava nella cassa toracica.

Le prese una mano e la portò sul suo petto, esattamente sul suo cuore scalpitante, e sorrise, osservando la sua espressione stupita.
Ary, un po’ ingenuamente, gli prese la mano e imitò il gesto di Tom, portandola sul proprio petto, come se volesse dirgli che anche il suo cuore le faceva quegli strani scherzi, quando era accanto a lui.

«Io ti amo», sussurrò Tom, sempre sorridendo.

Il cuore di Ary perse un battito, o forse più di uno, sentendo quelle parole, e sollevò il viso un po’ troppo bruscamente, perché fece scontrare le loro bocche.

Tom se n’era accorto che non l’aveva fatto apposta, a baciarlo, così rimase fermo immobile ad aspettare che fosse lei a fare la mossa successiva, nonostante fremesse per assaporare ancora una volta il sapore di quelle labbra.

Ary aveva gli occhi sgranati, incredula di averlo baciato, seppure per caso. Aveva le sue labbra, morbidissime e caldissime, eccetto il piercing, sulle sue e il suo cervello era ancora più assente rispetto a quanto non lo fosse già normalmente. Non sapeva cosa fare e Tom non faceva niente! Dovevano stare lì così ancora per molto?

Prese coraggio, finalmente, e, basandosi su alcuni ricordi, portò le mani sul suo collo e si mise in un punta di piedi per arrivare meglio al suo traguardo, piegò la testa di lato e socchiuse le labbra, respirando il suo fiato.

Fu un pugno al cervello per Tom, sentire le labbra di Ary muoversi sulle sue. Era impaziente, ma con la massima calma portò entrambe le mani sul suo viso e lo accarezzò lievemente, come se avesse paura di rovinarlo, poi infilò le dita fra i suoi capelli e accarezzò pure quelli. Nel frattempo, aveva iniziato ad accompagnare le sue labbra con le proprie e si accorse che Ary non aveva dimenticato come si faceva, affatto.

Era felice, felice, felice. Una volta datole il via, si era resa conto di essere capace, di ricordarsi come si faceva e le piaceva da morire baciarlo in quel modo. Lo sentiva così vicino, così suo… La sua testa le inviò alcune immagini di quello che, in teoria, sarebbe dovuto essere il passo successivo, ma nonostante l’imbarazzo non ci badò e continuò a baciarlo, aggrappandosi sempre di più a lui, come se avesse paura che scomparisse.

Aveva il respiro affannato, gli facevano male i polmoni, ma nonostante ciò la voleva, la voleva sempre di più. Tanto che la strinse con ancora più forza a sé e si staccò dalle sue labbra solo per passare a baciarle il collo.

Ary non sentì più le labbra di Tom sulle sue, ma le percepì sul suo collo, che mordevano con delicatezza, baciavano e in qualche punto succhiavano. Conosceva quei tocchi, sapeva persino che normalmente le piacevano, ma in quel momento no, non erano ciò che desiderava. Perciò gli posò le mani sul petto e lo scostò da sé, con una smorfia sul viso.

«Che cosa c’è?», le chiese Tom, con il respiro affannato.

Lei scosse il capo, poggiando la fronte al suo petto, alla ricerca di quella dolcezza che pian piano, durante quel bacio, era stata persa. Era quella che voleva, ora. Forse, più avanti, avrebbe voluto anche altro, ma per ora era quella che le interessava.

Tom l’abbracciò, confuso, e posò le labbra sui suoi capelli, chiedendosi se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Concluse che forse, l’unica cosa che aveva fatto di male, era stata andare un po’ troppo oltre e volere qualcosa che Ary ancora non era disposta a concedergli. Doveva aspettare e, per lei, avrebbe aspettato.

«Scusa», mormorò, accarezzandole la schiena.

«Non importa», soffiò Ary, riempiendogli il cuore di gioia.

«Scusate…», si intromise fra loro Bill, con un sorriso impacciato dipinto sulle labbra. «È pronto da mangiare».

«Arriviamo», gli rispose Tom.

Bill sparì all’interno del salotto e Tom accarezzò le spalle della sua piccola, poi la guardò negli occhi sorridendo.
«Grazie», le sussurrò. La sua espressione confusa lo spronò ad andare avanti. «Per avermi baciato», completò e sollevò le spalle, sorridendo sghembo.

Ary ricordò di amare anche quel sorriso. Amare. Arrossì, tutto d’un tratto.

«E ora che hai?», le domandò, divertito.

