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Autore: Darik    12/07/2011    1 recensioni
Una grande battaglia era stata vinta. Ma il prezzo era stato una grave perdita, sempre più difficile da sopportare.
Per questo le persone che lo amano intraprenderanno un assai pericoloso viaggio, dove nulla è come sembra, per ritrovare Negi.
Questa storia è il seguito di "Colui che Evangeline ammira".
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Apparenze'
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6° Capitolo

Nodoka e Yue si guardarono in giro, nella hall dell’albergo c’erano diverse persone, alcune impegnate a leggere, altre a parlare tra loro o al telefono.

Tutto sembrava normale.

Ma era davvero cosi?

Nodoka scrutò con attenzione. E colse il primo dettaglio stonato: gli uomini che leggevano, stavano con la testa immobile.

Troppo immobile.

Inoltre, col passare dei secondi, il tempo di lettura stava diventando eccessivo per una singola pagina.

Le persone che parlavano al telefono o tra di loro, invece, apparivano normali, creando quel vocio indistinto che si ode sempre nei luoghi abbastanza affollati.

Allora Yue si concentrò sulle loro labbra e sull’udito.

Rimase sorpresa ma non troppo quando capì che tutte quelle persone ripetevano sempre la stessa cosa: per almeno mezzo minuto parlavano normalmente, poi di botto iniziavano a ripetere le stesse parole, come un disco che s’inceppa e torna indietro in continuazione.

“Ora che facciamo?” domandò Mana.

Come risposta, lei, Nagase, Ku e Asuna si portarono una mano dietro il collo e crollarono in silenzio a terra.

La stessa cosa accadde a Sakura e Takane.

Invece Nodoka, insieme a Kamo, Yue e Asakura s’inginocchiarono cercando rifugio dietro un grosso divano.

Per poi ritrovarsi di fronte una figura avvolta in una tunica nera con cappuccio.

Altre figure simili erano apparse dal nulla e le avevano circondate.

Sembravano dei monaci. Però impugnavano armi da fuoco di grosso calibro, nere e lucide, puntate contro le teste delle ragazze, le quali non poterono fare altro che alzare le mani in segno di resa.

Uno degli incappucciati, con movimenti rapidi ed essenziali, le ammanettò, mentre gli altri si caricarono sulle spalle le ragazze addormentate.

Gli incappucciati costrinsero le prigioniere a camminare e insieme con loro sembrarono attraversare una sorta di sipario invisibile composto dalla stessa aria, l’ambiente cominciò a farsi come evanescente.

Dopo pochi attimi era rimasta solo una normale hall da albergo, con gente che parlava e leggeva normalmente.


Nel suo studio al Mahora, il preside alternava lo sguardo tra un libro e il telefono.

“Quanto tempo ci mettono ad avvertire?!” sbottò l’anziano uomo.

Ormai la squadra inviata a cercare Negi in Islanda avrebbe dovuto già chiamare.

Certo potevano esserci stati dei disturbi a causa della tremenda tempesta scoppiata intorno all’Islanda, di cui il telegiornale aveva appena divulgato la notizia.

Però un simile ritardo…

Stava per decidersi a chiamarli lui, quando bussarono alla sua porta.

“Avanti” rispose il preside.

Entrò la professoressa Ayanami seguita da una titubante Shinobu.

“Oh, buongiorno, che posso fare per voi?” esordì il preside.

Ayanami fece un lieve inchino. “Sono venuta a chiederle il permesso per usare la stanza trentacinque per le lezioni di recupero di Shinobu Maehara”.

“Ma certo. L’aula è tutta vostra”.

Shinobu si fece timidamente avanti. “E… e ci sono notizie da Asuna e le altre?”

“No, purtroppo. Comunque ti prometto che sarai informata subito, non appena ci saranno. Ora devi pensare a studiare, signorina. Tu possiedi grandi doti, vedi di non sprecarle”.

“S-sì”.

Facendo un altro inchino, Ayanami si congedò portando fuori Shinobu.

Subito dopo, squillò il telefono.

“Pronto?” rispose rapidamente il preside.

E si tranquillizzò. “Oh, siete voi. Finalmente. Takane, tutto bene?”

La ragazza del personale magico del Mahora e il preside parlarono per un po’: tante rassicurazioni dalla prima, tante raccomandazioni dal secondo.

