Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Ricorda la storia  |       
Autore: Layla    13/07/2011    5 recensioni
Vi siete mai chiesti come se la caverebbe Tom Kaulitz in una vita da fantasma?
"La sua camera era in disordine, sembrava ci fosse passato un uragano, cosa diavolo stava succedendo?
Lo urlò a pieni polmoni dopo avere sistemato tutto, aspettandosi assurdamente una risposta e la cosa ancora più incredibile fu che la ricevette.
“Ho deciso di dare un tocco personale alla tua camera, Rebecca!”
“Chi cazzo sei?”
“Non ha importanza!”
“Si Che ne ha! Sei una cazzo di allucinazione che mi rende la vita impossibile, abbi almeno la decenza di farti vedere! Voglio vedere chi diavolo mi sta facendo impazzire!”
Era ansante, con suo immenso disappunto la voce ridacchiò poi qualcosa iniziò a prendere forma nella camera, delle sembianze umane iniziarono a farsi visibili e sempre più riconoscibili.
Per la seconda volta si ritrovò ad urlare nella stanza apparentemente vuota."
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei componenti Tokio Hotel, nè offendere il gruppo o i suoi componenti singoli in alcun modo'

1 ) La pigrizia non sempre paga

 

Lo sapeva che non avrebbe dovuto venire in quel posto, se lo ripeteva come un mantra, mentre malediva il pullman in ritardo e il piovoso clima inglese e soprattutto se stessa.
Come aveva fatto a dimenticare l’ombrello? Non dietro l’angolo, ma nientemeno che in Italia da Anna che a quest’ora stava sicuramente ridendo della sua sbadataggine.
Sbuffò e tirò frustrata un calcio a una lattina, era fradicia, senza nemmeno le sigarette perché quell’arpia di sua madre gliele aveva sequestrate prima di partire e l’aveva fatta arrivare in calcolato ritardo al check-in di modo che non potesse comprarsele in aeroporto.
Sua madre…
Di solito era grata al destino di averle dato una madre inglese e un padre italiano, perché le aveva permesso di sviluppare un bilinguismo che le evitava tranquillamente di studiare una materia, ma non in questo caso.
Becky ora malediva la sua adorabile madre inglese che invece di permetterle di andare in Toscana con Anna e le altre, l’aveva obbligata a diciassette anni suonati a quel campeggio nel Lake District. 
Rebecca”Becky”Sartori era convinta che fosse un’idea malsana, aveva tentato di farlo presente alla donna, ma lei era stata irremovibile, a nulla erano valsi il dialogo da brava ragazza assennata, i pianti isterici,le minacce e qualsiasi strategia.
“Devi migliorare il tuo inglese, Honey! Credi che non mi sia accorta che a scuola dai il minimo?”
Aveva cinguettato sua madre Marianne con quell’accento alla Stanlio e Ollio e i suoi grandi occhi azzurri che non le aveva trasmesso.
Aveva represso il desiderio di mandarla cordialmente all’inferno e si era chiusa in un mutismo assoluto, trascorrendo più tempo possibile a casa di Anna, la sua migliore amica, che si era dimostrata tremendamente saggia e assolutamente non dalla sua parte.
“Dai Beck, vedi il lato positivo, ti spari una vacanza in posto bellissimo e poi è vero che non fai un cazzo in inglese, se ne è accorta persino quella stordita della profe!”
Questo le aveva detto, dopo tutti i sogni fatti su quella vacanza meritata e le speranze che ci avevano riposto.
Alquanto misero, si disse, ma Anna era così saggia e pazza allo stesso tempo, anche se ultimamente, ringraziando Dio e la scomparsa di quei quattro dalla scena musicale, la sua vena di pazzia si era notevolmente attenuata.
Ricordare la sua reazione le fece comunque desiderare con ancora più ferocia una sigaretta o che in alternativa arrivasse il dannato pullman che doveva portarla allo stramaledetto campeggio,che era in ritardo come quelli italiani se non di più.
La calma non era mai stata la sua caratteristica predominante così il suo nervosismo cresceva esponenzialmente a ogni minuto di ritardo in più, aggravato dalla mancanza di sonno, nicotina e caffeina.
“Accidenti! I pullman inglesi non dovrebbero essere puntuali, giusto Cielo?”
Come richiamato dalle sue imprecazioni il mezzo si materializzò dalla curva e finalmente poté caricare a bordo le valigie, Deo gratias.
