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Autore: Martin Eden    11/07/2011    1 recensioni
Seguito di "Compagni di sventura - Resistance". La guerra dell'Anello continua per i nostri eroi, fra alti e bassi, vittorie e sconfitte: riusciranno a sopraffare il Male? Ma a che prezzo? Perdere la battaglia contro Sauron è veramente la cosa più terribile a questo mondo? Non per tutti... Buona lettura! E recensiteeeeeee :)) grazie mille!
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aragorn, Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
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8 – VERSO MONTE FATO

 
 
Il giorno dopo l'elfo si sentiva ancora più sicuro della sera prima, riguardo la sua decisione: senza dare spiegazioni, si preparò un paio di bisacce da viaggio e le riempì di viveri e acqua.
Si caricò le armi in spalla, e a metà mattina era già pronto per partire.
Ma il suo frenetico lavoro aveva fatto crescere dei dubbi perfino in Aragorn, che aveva tentato in mille maniere di lasciar perdere il suo amico e i suoi interessi: non gli ci volle molto per capire che voleva andare a Mordor, e la prospettiva lo spaventò parecchio.
Teneva alla vita di Legolas, senza contare che a causa di Sauron di amici ne aveva già persi abbastanza: non poteva lasciare l'elfo da solo, sembrava un tradimento.
 - Che stai facendo? - gli chiese Legolas quando adocchiò sospettoso il daffare di Aragorn.
 - Mi sto preparando...vuoi partire, no? -
L'elfo cercò di controbattere, ma l'uomo lo zittì:
 - No, non se ne discute: non posso permetterti di andare a Mordor da solo. Che amico sarei? Capisco che così su due piedi potrò sembrare un incredibile ficcana -so, ma a causa di quella terra maledetta ho già perso troppi amici...troppi! -
Sisitemò una borsa sul tavolo vicino e ci frugò dentro, spostando, mettendo, togliendo una marea di roba.
Legolas sorrise al pensiero di tanta buona volontà, ma non poteva permettere comunque ad Aragorn di venire: deciso, appoggiò una mano sulla spalla del suo amico, in modo fraterno.
Quella stretta per l'uomo significò qualcosa che non gli piacque: evidentemente, Legolas non era così facile da convincere.
Si voltò, desideroso di rinforzare la sua decisione, ma lo sguardo dell'elfo gli fece morire le parole in gola: triste, forse, e pieno di ammirazione, ma anche estre -mamente risoluto....non aveva mai visto Legolas con quegli occhi dall’espressione così determinata.
 - Non puoi venire, Aragorn.. - gli disse l'elfo - mi hai già aiutato moltissimo; questa missione, stavolta...posso compierla soltanto io. -
L'uomo rimase perplesso:
 - Me la caverò.. - terminò un po' malinconico Legolas, lasciandogli la spalla e incrociando il suo sguardo.
In quel momento Aragorn seppe che era finita: niente compromessi con l'azzurra e amara sicurezza negli occhi dell'elfo. Niente aiuti. Solo una ferita nel cuore, nel sapere di non poter fare nulla.
Sospirando, tentando di non piangere
(chissà se lo rivedrò mai..)
Aragorn afferrò solidamente le spalle dell'amico, dandogli una scherzosa scrollata
(l'ultima forse..)
 - Torna vincitore... - sussurrò a Legolas, e lo lasciò andare.
L'elfo fece un cenno d'assenso e, caricatosi le bisacce, fece dietrofront e si avviò fuori dalla reggia: si tuffò nel bagno dorato del mattino e, in un attimo, sparì alla vista del suo migliore amico.
Avanzò sempre più deciso man mano che si avvicinava al portone che dava sui campi desolati di Minas Tirith, sentiva la paura calare, in un certo senso: gli sembrava addirittura di avvertire, qualche fuggevole volta, la presenza di Lilian aleggiare intorno a lui, quasi danzando al ritmo del vento.
Ma non la vide chiaramente. Forse era ancora presto.
Più volte gli parve di scorgere la sua amata far capolino da qualche vecchio muro screpolato, quasi a beffarsi di lui e della sua esistenza terrena.