Scrollò le spalle e si mise in punta di piedi per un ultimo bacio veloce, una specie di “prego”, poi gli prese la mano e, sorridendo, lo scortò in salotto. Aveva fame.

 

«Wow Ary, hai mangiato tutto», disse piacevolmente sconvolta Anto, osservando il piatto vuoto dell’amica.

Lei scrollò le spalle, stringendosi le braccia al petto e dipingendosi sul volto un’espressione che diceva da sé: “Perché ti sorprendi tanto?”. Tom non poté non ridacchiare e le avvolse le spalle con un braccio, avvicinandola a sé per baciarle una tempia.

«Aveva bisogno di energie, la mia piccola», disse, guardando i propri compagni di band, ma soprattutto suoi amici.

«Avevi fame?», le chiese ancora Anto, sorridendo divertita. Ary non rispose, contraccambiò solamente lo sguardo con una scintilla strana negli occhi.

«Tu avevi fame!». Anto la indicò e si gettò su di lei, iniziando a pizzicarle i fianchi e a farle il solletico.

Ary spalancò gli occhi e la bocca, totalmente spiazzata dal suo comportamento, e si divincolò con tutta la forza che poteva, ma Anto non le dava tregua e alla fine costrinse la sua amica a scoppiare a ridere. La risata di Ary si diffuse in tutto il salotto e quando la sentirono, ognuno sorrise, proprio come se quella fosse stata una ventata di felicità.

«B-Basta, ti prego», la supplicò Ary, mentre il suo viso si arrossava e continuava a ridere per le orecchie di tutti quanti.

«E perché mai dovrei smetterla?», le chiese Anto, ridendo a sua volta. «È da settimane che non ti sento ridere, mi è mancata la tua risata».

«Potrei dire la stessa cosa», sussurrò la bionda e tutti si ammutolirono, compresa Anto, che la osservò con gli occhi sgranati.

Ary approfittò di quel momento per alzarsi dal tavolo e si prese la propria rivincita, iniziando a farle il solletico sulla pancia. Anto rise forte, non sopportava il solletico, e Ary gliela stava proprio facendo pagare.

«Ary, sei scorretta!», gridò, cercando di divincolarsi dalla sua presa. «Mi hai preso alla sprovvista!».

Riuscì a sfuggirle e corse dall’altra parte del tavolo, dietro la schiena di Bill, in cerca di protezione. Ary la guardò aggrottando le sopracciglia e posò inconsciamente le mani sulle spalle di Tom, di fronte a lei.
Lui venne scosso da una scarica di brividi a quel contatto, seppur minimo, e sorrise tirando indietro il capo, posandolo sul suo ventre. Incontrò lo sguardo di Ary, all’incontrario sopra la sua testa, e la vide arrossire violentemente sulle guance.

«Oh, guarda com’è arrossita», la prese scherzosamente in giro Bill, indicandola.

Ary si imbronciò a quell’affermazione, ma un secondo dopo si era già lanciata sopra il cantante, pronta a fargliela pagare con un po’ di solletico.
Anto la guardò e nemmeno la riconobbe: non aveva mai sorriso, tantomeno riso, così tanto in due settimane. Solo due giorni e già era cambiata in questo modo? Doveva essere un miracolo, per forza.

«Scricciolo, mi manca l’aria!», gridò stridulo Bill e parve convincerla, perché si fermò e lo guardò incuriosita in viso: era paonazzo e respirava a malapena, tanto aveva riso.
Si guardarono per un attimo negli occhi e poi Ary gli avvolse il collo con le braccia, affettuosamente.

«Scricciolo», mormorò Bill e le posò una mano sul capo, facendola appoggiare alla sua spalla.
Si morse le labbra, trattenendo le lacrime, e le posò un bacio sulla guancia. Gli mancava terribilmente, la sua migliore amica, ma aveva avuto la prova che, se stimolata, Ary poteva uscire da quel corpo fragile, che c’era e stava combattendo per tornare.

«Ragazzi, dovremmo andare da David», ricordò Gustav, spezzando il silenzio che si era creato. Ma nessuno parve badare alle sue parole, poiché nessuno aveva distolto lo sguardo da Ary e Bill abbracciati in un modo così dolce e tenero da far stringere il cuore.

«Si è addormentata», sussurrò Anto, osservando il viso della propria migliore amica. «Si deve essere stancata, con tutto questo solletico». Sorrise amorevole e le scompigliò i capelli sulla testa.

«Okay, la porto io di sopra», si offrì Tom e la prese dalle braccia del gemello. Solo quando la sollevò si rese conto di quanto fosse dimagrita anche lei. Ne fu quasi preoccupato: era troppo leggera.
Guardò Anto e lei capì subito, con uno sguardo; sorrise amaramente, stringendosi nelle spalle.

