Serie TV > The Mentalist
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Autore: Ulisse85    14/07/2011    5 recensioni
Questo racconto lungo è un CROSS-OVER tra molte serie: THE MENTALIST... BONES... BUFFY... ANGEL... DR. HOUSE... TWILIGHT... avverto i “troppo affezionati” ai personaggi che potrebbe esservi qualche lieve mutamento nei caratteri presentati anche se in linea di massima saranno fedeli all'originale.
Il tutto andrà preso con la dovuta ironia, perchè è in questo spirito che viene scritta la storia!
Non ho mai scritto una fanfic: di solito scrivo cose originali. E' il mio primo tentativo... siate clementi.
Chiunque voglia eventualmente inserirsi scrivendo un capitolo o un passaggio che non alteri l'idea di fondo mi può contattare: lo troverei un piacevole esperimento unire le forze e far crescere il cross-over.
Grazie per l'attenzione, buona lettura!
….............................
Disclaimer: Nessuno dei personaggi citati e presi dalle serie televisive mi appartiene in alcun modo. Tutti i diritti relativi sono di proprietà dei creatori, dei produttori, etc etc... insomma 'roba loro'.
Genere: Generale, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Patrick Jane, Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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... e dopo la lunga assenza di cui nessuno ha avvertito il peso, ritorna il mega cross over con un lungo capitolo a 4 mani scritto con Amy90: la super esperta di The Mentalist. Spero sia di vostro gusto.... ringrazio G. per la divertente collaborazione che confido di poter ripetere quanto prima!  Ora, a voi...

“Redemption”

La brillante insegna rosso sangue si stagliava maestosa sopra all’elegante ingresso del locale. Il corsivo perfetto, le curve morbide delle lettere, la rendevano quasi viva, pulsante, come se stesse respirando. Eppure, le luci erano fisse e illuminavano il colore del metallo cromato in cui era stata forgiata la scritta, vivida, di un caldo rosso scuro.

Sotto al nome, si apriva l’ingresso. Un lungo tappeto nero che tagliava a metà lo spazio lasciato dalle porte aperte. L’intero ingresso, come anche l’interno, era una perfetta unione fra antico e moderno.

Le luci soffuse contrastavano con la musica poco ricercata, sicuramente troppo commerciale per le orecchie di Bones, abituate a tutt’altro genere. I tavolini, le sedie, il bancone del bar, sembravano usciti da una reggia ottocentesca, ma era come se un folle designer li avesse distrutti e ricostruiti usando tanto vetro e poco legno. Dove dovevano esserci gli armoniosi tagli del legno scuro, si trovano, invece, eleganti decorazioni in vetro e plastica dura e fredda. Di nuovo, si creava quel vivido contrasto fra caldo e freddo, fra materiale e astratto. Il vetro, freddo e asettico, si univa perfettamente a ripiani e rifiniture in legno scuro. Le luci rosse, soffuse, illuminavano innaturalmente il pavimento e il soffitto in vetro opaco. I lampadari di cristallo, forse vero, vista la brillantezza, erano irradiati da migliaia di candele sparse per tutto il locale.

I drink erano serviti in eleganti bicchieri dalle forme inconsuete e le poltrone dove sedersi erano imbottite e rivestite di dura pelle nera o bordeaux, così comode da permettere all’imbottitura di adattarsi perfettamente al corpo umano.

Bones scrutò lo spazio intorno a sé un’altra volta. Ancora non capiva come aveva fatto Jane a convincerla a violare gli ordini di Lisbon e recarsi prima del tempo in quello strano locale. L’atmosfera era surreale, quasi come se fossero chiusi e sospesi in una bolla d’aria, lontano dal mondo, persi nell’universo.

E Bones aveva paura. Aveva paura e non sapeva perché.

Forse per via della clientela. Possibile che, eccetto qualche individuo, fossero tutti bellissimi?

Non una donna con un capello fuori posto. Non un vestito spiegazzato. Non una pelle scoperta che non fosse liscia, bianca e quasi lucente. Niente imperfezioni. Se non li avesse visti parlare, muoversi, ridere, bere, respirare, Bones avrebbe giurato di essere davanti a un gruppo armonioso di statue cristallizzate.

