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Autore: L_Fy    12/07/2011    29 recensioni
...Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: "Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto."
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
Quindi, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Davanti al portone c’era Paolo: Serena rallentò di colpo l’andatura, sentendo i piedi ancora più pesanti di quanto non fossero già a  causa dei ripetuti e inutili pensieri che faceva su Tebaldo Santandrea della Torre. Quando la vide arrivare, Paolo si drizzò in piedi e le fece un pallido sorriso.
“Ciao.”
“Ciao.”
La tensione tra loro era tangibile, si poteva raccogliere a cucchiaiate.
“Tutto bene?”
“Si si, tutto bene. E tu?”
“Tutto ok.”
Imbarazzo denso come melassa.
“Tu, ehm… Hai avuto da fare?”
“Ho studiato e ho dato una mano al canile. Hanno adottato Sancho, il bastardone puzzone del 14B.”
Sancho; come dire Santandrea della Torre; come dire Tebaldo.
“Si, ah, lo so, l’ho preparato io per nuovo padrone.”
“Oh. Sul serio?”
“Si.”
“Si troverà bene?”
Ottima domanda… Sancho si trovava più o meno dove avrebbe voluto essere lei.
“Meglio di te e me messi insieme. Il padrone è ricco. Ma brutto. E vecchio.”
Il perché di quell’inutile bugia si perse nei meandri della sua già labile psiche. Passò oltre con uno slancio di pura ipocrisia.
“Allora, ehm… tu … passavi di qui…?”
“Lo so che non era in previsione che ci vedessimo, ma dovevo parlarti.” disse Paolo tutto d’un fiato arrossendo.
Serena annuì sentendosi febbrilmente in colpa: che Paolo avesse intuito che erano giorni che non pensava a lui? Che gli fosse giunto il sentore che i suoi sogni erano pieni di inquietanti occhi verdognoli?
“Io… non so bene come dirtelo, quindi te lo dico così e basta: credo di provare qualcosa per un’altra.”
Serena si sentì presa decisamente in contropiede.
“Come?”
Le orecchie di Paolo divennero rosa acceso, ma il suo sguardo rimase limpido, imbarazzato ma coraggioso.
“Sì, beh, non c’è niente tra noi, l’ho solo sentita… lasciamo stare, sembra già assurdo così anche senza particolari. Fatto sta che mi sembrava disonesto non parlartene. Perché è a lei che penso ultimamente. Io… volevo solo dirtelo, ecco.”
“Lei chi?” le sfuggì di bocca, più per curiosità e stupore che per altro: che ci fosse una femmina oltre lei interessata a Paolo le sembrava sinceramente fantascientifico.
“Non la conosci” rispose Paolo arrossendo ancora di più “Si chiama Gladi e fa la segretaria da una mia compagna di classe.”
“Chi?” ripeté Serena come un disco rotto; Paolo sembrò per un attimo ritentivo, poi cedette abbassando lo sguardo.
“Grimilde.”
Grimilde; come dire Scarlini della Torre; come dire Santandrea della Torre; come dire Tebaldo. Di nuovo! Com’era che tutto in quei giorni sembrava gravitare attorno a lui, dannazione?
“Oh.” riuscì solo a dire: sembrò un ottimo incentivo per Paolo che dopo l’inizio zoppicante partì in quarta.
“Ti giuro che non era programmato, cioè, mi era sembrata solo una ragazza gentile e affabile, ma qualcosa nella sua voce… e poi, insomma, lei è così… fiduciosa… senza nemmeno conoscermi si è esposta a un rischio che potrebbe costarle il posto… e io sono davvero onorato e nello stesso tempo non so cosa possa avere da farle pensare tanto bene di me, ma lo pensa. E’ una cosa molto nuova e gratificante, non lo nego. Magari è solo questo, magari sono solo lusingato e non c’è nient’altro da parte di nessuno. Ma non potevo non dirtelo. Proprio non posso non dirti quello che sento.”
Caro, dolce Paolo Bianchi. Non proprio noioso in quel momento dove coraggiosamente si aspettava come minimo una badilata in testa per l’affronto arrecato.
Ma che poteva dirgli Serena a quel punto? Insultarlo? Poveretto, aveva una faccia così contrita…
“Ho capito.” mormorò a fior di labbra.
A dire il vero, non aveva capito un bel niente, se non che si sentiva più umiliata che triste. E che era snervante il fatto di non potergli dare dello stronzo, perché era palese che faceva di tutto per non esserlo. Da quel punto di vista, erano molto meglio gli stronzi autentici… almeno una povera ragazza umiliata e rifiutata poteva sfogarsi inveendo come una lavandaia a ragion veduta.
“Questo non vuol dire che non ci tengo più a te” si precipitò a dire Paolo arrossendo di nuovo “Anzi, ci tengo moltissimo… e non voglio che il nostro rapporto cambi o che la nostra amicizia ne risenta… io ti voglio davvero bene…”
E bla bla bla: Serena smise di ascoltare canticchiando tra sé e sé una filastrocca, suo infallibile metodo per non farsi ferire dalle parole altrui. Che Paolo sentisse il bisogno di rassicurarla era comprensibile, che lei non avesse nessuna voglia di ascoltarlo al momento lo era ancora di più.
“Senti, Paolo” tagliò via quando intuì che era rimasto a corto di argomenti “Ho capito quello che vuoi dire, ma ancora non mi sento di esprimerti quello che sento a riguardo. Lasciamo stare le cose così per il momento e… vedremo più avanti.”
“Quindi… posso chiamarti?”
“No. Lasciamoci un po’ di tempo per entrambi.”
