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Autore: Puglio    14/07/2011    2 recensioni
Un racconto in cui l'assurdo fa capolino nella realtà di tutti i giorni. Un incontro impossibile che cambia in modo improvviso e inaspettato la vita e il nostro modo di rapportarsi ad essa.
Pubblico questo racconto che ha partecipato alla prima fase del concorso "Sarete scrittori" e ringrazio i 40 che ne hanno votato la trama. Non so se il racconto corrisponda all'idea che vi eravate fatti di esso, ma spero ugualmente che possa piacervi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza senza spessore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando ancora frequentavo il liceo, conobbi una ragazza senza spessore. Fino a quando non l'incontrai la prima volta, non avevo idea che potesse esistere una ragazza del genere. Il fatto poi che potesse frequentare la mia stessa scuola, era qualcosa che non mi era mai passato nemmeno per la mente. Scoprirlo fu per me un'assoluta novità.

«Non devi preoccuparti» mi disse quando ci conoscemmo, regalandomi un sorriso senza alcuno spessore «è del tutto normale che tu sia sorpreso. Ci sono abituata. Credo che dipenda dal fatto che sono senza spessore».

Ci incontrammo in modo del tutto casuale, durante un afoso pomeriggio di fine maggio. Ormai la scuola volgeva al termine, ma siccome quell'anno la mia classe avrebbe dovuto sostenere l'esame di diploma, ci toccava frequentare dei corsi pomeridiani di approfondimento. Ricordo che erano circa le due del pomeriggio, quando la vidi. Se mi concentro, riesco ancora a sentire l'umidità che quel giorno mi appiccicava i vestiti alla pelle, mentre percorrevo i corridoi vuoti del primo piano, accompagnato dal rimbombo del vocio di quanti ancora si attardavano nell'atrio e che ogni tanto mi raggiungeva dalle scale, alle mie spalle.

Avevo sonno, e nessuna voglia di restarmene a scuola. Perciò, decisi di fermarmi un po' più del dovuto ai distributori. Non è che avessi davvero voglia di prendere qualcosa. Era più che altro un modo come un altro per ritardare il mio ingresso in classe.

Stavo aspettando che il mio caffè fosse pronto, quando mi accorsi del riflesso di quella ragazza nel vetro del distributore. Mi voltai a guardare, credendo che si trovasse alle mie spalle. Quando non vidi nessuno, ci misi un po' a realizzare che in realtà lei mi stava fissando proprio attraverso il vetro.

«Anche tu qui per i corsi pomeridiani?» mi chiese. Io annuii, cercando di non mostrare la mia sorpresa. «Sono una vera noia. Con questo caldo, poi, la scuola è davvero un luogo insopportabile. L'unico posto dove si sta decentemente sono i bagni».

Fu tutto quello che mi disse, in quell'occasione. Poi la persi di vista. Solo in seguito scoprii che il suo tempo lo passava per lo più nello specchio del bagno delle ragazze. Fu un mio amico a dirmelo.

«Certo che la conosco» disse lui, fissandomi con un sorriso divertito quando gli chiesi se per caso aveva avuto modo di conoscerla. «E anche tu dovresti. Frequenta la nostra classe. Non dirmi che non l'hai mai notata?»

A dire il vero no, risposi.

«Beh, probabilmente è successo perché non è una ragazza che si noti facilmente. È un po' come quelle bellezze da copertina, le vedi e dopo un attimo non ti ricordi più che faccia abbiano esattamente. Ecco, è un tipo così».

«Ma possibile che in tutti questi anni non mi sia mai accorto di avere in classe una ragazza come quella?»

Il mio amico scrollò le spalle, sporgendo le labbra. Non sembrava per nulla colpito. «Mah, cosa vuoi che ti dica» fece, semplicemente. «Comunque, ti assicuro che non ti sei perso niente. Quella è davvero una ragazza senza spessore».

Salutai il mio amico, allontanandomi piuttosto perplesso. Che quella ragazza fosse senza spessore, in realtà, per me non era un problema, anzi. Forse era il motivo per cui provavo un così vivo desiderio di conoscerla.

