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Autore: bice_94    13/07/2011    6 recensioni
la felicità è come una rafflesia, purtroppo
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Farò della mia anima uno scrigno
per la tua anima,
del mio cuore una dimora

per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro

per le tue pene. 
Ti amerò come le praterie amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore

sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come la valle
canta l'eco delle campane;

ascolterò il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta
la storia delle onde.

 

~ Khalil Gibran~
 

 

Aveva dimenticato quanto quel posto potesse essere suggestivo di notte.
Era una serata abbastanza calda, l’erba iniziava a bagnarsi con leggerissime gocce di rugiada, le luci dei lampioni erano riflesse sull’acqua appena increspata del laghetto e in lontananza solo il continuo gracidare delle rane.
Il buio avvolgeva quello stretto percorso e ad ogni passo il cuore sembrava accelerare per l’emozione .
Castle se ne stava appoggiata al malandato steccato attorno al laghetto.
Osservare i lenti movimenti dell’acqua di notte era sempre stato qualcosa d’incantevole.
Da bambino immaginava che in quei rifessi si nascondessero degli esseri fantastici, fate meravigliose e draghi dalle ali gigantesche.
Anche da adulto, lasciava che la sua mente volasse lontano dalla realtà, godendo per quell’attimo di assoluta pace.
Quella sera, però, nemmeno quel laghetto poteva liberarlo dai suoi pensieri.
Sentiva il cuore gridargli in petto, felice di poter rivedere la sua musa e la mente che urlava per ricordargli la stupidità di tutto questo.
Quando Beckett arrivò, Castle era perso nei suoi pensieri e non fece caso al suo arrivo.
Era una visione meravigliosa e la donna sentì l’irresistibile desiderio di guardarlo, senza disturbarlo.
Sentì il desiderio di rimanere in silenzio, di non dover tirar fuori inutili parole o di non dover indossare nuovamente la sua pesante maschera.
Il silenzio era una coperta calda e premurosa per le loro vite, ma non poteva durare per sempre.
Castle si voltò lentamente e vide la figura di Beckett ancora avvolta dal buio.
Un sorriso comparve spontaneamente sul volto dell’uomo, sentendosi inspiegabilmente leggero e privo di qualsiasi bisogno.
Completo.
La detective sentì il suo cuore riscaldarsi e risvegliarsi da quel torpore che ormai lo attanagliava da troppo tempo.
Entrambi iniziarono a camminare per raggiungersi.
Lentamente.
Era per colpa della lontananza?
Del tempo?
Qualunque cosa fosse, non furono mai più felici di potersi perdere nuovamente negli occhi dell’altro.
Cobalto e ambra, cielo e terra, oceano e montagne.
L'opposto e il complementare.
B: sai Castle, non sei cambiato di una virgola.
C: ehy, non sono stato mica io ad andarmene in Africa.
La detective abbassò gli occhi.
Castle sospirò, cercando di mascherare il vero significato di quelle parole.
C: sei tu che devi essere superabbronzata, non io!
Beckett sorrise per quel vano tentativo di recuperare.
B: non puoi nemmeno immaginare quanto mi sia mancata questa città! Non puoi immaginare quanto mi siete mancati tutti voi!
C: fidati, posso immaginare.
Lo scrittore sorrise e allungò una mano, indicando una panchina poco distante.
C: forza vieni. Ho preso il nostro caffè, come ai vecchi tempi. Ora devi raccontarmi tutto. Hai visto i leoni? Le tigri?
Beckett sorrise, felice come non mai di poter essere travolta da quella valanga di domande.
 