“Stai attenta, pel di carota! Mi hai pestato un piede!”
Trafisse con un’occhiata assassina la biondina platinata che aveva parlato e a cui aveva sfiorato la punta della All Star bianca con il suo pesante borsone.
“Scusami”
Bofonchiò poco convinta, quella le lanciò un occhiata scrutatrice, stava scannerizzando i suoi lisci capelli rossi con le punte nere, gli occhi scuri contornati da una matita nera ormai colata, la sua maglietta etnica arancione e gialla appiccicata al corpo,i jeans slavati e strappati appesantiti dall’acqua e i suoi anfibi.
Detestava quelle occhiate, le lanciò un’altra occhiataccia giusto per notare che i capelli biondi della tipa erano accuratamente piastrati e che indossava dei pantaloncini bianchi inguinali e una maglia rosa con Hello Kitty stampata sopra.
Fighetta.
Pensò con disgusto, inutile parlarle, fece per andare verso il fondo del pullman, ma quella allungò una gamba in mezzo allo stretto corridoio rischiando di farla cadere, era una dichiarazione di guerra?
“Ehi Paris… stai attenta, mi stavi facendo cadere!”
Ringhiò a bassa voce.
“Almeno ti avrei dato una scusa per cambiarti i vestiti patetici che porti.”
“Io quelli li posso cambiare, tu il tuo cervello senza neuroni non puoi cambiarlo!”
La ragazza la fulminò con un occhiata talmente carica di rabbia repressa da farle sospettare che le sarebbe saltata addosso da un momento all’altro per pestarla.
“Non mi sfidare o te ne pentirai!”
Gli occhi azzurri della ragazza scintillarono pericolosi come quelli di un gatto prima dell’attacco e anche Becky, che non era mai stata fifona, non poté fare altro che rifugiarsi in uno degli ultimi posti, fumante di rabbia.
Mancava ancora unora alla sua fermata e si era già fatta una nemica, che sperava di non vedere più, quella vacanza iniziava malissimo!
“Dai Becky, sei in ballo, balla!
Cerca di concentrarti sul paesaggio rurale, modo educato per definire il nulla più assoluto per kilometri e pensa che quella non la rivedrai più!”
Cercò il lettore mp3 e si infilò le cuffie nelle orecchie, immediatamente partì “Smell like teen spirit” dei Nirvana, ironicamente e inconsapevolmente Kurt Cobain aveva riassunto perfettamente la sua situazione attuale.
Puzzava di adolescenza allo stato puro, a partire dall’obbligo di sua madre a cui lei non poteva opporsi, era troppo giovane per poter decidere in autonomia e troppo grande per accettare serenamente le imposizioni dall’alto.
Si rannicchiò meglio sul sedile e cercò di schiacciare un pisolino, sperando di recuperare almeno un po’ del sonno perduto.
Un’ora più tardi e senza essere riuscita a dormire per nemmeno mezzo minuto lei e la bionda scendevano alla stessa fermata, con i loro bagagli e scambiandosi occhiate in cagnesco.
-Ma perché anche lei qui?-
“Non dirmi che anche tu alloggerai qui?”
“Purtroppo per te si.”Ghignò Hello Kitty.
Si avviarono verso il grande arco in ferro battuto dell’entrata sotto la pioggia battente, guardò con disgusto le casette ordinate che costituivano i bungalow del campeggio, erano troppo dannatamente simili alle descrizioni dei libri dell’orrore per ragazzi americani che leggeva da piccola per piacerle veramente, poi individuò nell’edificio più grande la direzione.
Lei e la bionda si mossero nello stesso momento insieme alle valigie verso la costruzione e varcarono insieme la porta finendo ovviamente per incastrarsi.
Tentarono di divincolarsi, non ci riuscirono perché una voleva prevalere sull’altra nella lotta per entrare per prima così ripresero a litigare dando spettacolo, finché un uomo corpulento sulla cinquantina venne a placare gli animi.
“Cosa succede qui?
Siete nuove arrivate?”
Annuirono.
“Datemi i vostri nomi.”
“Rebecca Sartori”
“Annabelle Philips!”
L’uomo, che si rivelò essere niente meno che il capo supremo del lager estivo controllò dei documenti, annuì e diede loro una chiave.
“è tutto a posto, siete in regola con le prenotazioni.
Questa è la chiave della stanza che dividerete, spero di vedervi in concordia e armonia la prossima volta!”
La sua occhiata fu eloquente, le avrebbe tenute d’occhio e non si sarebbe calmato finché non le avesse viste fare le amicone.

