Serie TV > Bones
Segui la storia  |       
Autore: xNewYorker__    14/07/2011    3 recensioni
«Tra tutte le persone di questo mondo, perché a lui?» Chiese Booth, dando un peso assurdo a tutte quelle lacrime riversate sulla camicia. «Conosco i rischi del mio lavoro, ma non pensavo arrivassero a tanto.» Brennan lo guardò. «Pensi che l'abbiano guardato in faccia? Svegliati, Booth!»
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Parker
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Broken Bones'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il giorno seguente Booth si svegliò sentendo una stretta al cuore che gli impediva di dormire. Si buttò dal letto, andando a picchiare di poco la testa sul pavimento. Se la massaggiò con palmo della mano destra e scattò in piedi, in pantaloncini e t-shirt casuali che aveva preso la sera prima tra il lungo pianto. Alzatosi, si lanciò nella stanza del figlio, sperando che fosse stato tutto un incubo. Sapeva d’essersi svegliato, e quello che sarebbe presto stato almeno un livido dietro il capo glielo testimoniava, ne era sicuro. «PARKER!» Urlò, spalancando la porta e vedendo il letto vuoto. Le prime lacrime iniziarono a spuntare dagli occhi, scivolando lentamente sulle guance, in una specie di danza muta, silenziosa e terribile. Tacque, fissando quel letto vuoto. Era perfettamente in ordine, come il resto della stanza: suo figlio è sempre stato un bambino così tranquillo e ordinato. Quanto avrebbe voluto in quel momento almeno un minimo di confusione in quella stanza. Avrebbe testimoniato la presenza del bambino, o almeno nella sua mente sarebbe stato così. Non riusciva a credere a quello che era successo. Soprattutto, perché non si è lanciato su di lui, perché non l’ha protetto? Continuava a incolparsene, e ancora, e ancora. Si colpì piano la fronte con la mano destra e si buttò sul letto del figlio.
Rimase così per un po’, o quantomeno finché non sentì suonare il campanello. Si alzò lentamente. «Chi è?» Chiese, con un filo di voce. Si avvicinò alla porta, aprendo, e si trovò Brennan davanti.
«Buongiorno.» Disse lei, sorridendogli appena, e posandogli lievemente una mano sulla spalla, in modo confortante, per quanto una super scienziata, come usava dirle Booth, possa essere confortante. «Ciao, Bones.» Disse. «Come…come mai qui?» Si appoggiò al muro vicino alla porta, osservando la collega mettere piede in casa e sedersi sul divano. Le era stato detto fin troppe volte “fa come se fossi a casa tua”, e così aveva fatto. L’uomo andò a sedersi accanto a lei, distrattamente, mantenendo lo sguardo sul corridoio che conduceva alla camera di Parker, in cui era appena stato.
«Oggi…tra due ore…c’è…» Cercò d’avvertire la collega del funerale, ma non riuscì a dire la parola, che le lacrime ricominciarono a uscire a fiumi. Bones l’abbracciò. «Andiamo…ti sarò vicina, Booth, sempre.» Disse. Lui non aprì bocca. Dopo qualche istante si alzò e andò nell’altra stanza, a indossare una camicia, una giacca e dei pantaloni più eleganti.
 
Brennan e Booth erano fermi di fronte alla piccola bara, che sarebbe stata seppellita di lì a poco. La lapide portava già l’incisione “nella memoria di Parker Booth”. Seeley si contenne, stavolta. I suoi colleghi non l’avrebbero visto piangere. Era tornato a Washington: il suo campione sarebbe dovuto essere  seppellito nella sua città natale.
C’era il sole, ma tutto appariva così buio da gettare chiunque in un baratro d’infinita angoscia.
Quando la cerimonia ebbe fine, le lacrime di Booth erano terminate. Probabilmente avevano scelto di scorrere dall’interno: avrebbero raggiunto il cuore, anziché la terra. La collega gli stava accanto: non l’avrebbe mai abbandonato durante un momento del genere.
Tornarono a casa solo dopo aver aspettato un’altra mezzora di fronte a quella fredda e silenziosa lapide. L’uomo pregava per il suo piccolo. Credeva nel Paradiso, e sapeva che, nonostante tutto, sarebbe stato al sicuro lì. Brennan poteva semplicemente provare a risollevargli l’umore, ma non le veniva facile. Non avrebbe mai rinnegato le sue stesse idee, probabilmente neppure per aiutare quello che per lei era come un fratello, o un amore impossibile, a seconda dei punti di vista.
Niente sarebbe più stato semplice per l’agente, e lei ne era consapevole. Doveva aiutarlo, in qualche modo, seppur non sapendo in quell’istante quale fosse la via migliore. La cosa che sapeva era una: Booth era forte.
 
La porta si aprì facendo eco nell’appartamento, in modo strano. Pur essendo così pieno appariva vuoto, ed entrambi sapevano che quel vuoto non si sarebbe riempito facilmente.
«Ehm…Hannah…che fine ha fatto?» Chiese Bones, più per cambiare discorso che per un vero e proprio interessamento nei confronti della sorte della donna. «A Londra.» Fu la risposta che ricevette. A Londra. E cosa ci faceva, Hannah, a Londra, invece di stare vicina a Booth? Certo, la dottoressa era venuta da Washington, e la distanza era senz’altro stata minore, ma in quel momento sapeva che sarebbe venuta da qualsiasi altra parte del mondo, nello stesso, identico, modo.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Bones / Vai alla pagina dell'autore: xNewYorker__