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Autore: Briseide    20/03/2006    13 recensioni
Baciare Ron voleva dire sentire la tenerezza fino alla bocca dello stomaco. Voleva dire avere caldo e bruciare le tappe. Significava imbarazzo e appartenenza, aspettative confermate all'ultimo minuto, e dolce fare pace.
Tutte le volte che nei miei ricordi avrei baciato Ron, era tutto questo, che mi sarebbe dovuto tornare in mente, e avrei dovuto piangere esattamente per ognuno di questi piccoli particolari.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Dedicato a te

È talmente incredibile che non fa neanche male.
Un dolore così forte da anestetizzare se stesso.
E non è vero che non riuscire a piangere equivale a non aver preso atto, a non avere consapevolezza.
Le lacrime più tristi sono quelle che non si versano.
Si fermano tutte in un punto imprecisato, che grava tra il cuore e i polmoni, e rimangono lì, premendo contro il respiro per mandarlo giù, a morire insieme a qualcosa che non ha nome, eppure è così importante.
Così importante, se fa tanto male.

Ricordo di aver saputo subito. Ho sentito il rumore di un pugno che batte, contro una porta di legno, e poi ho capito, senza il minimo dubbio, senza una pietosa illusione.
Non so qual è stata la prima cosa che ho fatto. La notte, quella notte, è la prima cosa a cui si pensa, quando il soffitto è sopra la tua testa, e non è abbastanza basso da soffocarti come preferiresti facesse.
La seconda è la prima che ricordo. L'aver tremato.
Impercettibilmente. Questa parola ha un suono troppo lungo perché riesca a descriverle il mio tremore: questione di poco, un brivido al vento fresco sulle spalle scoperte una sera di fine giugno, qualcosa di apparentemente innocente, ed invece era forse quel vento che ha spento il soffio del mio respiro.

Devi essere forte.
Ma io sono forte. Lo sono sempre stata, sono sempre riuscita a dimostrarlo. Che raccomandazione sciocca, come se si potesse davvero credere che io non lo faccia. Che chiuda gli occhi e decida di non riaprirli più, aspettando che qualcosa mi passi sopra una volta per tutte, e che al momento opportuno mi lasci coprire da una lastra di marmo.

Il punto è che io sapevo. Lo sapevo, lo sapevo benissimo. È qualcosa che ho ripetuto per tutto il tempo, un numero infinite di volte, tanto che ad un certo punto ha perso ogni valore numerico, ogni possibilità di essere quantizzato.
A chiunque si accostasse a me, poggiando un braccio sulle mie spalle che avrebbero dovuto essere scosse da singhiozzi, e invece non tremavano; a quella gente estranea che mi accarezzava passando la mano lungo la scia di lacrime che non avevo versato. Non c'era niente da asciugare sul mio viso, ero solo infinitamente stanca, e forse volevo chiudere gli occhi, e stendermi accanto a lui. Così, tanto per fare qualcosa di naturale.
Lo avevamo fatto un'infinità di volte, non era niente di inusuale, rimanercene distesi con gli occhi chiusi, vicini. Ad ognuna di quelle persone, sorridevo consolatrice, e lo dicevo. Con pazienza.

Lo sapevo. Lo sapevamo tutti. Stavamo aspettando.

Così macabro da dire. Ma nessuno ascoltava le mie parole, ecco perché non perdevano il sorriso, e continuavano a toccarmi, così indiscretamente.
Non ho mai permesso a nessuno di toccarmi a tal punto. Solo a mio padre, e a lui.
Non è più strano che trovarmi lì, e rassicurare ognuno con un sorriso, invece di piangere e farmi raccontare le più diverse esperienze e accettare i consigli di chi ci era già passato.

"Hermione".

Mi voltai solo per abitudine, non di certo per un interesse che non avevo mai avuto. I suoi occhi erano rossi e appannati dalle lacrime, le sue labbra non riuscivano a trovare pace, e davano vita a parole sconnesse. Rimbalzarono contro di me, come tutti gli insulti a cui avevo dovuto fare fronte, come ogni tristezza che la necessità di una battaglia incombente mi aveva tolta, senza giustizia.

Dopo il silenzio eterno della sua voce, che cosa potevo sentire di peggio?

Ascoltai con la placida consapevolezza, che non avrebbe potuto farmi più male del giorno successivo, e dei prossimi anni. E non feci niente, quando mi disse quello che aveva da dirmi.
Che motivo c'era?