Ben presto cominciai a trovare ogni scusa valida per andarla a cercare. Uscivo dall'aula col pretesto di dover andare al bagno, oppure mentivo dicendo che non mi sentivo molto bene. A volte, abbandonavo semplicemente la classe al cambio d'ora e restavo a girovagare per la scuola per tutta l'ora successiva. La cosa non mi causava troppi problemi, dal momento che presto avrei finalmente lasciato il liceo per non farvi mai più ritorno. Certo, quelle mie assenze ingiustificate mi procurarono qualche grattacapo, almeno all'inizio; ma mai nulla di più che qualche seccante ramanzina da parte dei docenti, che comunque dal canto loro si accontentavano di sciorinarmi i soliti discorsi sull'impegno e la responsabilità, senza mai arrivare a minacciarmi seriamente di qualche punizione. In fondo, che io mancassi in classe oppure no, non è che anche a loro importasse poi molto, arrivati a quel punto.

La prima cosa che facevo, una volta fuori dall'aula, era aspettare che i corridoi si svuotassero. Se stavo attento, ed evitavo di dare nell'occhio, di solito non mi seccava nessuno. Così, potevo raggiungere il bagno delle ragazze del tutto indisturbato.

Dopo essermi accertato che al suo interno non ci fosse nessuno – una sospensione disciplinare a un mese dal diploma era qualcosa che volevo assolutamente evitare – mi avvicinavo allo specchio, al quale di solito lei se ne stava sempre affacciata, immersa in faccende del tutto prive di qualsiasi spessore. Non appena mi vedeva, mi sorrideva appena, arricciando le labbra in una smorfia sottile; quindi si metteva a scambiare con me alcune chiacchiere. Non importava quando ci andassi. Immancabilmente la trovavo lì, la ragazza senza spessore, che passava il suo tempo a truccarsi o a canticchiare tra sé e sé, affacciata a quello specchio. Di solito non parlava molto. Le nostre conversazioni duravano poco, si esaurivano quasi subito, come un ruscello che improvvisamente si trovi a sfociare nel deserto. Adesso che ci penso, erano conversazioni prive di qualsiasi spessore, roba che nemmeno riesco a ricordare. Un giorno, tuttavia, senza che me l'aspettassi, qualcosa andò diversamente. Accadde del tutto all'improvviso.

Anche quel giorno, quando entrai nel bagno delle ragazze, la vidi che si affacciava allo specchio, come al solito; ma a differenza del solito, stavolta fissava annoiata verso la finestra aperta, persa in chissà quali pensieri.

«Ah, sei tu» mi disse, guardandomi attraverso i suoi occhi privi di spessore. «Mi chiedevo quando saresti arrivato, oggi. Sai, a forza di introdurti nel bagno delle ragazze, qualcuno penserà che sei un maniaco, o che hai qualcosa da nascondere».

Bofonchiai qualcosa in tono di scusa, ma che lei non sembrò minimamente ascoltare.

«Vieni» mi disse alla fine «andiamo».

In un attimo sparì dal vetro, come se si fosse ritirata da una finestra a cui stava affacciata. Mi guardai attorno, immaginando di trovarmela riflessa da qualche parte, mentre invece la vidi sgusciare fuori inaspettatamente da dietro lo specchio. Era la prima volta che la vedevo senza che ci fosse un vetro a dividerci e devo dire che era davvero senza spessore. Averla davanti era come fissare una fotografia. Finchè la si guardava dritta in volto, nessuno avrebbe potuto immaginare che fosse senza spessore. I tratti del viso erano piuttosto piacevoli, del tutto simili a quelli di qualsiasi altra ragazza. Non sembravano per nulla schiacciati, a differenza della sensazione che si prova quando si fissa un'immagine. Persino i lunghi capelli castani, che ondeggiavano attorno al suo volto pieni di luce, le ricadevano sulle spalle in grossi boccoli perfettamente arricciati. Era solo quando la si guardava di profilo che ci si accorgeva del fatto che fosse assolutamente senza alcuno spessore. Mentre mi camminava a fianco, lungo i corridoi della scuola, vedevo il suo profilo oscillare come un foglio di carta velina, così diafano che la luce la attraversava, senza gettare alcuna ombra attorno a lei.

«Oggi non ho voglia di stare al chiuso» mi disse, rivolgendosi a me come attraverso un velo implapabile. «Con una giornata così sarebbe un peccato, non credi?»