“Stasera a cena vi verranno presentate le attività!
Arrivederci e buon soggiorno!”
Almeno l’ironia poteva risparmiarsela, pensò irritata mentre marciava verso la camera, era chiaro come il sole che sarebbe stata una vacanza orribile!
“Ehi, Rossa non credere che io sia felice di averti in camera!”sibilò quella che ormai aveva soprannominato Paris.
“Io invece faccio i salti di gioia, guarda un po’!”
Continuarono a battibeccare fino alla porta del loro bungalow, Beck aveva già esaurito la pazienza, così con poca grazia lanciò le due valigie all’interno e poi si ributtò sotto la pioggia pregando che al suo ritorno quella piccola iena avesse già finito di sistemare il suo ciarpame e che se ne fosse andata a socializzare da qualche altra parte.
Il campeggio era ovviamente deserto, le luci dei bungalow erano tutte accese, lei era l’unica cretina a spasso realizzò irritata, per calmarsi decise di avvicinarsi al lago su cui si affacciava quel posto.
Il lago era grigio e deprimente, c’era persino una leggera nebbiolina che le fece pensare con ancora più malinconia al sole della Toscana, al mare e ai concerti che si era persa.
Adocchiò una panchina sotto ad un gazebo, ci si trascinò svogliatamente e assurdamente, per un attimo, ebbe l’impressione che qualcuno si fosse seduto accanto a lei, nonostante non ci fosse anima viva.
“Non è che la mamma aveva ragione quando diceva che nel Lake District c’erano i fantasmi?”
Mormorò a bassa voce,come aspettandosi una risposta.
“Naa…è una stronzata, l’unico vero problema è dove trovare le sigarette…”
Si accorse che c’era un’altra figura sotto la pioggia, una ragazza con una lunga gonna viola e dei dreadlock neri, si sbracciò per attirare la sua attenzione, quella la raggiunse e si lasciò cadere sulla panchina accanto a lei.
Indossava la maglia di un gruppo rock ,aveva la pelle leggermente ambrata, occhi verdi contornati di kajal e un piercing al naso, era decisamente la persona giusta a cui chiedere nonché l’unica.
“Scusa se ti ho chiamata, ma volevo sapere dove trovare le sigarette in questo posto.”
“Sono vietate, ma se hai voglia e tempo di scappare durante la pausa prima delle attività del pomeriggio, puoi farti i due chilometri che separano questo posto dal paese più vicino e trovare un tabaccaio.”
“Grazie, io sono Becky comunque!”
Le tese una mano.
“Io sono Namita, sono mezza indiana, anche tu non sembri del tutto inglese…”
“Sono mezza italiana infatti, per caso hai una sigaretta?
Mia madre me le ha fregate…”
“Che palle quando lo fanno!Io non ne ho Becky, potresti venire con me dal tabaccaio, ce l’hai i soldi?”
“Si.”
“Bene allora divideremo l’ombrello e ci conquisteremo la nostra nicotina!”
“Oh Yeah!”

 