In pochi, molto pochi, uscivano da quell’aura di perfezione, ed erano isolati rispetto al resto della folla. Se Bones avesse creduto al sovrannaturale, avrebbe quasi detto che quelle poche persone potevano essere definite “comuni mortali” e gli altri “dei scesi in terra”.

Ma Bones non credeva al sovrannaturale, perciò non si pose il problema. Giustificò, come sempre grazie alla sua mente razionale, quell’aura di perfezione come una semplice riunione di persone altolocate che amavano essere perfette in ogni occasione. Punto.

 

Jane non era d’accordo. Seguiva lo sguardo di Bones e guardava ciò che lei stava guardando.

Quelle persone erano diverse.

Non esiste la perfezione. Lui l’aveva sempre saputo. Eppure..eppure tutto ciò che riuscivano a trasmettergli era un’innata perfezione, un’innata bellezza che colpiva direttamente il cuore.

Jane sapeva che c’era qualcosa di strano. Troppe cose l’umanità non sapeva spiegarsi, e la sua mente era abbastanza aperta per accettare il fatto che gli umani non fossero gli unici a popolare il pianeta.

Ma forse si sbagliava. Forse era solo un’illusione ottica, un qualche trucco di luce che rendeva quegli esseri umani meno umani.

Perché parlavano. Ridevano, bevevano, mangiavano. Come tutti, come “gli altri”.

E per una volta, la mente di Jane fu vinta dall’incertezza.

Ma non dalla curiosità..quella mai.

 

“Allora, che ci facciamo qui?” chiede Bones, per l’ennesima volta.

Jane sorrise alla sua impazienza. Sapeva cosa provava. E non avrebbe perso l’occasione di divertirsi.

Allungò una mano e accarezzò lentamente quella della donna. Bones si irrigidì e fece per ritrarre la mano, ma lui la trattenne.

“Se dobbiamo fingerci una coppia che si gode una serata in un bel locale, devi smetterla di evitarmi e di respingermi” commentò Jane, con un sorriso divertito.

La mano di Bones rimase lì dov’era, ma lei non accenno a rilassarsi. Era ancora un pezzo di ghiaccio. Il dito di Jane scivolò sul polso della donna, dove poteva sentire i battiti del suo cuore. Pulsava frenetico, era agitata, nervosa.

“Perché siamo venuti qui?” chiese Bones di nuovo.

“Studiare, ricercare, apprendere” rispose Jane, scrollando le spalle.

Lei inarcò un sopracciglio “In un locale?”

“Temperance, io studio le persone, e se le persone si trovano in un posto io devo essere con loro” rispose lui, sorridendo.

Le ricordò Booth. Anzi, per un momento, dovette concentrarsi per non sentire la voce di Booth.

Jane, che aveva capito, si complimentò con se stesso per aver imitato alla perfezione l’agente dell’FBI.

“E che cosa dobbiamo fare?” chiese Bones.

“Scoprire perché Cullen doveva venire qui e chi doveva incontrare”

“Potrebbe essere il suo assassino?”

“No, credo più che si tratti di un amico, o di un gruppo di amici, forse qualcuno di cui si fidava. O forse mi sbaglio, e stiamo per vedere il suo assassino”

“Potresti sbagliarti” sottolineò lei, con enfasi.

“Lo so, l’ho appena detto” ribatté lui.

“Le tue affermazioni sono sempre vittime di un margine di errore troppo alto” commentò lei sprezzante.

“Al 99,9 % sono vere” replicò lui, scrollando le spalle in un gesto tranquillo.

Lei aggrottò le sopracciglia “Dove hai presto questa percentuale?” chiese sinceramente perplessa.

Lui rise divertito “Ah Temperance, quando imparerai che la vita non può essere riassunta in un ammasso di numeri e formule?” chiese retorico.

Ovviamente, Bones e la retorica non erano mai andate d’accordo. “Io penserò sempre che l’universo, la vita e il mondo possano essere spiegati solo da cifre e formule. È l’equilibrio della vita”

“L’equilibrio della vita è scandito dalla volontà dell’uomo, qualcosa che i numeri non possono spiegare” ribadì Jane.