Forse Paolo si aspettava qualcosa di diverso: qualcosa di meno freddo e calcolato, qualcosa di meno razionale. Per Serena stessa era qualcosa di assurdamente a metà tra il rammarico e il sollievo. Se fosse stata del tutto onesta, sia con se stessa che con Paolo, avrebbe dovuto parlare di Tebaldo Santandrea della Torre; ma parlarne avrebbe voluto dire che c’era un interesse e questo Serena non era ancora disposta ad ammetterlo. Forse non lo sarebbe stata mai.
“Come vuoi.” mormorò Paolo alla fine di un lungo silenzio.
I suoi occhi erano molto azzurri e molto seri, impenetrabili dalla prima volta che lo conosceva. Forse era dispiaciuto, forse era sollevato: quello che vedeva Serena era però un unico muro di pietra.
“Allora, io… vado.”
Che dirgli? Arrivederci? Mi mancherai? Ho paura di fare un sacco di cazzate senza di te?
“A presto, Paolo.”
“Ok, ciao.”
“Ok.”
Due tuberi per l’ultima volta: chissà perché fu proprio quello il pensiero che rese Serena definitivamente triste.
*          *          *
Paolo Bianchi era una persona apparentemente semplice. Di sé stesso pensava sufficientemente bene per concedersi una sana convivenza e non si era mai particolarmente soffermato su cose più complicate del gestire il presente. La faccenda delle ripetizioni a Grimilde erano stata una di quelle cose capaci di sconvolgere il suo piccolo mondo. Innanzi tutto, il fattore economico: dal niente ecco la possibilità di guadagnare abbastanza per pagarsi l’iscrizione all’università tutto da solo. Un motivo di orgoglio per lui e un aiuto per i suoi genitori, quindi qualcosa puramente positivo. Poi, l’incontro (telefonico) con Gladi: una botta di assurdo ottimismo, un’attrazione inconscia e inspiegata, un desiderio improvviso di cambiare il solito e tranquillo tran tran sentimentale per mettersi in gioco… unico neo: il suo lavoro. Era la segretaria devota di Grimilde, sua Nemesi dalle elementari. Quindi non proprio una cosa del tutto positiva: 50 e 50 a darle il massimo.
E poi, Grimilde stessa: Grimilde con tutta la sua spocchia, con i suoi costosi vestiti firmati, con le sue improvvise e bizzarre discese tra il volgo che più che intenerirlo lo sconcertavano. Si era comportata in maniera quasi umana con la sua famiglia: persino con lui. Certo, il giorno dopo la prima lezione a scuola non gli aveva rivolto nemmeno uno sguardo, ma Paolo non poteva negare di aver avuto un moto di sollievo. Interagire con Grimilde da solo era un conto, aver a che fare con lei con gli occhi di tutta la scuola addosso era un altro! In ogni caso, quel pomeriggio avrebbero avuto il loro secondo incontro, e Paolo paventava e nello stesso tempo aspettava con impazienza quel momento. Perché così, forse, avrebbe cominciato a capirci qualcosa…
*          *          *
Munizioni pesanti: ecco cosa doveva giocare. Veronica aveva rimuginato parecchio sulla situazione e razionalmente sapeva che avrebbe dovuto andare con calma, ponderare bene le mosse e fare un passo alla volta in un’unica direzione. Per blandire Bianchi Veronica Scarlini della Torre doveva riuscire a farsi apprezzare partendo dall’alto, ovvero non dai capelli come avrebbe suggerito la fida Maria Vittoria, ma dal cervello. Purtroppo, con tutta la sua buona volontà, non riusciva a procedere in quella direzione. Perché c’era di mezzo la perfida, invadente Gladi. C’era l’interesse genuino che Bianchi sembrava provare per lei. C’era che si trovava spesso a pensare con la testa di Gladi piuttosto che con quella di Veronica. C’era che doveva finire al più presto quella messinscena, o si sarebbe trovata dallo psichiatra a guarire un grave disturbo della personalità multipla. Quindi, Veronica doveva schiacciare Gladi e vincere in fretta quella assurda gara a chi conquistava per prima il cuore di Bianchi. Da cui, ecco pronte le munizioni pesanti: quando Inocencia vide Veronica pronta per la seconda ripetizione da Bianchi, per poco non le rimbalzò il rosario dal collo.
“Madre de Dios! Come ti sei conciata?” l’apostrofò strabuzzando gli occhi e trattenendosi a stento dal fare il segno della croce.
“Rilassati” la blandì Veronica rovistando nell’armadio “La faccenda di Sancho e Byron ti ha lasciato proprio i nervi scoperti, salti per un nonnulla!”
“Un nonnulla? Un nonnulla è quello che tu hai addosso, mi hija!”
Veronica lanciò uno sguardo soddisfatto alla camicetta di seta trasparente, sotto cui faceva decisamente capolino la lingerie accattivante di Cacharel.
“E’ solo una camicia. Datti pace, benedetta donna.”
“E sotto? Posso vedere il neo che hai sulla coscia, tanto sono stretti quei pantaloni!”
“Madonna, quanto sei medievale!”
“Sono solo preocupada per la tua salute. Non ti circola il sangue, così! E se svieni nel bel mezzo della lecciòn?”
Era una buona tattica da provare, se il Bianchi non mostrava segni di vita.
“Stai tranquilla, non succederà” sorrise Veronica “E comunque sto cercando una giacca, per non sconvolgere tutto il parentado.”
“A Dios non piace esta esposiciòn di mercanzia.” le ricordò Inocencia puntando il naso per aria.
“Allora comincia a dire qualche Ave Maria per me, così non sarò più costretta a mostrare le pudenda.”