Namita detestava quel campeggio, lo odiava con tutte le sue forze, anche perché era arrivato come una punizione dai suoi, era riuscita a farsi sospendere da scuola per un paio di giorni a causa del suo caratteraccio, così dicevano i suoi insegnanti.
Quelli che ignoravano deliberatamente le battutine dei suoi adorati compagni sulla sua pelle e sui suoi vestiti e non avevano speso una parola per lodare il suo spirito di sopportazione e dio solo sapeva quante volte Namita Jones aveva contato fino a duemila per non alzarsi e rompere una sedia in testa a quegli idioti.
Quelli che avevano riempito la testa dei suoi genitori di idee sulla necessità di mandarla per un po’ in un posto in cui le inculcassero un po’ di disciplina e così eccola lì, in quel dannato campeggio.
Era un luogo in cui una pigra e caotica come lei rischiava la salute mentale, la sveglia era tutti i giorni alle otto se si voleva sperare di fare colazione, dalle nove alle undici c’erano le attività della mattina, poi il pranzo, un paio d’ore di pausa, poi dalle due alle quattro altre attività e poi altre ore libere, la cena e le serate a volte libere a volte a tema.
Uno strazio, semplicemente uno strazio.
Non riusciva nemmeno a trovarsi con i suoi compagni, era al culmine della depressione quando aveva visto quella ragazza, Becky, sotto il gazebo e fu come un piccolo miracolo visto che quando iniziarono a parlare la trovò simpatica e lei non concedeva facilmente la sua approvazione a qualcuno ne dispensava così facilmente inviti dal tabaccaio.
Non in quel posto  così rigido, bacchettone e pieno di ipocriti pronti a fregarti, almeno.
“Tu come mai sei qui Becky?”
“Punizione, ho fatto la pigra in inglese e mia madre me l’ha fatta pagare…
Avrei dovuto andare in Toscana con le mie amiche.”
“Tu vivi in Italia?”
“Si, e tu Namita perché qui?”
“Punizione…Mi hanno sospesa da scuola perché ho fatto a botte con paio di rompicoglioni.”
Quello era il suo test personale, approfondiva i rapporti solo ed esclusivamente con le persone che non la biasimassero ne  la osannassero, ma semplicemente archiviassero la cosa come un dato di fatto.
“Ah.”
“Paura?”
“No, sei tosta, almeno credo..
Io non avrei avuto il coraggio di farlo, troppe conseguenze.”
La rossa aveva superato il test, sorrise soddisfatta, poi un silenzio complice calò fra di loro.
Finalmente arrivarono al tabaccaio, presero i loro agognati pacchetti e appena fuori dal locale ne accesero immediatamente una.
Fu liberatorio.
Tornarono verso il campeggio di nuovo in religioso silenzio, accompagnate solo dal rumore della pioggia, poi Becky sbuffò esasperata.
“Cosa c’è?”
“Niente…Pensavo a una cosa…
Quando ero su quella panchina prima che arrivassi tu mi sembrava ci fosse qualcuno con me..”
Sbuffò unaltra volta.
“A volte succede quando si è stanchi.” Mormorò poco convinta.
L’altra alzò gli occhi al cielo e sbuffò un’altra volta.
“Stai pensando che sia pazza?”
“Bhe no…cioè un po’ si per parlare con me, ma in linea di massima non ti reputo pazza.”
Prese fiato come per prepararsi a una confessione vergognosa.
“E poi qualche volta è capitato anche a me.
Questo posto è….”Cercò la parola giusta per definirlo.
“Malefico.
Ti sballa i neuroni, la gente soprattutto ti manda in uno stato di paranoia, sembra facciano gara a controllarti se non sei come loro.”
“Grazie…In effetti appena arrivata qui ho già litigato con la mia compagna di stanza e con il direttore…”
“Strike completo, niente male.
Andremo d’accordo io e te!”
“Lo spero…
Siamo arrivate, vado a farmi una doccia, ci vediamo a cena?”
“Ovvio o vuoi iniziare uno sciopero della fame per farti rimandare a casa?”
“Non è male come idea!”
Scoppiarono a ridere insieme e poi si salutarono, ora finalmente Namita Jones aveva un’alleata su cui contare

 