Ormai era arrivato: davanti a lui, il forte portone che tanto aveva protetto Minas Tirith, ora giustamente lasciato socchiuso.
Spinse, e il duro legno scricchiolò sinistramente prima di permettergli la vista ai campi che lo separavano da Mordor: qualche miglio, non di meno.
Legolas strisciò con la solita destrezza nello spiraglio tra i due battenti, trovan -dosi faccia a faccia con le sterminate pianure che tanto avevano visto e passato; ma prima di poterlo richiudere, alle sue spalle, riecheggiò una voce che da tem -po, ormai, non sentiva più se non di rado:
 - Fermati, elfo! -
Legolas si voltò: Gimli, il nano che da sempre gli era stato da ostacolo nella sto -ria con Lilian, ora tentava di raggiungerlo, anche se si ritrovava incastrato fra i due battenti del portone, spiraglio troppo ridotto per le sue "robuste" dimensioni.
 - Che vuoi? - chiese l'elfo, quasi ruggendo: ora più che mai avrebbe voluto vedere quel nano lontano da lui.
 - Darti una cosa.. - gli rispose Gimli nello stesso tono stizzoso, disincastrandosi, finalmente, e parandoglisi davanti, con espressione truce.
Legolas lo fissò indeciso tra la sorpresa e la rabbia, non osando muovere un mu -scolo, ma impaziente di andarsene; contro ogni sua aspettativa, i lineamenti di solito severi di Gimli si addolcirono.
 - Ho saputo, che te ne vai.. - iniziò - e immagino anche perchè lo fai : que -sto fa di te quasi un eroe, e a te va tutta la mia ammirazione, ora... -
 - Il messere si è finalmente degnato di donarmi un po' della sua approvazione? - lo interruppe aspramente Legolas.
Gimli, però, non si fece spaventare:
 - Ammetto che non ho mai dimostrato grandi sentimenti per te, ma da quando Lilian è passata a miglior vita, credo di aver capito un paio di cose che prima non sospettavo. Non so se questo, e in questo frangente, possa interessarti, ma pro -prio questo motivo ho deciso di darti queste... -
Il nano trasse qualcosa da dietro la schiena e lo cacciò in mano a Legolas, quasi volesse liberarsene: asce da lancio.
 - Queste? - chiese sbalordito l'elfo - A me? -
 - Penso saranno più utili alla tua missione che a qualche angolo polverso della reggia... -
Legolas lo fissò ancora più esterrefatto: asce? A lui? Uno degli affetti più cari di Gimli che finiva nelle sue mani? Non ci poteva credere: non poteva essere vero.. non poteva accettarle....non voleva...non...
 - Tienile. - lo incoraggiò il nano, indovinando le intenzioni del suo ex rivale - Magari, mentre cammini sulle pendici di Monte Fato, potranno farti ricordare il tuo vec -chio, ma molto vecchio, amico... -
Quasi sorridendo, Gimli diede all'elfo due manate affettuose:
 - Mi sarebbe piaciuto rischiare la vita per Lilian... - disse quasi a se stesso, ma subito si riscosse    - Fatti onore, gigante! - diede ancora una pacca scherzosa al braccio di Legolas e sparì inghiottito dal'enorme portone.
L'elfo rimase solo di fronte al suo destino. Aveva ancora le asce in mano, incre -dulo: ora erano sue. Sue.
Distolse la mente da quegli oggetti, sistemandoli ala meglio nelle bisacce stra -piene mentre s'incamminava verso Mordor.
 
Il vecchio si appoggia al bastone, consapevole tutto d'un tratto delle sue stanche membra quasi millenarie, che gridano al bisogno di qualche ora di riposo.
La lunga marcia lo ha prosciugato nel corpo e nell'anima. E' già notte.
Pochi rifugi lungo la via: e tutti troppo piccoli per la sua modesta statura.
Nuvole nere sfrecciano per il cielo, portando il loro carico di pioggia e disgrazie.
Il vecchio pensa al passato, accucciato un momento a riposare. Come è giunto fin lì? Un passo dopo l'altro, camminando e camminando, da solo, in compagnia del suo unico bene e male.