“I numeri possono spiegare tutto. Ciò che non può essere spiegato dai numeri non è concreto, e perciò, non è reale” ribatté lei con un sorriso vittorioso.

Si stavano lentamente sporgendo l’uno verso l’altra, Bones inconsapevolmente, Jane decisamente di proposito.

“Esistono tante cose concrete che non sono spiegate dalle tue formule” commentò Jane, senza arrendersi.

“Fammi un esempio” lo sfidò lei.

“L’amore”

“Serotonina” rispose schietta.

“Non ho detto attrazione, ho detto amore” ribatté lui.

Lei scosse la testa, sorridendo “L’amore è solo un nome stupido che gli uomini hanno creato per dare un significato a quelle reazioni dell’organismo che ci attraggono. Il corpo umano reagisce alla vista di un altro corpo se questo è lineare, e nel suo piccolo perfetto. Il nostro cervello è attratto dalle caratteristiche fisiche di un altro essere umano, poiché è lui stesso ad averle nella sua memoria, è lui stesso a crederle perfette. Perciò reagisce e libera la serotonina, che spiega l’attrazione e l’emozione. Aumenta il battito cardiaco, aumenta il piacere fisico e la carica sessuale. Tutto questo spiega l’amore”

“No, tutto questo spiega il sesso” ribatté lui tranquillo, ma deciso a farsi valere.

Lei sorrise “Mi sembra di parlare con Booth”

“Tu ami tuo fratello?” chiese di getto Jane.

“Come sai che ho un fratello?” chiese lei, aggrottando la sopracciglia.

“L’ho letto nella tua mente” rispose Jane.

“Oh, ma per piacere” sbuffò lei, alzando gli occhi al cielo.

“Non tergiversare, ami tuo fratello?”

“Si, certo” rispose sincera.

“Ma non sei di sicuro invasa dalla serotonina in sua presenza”

Jane sentì i battiti di Bones rallentare, mentre incassava il primo colpo: uno a zero per Jane.

“è mio fratello, sangue del mio sangue. Lo amo per questo” tentò lei.

Jane scosse la testa “E non può essere così anche con un’altra persona?”

“No”

“Perché?”

“Perché l’amore non esiste!”

“Guardami negli occhi” esordì Jane. Bones smise di respirare e i suoi occhi verdi si concentrarono su quelli azzurri del mentalista. Era completamente assorta, attratta e respinta allo stesso tempo dalle sue iridi azzurre. A Bones capitava spesso di sentirsi confusa, questo è certo. Ma mai nella sua vita aveva perso il lume della ragione, né la concentrazione. Mai con in quel momento. L’abitudine l’aveva portata a reagire dignitosamente anche in presenza di Booth, nonostante fosse consapevole di negare a sé stessa le emozioni che provava in sua presenza. Era l’abitudine che l’aveva portata a complimentarsi con se stessa per la bravura con cui nascondeva quei sentimenti. Ma Booth era Booth, era un “nemico” che la sua fragile quanto superiore mente poteva ostacolare. Jane no..

Jane non poteva essere ostacolato, perché per quanto Bones lo negasse, sapeva di essere vista. Era impossibile non notare la differenza fra una persona che guarda nei tuoi occhi e una persona che invece legge nei tuoi occhi.

Persino per una raziocinante come lei, quella differenza era palese.

“Guardami negli occhi Temperance” riprese Jane, sapendo di averla completamente rapita “e dimmi un’altra volta che l’amore non esiste, che l’attrazione è solo frutto di un’insignificante sostanza riversata nel sangue; dimmi che non hai provato né mai proverai qualcosa di nettamente superiore a un’attrazione fisica, e io ci crederò”

La sua voce, così calzante e calda, scosse i neuroni stranamente intorpiditi della dottoressa. Dovette ricordarsi di respirare e dovette anche concentrarsi per parlare. Cosa le succedeva? Perché quell’uomo aveva il potere di sublimare non solo la sua intelligenza, ma, soprattutto, la sua razionalità.