«Non l’ho mai vista mangiare tutto, come oggi», gli confidò e Tom decise che non voleva, o forse non poteva, sentire altro. Ora la sua piccola era con loro, con lui, e le cose sarebbero ben presto cambiate.

Una volta in camera sua, la stese sul letto con delicatezza, per non svegliarla, e le baciò una guancia, poi uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle senza fare il minimo rumore.

Scese le scale trotterellando e di nuovo in salotto, vide Gustav e Georg sparecchiare, mentre Anto era seduta sulle gambe di Bill, sul divano. Lei si accorse subito di lui e con lo sguardo gli chiese se fosse tutto okay; lui annuì distrattamente.

«Stai tu con lei, mentre noi siamo da David», le disse.

«Certo, non ti preoccupare».

«E se hai bisogno chiamami, arrivo subito».

«Me la sono cavata per due settimane, non sarà un problema», mormorò prima di riappoggiare la testa sulla spalla di Bill.

«Tu chiamami comunque», sentenziò, con un tono da non ammettere repliche.

«Capito, capo», sbadigliò. «Quasi quasi vado a dormire con lei, quando uscite».

«La trovo una buona idea», le disse Bill, sfiorandole un’occhiaia.

«Sono tanto evidenti?», gli chiese con il labbrino.

«Sei bella comunque», ridacchiò e la baciò.

Tom distolse lo sguardo, sentendosi improvvisamente fuori luogo, e si rifugiò in terrazza, a pensare, come aveva fatto quella mattina.

Pensò che Bill poteva baciare Anto quando, quanto e come voleva; lui no. O meglio, lui poteva ma doveva stare al passo di Ary e doveva sempre stare in tensione, per paura di fare qualcosa di avventato o chissà cos’altro. Non si sentiva libero di fare ciò che voleva, si sentiva demoralizzato, triste, ma sapeva che, una volta incontrate di nuovo le sue labbra, tutte quelle sensazioni e quei pensieri negativi si sarebbero volatilizzati nel nulla: avrebbe patito tutto il dolore del mondo per avere anche un attimo di paradiso.

Lei era l’unica, che da subito l’aveva conquistato e che non avrebbe mai abbandonato il suo cuore; che gli faceva provare emozioni che nessun’altra prima gli aveva fatto provare ed era certo che nessun’altra sarebbe stata in grado di fargliele provare allo stesso modo, con la stessa intensità.
Perché non avrebbe amato nessun’altra ragazza come lei, perché non avrebbe mai dato la sua vita per un’altra ragazza, perché non avrebbe mai sofferto tutto quello che stava soffrendo in quel momento per un’altra ragazza.

Sorrise, appoggiando i gomiti al parapetto e sfregandosi il viso con le mani. «Che cosa mi hai fatto, piccola. Guarda come sono ridotto, per te. Ma lo farei ancora, ancora e ancora. Per te».

La porta a vetro dietro di lui si aprì e si girò con il capo per vedere chi fosse: Georg.
L’amico lo raggiunse e si appoggiò al parapetto, imitandone la posizione, poi gli sorrise.

«Che fai qui fuori?», gli chiese.

«Penso».

«A cosa?».

«A quanto mi ha fottuto».

«Ary?», ridacchiò.

«Sì, proprio lei».

«È così terribile, essere innamorato di lei?».

Tom si voltò verso l’amico e lo guardò negli occhi. «Tutt’altro. È la cosa più bella che mi sia capitata».

«E allora tienitela stretta e fai tutto il possibile per lei».

«Lo sto facendo», sorrise.

Georg ricambiò e gli diede una pacca sulla spalla. «Forza, dobbiamo andare da David».

«Già, è vero. Chissà cos’avrà di tanto urgente da dirci».

 

«Siete stati dei completi irresponsabili ad andarvene in Italia da soli, senza dirmi niente! Ma riuscite a capire che rischiate, ogni volta che uscite dalla porta di casa? Davvero, non ho parole!».

Tom strinse i pugni e serrò la mascella, lo sguardo basso, per evitare che scoppiasse ad urlare in faccia al manager.
L’aveva tenuto chissà come inchiodato lì per due settimane e ora che era andato a prendere la sua ragazza, che aveva bisogno di lui, gli faceva la ramanzina? Rischiava seriamente di mandarlo al diavolo.

«Tuttavia», il tono del manager si ammorbidì, sorprendendoli. «Sareste stati ancora più irresponsabili se non foste andati».