Mentre Inocencia mormorava sottovoce un inquietante rosario che sembrava la formula esorcistica, Veronica indossò una morbida giacca di nappa, prese la borsetta e due libri di fisica e uscì a passo spavaldo. Si sentiva sicura di sé e crepitante di aspettativa.
Arrivata al palazzone di Bianchi fece le scale quasi saltellando e si aggiustò i capelli e il rossetto un attimo prima che la porta si aprisse, sfoderando un quasi sorriso sulle labbra rosse.
“Ciao” la salutò Bianchi perfettamente neutro “Prego entra. Scusa il disordine, come al solito… oggi però sono riuscito a depistare le gemelle e Dante e nonna sta facendo un pisolino, anche se gli ci è voluto un narcotico per toglierla da quei maledetti fornelli, quindi dovremmo avere almeno mezzora di relativo silenzio.”
“Bene.” rispose Veronica un po’ perplessa: Bianchi non l’aveva nemmeno guardata di striscio.
Alla faccia delle lenti bifocali, doveva essere cieco quasi quanto la nonna.
Seguì un zelante Bianchi nella stanza e quando chiuse la porta, si piazzò ben in vista davanti alla scrivania.
“Posso togliere la giacca? Fa caldo.” annunciò con voce morbida.
“Fai pure” la invitò lui voltandole le spalle e scartabellando negli appunti “Dunque, hai studiato Michaelson e Morley?”
“Si, ehm… dove la metto?”
“Cosa?”
“La giacca. Questa giacca, vedi? Quella che ho in mano.”
Bianchi le lanciò appena una rapida occhiata.
“L’attaccapanni è lì, non ricordi la tua controfigura, l’ultima volta?”
Un po’ smontata, Veronica appese la giacca e aspettò che Bianchi si girasse verso di lei. Paolo si girò e si sedette col naso ben immerso nel libro di fisica senza nemmeno sfiorarla con lo sguardo.
“Allora, ti ricordi la lezione dell’altra volta?”
Sedendosi sul bordo della sedia Veronica ripeté giudiziosamente la lezione, sentendosi molto stupida e un po’ ridicola, con la sua camicetta da meretrice in bella vista così platealmente ignorata.
“Molto bene!” sorrise Paolo guardandola appena di sfuggita “Possiamo senz’altro continuare col programma.”
E giù col naso così ficcato nel libro che sembrava piantato con l’accetta. Veronica dovette deglutire a secco parecchie volte mentre lui vaneggiava di specchi argentati e formule alchemiche. Persino la dolce Gladi che cresceva in lei era perplessa dall’evidente mancanza di ormoni di Bianchi: Veronica invece non si capacitava, in bilico fra lo scandalizzarsi e scoppiare a piangere dalla frustrazione. Fortunatamente, le severe lezioni di  bon ton di Ingrid le tornarono di nuovo più che utili: rimase impassibile, col viso appena più pallido e serio e la schiena dritta, sorbendosi per un’ora ininterrotta la demolizione dell’etere luminifero. Bianchi era indubbiamente un appassionato della materia e faceva di tutto per contagiarla col proprio entusiasmo: non fosse stata così annichilita, Veronica l’avrebbe persino apprezzato. Invece si limitò a fissarlo con gli occhi verdognoli ancora più ghiacciati del solito. Dieci minuti prima della fine di quella interminabile lezione, si udì un forte trambusto al di là della porta chiusa, comprensivo di uggiolii canini, cicaleccio femminile adolescenziale e rimbalzi di palla.
“Sono tornati i miei” annunciò Paolo vagamente allarmato “Mi scuso già in anticipo per qualsiasi cosa dovessero fare o dire: se hai pensato che peggio dell’altra volta non potrebbe mai andare, purtroppo non sai da che risorse infinite la mia famiglia attinga la sfiga.”
“Indosserò la cotta di maglia.” buttò lì Veronica depressa: pensava di doverlo fare solo in senso figurato, ma quando sentì il rumore di mandria bovina in avvicinamento e il pavimento quasi tremare, valutò che uno scudo e una lancia non sarebbero poi stati così fuori luogo.
Ci fu una specie di colpetto di tosse contro la porta prima che questa si spalancasse e vomitasse all’interno della stanza il figliame Bianchi completo di cane, pallone, borse della spesa, cacofonia vocale e deboli guaiti.
“Eccola!”
“E’ proprio qui!”
“Ci hai mandato via proprio quando stava arrivando!”
“Sei uno stronzo bastardo merdoso!”
“Palla!”
Tom!
“Ragazze…”
“Ci volevi tenere lontano da lei?”
“Fratello cafone!”
“Palla!”
Tom!
Veronica si alzò in piedi e d’un tratto la scena sembrò congelarsi: in barba al precedente sublime disinteresse di Paolo, gli occhi di Silvia, Laura, Dante e persino del cane Biagio si schiantarono sulla camicia trasparente di Veronica come alberi abbattuti dai boscaioli.
“Ehm!”
“Oh, santo cielo…”
“Perdindirindina!” strillò Dante strabuzzando gli occhi talmente tanto che sembravano voler rimbalzare sul suo petto “Ti si vedono tutte le poppe!”
Paolo arrossi con tanta violenza che sembrò prendere fuoco.
“Dante?? Chiedi immediatamente scusa??”
Dante non riusciva a staccare gli occhi dalla camicetta di Veronica che dovette fare uno sforzo sovrumano per non tuffarsi sotto il letto o sotto il tappeto. 
“Ma Pà, guarda! Le sue poppe, le posso quasi vedere!”
“Dante!” venne in aiuto flebile Laura “Si chiama decolté… Non è… cioè, è…”
“E’ una moda…” concluse Silvia ancora costernata.