In effetti nemmeno io avevo molta voglia di restarmene confinato in quella scuola soffocante e così, di comune accordo, decidemmo di recarci al parco che si trovava dietro l'edificio scolastico. Era possibile raggiungerlo facilmente, passando per un'uscita posteriore che spesso veniva usata da quanti tra gli studenti andavano a fumare durante la ricreazione. Mentre ci dirigevamo là, ricordo che tutte le persone che incontravamo ci rivolgevano qualche vago cenno di saluto, per nulla colpiti dall'assenza di spessore della ragazza. Sembrava quasi che nemmeno la vedessero. Lei rispondeva sempre con uno di quei suoi soliti sorrisi senza spessore, per poi tornare a parlare di ciò che mi stava raccontando prima di essere interrotta, come se nulla fosse.

«Non saprei dirti quando ho cominciato a perdere il mio spessore» mi raccontò lei quel giorno, mentre ce ne stavamo seduti su una panchina a fissare la gente che passeggiava o che portava a spasso il cane. «In qualche modo, penso sia successo senza che me ne rendessi conto in modo preciso. È come se lentamente avessi smarrito qualcosa di me stessa, in modo progressivo. Da allora, sono semplicemente così».

Io la guardai, piuttosto sorpreso da quella improvvisa confessione. I suoi occhi fissavano vacuamente un punto non precisato avanti a sé. Non sapendo cosa dire, estrassi dalla tasca della giacca un pacchetto di sigarette e gliene offrii una. Lei rifiutò, garbatamente.

«Grazie, ma non fumo» mi disse. «Non posso. Se lo facessi, acquisterei immediatamente uno spessore di qualche tipo. E io non posso farlo, non ancora».

Io la fissai stupito, bloccandomi mentre stavo per accendermi la sigaretta.

«Non ancora?» chiesi. «Significa che se tu volessi, potresti ritrovare il tuo spessore?»

Lei scrollò le spalle. Per un istante, il suo profilo tremò, scosso lievemente da un leggero e improvviso alito di vento.

«A dire la verità, non lo so nemmeno io» mi rispose, con la voce ridotta più o meno a un sussurro. Per un attimo sembrò sul punto di voler aggiungere qualcosa, ma alla fine cambiò idea. Era come se la sua voce mi fosse giunta dal fondo buio di un pozzo, dall'alto del quale io scrutavo verso di lei, in attesa. In quell'istante, mi apparve davvero come se avesse perso anche l'unico spessore che ancora le rimaneva. «A volte ho la sensazione che se facessi qualcosa, rischierei di spezzarmi. Non è un sentimento preciso, più che altro è una specie di presentimento. Credo che prima di poter riacquistare spessore, io debba ritrovare ciò che di me è andato perso. Qualcosa mi dice che questo è l'unico modo che ho, per riacquistare il mio spessore».

«Qualcosa che hai perso? Vuol dire che da qualche parte c'è qualcosa di te che se ne sta in attesa che tu lo ritrovi, aggirandosi come una specie di mostro senza testa?»

Lei annuì, ridacchiando. Si passò una mano senza spessore tra i capelli senza spessore, che ondeggiarono al vento.

«Se vuoi, puoi anche vederla così. Immagino che non ci sia nulla di sbagliato».

Io trassi un profondo sospiro, lasciando che il fumo che ancora trattenevo sul fondo dei polmoni si liberasse lentamente all'esterno. Battei leggermente l'indice sulla sigaretta, osservando la cenere che si staccava dalla punta e che cadendo veniva rapita del vento. Quindi portai di nuovo la sigaretta alle labbra, socchiudendo gli occhi.

«È un po' come se avessi perso la mia ombra» riprese lei, tutto ad un tratto. «A un certo punto, quello che mi conferiva uno spessore si è staccato da me, lasciandomi sola con questa parvenza di me stessa. Da allora me ne vado in giro riflettendomi sui muri, o negli specchi, o al fianco di qualcuno. Da sola non ce la faccio a muovermi. Ho bisogno che qualcuno mi veda, e mi offra la sua presenza, altrimenti rischierei di svanire. È come se fossi diventata io stessa una specie di ombra».

«Non dev'essere per niente facile» osservai io. Lei scosse la testa.

