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Autore: Roxanne Potter    12/07/2011    4 recensioni
Breve one-shot sulla cattura di una ragazza del diciassettesimo secolo, accusata di stregoneria e condannata a morte.
Nella soffitta rimbombano i passi degli uomini che mi stanno cercando, le loro voci conciate.
Li odo spostare le sedie, gli scatoloni e le altre cianfrusaglie. Sono sicura che presto mi troveranno. E allora, non saprò cosa fare.
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Condannata a morte.


Mi rannicchio contro il muro, il viso bagnato dalle lacrime, le mani strette sulla stoffa della gonna. Chiudo gli occhi, sperando che questo mobile possa nascondermi.
Nella soffitta rimbombano i passi degli uomini che mi stanno cercando, le loro voci conciate.
Li odo spostare le sedie, gli scatoloni e le altre cianfrusaglie. Sono sicura che presto mi troveranno. E allora, non saprò cosa fare.
-Da questa parte... forse è qui dietro.
La voce che mi arriva alle orecchie è vicinissima.
Inizio a tremare, il mio cuore perde qualche battito. Capisco di non avere scampo non appena vedo l'alto cassettone davanti a me spostarsi, e distinguo alcune figure.
Mi alzo e corro, cercando di scostarli. Il mio braccio scatta verso il viso dell'uomo davanti a me e riesco perfino a colpirlo. Ma prima che possa tornare a correre, mi afferrano le braccia e mi strattonano.
-Lasciatemi!
-Zitta, strega.
Mi divincolo, scalcio, ma riesco appena a sfiorarli. Mi stringono le braccia con tanta forza da farmi male. Sferro un altro calcio, che va a vuoto. Il cuore mi batte come un cavallo impazzito mentre loro mi trascinano verso l'uscita della soffitta.
-Lasciatemi stare! Io non ho fatto niente!
-Ti ho detto di fare silenzio, strega. Il tuo demonio stavolta non farà nulla per te.
-Quale demonio? Io non sono al servizio di nessun demonio! Non sono una strega, non so nulla del diavolo perché non esiste. È solo la vostra distorta convinzione, una superstizione sciocca! Non sono una strega.
-Smettila.- sibila uno degli uomini. -Abbiamo prove contro di te. Non ci faremo ingannare dai tuoi malefici. Verrai condannata a morte.
Condannata a morte.
Così come, nell'inverno di qualche anno prima, hanno condannato la vecchia Elizabeth, e mandato al rogo quella timida ragazza che abitava ai margini del villaggio. Quei visi sofferenti e i corpi arsi dal fuoco avevano popolato i miei incubi per giorni.
-Ma io non ho fatto nulla! Non avete prove! Non ho mai creduto al diavolo, non...
So benissimo che è inutile urlare e tentare di giustificarmi. Vengo zittita da un colpo alla spalla, che lacera in parte la stoffa dell'abito. Il dolore pulsa e inizia a diffondersi sulla schiena.
-Non aprire più bocca e non muoverti.
Le lacrime quasi mi offuscano la vista. Sbatto le palpebre per scacciarle e distinguo le due figure in piedi, appena fuori dalla porta della soffitta : i miei genitori.
Mio padre ha un'espressione abbattuta, mi guarda con rassegnazione. Ma è lo sguardo di mia madre a colpirmi e a farmi male, come se mi trafiggesse il cuore.
Due occhi scuri totalmente pieni di odio e rancore, puramente rabbiosi, che mi fissano persino con una punta di disgusto. Nessuna traccia di affetto materno, di compassione, di dispiacere.
Solo odio.
Odio verso quella figlia che è sempre stata diversa. Quella nata con i capelli rossi e che aveva rischiato di farla morire durante il parto, quella che aveva insistito con il padre per imparare a leggere, quella che esprimeva ad alta voce il desiderio di vedere il mondo fuori dal villaggio, quella che passava il tempo all'aria aperta.
Non parlo più, solo lacrime mi rigano le guance. Gli uomini mi portano fuori dalla soffitta, i miei genitori arretrano per farmi passare.
Lancio a mia madre un ultimo sguardo, ugualmente pieno di odio e risentimento. È solo questo che merita.
Nessuno parla più mentre mi trascinano giù per le scale, verso la piccola cucina, e poi fuori dalla casa. Il silenzio sembra perfetto e ineluttabile.
A parte per un pianto di bambina in lontananza, sicuramente quello di mia sorella Eléne.
   
 
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