“Io..” iniziò, poi si dimenticò subito cosa stava per dire.

“Si?” la incitò Jane con un sorriso talmente malizioso che Bones arrossì.

“Io..credo di aver bisogno di una vodka” continuò, seguendo l’istinto e l’arsura della sua bocca.

Senza staccare gli occhi dai suoi,Jane alzò una mano e con la coda dell’occhi e il dito fece cenno a un cameriere di servire il secondo giro.

La sua mano, su quella della donna, diventava calda e Bones ne percepiva la morbidezza. Più che calore era bruciore. Ora scottava, era scomoda, si sentiva spiata da quel contatto. Avrebbe voluto ritrarla, ma il senso del dovere che l’accoglieva ogni volta che risolveva un caso le permise di resistere.

“Allora?” chiese, cercando di concentrarsi e distogliere tutta la sua attenzione da quel contatto.

“Allora cosa?” ripeté Jane.

“Cosa hai scoperto con le tue doti discutibili e inesatte?”

“Sempre pronta a criticare, eh” commentò lui con un sorriso, per nulla offeso dalla testardaggine della dottoressa “Qui accade qualcosa”

“E cosa?” chiese lei curiosa, guardandosi intorno con fare circospetto.

“Non guardarli così, o capiranno che sospetti qualcosa” le suggerì lui sottovoce.

Lei spalancò la bocca, come accorgendosi solo in quel momento che stava radiografando ogni persone presente in sala e si concentrò di nuovo su Jane, richiudendo la bocca in una smorfia imbronciata, per essere stata corretta e ripresa da lui.

“Credo che dietro alla facciata dell’elegante locale, ci sia il ritrovo di una setta, o di un gruppo particolare di persone”

“Gli assassini di Cullen?”

“Probabile”

“Amici?”

“Altrettanto probabile”

“In sostanza non hai capito ancora niente” concluse lei.

“Vero, ma non del tutto. Mi resta un’ultima cosa da fare”

“Ovvero?” chiese lei perplessa.

Lui sorrise e si alzò dalla sedia, portando via la mano da quella di Bones. La mancanza provocò un vuoto freddo sulla pelle della sua mano, come se la sua unica fonte di calore fosse appena scomparsa. Il leggero pizzicore che percepì sulle sue dita la infastidì.

Jane sorrise, leggendo il susseguirsi di reazioni nello sguardo della donna.

“Dove vai?” chiese lei, cercando di riportare l’attenzione sulla conversazione interrotta pochi secondi prima.

“Al bagno”

“Davvero?” chiese perplessa.

“Certo” rispose lui con un sorriso, prima di allontanarsi.

Bones non era proprio la persona adatta a scovare bugie e inganni. Ma non era stupida.

Concesse a Jane cinque minuti di vantaggio e poi si alzò, seguendolo nel corridoio oltre una porta rossa, dove l’indicazione piuttosto elegante indicava la via per i bagni. Percorsi pochi metri nel corridoio silenzioso e irradiato di luce soffusa, vide Jane svoltare l’angolo opposto a quello dei bagni. Alzò gli occhi al cielo e proseguì la sua camminata.

Svoltato l’angolo si rese conto che avrebbe dovuto fare i conti con le conseguenze della sua curiosità..e di quella di Jane.

Rimase qualche minuto interdetta sul da farsi.

Jane aveva varcato una porta con scritto chiaramente “staff only” ed era sparito all'interno.

Bones da un lato sentiva che Patrick avrebbe potuto aver bisogno di lei e dall'altro era impaurita. Percepiva nuovamente quella sensazione provata varcando la porta del locale.

Ma la sua mente decise di combattere questi sommovimenti così irrazionali, emotivi e pericolosi. Così umani. Si sforzò di respirare, si appoggiò al muro, trasse un bel respiro e cercò di mettere a fuoco lucidamente la situazione.