Parlarono per quanto?
Forse nemmeno loro se ne resero conto.
Il tempo passò con una velocità quasi crudele.
La detective aveva raccontato la sua estate in Africa, mentre Castle la osservava quasi incantato, interrompendola raramente, cercando di farla sorridere con le sue battute.
Eppure non aveva mai nemmeno sfiorato l’argomento che più li interessava.
C’era quello strato di paura che li spingeva a rimanere in quello stato di ignoranza che li proteggeva.
Ma avevano bisogno di sapere, i loro cuori dovevono ricevere risposta.
Beckett si fermò per un momento e alzò lo sguardo, incatenando i suoi occhi al volto appena illuminato di Castle.
I lineamenti dell’uomo erano stranamente rilassati e quasi splendenti.
Beckett distolse gli occhi.
B: su, basta. Ho parlato solo io. Raccontami qualcosa te. Alexis come sta? Martha?
C: oh, stanno tutte benissimo. Mia madre anche troppo. E non vedono l’ora di rivederti.
B: oh, anche io.
La donna prese a giocare con il bordo della sua maglietta.
B: e Melany?
Eccola qua.
Ecco la domanda a cui entrambi aveva paura a dare una risposta.
Castle abbassò lo sguardo.
C: sta bene. Continua a lavorare all’ospedale e a sopportarmi.
Lo disse quasi sorridendo.
B: oh..
C: e Josh?
Avevano deciso di mettere le carte in tavola.
B: stasera aveva il turno di notte. Molto probabilmente riuscirà ad ottenere un posto fisso qui a New York. E finalmente non dovrà più partire per l’Africa ogni mese.
Castle la osservò, cercando di non far trapelare i suoi sentimenti.
C: non era quello che aspettavi?
Beckett lo guardò.
B: già.
Ed ecco di nuovo il silenzio.
Questa volta però, un silenzio scomodo, pieno di parole che gridavano il loro bisogno di uscire.
Beckett sospirò.
B: Castle, posso farti una domanda?
Lo scrittore annuì debolmente.
B: sei felice?
Quelle parole le erano costate una fatica enorme.
L’uomo alzò gli occhi e fece vagare il suo sguardo verso il laghetto, quasi perdendosi in quei riflessi irregolari, ma pur sempre meravigliosi e poi le sorrise, quasi malinconicamente.
C: ti ho mai detto che adoro i fiori?
La donna lo guardò, incredula, ma Castle non volle farci caso e continuò.
C: sai, la rafflesia è il fiore più grande e più raro del mondo. La felicità è come quel fiore. È talmente rara da trovare che molto spesso ci si ferma prima di iniziare a cercarla. Io ci ho provato, ma non sono stato fortunato. Così mi sono fermata alla rosa. È bellissima, incredibile, di un profumo incantevole. Io la amo, ma non potrà mai essere come una rafflesia. Mi capisci Kate?
Beckett lo fissò per un momento.
Era rimasta senza parole, ma una lacrima le solcò la guancia.
B: dove abbiamo sbagliato Rick?
I suoi occhi erano profondi come forse non lo erano mai stati.
Castle alzò la mano e le accarezzò gentilmente la guancia, offrendole un sorriso appena accennato.
C: non siamo mai stati troppo bravi con i tempi.
Sapevano entrambi che non avrebbero potuto recuperare ciò che volontariamente avevano distrutto.
Era doloroso sapersi così vicini e così inesorabilmente lontani.
No, era il momento di lasciare che la vita continuasse.
Era il momento di lasciare che la reciproca mancanza colmasse il loro eterno cercarsi.
Così lo scrittore si abbassò, fino a sfiorare a fior di labbra la guancia della detective.
C: buona fortuna Kate. Spero che almeno tu riesca a trovare la tua rafflesia.
La donna gli strinse per un momento la mano, ma presto sentì di doverla lasciar andare, continuando ad osservare la figura di Castle che scompariva dietro le ombre della notte.
B: l’avevo già trovata Castle.
E d’improvviso anche la più effimera speranza si consuma e lascia il posto alla terribile certezza che i loro cuori saranno un’unica cosa, inscindibile.
Due corpi per un unico cuore, per un unico amore.
Nato e mai vissuto.
Serenamente immortale. 

   
 
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