«Che cosa?», balbettò Bill, incredulo.

David sospirò e si lasciò cadere sulla poltrona a capotavola. «Ero a conoscenza del fatto che la ragazza di Tom non stesse bene e di conseguenza nemmeno lui stava bene, e nemmeno Bill… insomma, se non l’aveste fatto vi avrei avuti qui tristi e anche se posso risultare cattivo con voi, a volte, penso prima di tutto al vostro bene. Se questa decisione, che avete preso voi, vi rende felici io vi appoggio, ma se questa si torcerà contro di voi… sarò costretto a rimandare sia lei che la sua amica a casa. Ci siamo capiti?».

Tom annuì, ma non parlò comunque, poiché non era ancora d’accordo completamente con lui. Parlò Bill al posto suo:
«Non si torcerà proprio un bel niente contro di noi, stai tranquillo».

Dopodiché si alzarono, tutti e quattro, nonostante David avesse parlato la maggior parte del tempo a Bill e Tom, e tornarono al loro appartamento, al piano superiore.
Tom non vedeva l’ora di cacciarsi sotto le coperte, di abbracciare la sua piccola, magari di baciarla, e di addormentarsi con il suo profumo nei polmoni.

Entrò nell’appartamento e lo trovò troppo silenzioso per i suoi gusti. Così salì al piano superiore, per controllare se Ary stesse ancora dormendo, ma nella sua camera non c’era.
Si accorse che la luce del bagno era accesa solo quando si diresse verso la stanza di Bill ed intuì che dovevano essere tutte e due lì dentro.

Come aveva immaginato, si trovavano lì e, più precisamente, Anto stava asciugando i capelli di Ary, spazzolandoglieli con mano esperta. Erano sedute di fronte allo specchio, nel quale si potevano ammirare entrambe, e Ary aveva gli occhi chiusi e l’ascoltava parlare.

«È stato bello sentirti ridere di nuovo, oggi. Era da tanto che non ridevi più… Dovresti farlo più spesso, sai? Anche a Tom piacerebbe». Anto sorrise e un sorrisino si fece spazio anche sulle labbra di Ary, che aprì gli occhi: erano caldi, azzurri come il mare. Ormai il gelo sembrava del tutto sparito e Tom si sentì subito rincuorato, nascosto dietro la porta per non farsi scoprire.

«A proposito di lui…», canticchiò Anto, maliziosa. «Passavo di fronte alla terrazza stamattina… ho visto che vi siete baciati, come dire, più del solito!».

Ary arrossì violentemente e chiuse gli occhi, senza però riuscire a mandare via quel piccolo sorriso che le illuminava il volto.

«Su, non imbarazzarti con me, sono la tua migliore amica e certe cose devi pure dirmele, non è che posso stare sempre a spiarvi. Non che io vi spiassi, eh».

Ary roteò gli occhi al cielo: non ci credeva nemmeno un po’.

«Okay, ho ceduto alla tentazione», confessò Anto. «Però avresti dovuto dirmelo comunque. Come mai… questa cosa?», le domandò, curiosa. «Come mai vi siete baciati in quel modo, intendo. L’hai voluto tu?».

Ary annuì e con una mano fermò i movimenti di Anto, le prese il phon e lo spense, poi si voltò verso di lei e la guardò negli occhi, intensamente. Si schiarì la gola, prima di parlare:

«Ho visto te e Bill baciarvi in quel modo, in cucina, e mi sono ricordata che anche io facevo così con lui. Però non ricordavo bene cosa si provasse, per questo…». Si interruppe, come se avesse detto fin troppe parole. Infatti si voltò e chiuse gli occhi, attendendo che Anto riprendesse da dove aveva lasciato. Ma, al contrario di ciò che si aspettava, le prese le spalle e la costrinse a guardare i suoi occhi nello specchio, piegandosi per avere il proprio viso accanto al suo.

«E cos’hai provato?», le chiese in un sussurro.

Tom sentì il proprio cuore in gola. E se non le fosse piaciuto? Se avesse sbagliato tutto? Aveva paura di sentire qualcosa di simile uscire dalla sua bocca.

«Io… è stato strano, ho sentito le farfalle nello stomaco e il cuore battere forte… Ma mi è piaciuto tanto». Arrossì ancora di più ed abbassò il viso, mordendosi il labbro.

«Oh Ary…», Anto scosse il capo, ridendo sommessamente.

Tom, invece, sospirò di sollievo, oltre che di felicità.