Perchè non sarebbe dovuta entrare? Perchè era proibito, erano in un locale e Booth le avrebbe detto di non violare la legge. Ma se quella porta fosse stata veramente un accesso riservato e ristretto avrebbero messo un lucchetto o qualcosa di simile... il suo pensiero non fece in tempo ad esaurire la proprio eco nella sua mente che vide a terra un lucchetto abilmente aperto con un pezzetto di fil di ferro attorcigliato. Decisamente era ingegnoso quel consulente.

Intanto, all'interno, Patrick provò ad accendere l'interruttore ma la luce era decisamente fioca, praticamente era costretto a muoversi in penombra.

Questo era il posto a cui si arrivava accedendo dal retro ma... era pieno solo di scatoloni e di qualche scartoffia poggiata in archivi polverosi.

Cominciò a dare un'occhiata in giro sicuro di trovare qualche indizio interessante, degli elementi... anche solo un particolare.

Sentì un rumore.

Indietreggiò automaticamente di un passo: non era mai stato un cuor di leone.

Ma il rumore si fece più vicino e una voce da dietro gli scatoloni lo apostrofò semplicemente dicendo: “che ci fai qui? Torna di là”

“ehm.. chiedo scusa.. mi devo essere perso... cercavo il bagno”

“era dalla parte opposta.. c'è una scritta bella grossa... non puoi non averla vista” le ultime parole dette dalla seconda voce che arrivava da dietro di lui erano state quasi ringhiate più che pronunciate.

“va bene .. si lo ammetto.. in realtà in mezzo a tutte quelle persone così meravigliose mi sentivo a disagio.. mi stavano nascendo dei pesanti complessi di inferiorità e avevo bisogno di un po' di buio... non se capite cosa intendo..”

Patrick accennò un sorriso ad accompagnare l'ennesima balla

Di fronte a lui nella fioca luce proiettata dalle lampade malfunzionanti apparve una figura esile ma scattante che gli si avvicinò, appena sfiorando il terreno su cui camminava.

Quando fu abbastanza vicino Jane lo vide in faccia e non potè trattenere una smorfia di disgusto: il viso era tutto grinzoso e corrugato come in un'immobile smorfia di rabbia.

“... e mi sa che mi capite decisamente... “ sussurrò appena.

L'individuo che aveva di fronte venne verso di lui senza distogliere gli occhi dal viso di Jane che indietreggiò fino ad urtare una delle file di scatoloni.

Sapeva che la porta era sulla sua sinistra e stava valutando se avrebbe fatto in tempo a scappare o se fosse necessario tentare un qualche giochetto per prendere tempo, quando la strada gli fu sbarrata da una seconda figura molto simile nell'espressione quasi animalesca alla prima.

“certo che qui dentro non avete mezze misure sull'estetica, eh?” provò a scherzare, più per fare coraggio a se stesso che per cercare di guadagnare punti con i due tizi.

Questo era il tipico momento che solitamente riusciva a risolvere urlando il nome di Lisbon o al limite di Cho ma sapeva che nessuno dei due sarebbe venuto a salvarlo.

Il tizio più alto che gli precludeva la fuga diede un pugno a pochi centimetri dal suo orecchio: “chi sei e che ci fai qui...?”

“sono un consulente del CBI e sto indagando su un omicidio... se non mi lasciate andare sarò costretto a spararvi” mise la mano in tasca afferrando il cellulare e mostrandone la forma attraverso la giacca. I due indietreggiarono di un passo ma più interdetti che realmente spaventati.

Proprio in quel momento Bones ne atterrò uno con un calcio ben assestato.

L'altro fece un passo indietro.

“no, ma vabbè .. ma che aspettavi? Ti sei messa a fare uno schema sulle variabili della decisione?” Patrick si arrabbiò un po' con Temperance per l'intervento tardivo

“solitamente non ho bisogno di salvare il mio partner da un paio di tizi... intervengo solo sopra le quattro persone” si pavoneggiò Bones

Il secondo tizio partì alla carica e lei lo stese con un paio di pugni ben assestati ma entrambi si rialzarono senza dar segno di aver accusato minimamente la colluttazione.