Conclusa la telefonata, Koemon finalmente si rilassò concentrandosi del tutto sul libro che stava leggendo.

Una concentrazione tale che non si accorse di come la porta fosse rimasta leggermente socchiusa.

Né si accorse che tale porta si chiuse solo al termine della telefonata.


La donna con la tunica nera posò la cornetta, mentre Eva era pienamente soddisfatta.

“Un lavoro davvero brillante, un’ottima interpretazione” si complimentò mimando un applauso.

“Grazie” rispose con voce piatta la donna vestita di nero.

“Ora raggiungi gli altri nel salone. Stiamo per ricevere ospiti”.

Eva si affacciò a una finestra che dava su uno splendido giardino, pieno di sentieri delimitati da bassi muri fatti di fiori dai mille colori.

Fu proprio da uno di quei sentieri che giunse un gruppo di persone, in fila quasi come se fossero i partecipanti di una processione: una processione di tunicati neri insieme a delle prigioniere.

Uno spettacolo che divertì molto Eva.

“Dunque sono quelle le ragazze della famosa III A. Sono solo delle mocciosette, Che delusione, Negi Springfield”.

La processione entrò nella grossa villa in stile neoclassico e a tre piani che dominava il giardino.

Passarono per l’ingresso principale del salone, molto elegante e pieno di libri tutti ordinati su enormi scaffali di legno.

Uno degli incappucciati toccò un quadretto sul muro e lo girò, quindi uno scaffale pieno di libri scorse lungo la parete, rivelando un ingresso segreto e una scalinata a chiocciola che scendeva.

I tunicati spinsero le prigioniere giù per la scalinata fino a una sorta di grotta, illuminata da torce e piena di celle scavate nella roccia, quasi tutte vuote.

Perché in due di esse c’erano Takamichi e Kotaro, svegli e incatenati, e le loro catene non erano di solo metallo, poiché avevano delle luci sulla loro superficie, quindi c’erano dei congegni al loro interno.

Gli uomini in nero aprirono sette celle, Takane, Sakura, Asuna, Mana, Ku e Nagase, ancora prive di sensi, furono adagiate ciascuna in una cella e anche loro incatenate.

Nella sesta cella finirono le altre ragazze, e non furono incatenate.

Per Kamo fu infine pronta una gabbia.

I tunicati chiusero le celle e se ne andarono, ma due di loro rimasero a guardia dell’ingresso della grotta.

“Ragazze, state bene?” domandò Takamichi cercando di sporgersi, dato che le catene limitavano molto i suoi movimenti.

Il professore aveva capito che quelle catene erano state dotate della stessa energia AM usata dalla misteriosa torre creata per Arxelles.

“Tutto sommato sì, professore” rispose Asakura. “E voi?”

“Un lieve mal di testa al risveglio. Comunque devo ammettere che la nostra situazione non è per nulla rosea. Non intendo chiedervi” disse poi spostando lo sguardo su Yue e Nodoka “come mai voi tre siete qui, temo di saperlo”.

“Non siete riusciti a fuggire?”

“No” intervenne Kotaro. “Queste maledette catene inibiscono i poteri magici! Chissà come. E neanche col ki si riescono a infrangere. Sembrano fatte di semplice acciaio, ma in realtà è un metallo molto più duro!”

L’irritazione del ragazzo-cane era più che evidente.

“A questo punto” riprese Takamichi “ non possiamo che sperare di essere salvati dal Mahora. Li avete avvertiti? Alle cascate avevo detto a Kamo di restare in disparte proprio per avvertirvi in caso di necessità. Speravo anche che riusciste a scappare”.

“Professore, mi dispiace doverla deludere” disse Yue sporgendosi. “Non abbiamo potuto chiamare aiuti. Il nemico ha bloccato le nostre comunicazioni. E ci ha impedito di scappare creando in qualche modo una tempesta enorme intorno all’isola, che ha interrotto ogni rotta”.

Nodoka intanto cominciò a tastare le sbarre che chiudevano la cella.

Takamichi si scurì in volto. “Allora non so proprio cosa possiamo fare. Il nostro silenzio dovrebbe insospettire i nostri al Mahora. Ma il nemico è troppo preparato per non aver pensato anche a questa eventualità”.

Eva Ushiromiya arrivò nella zona delle celle. “Avete proprio ragione”.

I prigionieri la guardarono cupamente.

“Chi sei?” domandò Kotaro.