Rebecca tornò in camera di umore più sollevato rispetto a prima , non sapeva se fosse merito della nicotina o di Namita ma non era importante inoltre la stanza era vuota, Annabelle non c’era.
Si ficcò sotto la doccia e ancora una volta ebbe la sensazione che ci fosse qualcuno con lei, era qualcosa di viscido e strisciante,per niente piacevole che la fece rabbrividire.
Fu più veloce del solito e poi per calmare i nervi, oltre a sistemare il bagno, svuotò le valige e sistemò accuratamente la sua roba nell’armadio, era moderatamente soddisfatta, aveva fatto un buon lavoro.
“Rebecca!”
Si voltò per vedere chi l’avesse chiamata,ma la stanza era vuota.
Di nuovo i brividi e quella sensazione.
Chi diavolo c’era?
Scosse la testa e si disse che quello che aveva detto a Namita era vero, erano lo stress e la stanchezza la causa di tutto così si buttò a peso morto sul letto.
Spalancò gli occhi, era sicura, sicurissima che ci fosse qualcuno accanto a lei, poteva quasi sentire la consistenza di un corpo, senza che ce ne fosse uno.
Pensò confusamente di alzarsi, ma era troppo stanca e la palpebre cominciarono a farsi pesanti, mentre stava per addormentarsi  si sentì come abbracciata, ma era troppo tardi per reagire qualsiasi cosa fosse.
Fu svegliata dopo un tempo indefinito dalle urla belluine della sua compagna di stanza, acute come quelle di una campana rotta, la maledisse ancora una volta.
“Cosa vuoi Philips?” Berciò di pessimo umore aprendo gli occhi.
“Hai lasciato una palude in bagno!!”
“Ma io avevo sistemato!”
Si alzò di malavoglia per dimostrarglielo, si trascinò in bagno e quasi le venne un colpo, effettivamente c’era un caos indicibile che la lasciò molto perplessa visto che non c’era prima del suo sonnellino.
“Io…io..”
Cercò in apnea una risposta che spiegasse i fatti, ma non ce n’erano constatò afflitta.
“Tu sistema Sartori o ti faccio un culo quadro!”
Sospirò sconsolata, quella ragazza era un mostro di finezza dietro le apparenze da principessa, le parve di sentire una risata e si diede della pazza, ora aveva anche le allucinazioni sonore…
-Lavora Becky e lascia perdere!-
Finì di lavorare sentendosi addosso lo sguardo della bionda, sicuramente le stava dando della pazza, della bugiarda e della visionaria, di bene in meglio…
“Non ti azzardare mai più a prendermi in giro, ragazzina!
“Scusa.”
Lei se ne andò sbuffando e a lei rimase da sola.
“Chi diavolo ha fatto tutto questo?”
Nessuna risposta ovviamente, guardò l’orologio, era quasi ora di cena così raccattò la borsa, finita chissà come sotto al letto e uscì dalla stanza, non prima di avere lanciato un’occhiata sospettosa all’interno.
Raggiunse la sala pranzo di pessimo umore, sperando di intercettare subito Namita, la vide tra la folla, ma il responsabile del campeggio fu più rapido di lei e la bloccò.
“Signorina Sartori, queste sono le sue attività per domani, è stata inserita nel laboratorio di pittura alla mattina e nel corso di nuoto al pomeriggio.
Spero che questo sia di suo gradimento, sua madre ha già approvato, se ci fosse qualche problema si rivolga a me, ora vada a mangiare.
Arrivederci!”
L’uomo la lasciò senza che potesse dire una parola, una sola, anche solo”OK” e fumante di rabbia.
“EHI!”
Sobbalzò, era Namita.
“Ma è sempre così qui? Ti smistano come un pacco senza farti nemmeno aprire bocca?”
“è la prassi…Dove ti hanno messo?”
“Laboratorio di pittura la mattina, nuoto il pomeriggio.”
“Almeno siamo insieme…”
“Magra consolazione!” la ragazza le batté una mano sulla spalla, lei sospirò e si diresse verso il buffet.
Fu una cena abbastanza buona, Namita rivelò un talento comico inaspettato, ma era stanca così declinò a malincuore il suo invito a fare un giro e se ne tornò in camera.
I corridoi erano deserti, quella sensazione tornò a farle visita, lei la scacciò dicendosi che era solo una paranoia, ma qualcosa la fece ricredere.
La sua camera era in disordine, sembrava ci fosse passato un uragano, cosa diavolo stava succedendo?
Lo urlò a pieni polmoni dopo avere sistemato tutto, aspettandosi assurdamente una risposta e la cosa ancora più incredibile fu che la ricevette.
“Ho deciso di dare un tocco personale alla tua camera, Rebecca!”
“Chi cazzo sei?”
“Non ha importanza!”
“Si Che ne ha! Sei una cazzo di allucinazione che mi rende la vita impossibile, abbi almeno la decenza di farti vedere! Voglio vedere chi diavolo mi sta facendo impazzire!”
Era ansante, con suo immenso disappunto la voce ridacchiò poi qualcosa iniziò a prendere forma nella camera,  delle sembianze umane iniziarono a farsi visibili e sempre più riconoscibili.
Per la seconda volta si ritrovò ad urlare nella stanza apparentemente vuota.

Angolo di Layla.

Per chi mi segue da un po' questa storia non è affatto una novità, l'ho già pubblicata un paio di anni fa, infatti.

Perchè la ripubblico? Semplicemente poco prima che iniziassi a pubblicare la mia nuova long volevo cancellare il mio account da EFP, ma poi ho cambiato idea, il problema era che avevo già tolto alcune storie tra cui questa.

Ho deciso quindi di ripubblicarla. Spero vi piaccia.

Verrà aggiornata ogni mercoledì.

PS: ringrazio Elisabetta, alias NihalTom 92, lei sa perchè.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: Layla