“andiamo via...” Patrick afferrò Bones per un braccio per tirarla alla porta ma proprio in quel momento si sentì sollevare e scaraventare contro gli scatoloni come fosse un contenitore vuoto e leggero. Atterrò male su un braccio e si ritrovò sommerso da scatole grigiastre.

Bones si girò per vedere chi fosse il nuovo aggressore, appena in tempo per schivare un pugno che la avrebbe mandata a tappeto ma subito si sentì afferrare da dietro e bloccare da uno degli altri due.

Il pugno nello stomaco arrivò rapidamente e sentì un po' di sangue scorrerle lungo le labbra.

Lo sputò.

Cerco di colpire con un calcio l'aggressore che aveva di fronte ma con scarsi risultati.

Vide che questo prendeva la carica per sferrarle un altro pugno e dell'angolazione della spalla e dalla torsione del bacino capì che era diretto al volto.

Istintivamente chiuse gli occhi.

Ma il colpo non arrivò.

Li riaprì e di fronte a lei vide per un secondo solo una figura esile dai capelli biondi e non più l'energumeno che la stava per stendere.

Sentì che la presa del tizio che la tratteneva si era allentata e ne approfitto per eseguire una mossa che le aveva insegnato Booth per liberarsi e colpire poi l'aggressore ma evidentemente non aveva appreso a pieno la tecnica perchè si liberò solo parzialmente e questo la colpi molto forte su un braccio mandandola a sbattere contro l'archivio di ferro.

Le ultime cose che registrò prima di svenire furono il dolore alla testa, l'apertura di un profondo taglio sulla sua spalla e la ragazza bionda che borbottava: “ah.. topi di laboratorio” e poi si lanciava tranquillamente contro i due tizi.

Mentre Bones dopo la strenua resistenza crollava, Patrick sommerso dagli scatoloni che lo immobilizzavano aveva una visione molto parziale degli eventi.

Il primo dei tizi dall'estetica non troppo gradevole aggredì la biondina che nonostante la struttura fisica estremamente esile parava i colpi con una facilità infinita, schivando quelli più potenti.

Il secondo andò ad aiutare l'aggressore e nonostante fossero in due lei sembrava addirittura annoiarsi.

Ad un certo punto si fermò: “basta giocare”.

Stese uno dei due con un calcio, roteò su se stessa impugnando qualcosa, un'arma che conficcò nel petto del primo aggressore ed estraendola con una rapidità infinita, che poteva essere data solo dall'abitudine, la conficcò anche nel petto del secondo.

Jane vedendo cosa successe ai due malcapitati fu sicuro che non avrebbe mai dimenticato quella scena.... altro che Kristina Frey e le sue candele profumate...

Il suono delle sirene si infiltrò tra le maglie dello stupore di Jane.

Il tempo di battere le palpebre e la ragazza bionda era sparita.

Anche Jane perse conoscenza ma quasi sorridendo.

Forse perchè sapeva che tra quelle sirene c'era anche la macchina di Lisbon,

Forse per il semplice sollievo di essere sopravvissuto.

Forse per essere riuscito a far uscire allo scoperto quella ragazza che li pedinava da quando erano arrivati in città o magari semplicemente perchè il caso si stava rivelando più interessante del previsto.

Bones era seduta sul lettino del pronto soccorso con indosso solo il reggiseno e i pantaloni. Una abbondante fasciatura teneva al sicuro i punti con cui le avevano suturato la profonda ferita alla spalla. Il dolore si era molto attenuato e il gonfiore all'occhio destro ora lo percepiva appena grazie agli anti-dolorifici che le avevano somministrato.

Il medico era appena uscito e sapeva che tra poco sia Booth che Lisbon la avrebbero rimproverata per essere andata in quel locale e, sopratutto, per esserci andata con Jane.

Non sapeva come giustificare il proprio comportamento né aveva una chiara idea di cosa fosse successo in quella stanza.

Cercava di mettere ordine nei pensieri ma sentiva la testa che a tratti rimbombava per poi tornare a ronzare pesantemente.