“Non avevo mai visto le poppe di nessuno” annunciò candidamente Dante “Se non in piscina. E quelle di mamma. Là e Sì non ne hanno quasi per niente.”
“Non è vero!” reagirono in coro le gemelle galvanizzate dall’oltraggio.
“Dante…? Ti prego…?”
“E’ solo una camicia di Hermes…” sfiatò Veronica, così schiacciata dalla situazione che quasi non riusciva a respirare.
“Le avevi viste Pà le poppe di Ve-honica?”
Sembrò la fatidica goccia del fatidico vaso: mentre però Laura e Silvia abbassavano gli sguardi sconfitte dalla vergogna, Paolo Bianchi indurì la mascella, alzò il mento e parlò in tono pacato e senza quasi punti interrogativi nella voce.
“Dante, non è carino parlare delle... di queste cose. Lo sai, te lo abbiamo già detto altre volte. Veronica è vestita alla moda e tu sei molto maleducato a dirle così. L’hai offesa e resa molto triste, perché lei ci tiene tanto a essere sempre ben vestita. Chiedi subito scusa.”
Dante perse di colpo il sorriso per lasciare il posto a una faccia triste triste e confusa: girò uno sguardo azzurro slavato su Veronica con gli angoli della bocca tutti curvi all’ingiù.
“Scusa” gorgogliò con voce querula “Pà non vuole che io parlo neanche di cacca con l’altra gente. Ma io mi dimentico sempre. Non volevo farti diventare triste.”
“O-ok.”
“Davvero, sei molto bellissima vestita così.”
“Grazie.”
“A me piacciono le tue poppe.”
“Basta così, Dante, è più che sufficiente.” intervenne Paolo precipitosamente.
La tristezza di Dante era troppo genuina per non essere ricompensata, così Veronica gli fece anche un timido sorriso che in realtà sembrava una paresi facciale. Dante di riflesso ritrovò il suo solito sorriso raggiante: si girò verso Paolo tutto soddisfatto e quasi gli urlò addosso tutta la sua contentezza.
“Ve-honica non è più triste! Vado a giocare con la palla!”
Trottò via seguito dal cane, annoiato da quegli stupidi discorsi da umani, e dalle due sorelle, chine e pudiche come suorine,  che trovarono così una via di fuga rapida e indolore. Rimasero Paolo e Veronica, uno più imbarazzato a morte dell’altra.
“Mi metto la giacca.” cedette Veronica fiondandosi a raccattare l’indumento.
“Mi dispiace immensamente” mormorò Paolo affranto “Dante è così… non lo fa per cattiveria, è che gli manca il terreno di coltura, le buone maniere con lui non attecchiscono…”
“Non fa niente” replicò Veronica affannata a mantenere la dignità “Forse ho esagerato io con il look. Non ci avevo fatto caso.”
Fortuna che certe bugie le venivano naturali: con la giacca addosso finalmente le stava passando l’agghiacciante sensazione di essere nuda davanti a tutti, ma ancora le orecchie le bruciavano di cocente umiliazione.
“Sono mortificato…”
“Devo andare” tagliò corto Veronica nel più puro stile Grimilde “La lezione è finita per oggi, no?”
Paolo finalmente alzò la testa per guardarla: i suoi occhi dietro le lenti erano così celesti e mortificati che Veronica si sentì improvvisamente avvolta da un senso di ruvida nostalgia.
“Sei arrabbiata?”
“No.”
Era sincera, ma il mento le tremava. Lo sguardo di Bianchi si fermò proprio lì, sul mento tremante, come catalizzato da quel segno di debolezza.
“Non so come dirtelo, ma mi dispiace davvero.”
“Taglia corto, Bianchi” si ribellò Veronica bruscamente “Se ti scusi ancora sembrerà che provi pena per me e scusa tanto ma Grimilde non vuole la pena di nessuno. Grimilde si veste come le pare, se le va di girare con solo un perizoma d’oro addosso lo fa in barba a quelli che non la notano nemmeno di striscio e a quelli che la notano troppo. Ci siamo capiti?”
Le sembrava un discorso innocente, soprattutto visto i precedenti dove Bianchi aveva dimostrato riguardo all’argomento la sensibilità di un trave di cemento armato.
“Guarda che io avevo notato.” puntualizzò Paolo con la faccia perplessa lasciandola praticamente di sasso.
“Tu hai... mica volevo dire che dovevi notare.” ribatté Veronica ma era arrossita fino a farsi friggere le guance: Paolo le fissava il viso con malcelata meraviglia e Veronica si sentì di punto in bianco ancora più nuda e vulnerabile di quando si parlava della sua scollatura.
“Devo andare!” scattò lanciandosi verso la porta e quasi travolgendo la nonna che era arrivata con un trionfante piatto di lasagne fumanti.
“Non starai mica andando via!” berciò minacciosa la vecchia quando intuì l’ombra di Veronica che la mancava per un pelo “E’ ora di merenda!”
“Merenda con le lasagne… andiamo, nonna…”
“Ma le ho appena fatte! Sono buonissime!”
“Davvero non ho appetito, signora.” mormorò Veronica, ed era vero: aveva lo stomaco in subbuglio, non tanto per il dialogo imbarazzante con Dante, ma per quello sguardo finale di Bianchi, così vicino, così caldo: si sentiva ghiacciata e rovente insieme… in poche parole emozionata! Cosa assolutamente nuova e insolita per lei.
“Sciocchezze” ribatté le nonna col naso per aria “Al massimo per cena ti fai solo un brodino. Tieni, assaggia.”
Le piazzò praticamente in mano il piatto di lasagne e Veronica lo prese come se fosse una bomba a orologeria.
“Nonna, ti prego!”
“Davvero, signora…”
“Un assaggino, dai. Mi offendo se non le mangi.”