"Sono arrivati".

Non era poi così difficile, rassegnarsi all'idea, dopo aver dovuto accettare la sua morte. Annuii, mimando una gratitudine senza voce, e mi voltai, avvicinandomi a lui.

Non lo avevo lasciato un attimo.

"Vi lasciamo soli".

E rimasi sola con lui, pensando che come sempre, mi stava facendo del male, in fin dei conti. Ma che per la prima volta, non era propriamente colpa sua.
Nessuno lo lascerebbe mai, uno come lui.
Il tempo mi correva dietro e io non sapevo quali parole rubargli. Non avevo niente da dire e la convinzione di dover dire qualcosa.

"Quanto sei freddo".

Non era mai stato freddo come in quel momento. Non era mai morto, prima di allora. E io dovevo lasciarlo, prima o poi. Conservarlo nella memoria, nel posto segreto che c'è in ogni cuore; custodirlo nella consistenza di una lacrima e nell'eco di un sorriso.

"Che bello scherzo che ci hai fatto".

La sua fronte era liscia, e gelida, e perfetta, e mille altre cose, perché era la sua fronte e sua madre l'aveva baciata un'infinità di volte quando era un bambino febbricitante, ma nessuno mai l'aveva accarezzata con le labbra, e sfiorata con la propria, come avevo fatto io.

C'era qualcosa di mio in lui. I segni invisibili che io ancora distinguevo, sulle sue labbra. Quelle erano state mie, e lo erano ancora, in quella piega rilassata che avevano. Sorrideva. Nella morte sorrideva, come si sforzava di fare in qualsiasi circostanza.
E quel sorriso era una dedica per me forse, e per tutti gli sguardi amici che lo avevano guardato nel giorno della sua morte e per tutta la vita.

"Ma che si fa così? Andarsene senza dire niente".

Le abitudini rimangono cucite addosso alle persone fino alla fine. Alla fine di tutto. Allo stesso modo in cui chiudeva il libro ed usciva dalla biblioteca senza dire niente; come per tutte quelle volte che avevamo litigato, che mi aveva gridato contro e si era sentito rispondere malamente, aveva sbattuto la porta alle spalle, senza una parola di più.
Non aveva cambiato stile, e non mi aveva detto niente, non un saluto, non uno sguardo. Semplicemente, aveva tolto le tende. E io, anche quella volta, mi ero arrabbiata.
Perché non mi aveva lasciato niente.
Non una conferma, non una promessa, non un figlio, non un morso alla base del collo, di quelli che gli piaceva darmi quando meno me lo aspettavo, per il semplice gusto di ricevere uno schiaffo e farmi vergognare per i cinque giorni successivi.

Invece ho tanto di lui, e ho imparato ad accontentarmi.

"Possiamo?"

No. Non potete. Non potevano entrare, non potevano avvicinarsi a lui, non potevano sollevare un coperchio e coprirlo con quello, e non potevano sigillarlo lì sotto.
E soprattutto, non potevano portarmelo via.

"Solo un minuto".

Un minuto. Sessanta secondi. Il tempo necessario perché il cuore saltasse un battito, la prima volta che mi ha baciato. Il numero di secondi in cui ho detto sì. Le volte moltiplicate per l'infinito, in cui l'ho accarezzato, toccato, guardato, amato. Non ho mai smesso, e non sarebbe bastato un minuto perché potessi ripetere tutto quello un'ultima volta.

"Ma che ci salutiamo a fare. Tanto stanotte ti sogno".

Non l'ho baciato, e credo che Ginny non potrà mai perdonarmi per questo. Lo so, che lei lo avrebbe fatto. Ma io non sono così forte da poter sopportare di non essere ricambiata.
Avevo un ricordo ben nitido, di come fosse baciare Ron. Ed era quello che volevo per me.
Baciare Ron voleva dire sentire la tenerezza fino alla bocca dello stomaco. Voleva dire avere caldo e bruciare le tappe. Significava imbarazzo e appartenenza, aspettative confermate all'ultimo minuto, e dolce fare pace.
Tutte le volte che nei miei ricordi avrei baciato Ron, era tutto questo, che mi sarebbe dovuto tornare in mente, e avrei dovuto piangere esattamente per ognuno di questi piccoli particolari.
Non mi interessava, baciarlo ora che era morto. Quello non era il bacio di Ron. Tutto al più lo era con la sua morte, fredda e impassibile.