La porta si aprì leggermente e la testa ben pettinata di Jane fece capolino con l'aria sorniona e un po' indecisa di chi ha il sospetto di dover chiedere scusa ma senza avere la minima intenzione di farlo. Controllò che Temperance fosse sola nella stanza e ignorando il fatto che indossava solo il reggiseno le si avvicino.

Era un po' malconcio anche lui, ma aveva soprattutto lividi e qualche taglio, di cui uno sopra un occhio. Indossava la solita camicia bianca ma ora portata di fuori e parzialmente sbottonata.

Si andò a sedere vicino a Bones e le sorrise con quel suo fare giocoso e ironico.

“Wonder Woman ha molto da invidiarti” commentò, catturando l’attenzione della donna.

“Jane, Wonder Woman è un personaggio di fantasia, inventato per ridestare la figura della donna dai canoni della fragilità e dell’inutilità. È un personaggio inventato” aggiunse con quel suo tono da perfetta secchiona “non può invidiarmi, perché di fatto non esiste”

Jane si limitò a sorriderle “Grazie” disse.

“Per cosa?”

“Per aver provato a salvarmi” rispose lui.

“Tentavo di liberarci da una situazione piuttosto scomoda. Ma gli avversari erano nettamente superiori”

“Gli avversari non erano superiori, erano semplicemente non umani” la corresse lui.

Lei sollevò il sopracciglio e sbuffò “Si certo..” borbottò.

“Sul serio, non crederai mai a quello che ho visto!” esclamò eccitato. Si avvicinò pericolosamente al volto di lei, con un sorriso metà fra il malizioso e l’entusiasta. “La biondina è una forza della natura!”

“Il suo calcio era poco equilibrato” commentò lei sprezzante, quasi punta da una nota di invidia.

“Ma ha steso quei due..anzi no! Li ha polverizzati!”

“Ma che diavolo stai dicendo?” chiese lei, aggrottando le sopracciglia in un’espressione confusa e scettica che è tipico rivolgere a un malato mentale che sta delirando.

“Li ha trafitti al cuore con un solo colpo preciso e loro sono svaniti, polverizzati!” spiegò lui, sorridendo estasiato.

“Jane, che antidolorifico ti hanno dato?” chiese lei, con tono improvvisamente comprensivo, come etichettando ufficialmente Jane al delirio.

“Temperance, non ti sto prendendo in giro! Non so che razza di creatura abbiamo incontrato, ma quella biondina lo sa sicuramente ed è venuta a salvarci, perciò ci stava pedinando! E scommetto anche che conoscesse la vittima, altrimenti non l’avrei notata durante le indagini”

“Quindi la bionda conosceva Cullen, ma questo non significa che siamo in balia di essere sovrannaturali. È scientificamente impossibile che..”

Lui la interruppe, “Mah, al diavolo la scienza!” esclamò, scacciando l’aria con la mano, evitando il viso di Bones per un soffio.

Lei sgranò gli occhi. Per lei, quella frase era un insulto a tutti gli effetti.

“Jane..per l’ultima volta” scandì “Non importa cosa pensi. La scienza attesta con certezza che non possano esistere altre forme di vita con poteri sovrannaturali”

“Non parlo di Superman e Wonder Woman!”

“E di cosa allora?”

“Pensa all’evoluzione dell’uomo! E se qualcosa fosse andato storto? Se “loro” fossero nati con noi, esattamente come ci siamo evoluti noi stessi?”

“Loro chi?” chiese lei, più confusa e perplessa che scettica.

“Esseri sovrannaturali, diversi, potenti, ma comunque dalle sembianze umane!” rispose lui, avvicinandosi ancora di più.

Il cuore di Bones prese a scalpitare, senza una ragione, o almeno senza una ragione che lei potesse comprendere. Si sentiva stupida per quelle reazioni, così decise di ignorarle e di concentrarsi sul potente odio che provava per le affermazioni di Jane.

“Jane non esistono esseri sovrannaturali!” lo corresse, rivelandosi più acida di quanto avesse calcolato.

“Questo lo dici tu!”

“Lo dice la scienza!”

“Che tu interpreti!”

“Io non ti interpreto! Razionalizzo!”

“Al diavolo la razionalità!”

“Ma la smetti?”