«Non più di tanto. Vivere di riflesso agli altri è abbastanza comodo, se ci pensi. Non ho bisogno di decidere cosa fare, o altro. Mi basta sedermi accanto a qualcuno, proprio come con te, adesso, e lasciare che il tempo passi. In realtà è piuttosto semplice».

«Ma così facendo, che ne è di te? Voglio dire» osservai, notando che lei mi guardava con un'espressione curiosamente priva di spessore «dovrai pur pensare qualcosa, no? Dovrai avere qualche idea, qualche sentimento. Cose del genere, insomma».

Lei sembrò rifletterci attentamente. Mi guardò per qualche istante, poi abbassò gli occhi sulle sue mani aperte e senza spessore, come se stesse soppesando su di esse le mie parole.

«Vedi, è proprio quello il problema» disse, dopo un tempo che sembrò quasi interminabile. «Credo che se non avessi avuto idee, non avrei mai perso il mio spessore. Ciò che voglio dire è che è molto più facile per chi nasce senza preoccuparsi del proprio spessore, perché non può rendersi conto di aver perso qualcosa che prima invece aveva. Per me è diverso. È stato proprio il fatto che ero consapevole di possedere qualcosa, che poi mi sono resa conto di averlo perso»

«E come è accaduto?»

«Fin da quando sono stata grande abbastanza per ricordarlo, ho dovuto affrontare una qualche responsabilità» mi rispose lei, sospirando. «Capisci cosa intendo?»

Annuii.

«I miei genitori sono persone molto benestanti, ma che a causa del loro lavoro vivono quasi sempre fuori casa. Mia sorella più grande è un avvocato penalista, che lavora nello studio di mio padre. Io sono sempre stata la più coccolata della casa, ma anche su di me, esattamente come fu per mia sorella, si riversarono tutte le aspettative della mia famiglia. In altre parole, ciò che da me ci si aspettava era che esprimessi tutta una serie di atteggiamenti consoni alla mia posizione. Che si trattasse di prendere lezioni di piano, o di danza, che dovessi mostrarmi sempre educata e vestire in un certo modo, il mio compito era quello di impersonare la figura della figlia perfetta, che riflettesse all'esterno i valori con cui i miei mi avevano cresciuta. Quando la gente veniva a casa nostra, dovevo intrattenerli suonando qualche pezzo elegante al piano, ma nulla che risultasse troppo eccessivo o energico per una ragazza come me; se qualcuno mi rivolgeva una domanda, era sottinteso che ci si aspettasse da me un certo tipo di risposta. Se per caso mi succedeva di dire il contrario di ciò che ci si aspettava, apriti cielo! Non ti dico le ramanzine dei miei: ''ma come, una ragazza come te! Con il tuo spessore avresti potuto fare di meglio, non credi?''»

Io tacqui. Gettai la sigaretta a terra, pestandola con la punta del piede, mentre aspettavo che lei continuasse il suo racconto. Un uomo con un piccolo cane al guinzaglio ci passò davanti, fermandosi per permettere al cane di annusare per terra. Quando alzò il muso, il cane ci rivolse un'occhiata per niente interessata. Quindi si allontanò seguito dal suo padrone, come se nulla fosse.

«Anche quando cominciai a frequentare la scuola, il copione restò più o meno lo stesso» riprese la ragazza senza spessore. «Qualsiasi cosa facessi, i professori si attendevano da me che io rispondessi in un certo modo alle loro aspettative. Non era possibile che una ragazza come me prendesse un brutto voto, o che si presentasse impreparata alle interrogazioni. Se qualcosa andava storto, doveva per forza essere successo qualcosa di grave. ''Ma come'' mi dicevano, ''una ragazza del tuo spessore... sei sicura che vada tutto bene?'' Semplicemente, per loro era impossibile che con il mio spessore io avessi deciso di non studiare il giorno prima, magari perché avevo preferito andare a mangiarmi un gelato, o fare una passeggiata al parco, o semplicemente perché non ne avevo voglia. Il mio spessore imponeva che facessi certe cose, che dessi certe risposte e rispettassi certi ruoli».

«E quindi, un bel giorno hai deciso di abbandonare tutto questo?» le chiesi. Lei sorrise, e per un attimo una strana ombra di malinconia aleggiò agli angoli della sua bocca sottile, senza spessore.