La donna, accompagnata da quattro tunicati, fece un lieve inchino. “Lasciate che mi presenti. Sono Eva Ushiromiya, colei che comanda qui. Voi siete miei prigionieri e vi consiglio di fare i buoni. Non mi servite vivi. Anzi, avrei potuto uccidervi da subito, ma finché il piano non sarà realizzato, meglio avere ogni possibile risorsa. Comunque non credetevi indispensabili e quindi intoccabili”.

“E potremmo sapere che piano ha?” domandò Takamichi.

“La prudenza non è mai troppa, quindi non credo sia il caso di spifferare le mie motivazioni. Se farete i bravi, sarete ancora vivi al momento finale e capirete tutto”.

Yue si sporse il più possibile, mettendosi davanti a Nodoka fino a coprirla. “Un momento, signora. Lei cosa sa di Negi Springfield? Non penso ci sia bisogno di spiegarle chi è”.

Eva tirò fuori il suo ventaglio e lo aprì per coprire un sorriso parecchio strafottente.

“Oh sì che lo conosco. Ho imparato a conoscerlo molto bene. Diciamo che ho incaricato qualcuno di lavoramelo parecchio”.

Asakura si sporse anche lei. “Cosa… cosa sta dicendo?! Che gli avete fatto?!”

Eva si mise faccia a faccia con l’aspirante giornalista del Mahora. Nonostante il ventaglio aperto, era assai evidente come il sorriso di prima fosse diventato un ghigno sadico. “Non lo saprete tanto presto. Intanto provate a usare la fantasia”.

“Bastarda!!” ringhiò Asakura tentando di afferrarla.

Eva prontamente si allontanò.

“Ma che reazione violenta. Dopo aver letto il tuo dossier, pensavo che fossi più posata, Kazumi Asakura. Comunque non agitarti, sarebbe inutile. Quelle sbarre sono molto solide. E le catene dei vostri amici magici, come già avrete saputo, annullano la magia. Anche il ki non serve a niente contro delle sbarre e delle catene in adamantio, un metallo rarissimo e davvero molto utile”.

“Quindi ha pensato proprio a tutto?” domandò Yue.

“Certo. Fuggire è impossibile!” replicò con sicurezza Eva.

In realtà la sua sicurezza era in parte apparente, sapeva che non aveva proprio tutto sotto controllo.

Tuttavia riteneva di aver preso tutte le precauzioni necessarie contro quelle mocciose da scuola media.

Per questo rimase molto sorpresa quando la porta della cella con Yue, Asakura e Nodoka si aprì.

Era stata Nodoka, coperta da Yue, ad aprirla, forzando la serratura con una forcina!

E prima che Eva potesse dire qualcosa, Asakura si lanciò contro di lei con una raffica di calci.

“Dannazione!” pensò Eva proteggendosi con le braccia. “La tecnica è grezza, però la forza è tanta. Ma che significa?! Nei nostri dossier Asakura non è classificata come soggetto combattente!”

Eva azzardò una reazione, per farlo si scoprì e Asakura poté rifilarle un calcio fortissimo nello stomaco, che la lasciò senza fiato mentre si accasciava.

I quattro uomini in nero, insieme ai due dell’ingresso, non erano certo rimasti inerti ma Nodoka tirò fuori da chissà dove delle pistole e con grande rapidità e precisione centrò in pieno stomaco gli scagnozzi di Eva.

Che non batterono ciglio.

“Ci penso io!” esclamò Yue.

Anche lei da chissà dove estrasse degli enormi shuriken a forma di stella e li scagliò contro quegli strani uomini, prendendoli alle gambe e alle braccia e inchiodandoli letteralmente a una parete rocciosa.

Neanche un istante dopo, Nodoka rincarò la dose e sparò altri colpi sui dardi della compagna, in modo da conficcarli ancora più profondamente nella roccia.

“Ma… ma che significa?!” sbraitò Eva tenendosi le mani sullo stomaco e cercando di rialzarsi.

La lama di una lunga e larga spada si poggiò sulla base del suo collo.

“Resta giù!” le ordinò gelida Asakura.

Kotaro e Takamichi non credevano ai loro occhi.

Allora le tre inaspettate liberatrici recitarono una breve formula magica.

Ci fu uno scoppio di fumo.

Una volta dissoltosi, al posto di Nodoka, Yue e Asakura, c’erano Mana, Kaede e Asuna.