“Di fare cosa?”

“Di mandare al diavolo tutto quello in cui credo!”

“Ma è stupido?”

“Cosa?”

“Basare la propria vita sulla razionalità e sulla scienza, sulle prove tangibili che non possono spiegare fino infondo l’equilibrio di un mondo che l’uomo conosce solo in parte!”

“Ciò che non si può spiegare non esiste! E non esiste nessuna prova scientifica che degli esseri umani possano essere polverizzati da un coltello piantato nel cuore!”

“Ma io l’ho visto!”

“Forse hai battuto la testa!”

“Perché non mi credi?”

“Perché sei irrazionali e per nulla empirico!”

“E tu sei un’arrogante cervellona!”

Lei inarcò un sopracciglio “Be’, almeno non vado in giro a caccia di mostri che si polverizzano con un coltello!”

“Non era un coltello, era una mazza appuntita..” sussurrò lui.

Senza rendersene conto, anche Bones abbassò il tono di voce. “Qualunque cosa fosse, non può polverizzare la gente!”

“La gente comune no..ma forse..”

“Oh ma piantala!” lo interruppe lei.

“Non vuoi sentire ragione eh?”

“No, perché so di avere ragione!”

“Ti dimostrerò il contrario! Ti sbagli su di “loro” e ti sbagli anche su di me, te lo dimostrerò!”

Lei aggrottò la fronte “Su di te?”

“Hai una pessima opinione di me” commentò lui, pungendola nel profondo. Voleva vedere la sua reazione, divertirsi con quella mente così affascinante e complessa.

“Io non ho una pessima opinione di te..come persona” aggiunse subito, arrossendo. “sei un brav’uomo ma le tue condizioni ti rendono meno intelligente di quanto potresti essere se applicassi le tue capacità mentali a materie di studio più empiriche e razionali”

“Vogliamo la botte piena e la moglie ubriaca” commentò lui.

Lei lo fissò perplessa “Che c’entrano la botte e la moglie?” chiese confusa.

Lui sospirò, ricordando che la dottoressa aveva una certa tendenza a interpretare tutto alla lettera “è un modo di dire, Temperance. Mi vuoi intelligente, con le mie capacità, ma mi vuoi anche scientifico e razionale, cosa che le mie capacità escludono automaticamente”

“Io non ti voglio..” lo corresse lei, e inorridì non appena pronunciò quelle parole, rendendosi conto che non era esattamente quello che voleva dire, e questo, se possibile, la inorridì ancora di più.

“Intendevo dire..” tentò di spiegarsi, arrossendo per il sorriso malizioso del biondo “che non sono io a volerti in questo modo, dico solo che sarebbe un premio alla tua intelligenza..” borbottò.

“Davvero non mi vuoi?” chiese lui, ficcanaso e impertinente.

“No” rispose lei in fretta. Ed era sincera..forse.

Era sincera, in quanto non provava un’attrazione per quello strano consulente. Ma allo stesso tempo mentiva, perché c’era qualcosa che la attraeva come una calamità. Il suo modo di fare, il suo aspetto fisico decisamente piacevole, tutto di lui gridava tentazione. Eppure quella tentazione Bones non coglieva appieno. Si comportava come una ragazzina di quindici anni in sua presenza, ma in realtà non era attratta da lui, era semplicemente..scossa.

Jane, nel suo profondo silenzio, avevo letto i mille significati dietro a quel no. E aveva anche già trovato risposta alle domande che la mente sveglia della dottoressa si era posta. Ma non voleva spiegargli niente, voleva che lei si muovesse per conto suo, che capisse cosa realmente stava cercando nella sua mente, ma, soprattutto, nel suo cuore.

“Che gran peccato..” sussurrò, con un sorriso sornione.

Si alzò dal lettino, lasciandola lì, arrossita e scossa. Si girò verso la porta sorridendo e uscì in corridoio.

Giusto in tempo per incontrare la risposta alle sue di domande, ma soprattutto , giusto in tempo per imbattersi nella stessa figura che gliel’avrebbe fatta pagare cara, molto cara ( Lisbon)

   
 
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