"Sei riuscita a salutarlo come volevi?"

La domanda di chi non è mai riuscito a far sì che gli eventi gli dessero il tempo e l'occasione per sentirselo dire. Orribile, non aver mai potuto dire addio, nella propria vita.
Non gli servì sentire le mie parole, per avere conferma. Harry si voltò verso gli uomini e glielo disse. Lo disse per me e al mio posto, perché sapeva troppo bene che non avrei mai dato loro quel permesso. Mi guardò per un momento, mentre seguivo con lo sguardo quelle due persone entrare nella camera e avvicinarsi a Ron, e poi mi sfiorò, quasi per caso.
Lo guardai, con uno sguardo di consapevolezza, che apparve ugualmente smarrito.
Mi avvolse le spalle e gentilmente, spostò il mio corpo, per farmi voltare.

"Vieni. Non serve che tu veda anche questo".

Aveva ragione, e io non volevo vederlo in fin dei conti, pur sapendo che se fossi stata sola, avrei fatto di tutto per guardare. Mi sono fidata di Harry, e in una vita di conoscenza, forse quella era la prima volta che lo facevo davvero.
Sentii solo il rumore del trapano che fissava il coperchio, con il volto premuto contro il cuore e il tessuto della giacca di Harry, e Ron dentro di me, da qualche parte, presenza forte e sicura.
Forse stava cercando il suo posto.
Ne avrebbe scelto uno appartato, dove solo io avrei potuto trovarlo di tanto in tanto.
Quando lo trovò e lo scelse, potei scoppiare in lacrime. Le prime e le ultime di quella giornata.



Così ora ho di fronte un uomo che non è Ron, e che mi trova bella e interessante. Che vorrebbe uscire con me, uno di questi giorni, e che riesce ad immaginarsi insieme a me, in una foto sbiadita.

Io riesco a vedere oltre questa sera, e vedo me e quest'uomo seduti ad un tavolo, a parlare a bassa voce della giornata appena trascorsa e di cosa ci piace fare nel tempo libero, e quello che riesco a vedere più distintamente, sono tutte le parti che lo compongono - le sue parole, gli sguardi, i gesti, i sorrisi - e che hanno la particolarità di non essere quelle di Ron.

Ma gli sorrido compiaciuta, sorridendo con gli occhi rivolti al pavimento, perché riesco a vedere anche Ron, incrociare le braccia e predisporre la morte immediata di quest'uomo dal pianeta.

Il giorno in cui riuscirò a guardare negli occhi un uomo e a sorridergli, e a sfiorarlo per sbaglio, e a vedermi al suo fianco, sarà anche il giorno in cui Ron mi lascerà andare, baciandomi in un sogno o in un sospiro, o in una lacrima, e rimarrà per sempre con me, al mio fianco, guardandomi con la tenerezza con cui ha sempre fatto, e mi pregherà di lasciarlo andare, e sarà anche il giorno in cui lo farò, un po’ perché sarà giusto, in parte perché seppur con una grande paura io lo vorrò, e anche perché a Ron, io non ho mai saputo negare niente e dire di no.

E sarà anche il giorno in cui sospirerò e dirò perché no?

Per ora, quest'uomo che ho di fronte, non avrà un appuntamento con me e non mi avrà al suo fianco in una fotografia. Perché quel giorno non è arrivato, e quest'uomo a Ron non piacerebbe.

Tu sarai sempre parte di me.
E non tradirò la tua memoria.
E non venderò il tuo ricordo per un sorriso fugace.
E se non dovessimo più incontrarci, perché il dopo non è quello che penso, ti avrò sempre qui. Tra il cuore e l'anima. In quello spazio sottile che ti sei scelto e che ti ho concesso.

Fin quando ci rivedremo Ron, ogni passo della mia vita lo dedico a te.
Che sei stato la mia meta, e raggiunto, mi guardi le spalle.
Andare avanti anche senza te, sarà la mia sfida e la mia vittoria. E la mia dedica. L'ennesima, da me per te.


Fine



:. .:

Prima Ron\Hermione che scrivo, e infatti non ha un perchè. O meglio ce l'ha ma è così strettamente legato a me, che inizio a credere che potesse esserci qualsiasi coppia e il risultato non sarebbe cambiato. Però i loro nomi mi sono venuti subito in mente e tra le dita, quindi è considerabile una Ron\Hermione a tutti gli effetti, nonostante il mio insistente stupore. ^^

  
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