“Incredibile! Come avete fatto?” domandò Kotaro, la cui voce contenta aveva anche una punta d’invidia.

“E’ stata un’idea di Sakura” spiegò Mana andando a frugare nelle tasche dei due tunicati di guardia alle celle.

Quegli uomini cercavano di liberarsi, ma gli shuriken erano andati troppo in profondità.

Mana intanto trovò quello che cercava: un mazzo di chiavi, col quale aprì le celle di Kotaro e Takamichi, togliendogli le catene.

Asuna affiancò il professore per aiutarlo a rialzarsi. “Sakura si è improvvisamente ricordata di questo incantesimo di camuffamento, molto efficace. E abbiamo cercato di impararlo. Poiché il nemico sembrava conoscerci bene, abbiamo ipotizzato che avrebbe attaccato subito e neutralizzato solo quelle che erano ritenute pericolose. Le nostre amiche si sono sacrificate. Un azzardo, ma ci è andata bene”.

Mana aveva aperto anche la gabbia di Kamo e le altre celle, con le loro compagne ancora addormentate e incatenate.

Tentò di svegliarle, inutilmente.

Allora da una tasca tirò fuori una piccola siringa, fece un’iniezione ad ‘Asuna’, in realtà Asakura, senza ottenere effetti.

Mana rimase alquanto infastidita. “Maledizione. Lo stimolante non funziona. Qualunque cosa ci fosse in quelle freccette, non la conosco”.

Nagase prese Eva per dietro le braccia e la costrinse ad alzarsi. “Allora credo che sia arrivato il momento di far parlare questa qui. E’ il capo dei cattivi, no? Saprà tutto, anche dove si trova il professor Negi”.

Eva scoppiò a ridere. “Ahahahah! Avete ragione. Però ci sono alcuni piccoli dettagli che forse non avete contemplato. Il primo è che io non intendo minimamente aiutarvi e non potete costringermi a farlo.

Cosa vorreste fare? Torturami? Voi ne avreste il fegato? Non credo. Forse Mana Tatsumiya. Tuttavia ti avverto, cara la mia mercenaria, che io ci sono già passata in mezzo all’inferno e francamente pestaggi, minacce e occhi mortalmente freddi non mi piegano. Provare per credere.

Passiamo al secondo dettaglio: in questa villa io ho un vero esercito. Pensate forse che nessuno s’insospettirà per una mia assenza troppo lunga? Non riuscireste mai a sopraffarli, sono troppi e sono uomini particolari, come avete già potuto notare. Inoltre le vostre amiche addormentate, quindi incapaci di difendersi, costituiscono un grosso handicap.

Terzo e ultimo dettaglio: questa villa è un luogo speciale e si raggiunge in modo speciale, come avete potuto costatare nell’albergo. Se io non lo voglio, nessuno entra e nessuno esce da qui”.

Asuna e Kotaro fremettero per la rabbia, Takamichi, Nagase e Mana ebbero più controllo.

Tutti dovettero comunque convenire che Eva Ushiromiya aveva ragione.

“Però c’è un fattore che non hai previsto!” esclamò Asuna schioccando le dita.


Eva Ushiromiya, accompagnata da due persone in tunica e con la testa coperta dal cappuccio, camminava per gli ampi corridoi della villa.

Ogni tanto incrociavano dei tunicati, uomini e anche donne, che davanti a Eva si fermavano e salutavano con un profondo inchino.

“Asuna, come va?” domandò sottovoce uno degli incappucciati, cioè Mana.

“Insomma. Spero solo che se qualcuno ci fermerà, saprò recitare la parte di quella bastarda” rispose Asuna con le sembianze della loro nemica.

“Intanto vediamo di stabilire dove dobbiamo andare” ricordò loro Nagase.

“Fermerò uno di questi tizi, gli chiederò con una scusa di accompagnarmi nella stanza di Eva, voi mi seguirete a distanza e poi decideremo il da farsi” concluse Asuna.

E cosi fecero.

Mana e Nagase si tennero abbastanza lontane mentre Asuna-Eva fermava uno degli incappucciati dicendo di aver bisogno del suo aiuto per un lavoro da svolgere nel suo studio.

Il servitore non ebbe da recriminare, si avviarono insieme.

Nonostante fossero affiancati, la donna fece sempre attenzione a lasciare che fosse l’incappucciato a decidere la direzione in quel dedalo di corridoi.