«Anto, io… io lo amo?», le domandò dopo qualche secondo di silenzio.

Sia Anto che Tom si irrigidirono a quelle parole, ma lei fu la prima a sorridere e a scuotere il capo, mormorando: «Secondo te?».

«Io… Sì, credo. Ed è una cosa bella?».

«Più che bella», le sussurrò e le stampò un bacio sulla testa, poi posò il phon sul mobiletto lì accanto ed uscì dal bagno.

«Dove vai?», le chiese Ary, preoccupata e con la voce che tremava. Non aveva ancora finito di asciugarle i capelli…

«Torno subito, tranquilla», la rassicurò e socchiuse la porta alle sue spalle, poi guardò Tom negli occhi.

«Da quanto mi avevi visto?», le chiese, sottovoce e balbettando.

«Da quando sei arrivato», sorrise divertita. «Forza, vai da lei».

«Cosa? Ma io…».

«Su, su». Gli diede una spintarella sul braccio e gli fece un occhiolino, poi saltellò via.

Tom fece un respiro profondo ed entrò nel bagno, con il cuore che batteva già a duemila. La fissò, mentre si guardava allo specchio, e quando i loro sguardi si incontrarono la vide trattenere il fiato.

«Ciao, piccola», la salutò impacciato e con un ultimo passo la raggiunse. Prese la spazzola che Anto aveva lasciato accanto al phon ed iniziò a pettinarle i capelli lisci e biondi, accarezzandoli anche con le dita.

«Ciao», soffiò a malapena, con gli occhi leggermente sgranati. «Sei tornato».

«Certo, ne dubitavi?». Non ottenne alcuna risposta, né poté guardarla negli occhi, visto che li aveva abbassati.

Si inginocchiò a terra e la fece voltare verso di lui, le strinse le mani nelle sue e disse: «Non avrei mai voluto lasciarti, quella volta; non mi perdonerò mai per averlo fatto. Mi dispiace tantissimo, io ti amo e…». Non osò più fiatare, perché le dita di Ary si erano posate sulle sue labbra e le stavano accarezzando, percorrendone la superficie morbida e calda lentamente e con dolcezza.

Tirò indietro la mano dopo attimi di tenero silenzio e sorrise come non aveva mai fatto, con amore, come aveva sempre fatto prima di rimanere traumatizzata, guardandolo negli occhi. Posò la fronte contro la sua e chiuse gli occhi, sussurrando un semplice «Anch’io».

«Cosa?», chiese Tom, ma aveva capito benissimo quello che gli voleva dire, e anche lei aveva capito che lui aveva capito, ma trattenne una risata e gli sfiorò il viso con le mani, ripetendo:

«Anch’io ti amo».

Il cuore di Tom perse un battito e allo stesso tempo iniziò a correre veloce come le ali di un colibrì. Lei lo amava e nient’altro aveva più importanza, ora.
La prese delicatamente per la nuca e l’attirò a sé per baciarla, cercando di trasmetterle con quel bacio tutto l’amore che lui provava per lei, la sua piccola.

 

Neppure quella notte, però, tenerla stretta fra le braccia dopo averla fatta addormentare con le coccole, servì a non farle avere gli incubi, che la fecero svegliare di soprassalto, gridando e piangendo. Quella notte era stato persino più terribile rispetto a quello della notte precedente.

Aveva il fiatone, i polmoni le andavano a fuoco come se davvero avesse rischiato di annegare insieme a suo fratello, pur di salvarlo, e dai suoi occhi sgorgavano copiose lacrime che le bruciavano il viso già accaldato.
Appena si accorse di essere sveglia si tappò la bocca con entrambe le mani, cercando di reprimere le grida, ma aveva già svegliato Tom, che l’aveva abbracciata da dietro per rassicurarla. Con le mani ancora sulla bocca, gemeva e mugolava di dolore, mentre veniva scossa dai singhiozzi che le laceravano il petto talmente erano violenti.

«Shhh, piccola… è tutto finito, è tutto finito… ci sono io qui, ci sono io». La girò fra le sue braccia e le asciugò le lacrime sul viso, poi le levò le mani dalla bocca e le prese il volto fra le mani, poggiando la fronte alla sua.
«Guardami, guardami negli occhi», le sussurrò e lei obbedì, smettendo subito di gemere, ma non di tremare. «È tutto finito». Se la strinse al petto e sperò che davvero, almeno per quella notte, fosse tutto finito.

 

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Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo e chi ha semplicemente letto :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che lascerete qualche recensione... 
Alla prossima! Vostra,

_Pulse_

   
 
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