Così Veronica diligente ne assaggiò un pezzetto con la punta della forchetta, lì in piedi davanti alla porta, con Paolo che la guardava indeciso se ridere o mortificarsi ancora di più.
“Mmmm, signora, sono deliziose.” lodò ingoiando vivo il boccone come se fosse carta.
“Lo so. Vieni a sederti così le finisci, ti togli la giacca…”
“No!” strillarono in coro Paolo e Veronica: la nonna era cieca come una talpa, ma erano entrambi certi che avrebbe trovato il modo per notare le nudità di Veronica e scomunicarle come eretiche con tanto di crocifisso staccato dalla parete e acqua santa recuperata dal frigo.
“Io… devo davvero andare.”
“Ti accompagno.”
I due si volatilizzarono e la nonna rimase sulla porta spaesata e con il piatto di lasagne in mano.
“Torna presto, cara.” disse all’attaccapanni con un caldo sorriso.
Paolo e Veronica, dopo aver scavalcato il gatto Zigote che si era sdraiato nel bel mezzo del corridoio, aver guadato la diga di bava che aveva creato Biagio contro il battiscopa e essersi chinati sotto il bombardamento di palle di Dante che giocava in salotto, guadagnarono vittoriosi la porta di casa.
“Ci siamo!” sfiatò vittorioso Paolo aggrappandosi alla maniglia.
“Uscire da casa tua è come vincere il triathlon.” commentò Veronica col fiatone e Paolo, del tutto inaspettatamente, scoppiò a ridere: lo fece tanto spontaneamente e di gusto che Veronica rimase impalata a guardarlo. Era così carino quando rideva: aveva denti bianchi e forti, fossette dovunque e occhi ancora più turchini e scintillanti del cielo di giugno.
“Scusa” sbuffò Paolo quando riuscì a contenersi “Deve essere un riso isterico: prima Dante, poi la nonna, poi il triathlon… sto morendo di imbarazzo.”
“Si, è imbarazzante” ammise Veronica sinceramente “Ma c’è anche un suo lato divertente che non va sottovalutato.”
Si scambiarono uno sguardo: il primo alla pari della loro esistenza. Il cuore di Veronica prese a battere rapido e leggero come quello di un uccellino spaventato.
“Scusa” disse Paolo in tono franco e diretto “Siamo definitivamente una famiglia di matti. Dobbiamo proprio sembrarti surreali.”
“Come un quadro di Dalì.” buttò lì Veronica dopo averci pensato un po’ su: che diamine, era giunto il momento di sfruttare un po’ le conoscenze di Gladi a suo favore, no?
“Lo conosci?” domandò Paolo con un lampo di interesse negli occhi.
“Non tanto. Preferisco cose meno inquietanti e più rilassanti.”
“Non saprei proprio come rendere questa gabbia di psicotici un ambiente rilassante, ma farò di tutto perché lo sia, la prossima volta… se mi concederai una prossima volta.”
Veronica deglutì: aveva proprio detto così, “se mi concederai”; Paolo intendeva sicuramente parlare in senso accademico e ci teneva a non perdere i profumati introiti delle lezioni, ma per una volta si concesse di essere ottimista.
“Beh, tua nonna potrebbe preparare il brodo.” rispose con un sorriso radioso.
Paolo rimase per un attimo imbambolato a guardarla, poi le sorrise di rimando.
“Addestrerò Biagio affinché ti faccia un ottimo massaggio plantare.”
“Non so se servirà.” meditò pensierosa: stava valutando che per evitare altre scene imbarazzanti avrebbe rimesso piede lì dentro solo indossando burqua e tute da palombaro.
“Allora ci vediamo dopodomani?”
“Va bene.”
Era sulla soglia quando Paolo sembrò volerle dire qualcosa di importante.
“Veronica!”
Col cuore in gola lei si girò cercando di mantenere la calma.
“Si?”
“Porta i miei saluti a Gladi.”
Ma certo, Gladi. Come dimenticarla… sempre tra i piedi anche nei momenti meno opportuni. Maledetta segretaria ipotetica. Lei, che con la su ipotetica gonnellina sopra il ginocchio, i suoi ipotetici occhiali da segretaria, i suoi ipotetici maglioncini, non avrebbe di sicuro mai offeso la pubblica morale mostrando le poppe in pubblico.
“Non mancherò. Buona giornata.”
Un ultimo gelido sguardo e quasi fuggì via, inseguita dal rumore dei rimbalzi gioiosi della palla di Dante sul pavimento di casa Bianchi.
*          *          *
Veronica non fu minimamente stupita di trovare Tebaldo appollaiato su una poltrona in veranda. Nemmeno lo salutò: sbatté la borsa per terra e si buttò a braccia incrociate sulla poltrona di fronte, sfoderando un formidabile muso lungo.
“Oh, come siamo cupe, oggi” la blandì Tebaldo di ottimo umore “Non hai trovato nessun agnellino da dissanguare, Grimilde?”
Veronica neanche gli rispose: si limitò a rimuginare tra sé e sé finché le parole quasi non le scapparono di bocca.
“Voglio sapere cos’ho che non va.”
Tebaldo non provò nemmeno a stupirsi: si accomodò sulla poltrona e finse di impugnare fantomatici penna e taccuino.
“Mi dica tutto, paziente psichiatrica numero 187: intende dire cosa non va a livello conscio, inconscio, subconscio o scosciato?”