Ma la solitudine non lo uccide: l'ha già sperimentata altre volte.
In fondo, non è mai solo. Un occhio ferito lo guarda da lontano e lo supplica di raggiungerlo e di riportarlo al potere. Potere. POTERE.
Quante volte il vecchio ha pensato a questo: al potere.
L'unica cosa che ora è in grado di fare è trascinarsi dietro quella sua veste strappata e quei suoi tormentosi ricordi: un passato funereo, addirittura indegno di essere chiamato passato.
Solo di una cosa il vecchio è certo e ne è felice: che è passato. Luride immagini che ora restano sepolte dove meritano di essere. Solo quello.
Sorride, speranzoso come lo è sempre stato verso il futuro: chiude gli occhi, ben sapendo che quando li riaprirà, si troverà ancora davanti lo stesso paesaggio, la stessa morte nell'anima.
Una speranza arde non molto lontano.
Il vecchio si rimette in cammino, appoggiandosi ai tronchi privi di ogni linfa vitale e alle pietre a -guzze che tagliano e feriscono gli ignari: pensare che basta solo prenderle per il verso giusto!
E lui, il vecchio, lo sa, il verso giusto: lì, o in un luogo simile, c'è già stato altre volte. Forse in un sogno. Forse in una strana visione che ora striscia non considerata fra le parti recondite della sua mente.
Poco più in là, una torre gli porge il benvenuto: è arrivato.
Rombi di tuoni squarciano l'aria a sottolineare il trionfo del vecchio; lui però si rifugia, non spa ventato, ma previdente.
La torre è vuota. Deserta. Gocce di pioggia scandiscono i secondi, secondi interminabili in una notte come quella.
Il vecchio sale con cautela le scale: scricchiolano sotto i suoi piedi gravati dalla stanchezza, ma inesorabili lo portano in alto, in alto, sempre più in alto, quasi ai confini del mondo.
La cima della torre è vuota anch'essa: neanche un corpo abbandonato al suo destino in quell'an tro malefico.
Drappi di una vita precedente sono cullati dal vento che trasporta tempesta.
Ora il vecchio si guarda in giro: c'è sangue sulle pareti. Sangue che corre sul pavimento. Sangue sui veli oscillanti.
Il vecchio si abbandona su una sedia sgualcita quanto la sua veste e pensa: che deve fare, ora che è libero?
Non se ne rende perfettamente conto, ma in un qualche modo sa di aver ottenuto una piccola vendetta sui suoi invincibili nemici: qualcosa, però, lo minaccia.
Lo sente nell'aria.
Subito una voce arriva: il suo io profondo, quello che lo guida sempre quando non sa che fare.
Ora gli dice di alzarsi e cercare in una cassa sfasciata poco distante da quell'angolo buio, il suo angolo: prontamente il vecchio si alza, cerca nella cassa.
Polvere: bell'aiuto. Polvere, e....qualcosa. Duro. Liscio.
Il vecchio affonda le mani rugose fra le assicelle e prende il libro celato sotto di esse: è un libro antico, forse anche più di lui.
Sfoglia avidamente le pagine mentre si avvicina a una finestra che dà sulle terre desolate e flagellate dal fuoco: poi, il libro lo prende.
Le dita del vecchio inseguono eccitate le antiche iscrizioni sulla pergamena incartapecorita; gli occhi del vecchio scintillano.
Ha trovato il potere. Potere. POTERE.
Gli basta allungare una mano per avere il potere.
Subito prende a cercare qualcos'altro, rovesciando scaffali, a spaccare casse, con l'aiuto del suo fidato bastone; scende le scale, insegue un sogno, lo trova.
E' davanti a lui, in una stanza dimenticata dagli orrori della torre: si erge su un pilastro nero, e sembra lo guardi.
Vieni a prendermi.
Il vecchio entra succube alla propria volontà: allunga le dita esili, afferra la Cosa.
Quella Cosa. Come dice il libro: "...una volta trovata niente potrà resisterle".
