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Autore: dawnraptor    18/03/2006    2 recensioni
Una donna, un uomo, un piedistallo, un piede in fallo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tutù e la ballerina

Il tutù e la ballerina

 

Iaia è una donna semplice, come tante altre. Quarant’anni suonati, come tante, dieci chili di troppo, come tante, una vita all’insegna del lavoro e della famiglia, della ripetitività e della monotonia, come tante.

E come tante, Iaia scrive. Poesie, tante poesie, che sono sempre state così, come gliele portava il vento, l’aria capricciosa che a volte le scherzava intorno alla testa cercando di farle dimenticare la noia. Finché girando senza meta sul web è capitata sul sito di lui, anzi di LUI, perché le sue liriche l’hanno colpita come solo la mano di una divinità sa fare… Solo una persona squisita potrebbe scrivere in modo così divino, profondo e delicato, e lo si capisce anche dalle fotografie pubblicate sul sito, che ritraggono un uomo nel fiore degli anni, bruno, dall’aria paterna e cordiale.

Se le è copiate tutte quelle poesie, e le rilegge ad alta voce senza mai stancarsi di assaporare i suoni, senza mai finire di cercarvi nuovi significati, nuove chiavi di lettura. Naturalmente, alla fine di ogni percorso trova che praticamente tutte le poesie sembrano scritte apposta per lei, come se solo LUI avesse saputo cogliere, da distante, e senza neppure sapere della sua esistenza, i suoi dolori, i suoi bisogni, le sue speranze, insomma la sua intima essenza. L’anima, sì.

C’è da stupirsi se da allora i versi di Iaia hanno cambiato stile? Certo, naturalmente senza giungere all’inarrivabile perfezione di LUI, che nella sua mente è diventato il Maestro. Oh, sì, come desidererebbe poter diventare, anche per poco, una sua allieva! Poter studiare, capire, imparare ad essere una scrittrice migliore! Poter attingere anche una volta sola dalla fonte della sua sapienza, crescere nutrendosi della sua ombra, essere finalmente soddisfatta dei suoi versi, così imprecisi, così meschini! Ma LUI abita lontano, e il sogno resta tale, finché un concorso di poesia  non lo vede membro della giuria proprio lì, nella sua città.

C’è qualcuno disposto a credere che Iaia non partecipi a quel concorso? Lei, sempre così restia a far leggere le sue cose, così pudica, vergognosa, all’idea che il foglio su cui ha scritto le sue parole sarà preso, toccato, letto e giudicato dal suo idolo, va in fibrillazione già da mesi. E la serata della premiazione non la vede fra il pubblico in prima fila solo perché quei posti sono riservati alle autorità. Quei manichini vanesi che sono lì solo per non perdere l’occasione di farsi pubblicità gloriandosi della manifestazione mentre fingono di ringraziare questo e quell’altro… dissacratori del sacro fuoco della poesia! Ma anche dalla terza fila si vede benissimo il tavolo della giuria, e Iaia ha parecchio tempo per bearsi della celeste visione del suo idolo. Quasi non le importa di non essere nemmeno menzionata fra i tanti vincitori di questa o quell’altra sezione, di questo o quel premio speciale. Non se lo aspetta,  sa bene come va il mondo, e che i vincitori di certi concorsi sono scritti in partenza. Tutti devono adeguarsi, anche se naturalmente LUI l’avrà fatto a malincuore.

Lei sa, naturalmente, cosa deve fare adesso, e cioè fargli la posta quando esce. Le uscite dal teatro sono solo due, se non esce dalla principale passerà dal retro, e si tratta solo di avere pazienza e seguirlo quando tornerà al suo albergo.

Ombra fra le ombre della notte, Iaia non crede alla sua fortuna: di tutti gli alberghi in cui avrebbe potuto alloggiare, LUI sta proprio in quello a fianco del teatro. Non ha dovuto nemmeno prendere lo scooter per gettarsi all’inseguimento, le è bastato affrettare un po’ il passo per arrivargli alle spalle e trovare il coraggio di mormorare un timido -Maestro?-

LUI si ferma, si volta, la vede. Il suo sorriso da vicino è anche meglio che in fotografia. -Mi dica- le risponde, cortese.

-Ecco, Maestro… io sono una sua grandissima ammiratrice…-

-Troppo buona- l’interrompe LUI, con un altro sorriso.

-E insomma, so che mi giudicherà sfacciata…-

-Ma no, dica, dica.- l’esorta sempre più affabile.

-Vede, io scrivo da tanto tempo e mi domandavo se volesse… se potesse… insomma, sarei onoratissima se volesse leggere alcune mie cose.- sbotta Iaia velocissima pensando “adesso o mai più”.

-Ma volentieri! Venga, signora.- E con un ampio gesto le fa cenno di seguirla mentre entra nell’albergo. Salgono due rampe di scale e LUI apre la porta, facendosi poi da parte per farla entrare.

Iaia nemmeno vede com’è arredata la stanza. Il tappeto azzurro su cui cammina potrebbe essere addirittura una nuvola, per quel che la riguarda. Sta camminando sulle nuvole, infatti. Il suo Maestro, ormai è il suo Maestro, leggerà le sue poesie, la consiglierà, saprà tirare fuori da lei tutto il meglio, quello che ancora non è riuscita a far uscire dal suo profondo. Potrà finalmente trovare uno sbocco onorevole al fuoco che la consuma, che non riesce mai a tradurre in parole degne, alate come le sue…

Intanto l’uomo ha chiuso la porta ed è passato improvvisamente al tu:

-Spero non ti dispiacerà, ma in genere a queste occasioni faccio assistere anche il mio fratellino.-

Il sorriso di Iaia fa capire che no, non le importa, fosse anche un prozio. Ma non capisce, no, non capisce perché il suo Maestro si stia slacciando la cintura e poi abbassi i pantaloni.

-Allora, siccome il mio fratellino è più basso di me, sarà meglio che ti inginocchi e gli parli molto da vicino, altrimenti non sente.-

Quand’è successo che il suo sorriso affabile è diventato un ghigno derisorio? E com’è possibile che il tappeto, così morbido da sembrare una nuvola, sia diventato improvvisamente una distesa di cemento viscoso, che sembra voler impedire ai suoi piedi di girarsi e portarla via di lì? Il cielo azzurro in cui galleggiava è diventato una cappa soffocante, che la seppellisce sotto tutte le sue macerie…

Pesano tonnellate, le sue scarpe, mentre lentamente apre la porta e, senza una parola, se ne va. Trascinandosi stancamente, percorre il breve corridoio e arriva alle scale.

Sul primo scalino sente un po’ del peso che la opprime abbandonarla. E così sul secondo, e sul terzo. Man mano che scende si sente sempre più leggera, più leggera, mentre saltella di gradino in gradino allontanandosi per sempre da quell’ingombrante presenza che le aveva rubato la gioia di scrivere, di vivere. Quasi le spiace che la scalinata sia così breve, così breve. Vorrebbe continuare a scendere in punta di piedi all’infinito, per potersi sentire sempre più lieve e diafana, una fiamma danzante sulle scale di un sogno. Continua a scendere allegramente e intanto fruga nella borsa tirandone fuori i fogli con i suoi versi. Ridendo, li lancia per aria e si precipita per gli ultimi scalini, felice. Una piroetta, ed è fuori.

Si volta, a guardare per l’ultima volta il suo abito di scena, in pezzi, sul pavimento dell’atrio. Non ne ha più bisogno. Con un gesto sprezzante della mano, si getta di corsa sul marciapiede, verso casa. Ora può tornare a danzare.

 

  
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