“Intendo dire a livello sessuale” sputò fuori Veronica, arrossendo leggermente “Cioè, mi vedi? Ho messo i jeans attillati che mi fanno il sedere alto; ho usato il trasparente vedo non vedo e la lingerie di Cacharel che mi esalta il decolté; sono stata perfettamente carina e sexy. Non gliel’ho servita su un piatto d’argento, perché cavolo, siamo pur sempre Veronica Scarlini della Torre e Paolo Bianchi, ma sono assolutamente certa di essere stata… accessibile, sì, ecco. Accessibile. Persino suo fratello handicappato ha fatto un elogio pubblico alle mie tette, pur essendo cieco come una talpa e perennemente concentrato sulla sua dannatissima palla. E lui? Niente. Un merluzzo con l’occhio vitreo.”
“Che razza di cafone” chiocciò Tebaldo con gli occhi scintillanti “Beh, cuore mio, io non vedo proprio niente che non possa piacere a un maschio. Sei molto attraente e ti sai sicuramente valorizzare nel modo migliore. Forse sei solo un po’ freddina.”
“Freddina?” domandò Veronica stupita.
“Sì, un po’ algida, distante. Inavvicinabile. E’ una caratteristica che fa parte di te e personalmente, come ben ricorderai, la trovo estremamente seducente, ma non tutti sono affascinati come me dalle cose difficili.”
L’attenzione di Veronica si concentrò su una delle cose che aveva detto Tebaldo con estrema leggerezza.
“In che senso come ben ricorderai? Tu non mi hai mai dimostrato particolare interesse. Per tutto il tempo che siamo stati insieme eri talmente concentrato su di te che nemmeno ti accorgevi che esistevo. Nemmeno se ero vestita Prada.”
“A dire il vero, Grimilde carissima, a me sembrava che fossi tu a essere troppo impegnata nel fare shopping per concedermi qualche minuto del tuo prezioso tempo.”
Veronica si morse la lingua per non continuare quel discorso: erano stati proprio quel genere di litigi a portarli a dividersi. Posto che fossero mai stati uniti: con Tebaldo non si era mai sentita in vera sintonia. Mai fino a quel momento, almeno.
“Tornando al mio incontro con Bianchi?”
“Magari c’è stato qualcosa nel tuo minuzioso piano di seduzione del plebeo che non ha funzionato.”
Veronica si alzò in piedi di scatto, mettendosi ritta di fronte a lui.
“Esatto. Ma cosa?”
Tebaldo le lanciò una rapida occhiata.
“Apparentemente sembra che non ci sia niente che non va.” disse con leggerezza distogliendo lo sguardo.
“Tebaldo, sei un maschio. Guardami bene, per favore.”
Tebaldo la guardò bene: i suoi occhi verdognoli la squadrarono partendo dai piedi, risalendo lungo le gambe snelle, i fianchi, le braccia, il collo, il seno. Veronica non aveva mai sperimentato con tanta vulnerabilità quanto quegli occhi sapessero essere indecenti e allusivi: si ritrovò ad arrossire furiosamente sentendosi quasi nuda col suo reggiseno a vista e i jeans attillati. Nuda, impudica e improvvisamente, inopportunamente eccitata.
“Ok, adesso ti ho guardata.” mormorò alla fine Tebaldo con voce vellutata fissandola negli occhi: le sue iridi erano fuoco liquido, estremamente pericoloso. Veronica si trattenne a stendo dal desiderio di deglutire o di coprirsi il petto con le mani o di scappare via a gambe levate.
“Ok” fece con la gola arida come il deserto “Quindi? Sono proprio così freddina? Dopotutto sono pur sempre Grimilde. Non posso trasformarmi in una ballerina di lap dance in quattro e quattr’otto.”
“Non ce n’è bisogno: si riesce ad essere molto sexy anche senza diventare per forza volgari o terricoli.”
“Non vedo come.”
“Guarda me: non sembro freddo e distaccato?”
Veronica percepì odore di pericolo imminente, ma non riuscì a trovare nessuna scappatoia plausibile per uscire da quella situazione indenne.
“Abbastanza.” rispose prudentemente.
“Eppure, quando voglio so come apparire diverso.”
“Diverso in che senso?”
Era una domanda che non doveva fare, ma lo sguardo di Tebaldo inchiodato su di lei la faceva straparlare senza pensare.
“Diverso in senso interessante. E/o interessato.” rispose lui amabilmente.
“Tu come faresti?”
Altra terribile domanda da non fare: Tebaldo si alzò in piedi lentamente con le movenze di un predatore felino, senza staccare gli occhi dai suoi.
“Come farei? Avvicinandomi piano piano.” disse con quella sua voce ricca di velluto.
Si era avvicinato davvero fino a sfiorarla, ignorando il limite naturale della decenza con arrogante sicurezza: Veronica fu costretta a sollevare il viso per seguire il suo sguardo che, da così vicino, risultava letteralmente devastante e magnetico.
“E poi…”
Sempre con frustrante lentezza, Tebaldo sollevò una mano e con la punta dell’anulare sfiorò la guancia di Veronica, marchiandola a fuoco.
“… toccando appena” continuo con voce quasi rauca “Ma facendo capire quanto sarebbe più bello stringere fino a togliere il fiato…”
L’altra mano andò a circondarle la vita, garbata ma decisa: Veronica dovette attingere a riserve segrete di autocontrollo per non scappare via, o molto più probabilmente, liquefarsi sotto il suo tocco.
“Guardando dritto negli occhi e facendo capire quanto quello che sto guardando… respirando… toccando… sia la cosa più desiderabile del mondo.”
Era a un soffio dal suo viso e Veronica dovette ammettere che quel qualcosa che le aveva d’improvviso riempito il petto fino a traboccare, era il semplice, elementare desiderio di baciarlo. Baciare Tebaldo: esattamente quello che lui aveva pianificato, con quella piccola messinscena. E lei ci aveva messo meno di tre secondi a cadere ai suoi piedi come una pera qualunque. Un record degno di stecchetto Colombi, che almeno ci stava mettendo qualche settimana a soccombere. Il suo sguardo diventò adamantino.