Il vecchio ora è soddisfatto: torna di nuovo all'ultimo piano della torre, ben stretta al petto la Cosa.
A causa dei rigagnoli d'acqua, che cade incessante, incespica più volte: ma sorride.
Arriva nella stanza: si siede, e guarda fuori dalla finestra.
Un lumicino speranzoso combatte contro la furia del temporale.
 
Legolas si riparò in una grotta appena in tempo per sfuggire a uno scroscio d'ac -qua, buttandosi quasi a capofitto sulla fine terra nera di Mordor.
Rabbrividì, stringendosi il mantello addosso: faceva freddo, là dentro, ma sem -pre meglio che dormire fuori e inzupparsi fino all'osso.
Era incredibile: aveva oltrepassato di un miglio il Cancello Nero e già la natura si rivoltava contro di lui.
Poco male: era praticamente notte, e si sarebbe fermato comunque, tempesta o non tempesta.  
Legolas trasse da una delle bisacce dei rametti secchi che aveva raccolto giusto prima di trovare la grotta. Si congratulò con se stesso: almeno, adesso, poteva stare all'asciutto e anzi, avere un po' di quel calore che tanto gli mancava.
Si preoccupò di fare scoccare qualche scintilla da due sassi: il fuoco si accese quasi subito. Quasi. Tre o quattro tentativi più tardi.
Legolas osservò l'amica fiamma danzare e crepitare davanti a lui, mentre fuori si rovesciava l'ira degli dèi; si tolse le bisacce e le armi dalle spalle indolenzite, e si massaggiò un po' il collo.
 - Male? - chiese una voce resa profonda dall'eco della grotta.
Legolas sussultò, ma quando vide seduta accanto a sè l'evanescente figura di Lilian, sospirò di sollievo:
 - Mi hai spaventato. - ammise.
 - Perdonami, non era questa la mia intenzione.. -
 - Oh, lo so... - la rassicurò l'elfo voltandosi e scrutando le tenebre più profonde dell'anfratto.
 - No, non c'è nessuno... - affermò dolce Lilian - per stanotte potrai dormire tranquillo... -
 - E' troppo chiederti di svegliarmi se qualcosa non va? -
 - Potrei urlare, se vuoi..e mi sentiresti soltanto tu..ammesso che ritorni dal mondo dei sogni! Non posso più scuoterti come avrei fatto un tempo.... -
Quelle parole fecero tornare triste Legolas: erano solo un peso in più sul suo cuore spezzato e morente dalla voglia di rivedere viva l'amata.
L'elfo si sforzò di non tradire alcun pensiero:
 - Immagino che non potrò offrirti qualcosa per cena, vero? - cambiò discorso e frugò pensieroso in una delle bisacce.
 - No. -
Legolas trasse qualcosa di sostanzioso e iniziò a rifocillarsi, con Lilian che lo fissava e di tanto in tanto distoglieva lo sguardo per andarlo a posare sulle lande nere di Mordor.
 - Hai fatto molta strada per un giorno solo.. - affermò ad una tratto la ragazza  - se continui così arriverai a Monte Fato in pochi giorni.. -
 - E' quello che intendo fare: prima giungo là, prima torni in vita... -
Lilian sorrise:
 - Non è che prima arrivi, prima te ne vai? -
 - Hai voglia di litigare con me? Ho detto "prima arrivo, prima torni in vita". -     
 - Non mi offendo se anche mi dici la verità. -
 - Ma ti ho detto la verità! -
Lilian lo squadrò da cima a fondo, quasi volesse carpire i segreti nella sua mente: Legolas evitò di guardarla:
 - Smettila, mi rovini la cena, Lilian! - esclamò dopo qualche minuto.
La ragazza rise compiaciuta: si aspettava una risposta del genere.
 - Allora me ne vado.. - replicò.
 - No! Non volevo dire questo.. - cercò di fermarla Legolas - Ti prego, non potresti...? -
 - No. - lo zittì Lilian - Non posso restare qui per sempre.. -
L'elfo ritentò:
 - E' per qualcosa che ho detto? -
 - No, non crucciarti per niente... - l'evanescente figura della ragazza superò il fuoco, per fermarsi all'entrata della grotta - ricordati solo, se davvero lo vuoi, di trovare quel fiore, e di bruciarlo con le tue lacrime d'amore ai piedi dell'albero bianco di Minas Tirith. - e sparì così come era arrivata.