Nagase e Mana le stavano dietro, fingendo di stare facendo casualmente la stessa strada.

Durante tutto il tragitto temettero di essere scoperte ma non accadde.

Giunti davanti allo studio di Eva, Asuna entrò nella stanza congedando l’altro con una scusa, che si bevve senza problemi.

Quei misteriosi uomini sembravano capaci solo di ubbidire agli ordini senza discutere.

Non appena se ne fu andato, le altre due ragazze s’infilarono nello studio e Nagase si sfregò le mani. “Bene, speriamo di trovare qualche informazione utile”.

“E speriamo” aggiunse Mana “che Kotaro, Kamo e Takamichi non abbiano problemi con quell’Eva. Almeno fino a quando le nostre amiche non si saranno risvegliate”.

Cominciarono a frugare con attenzione nei cassetti.

Soprattutto Asuna. “Dobbiamo scoprire cosa bisogna fare per andarsene da questo posto. Poi cercheremo di scappare dall’isola. Speriamo anche di trovare qualche notizia di Negi” pensò.

La porta si spalancò, facendole sobbalzare.

Tuttavia non ebbero paura di essere state scoperte, giacché si trattava di una graziosa bambina dell’età di Negi.

“Zia, sono venuta a trovarti!” esclamò radiosa la bimba.

Asuna-Eva e le sue compagne si guardarono.

“Oh…. Bene. Come stai?” disse la falsa zia.

La piccola piegò la testa di lato, perplessa.

Poi sembrò scrutare con occhi fissi e penetranti Asuna.

Calò un silenzio raggelante.

“Tu chi sei?” domandò la bambina.

“Oh no” pensò Asuna.

Anche se era solo una bambina, le trasmetteva una sensazione strana, molto strana.

“Chi sei tu?” richiese la piccola, con voce più severa.

Mana sentì tutti i suoi sensi, non solo quelli umani, ma anche quelli sviluppati misticamente per via del suo lavoro, strillare un enorme pericolo in arrivo.

Talmente grande che…

La mercenaria si guardò le mani: tremavano!

La sua mente no, ma il corpo era istintivamente terrorizzato!

“Che avete fatto a mia zia???!” strillò la bimba.


L’anziana Chiyo stava leggendo un libro di favole a Sakutaro, che ascoltava con grande attenzione seduto per terra.

“Allora, ti è piaciuta la favola?”

“Uryù!” rispose il bambino sorridendo vispo.

La donna sospirò. “Eh, Maria è andata da Eva, vuole che sia lei a leggerle una favola. E lo farà. Ma non certo perché le vuole bene. Oh, povera Maria, ha un cuore così grande. Troppo grande, l’affetto per la zia la acceca. Altrimenti…”

Chiyo si alzò all’improvviso, facendo sobbalzare Sakutaro.

“Resta qui!” ordinò ed uscì dalla stanza.

Corse, per quanto le fosse possibile, tra i corridoi, fino ad arrivare alla porta, chiusa, dello studio di Eva.

L’aprì… e rimase senza fiato.

Al posto dello studio c’era uno spazio immenso, dove si mescolavano tutti i tipi di cielo: cieli limpidi e tenebrosi della Terra si alternavano a indecifrabili e spaventosi panorami alieni, e altri ancora.

Un vento immenso attraversava quello spazio di cui non si vedeva né l’inizio né la fine.

Al centro di tutto c’era Maria, con Eva sospesa al suo fianco.

La bambina aveva i lineamenti deformati da una furia cieca e animalesca, indescrivibile.

Anche solo guardarla di sfuggita poteva impressionare e terrorizzare.

Gli stessi capelli si agitavano come se fossero mossi da una forza incontrollabile.

Gli occhi di Maria sprigionavano una luce innaturale.

Muoveva le braccia con gesti continui e violenti, come un direttore d’orchestra impazzito, mormorava parole astruse, alcune sussurrate, altre gridate, con una voce altrettanto terrorizzante e innaturale.

La porta da cui l’anziana governante fissava quello spettacolo mostruoso e mozzafiato era l’unico elemento che in quel turbinio di cieli restava immobile.

Chiyo subito tornò indietro.

Chissà se in quella realtà impazzita si era accorta delle persone che ruotavano su se stesse e intorno a Maria ed Eva.

Probabilmente non le aveva viste, non essendo davvero possibile.