“Non ricordo che tu mi abbia mai guardata n questo modo” riuscì a dire con voce secca “Si vede che non sono mai stata per te la cosa più desiderabile del mondo.”
La mano di Tebaldo cadde immediatamente lungo il fianco: per un secondo, prima che si allontanasse d’un passo, sembrò che i liquidi occhi verdi diventassero incandescenti, poi ripresero la fredda patina sardonica di sempre.
“Grimi carissima” sospirò fintamente affranto “Questo tono non è da usare mai e poi mai durante un atto di seduzione: smonterebbe anche un toro preparato per la monta!”
Con la distanza di sicurezza ripristinata, Veronica recuperò anche un po’ di autocontrollo, pur continuando a sentire nel petto qualcosa di pesante come un macigno.
“Scusa” rispose con alterigia “Non avevo capito che fossimo nel bel mezzo di una lezione didattica sul rimorchio. Mi sembrava di non essere così penosa da necessitare di questo, né che tu fossi abbastanza esperto per la parte del maestro.”
Tebaldo sbatté appena le ciglia senza che il solito sorriso da schiaffi si smorzasse sul suo viso.
“Non so se hai bisogno di lezioni di rimorchio o no” rispose poi lentamente, con voce appena più dura “Dove invece puoi essere sicura di aver raggiunto un imbattibile primato è nell’essere la sola, indiscussa regina degli stronzi. I miei complimenti, Grimilde, sono davvero ammirato.”
Girò i tacchi e se ne andò, lasciando Veronica inspiegabilmente con le orecchie roventi, le mani ghiacciate, la testa leggera e il cuore pesante come un macigno.
*          *          *
Paolo Bianchi era sempre più perplesso. A scuola Grimilde era arrivata algida e indifferente come al solito, come se quel mento tremante e indifeso che l’aveva sconvolto il giorno prima non fosse mai esistito. Non lo aveva degnato nemmeno di mezzo sguardo: se ne stava al suo solito posto sul trono, indossando con altera nonchalance una camicia impudica e trasparente sorella di quella del giorno prima, come a volergli sbattere in faccia che le opinioni della sua famiglia troglodita e medievale non scalfivano minimamente il suo gusto nel vestire. Il che denotava un’apprezzabile sicurezza di sé, pensava Bianchi con riottosa ammirazione osservando le sue nobili spalle. Aveva davanti agli occhi i due opposti, il mento tremante di Veronica e lo sguardo freddo di Grimilde. Uno sguardo lungo tredici anni: non potevano certo bastare due frittelle e quattro parole decentemente cortesi per fargli cambiare idea su di lei. Continuava a pensare che starle vicino fosse pericoloso e deleterio per la sua salute, fisica e mentale. In fondo in fondo però, ben nascosto da anni di poca autostima, c’era l’assurda sensazione che qualcosa nell’atteggiamento di Grimilde nei suoi confronti fosse cambiato. Se non fosse stato completamente assurdo pensarlo, si sarebbe potuto anche supporre che lei… ma no, impossibile. Fantascientifico. Inverosimile.
Eppure… Si era permesso di osservarla di sottecchi: sempre altezzosa come un’imperatrice con lo scettro in mano, sempre tiratissima e griffatissima… ma da qualche giorno tutto quello era, come dire, un po’ meno del solito. Sembrava più accessibile, più vera. O forse era solo l’effetto Gladi?
“Ultimamente i tuoi capelli sono così… naturali” aveva cinguettato persino Maria Beatrice, non senza una punta di sconcerto “Hai cambiato parrucchiere?”
“Si.” aveva risposto Veronica vagamente assente.
Paolo aveva osservato la dritta linea della schiena, il profilo ben delineato, la curva arrogante del seno… beh, bella era bella, doveva ammetterlo. Il giorno prima quando era entrata in casa con quella camicetta scandalosa,  aveva iniziato a sudare come un maiale allo spiedo e aveva dovuto pensare come un forsennato a interminabili partite di calcio per distrarsi e non far cadere l’occhio sulla scollatura. Non sarebbe stato professionale e lei sembrava così noncurante… così fredda, come al solito. Ci aveva pensato Dante a fargli fare comunque l’ennesima figura meschina per l’ennesima volta. Per un attimo persino Grimilde era arrossita: e in quell’attimo di vulnerabilità non gli era mai apparsa così bella. L’aveva sempre guardata come si guarda una copertina di moda, senza grande coinvolgimento emotivo, e per quanto ci provasse a dirsi che in realtà era una ragazza in carne e ossa, continuava a vederla come se li separasse un’ombra plastificata. Come se fosse avvolta dal cellophane. Ma non in quel momento, con le guance rosa e gli occhi molto verdi e molto lucidi.
“Come sta il tuo cane?” aveva cambiato discorso Maria Vittoria, ignara delle elucubrazioni mentali di Paolo Bianchi, invisibile alle sue spalle.
“Oh. Bene.” aveva risposto Veronica sempre con quel tono di voce piatto.
“E il cane spagnolo di Tebaldo, è ancora con te?”
Con la coda dell’occhio, Veronica si era accorta che Paolo Bianchi aveva rizzato improvvisamente la testa: sapeva che lui la stava guardando da un pezzo ed era spossata dallo sforzo di non ricambiarlo.
“Sancho non è spagnolo” aveva risposto appena più interessata “E sì, è ancora a casa mia.”
“E Tebaldo lo viene a trovare?” aveva chiesto Maria Lucrezia speranzosa: già si vedeva il suo cervellino che elaborava complicati piani per introdursi in casa Scarlini durante queste ipotetiche visite.