Legolas rimase immobile per un attimo a pensare a lei, poi si decise ad avvolger -si nel suo lungo mantello e a sdraiarsi: chissà, sarebbe riuscito a dormire un po'?
Mentre il caldo abbraccio del fuoco lo circondava, gli parve di vedere un'ombra poco più in là, all'entrata della grotta, ma svanì quasi subito: Lilian non urlò, quindi non si trattava di un pericolo.
No, lui era solo.
Strano..c'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò, ma Legolas non capiva che fosse.
 
Il vecchio guarda fuori dalla finestra: è di nuovo giorno, e lui è al sicuro.
La pioggia è scomparsa da qualche ora. L'acqua evapora.
Al vecchio non interessa. Il vecchio vuole solo leggere il suo libro. Riprende da dove si era ferma -to, scorrendo le righe con le sue dita nodose, ancora avido di sapere.
Ha trovato la Cosa: è lì, vicino a lui, antica come la torre stessa, se non di più.
E' piccola, eppure così piacevolmente terrificante.
Il libro sa come usarla; e lui, il vecchio, vuole usarla, vuole il suo potere. Potere. POTERE. Non vede l'ora di avere quel potere.
Il vecchio divora le pagine, una ad una, inesorabilmente: sta imparando, lo sente, impara a vista d'occhio.
Ripete una frase a voce alta: rieccheggia nel silenzio.
Ancora niente: non è convinto. Fissa la Cosa: un calore gli invade il corpo stanco e avvizzito, da vecchio.
Ripete la frase a occhi chiusi; poi li riapre: la Cosa ondeggia, emette un suono, luccica di quella luce verde, magica, maledettamente magica....e si ferma. Immobile, come se niente fosse accaduto.
Dentro qualcosa si muove, su e giù, impaziente: vuole uscire, risvegliato da antiche formule dimenticate.
Il vecchio afferra con cupidigia la Cosa: la fissa: la mangia con gli occhi.
E' sua. Può finalmente usarla.
Può finalmente avere il suo potere. Potere. POTERE.
Quel potere.
Il vecchio accarezza dolcemente la Cosa con le mani raggrinzite: ora può.
Basta un semplice gesto, e può fare tutto.
Contro chi provarla per primo?
Osserva di nuovo il paesaggio assolato fuori dalla finestra: si avvicina, respira l'aria fresca del mattino, e sente che qualcosa è cambiato.
Non sa esattamente cosa: si fida del suo istinto che ora gli è di nuovo compagno e fedele amico.
Vaga con lo sguardo sull'altopiano desolato e rosolato dal sole, fino a giungere sulle pendici di un monte più grande degli altri: pennacchi di fumo escono dalla sua sommità.
Il vecchio lo sa bene. Lo sa meglio di tutti cos'è successo. Non è stata una cosa piacevole per lui. No, non lo è stata affatto.
Ora lui, Lui e la Cosa rivendicheranno quella sconfitta; ma nessuno lo deve sapere, nessuno: sa -rebbe un'altra rovina, delle peggiori.
Il vecchio si ferma a fissare rocce lontane, più o meno a metà delle pendici del grande monte: laggiù, anche se nascosto e così piccolo alla vista, c'è qualcuno.
Ma lui lo vede. Lo vede.
Cerca di sfuggirgli ma lui lo vede. Quale migliore bersaglio?
Il vecchio alza la Cosa che ha in mano: ora può.
Può esercitarsi un pochetto prima di compiere la sua missione: punta la Cosa verso il qualcuno, concentrandosi, e subito accade qualcosa.
Decide di non usare tutta la potenza di cui dispone: farebbe troppo chiasso, e il chiasso attira.
Lui non vuole essere scoperto. No. Se deve farsi vedere, vuole che sia lui a farsi vedere. E non sa ancora, se lo farà. 

  
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