Asuna, tornata al suo aspetto, Mana, Nagase, Kotaro e Takamichi, si agitavano in mezzo a quell’universo assurdo.

I loro corpi mutavano, erano continuamente scarnificati, spellati, deformati, dissolti a livello molecolare e riformati in continuazione, e tutto in pochi secondi.

Un ritmo che era dettato proprio dai gesti di Maria.

“Vai cosi!” disse Eva alla nipote.

Nonostante la sua sicurezza, il terrore nella sua voce era più che evidente.

D’altronde pochi attimi prima si trovava chiusa in una cella e sorvegliata dai suoi nemici, poi, nel tempo di un battito di ciglia, si era ritrovata in quel caos.

“Maria! Fermati!” gridò Chiyo tornata alla porta, ancora ferma in quel caos.

“NO! Hanno fatto del male alla zia! E ora pagheranno!!!” rispose la bimba.

“Se li uccidi, diventerai un’assassina! Tu non lo sei, piccola mia! Tu sei buona!”

“Devono pagare!!!”

“Se li uccidi, Sakutaro ti considererà un mostro!”

Fu allora che dietro l’anziana, Maria vide il suo piccolo amico.

Che la fissava con occhi sbarrati per il terrore.

“No… Sakutaro… non guardarmi cosi… TI PREGO!!!” urlò Maria iniziando a piangere.

In meno di un secondo, tutto tornò come prima.

Lo studio era di nuovo al suo posto.

Non c’era nulla di strano.

Sembrava che non fosse successo mai nulla.

Il gruppo del Mahora era scomparso, Eva era seduta davanti alla sua scrivania.

Maria piangendo corse ad abbracciare Sakutaro.

“Non odiarmi! Ti prego, non odiarmi!” lo supplicò.

Sakutaro rispose all’abbraccio. “Sakutaro non potrebbe mai odiarti. Uryù! Sakutaro vuole bene a Maria. Uryù Uryù!”

“Su, su, adesso torniamo in camera, signorina” disse Chiyo. “Ti sentirai stanca”.

Maria annuì, e sempre abbracciata a Sakutaro, si fece accompagnare fuori.

Prima di chiudere la porta, Chiyo lanciò un duro sguardo a Eva.

Che non rispose, impegnata com’era a calmare il suo cuore, che le batteva talmente forte da dare l’impressione di voler saltare fuori dal petto.

“Mio Dio… il potere… il potere…”.

Eva deglutì e si alzò.

Con passo un po’ malfermo si diresse verso la zona delle celle.

“Sono riuscite a intrufolarsi usando il primo atto di compensazione. Bella mossa, strega. Però ti è andata male. E ora proseguirò col mio piano!”


Il preside del Mahora vide entrare nel suo studio il gruppo impegnato nella ricerca di Negi.

Nonostante si fossero tenuti in contatto ogni giorno, fino all’ultimo era rimasto speranzoso.

“Novità?”

“Niente, signor preside” rispose desolato Takamichi.

La stessa desolazione si poteva leggere sul volto delle altre.

Col cuore amareggiato, l’anziano uomo non se la sentì di rimproverare Asakura, Miyazaki e Ayase per la loro avventatezza, confidando comunque che ci avessero già pensato le loro compagne a farglielo capire.

Dunque si congedarono e fuori dallo studio del preside, ciascuno tornò al suo alloggio.

“A-Asuna!” gridò, per quanto le fosse possibile, Shinobu.

Saputo del loro ritorno, aveva chiesto alla professoressa Ayanami di sospendere la lezione e accompagnarla.

E cosi aveva fatto, seguendo l’allieva fin lì.

La professoressa rimase un passo indietro.

“Asuna… sono felice che sei tornata. Novità?” domandò speranzosa Shinobu.

“Purtroppo nessuna. Comunque non arrenderti, il fatto che quella in Islanda fosse una falsa pista, non deve farci perdere le speranze” rispose Asuna.

“Certo, farò come dici tu”.

“Brava” terminò Asuna facendole un’affettuosa carezza sula guancia.

La ragazza se ne andò, sotto lo sguardo di Shinobu e Ayanami, che salutò con un inchino, ricambiato.

L’insegnante si accorse che Shinobu si toccava la guancia accarezzata.

“Problemi?”

“No… nessun problema” rispose Shinobu dopo qualche attimo di esitazione.

 

 

Continua…

  
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