“No” aveva mentito Veronica “Tebaldo ha altri interessi, attualmente.”
“Quali interessi?”
“Ragazze?”
“Pensa di comprare un gatto?”
Sommersa dal terzo grado delle tre Marie, Veronica si era appena accorta di Paolo Bianchi che usciva dall’aula con sorprendete decisione e rapidità.
*          *          *
Tebaldo di tutto si aspettava, fuorché trovarsi in un corridoio solitario faccia a faccia con Paolo Bianchi in persona. Per lui era cosa abbastanza normale farsi lunghe, rilassanti passeggiate lungo i corridoi della scuola, durante le ore di lezione: a volte incontrava altri sfaccendati riccastri come lui intenti a tediarsi oltre ogni dire, ma più spesso se ne stava per conto suo a rimuginare su chissà quali piani.
“Ciao?” lo apostrofò con voce acuta Paolo quando se lo trovò davanti: forse non si aspettava di incontrarlo, pur avendo tutta l’aria di stare cercando proprio lui. Tebaldo segretamente ne apprezzò l’inusuale coraggio.
“Buongiorno a voi” rispose amabilmente dall’alto della propria alterigia “Stavate cercando qualcuno?”
“S-no, certo, io, cioè… volevo dirti grazie per la racchetta dell’altro giorno?”
Al tono interrogativo, Tebaldo inarcò il sopracciglio.
“Che ti devo rispondere? Non è necessario, ma sarebbe di sicuro un segno di buona educazione, quindi se vuoi iniziare a raffinarti nei modi, puoi senz’altro ringraziarmi.”
“Sì, beh, cioè, allora grazie?”
“Ehm… Prego?”
“Io volevo anche, beh, uhm, ecco…”
C’era puzza di Grimilde nell’aria, valutò Tebaldo con improvviso interesse.
“Coraggio buonuomo, dopo aver usato la stessa racchetta possiamo di certo condividere un pensiero, se non la stessa biancheria intima.”
“C…come? Che b… biancheria?”
“Lasciamo perdere le cose difficili, Bianchi. Avanti, cosa sconvolge il tuo nobile animo?”
“B-beh, ecco, mi è sembrato di capire che tu… ehm, che tu abbia un cane.”
Per la seconda volta in quel giorno, il plebeo Bianchi riuscì a sorprendere lo scafato Re Tebaldo.
“Sancho?” chiese automaticamente “Beh, si, in effetti è più o meno ufficialmente il mio cane.”
Lo sguardo di Bianchi smise di essere sfuggente per piantarsi negli occhi verdognoli di Tebaldo.
“Ah.” disse senza l’ombra di un punto interrogativo.
Tebaldo era indeciso se irritarsi o rimanere divertito.
“Un giorno mi spiegherete perché l’idea che io abbia un cane vi sconvolge così tanto.” sbuffò infine.
“Perché chi è che è sconvolto?”
Tebaldo ci pensò su un attimo.
“La dolce Gladi, la segretaria di mia cugina Veronica.”
Stranamente, il viso di Paolo rimase imperscrutabile.
“Gladi non approva?”
“Gladi pensa che io sia troppo egoista per occuparmi di un altro essere vivente. E’ tanto buona, la cara Gladi.”
“Le sue cure procedono?”
Tebaldo sbatté le ciglia, ma rimase perfettamente rilassato.
“Cure?”
“Per la sua malattia della pelle.”
“Oh, quella… è quasi in via di guarigione. Vedo che però la salute della dolce Gladi ti interessa parecchio. C’è qualche interesse romantico di fondo?”
Finalmente, Paolo si decise ad arrossire.
“Non può esserci interesse se non l’ho mai incontrata.” tentennò prudentemente.
“E che ci vuole? E’ sempre a casa di Veronica.”
“Già. E io sono un noto frequentatore di quella casa.”
Il plebeo sapeva persino fare dell’ironia, meditò Tebaldo ammirato.
“Vediamo… potresti andare a trovare il mio cane, visto che ti interessa così tanto. E’ attualmente parcheggiato da lei… volevo dire, è amorevolmente accudito nei pressi del suo giardino.”
Qualcosa si accese negli occhi di Bianchi, ma chissà perché non sembrava tutta roba buona.
“Sarebbe bello” disse con voce neutra “Ci saresti anche tu?”
Tebaldo sorrise divertito.
“Non pensavo avessi bisogno di una chaperon, ma devo ammettere che non mi perderei per niente al mondo l’incontro fra te e la dolce Gladi.”
“Potrei portare anche una mia amica? E’ tanto affezionata a Sancho. Forse la conosci, si chiama Serena.”
La faccia di bronzo di Tebaldo non ebbe nemmeno mezzo fremito.
“Serena? Che nome deliziosamente borghese. No, non la conosco. Dovrei?”
Aveva parlato con la sua solita sicura arroganza, ma lo stesso la faccia di Bianchi denotava scetticismo e delusione.
“No, non dovresti” rispose con voce atona “Allora, oggi pomeriggio?”
La repentina trasformazione del plebeo in pensieroso ospite di villa Scarlini avrebbe dovuto insospettire Tebaldo, il quale però si lasciò tentare dalla sublime visione di Veronica intenta a trovare una via di fuga per la povera Gladi. L’eventuale presenza di stecchetto Colombi sarebbe stata in qualche modo un problema? Supponeva di no, almeno per quanto lo riguardava.
“Oggi pomeriggio” concesse regalmente “Porta pure chi vuoi, parentado e vecchi amici. Lucida bene i tuoi fondi di bicchiere, o ti perderai un bello spettacolo.”
  
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