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Autore: loralichiario    16/07/2011    1 recensioni
Emma è rinchiusa in un ospedale da sei mesi ormai per un tumore che si sta espandendo per tutto il suo corpo. Un giorno nell'ospedale incontra Stefano, un bellissimo ragazzo, anche lui affetto dalla sua stessa malattia. E' amore... ma saranno in grado di superare la malattia?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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DOPO DUE SETTIMANE
I giorni sono passati lentamente. Ogni giorno che passava era sempre più sofferente e distruttivo. Sono arrivato al punto che di me me ne frega ben poco, ma tornare a casa e vedere i miei abbracciati che piangono mi distrugge il cuore, vederli soffrire per il loro unico figlio. Quel figlio che hanno pregato tanto per avere. Mia madre infatti non poteva avere figli, ma ne voleva uno a tutti i costi. Pregava ogni giorno. Fin quando un giorno mio padre tornò a casa con due biglietti per Lourdes: era la loro ultima speranza. Un mese dopo essersi stati a Lourdes mia madre scoprì di essere incinta di me. Fu una gioia immensa. Ogni giorno non fanno altro che ripetermi che sono un dono di Dio. Siamo una famiglia molto credente, la fede ci ha accompagnato in tutta la nostra vita famigliare e ora più che mai.
Sono sdraiato su una lastra di ferro completamente gelata. Mi hanno stordito con l’anestesia, non riesco a smuovere un muscolo. Mi stanno facendo domande a raffica e stupide per farmi addormentare, del tipo “come ti chiami?”. Guardo il medico che si sta infilando i guanti e penso proprio che sia un lavoro atroce. La mia vita e quelle di tantissime altre persone sono nelle sue mani. E’ una responsabilità troppo grande. Sono sicuro che sono grandi persone. Persone forti che si vedono molto spesso morire fra le braccia bambini, ragazzi. Persone con un grande cuore e una grande intelligenza. Lentamente chiudo gli occhi e il mondo dei sogni mi accoglie.
Sono stordito. Mi fa male la testa, mi sento debole. Forse sono morto.
-Ehi tesoro…- la voce di mia madre: è morta anche lei? O forse non sono morto io. Provo ad aprire gli occhi, ma la luce mi acceca e non ho la forza neanche di sollevare le palpebre. Decido di non aprirle e di abbandonare tutti i pensieri. Non sono debole solo fisicamente, anche mentalmente. Sembra che un camion mi sia passato sopra 5 volte di seguito e contemporaneamente mi sia drogato.
EMMA
Sono le 17.00. Decido di alzarmi dal letto e fare due passi. Molto lentamente e facendo attenzione a non muovere molto il braccio poiché mi avevano appena prelevato il sangue. La cosa che mi rattrista di più è passare davanti al reparto di pediatria e vedere tutti quei bambini così piccoli e innocenti che non hanno neanche potuto assaporare la vita, che non sanno neanche cosa vuol dire vivere normalmente. In questi momenti mi sento fortunata: io ho costruito qualcosa in questi 18 anni della mia vita, me la sono goduta fin quando non sono stata rinchiusa qui, ho riso, mi sono divertita. E loro? Non hanno avuto il tempo di uscire dalla pancia della proprio madre che sono stati sballottolati da una sala operatoria a un’altra. Poi ci sono quelli più grandicelli e quando parli con loro o incroci semplicemente i loro sgaurdi capisci che loro sanno, che loro hanno capito cosa sta succedendo. Parlando con loro capisco che gli manca uscire con gli amici, gli manca andare ai mercatoni di domenica pomeriggio e gli manca perfino andare a scuola. Forse sono proprio loro quelli che soffrono di più perché hanno assaporato neanche metà della vita e sono curiosi, vogliono sapere cosa c’è dopo, ma non possono. Decido di fermarmi: se vado avanti ci sono le stanze di rianimazione, post-operazione e non me la sento di conoscere i nuovi arrivati. Una cosa che la malattia sicuramente non mi ha tolto è la curiosità. Infatti non mi fermo, ma continuo a camminare fino ad arrivare ad una porta con le tendine alzate. Dentro c’è una stanza identica alla mia: un letto con le lenzuola bianco latte che accoglie un ragazzo. Sembra piccolo, penso abbia 16 anni. Ha un viso dolce, anche se si vede che non ce la fa proprio più. Dopo la prima operazione è sempre così. Ti danno così tanto anestetico che dopo sei in uno stato di incoscienza per almeno due giorni. Il primo pensiero che mi viene in mente è che ce la farà. Non so perché, è istintiva la cosa. Mi volto e torno in camera.

               
  
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