«A dire la verità, non è stato qualcosa di davvero consapevole» ammise. «Un giorno, mi sono accorta che qualcosa in me era cambiato. Mi sentivo stranamente più leggera, ma non sapevo a cosa fosse dovuto. Poi capii. Avevo cominciato a dire no, e a dare agli altri ciò che non si aspettavano da me, inconsapevolmente. Fu una specie di reazione allergica. Per prima cosa, smisi seriamente di studiare il piano. Non fu per nulla facile, dal momento che amavo molto suonare. Ma ero arrivata al punto di non sopportare più l'idea di studiare un pezzo per poi doverlo presentare al giudizio degli altri. Ogni volta che salivo su un palco, quando suonavo, mi sembrava di aumentare di spessore, di caricarmi del peso dell'opinione degli altri. Mi sentivo letteralmente schiacciare. Tutti quegli applausi, tutte le lodi che mi riservavano, erano per me prive di qualsiasi senso. Mi sembrava di sentire i loro discorsi, ''una ragazza così intelligente, di così grande spessore...'' tutto per loro acquistava valore sulla base dello spessore. Se qualcosa non aveva spessore, allora non valeva niente. Ma cos'era che dava spessore alle cose? Cos'era che faceva dire ai professori, a scuola, che ero una ragazza ''di spessore?'' A volte, avevo semplicemente l'impressione che ciò che vedevano, in me, non fosse altro che il frutto della loro immaginazione, il riflesso di ciò che loro volevano vedere e non ciò che ero realmente».

«E tu chi sei, realmente?»

Lei spostò su di me i suoi occhi, attraversati in quel momento da una luce indefinibile. Durò solo un istante, prima che la stessa espressione vacua di sempre si impadronisse nuovamente del suo sguardo.

«Non lo so nemmeno io» mi confessò. «È proprio questo, che sto ancora cercando. Credo che da qualche parte esista davvero ciò che è in grado di darmi realmente uno spessore, ma senza che per questo io debba dipendere dall'opinione degli altri. Da quando ho smesso di agire secondo quello che gli altri si aspettavano da me, ho cominciato a perdere lentamente spessore, come se mi fossi via via spogliata di strati che si erano accumulati su di me come polvere. Sai cos'è che me l'ha fatto capire?» mi chiese, sorridendomi. Io scrollai le spalle, invitandola a proseguire. «È che vedevo la stessa cosa capitare a quanti mi stavano intorno. Ovunque andassi, che si trattasse della scuola o dei club del doposcuola, o anche della mia famiglia, vedevo solo persone che continuavano a gonfiarsi alla ricerca disperata di uno spessore. Non so perché lo facessero. Ancora adesso ci penso, e non so darmi una risposta».

«Forse, lo fanno semplicemente perché tutti abbiamo bisogno di sentirci considerati» provai a dire io. Lei socchiuse gli occhi, facendosi pensierosa.

«Già, questa potrebbe essere una risposta» mi disse. «Ma è davvero incredibile, sai? Possibile che nessuno di loro si accorga di quanto sia ridicolo, tutto questo? Continuare a cercare negli altri le proprie sicurezze, la giustificazione ai propri desideri. Che si tratti dei membri del club del cineforum, o del professore che ti interroga a lezione, ognuno continua imperterrito a rivestire il ruolo che qualcun altro gli ha imposto, credendo in realtà di esserselo scelto da solo. Ma se appena provi a ribellarti, a dire ''no, io non ci sto, questo non lo capisco, non sono io'', ecco che subito tutti sono pronti a dire che non hai capito un tubo. In realtà, tutte le persone che ho conosciuto, non erano altro che persone vuote, che si spacciavano per quello che non erano. Tutto quello che avevano da mostrare, era la massa di idee copiate da qualcun altro e di cui si rivestivano ogni giorno, e che usavano per acquistare spessore davanti agli altri. Io, di fronte a loro, ho cominciato invece a perdere spessore. Per reazione. Come un serpente, ho cominciato a squamarmi, a dire addio a tutti quegli strati di me che non mi appartenevano veramente. Pensavo: ''Chissenefrega, se non ho capito questo? E chissenefrega se non ho le idee chiare su quello?'' Se mi capitava di dire ''ma questo che significa? Perché dovrebbe essere importante?'' ecco che la risposta che ottenevo era: ''ma come, possibile che tu non capisca? Ma allora sei proprio senza spessore!'' E così, pian piano la gente ha preso a considerarmi veramente come una ragazza senza spessore. Ma in questo modo, io mi sono lentamente ritrovata a dire addio a quelle parti di me che vivevano solo della considerazione degli altri».

Lei tacque. Io restai lì senza molto da aggiungere, rigirandomi tra le mani una foglia che mi era caduta davanti agli occhi, e che si era poi posata sul mio braccio.

«E così, stai ancora aspettando di capire quale sia il tuo spessore» dissi alla fine.

«Sì, è così» fece lei. «So che da qualche parte esiste lo spessore che mi appartiene, e a cui ho dovuto dire addio nel momento in cui ho cominciato a cedere all'opinione degli altri. E so che se continuo a cercare, presto o tardi lo ritroverò. E in quel momento, riacquisterò il mio vero spessore».

«Ti auguro di riuscirci» le dissi io, sinceramente. Lei si voltò e sorrise. Questa volta, però, sorrise veramente.

«Grazie» fece, scostandosi dagli occhi la sua frangia sottile e senza alcuno spessore. «Sai, mi ha fatto piacere parlare con te. Sei la prima persona a cui riesco a confidare queste cose. Di solito per gli altri è più facile ignorarmi, proprio per il fatto che sono senza spessore. È un po' così. La gente mi passa accanto, mi guarda, magari mi sorride pure... ma subito dopo si sono già scordati di me e di come ero fatta».

«È così che succede, con le persone che non hanno spessore» commentai.

«Hai proprio ragione» confermò lei.

 

 

Dopo quella chiacchierata non restò molto da dirci, così decidemmo di ritornare in classe. Nonostante fossimo entrati insieme, nessuno sembrò prestare particolare attenzione alla ragazza senza spessore, che si sedette senza una parola al suo banco in fondo all'aula. Quando mi voltai a guardarla, le mi sorrise di nuovo, uno di quei sorrisi senza spessore a cui ormai mi ero abituato ma che ancora non riuscivo pienamente a decifrare. Perplesso, mi chiesi come avevo fatto a non accorgermi prima di quel banco in mezzo agli altri, in tutto quel tempo passato a scuola.

Quella fu l'ultima volta che vidi la ragazza senza spessore. Per tutta la settimana che seguì, fino alla fine della scuola, lei non si fece più vedere. Era sparita perfino dal bagno delle ragazze. Quando provavo timidamente a chiedere di lei a qualche mio compagno, le uniche risposte che ottenevo erano delle vaghe scrollate di spalle.

«Mah, non so. Non ci ho fatto caso» mi dicevano. «Probabilmente avrà deciso di lasciare la scuola. In fondo, è sempre stata una ragazza di poco spessore».

Non seppi mai più nulla di lei, né riuscii a capire perché fosse sparita così improvvisamente. Poi, una volta ottenuto il diploma ed essermi iscritto all'università, pian piano smisi di frequentare anche i miei vecchi amici del liceo e quella parte del mio passato cominciò a perdere sempre più spessore, fino a farsi così sottile da perdersi in qualche angolo remoto della mia memoria. A dire la verità, avevo deciso di iscrivermi apposta ad un'università lontana, non molto famosa, proprio perché volevo lasciarmi alle spalle quella scuola e tutto quello che mi ricordava. Non è che non mi fossi trovato bene con i miei compagni di classe, al contrario; ma da quando mi ero reso conto della presenza di quella ragazza senza spessore, qualcosa dentro di me si era incrinato improvvisamente, e da allora avevo sentito che non avrei potuto fare più nulla per aggiustarlo. In un certo senso, credo che anche per questa ragione la scomparsa di lei fu qualcosa di inevitabile.

Ancora adesso che sono trascorsi molti anni da allora, quando cammino per strada e mi capita di incrociare lo sguardo privo di espressione che aleggia sul volto di qualche ragazza, mi chiedo dove sarà adesso la ragazza senza spessore, se avrà mai ritrovato ciò che aveva perso per strada, se è stata in grado di riconoscerlo, e se io sarei in grado di fare altrettanto.

 

 

  
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