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Autore: Neal C_    16/07/2011    6 recensioni
Virginia Foster si trasferisce in una cittadina anonima, Rodeo, in California. Abituata ad essere sempre la prima della classe neppure alla Pinole Valley High School si smentisce e così non può rifiutare una richiesta della cordinatrice del suo corso: aiutare un compagno di classe particolarmente refrattario allo studio, con la testa perennemente nella musica, spesso assente e in continuo conflitto con i professori a cui si rivolge con linguaggio piuttosto colorito, contestando tutto.
Saprà rimettergli la testa a posto o verrà trascinata nel suo mondo di insoddisfazione, di ribellione e continuo rifiuto?
Ha solo cinque mesi per convincerlo* che la scuola non è tutta da buttare, lei che nei libri e nella cultura ci naviga fin da bambina.
*(Armstrong abbandonerà il liceo il 16 febbraio 1990, il giorno prima di compiere diciott'anni.)
[Rating Giallo: linguaggio colorito]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Virginia Foster 1989-2004'
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Dicembre

Cotte e cazzi amari.


Mamma mi aveva promesso che  avremmo festeggiato il natale a Berlino, con Hana e la sua famiglia.
Che saremmo andati a vedere la parte Est, che avremmo incontrato i cugini di Hana: lei dice che Kurt è troppo carino e starebbe benissimo insieme a me.
Sostiene che lui, quando ha visto una mia foto, ha esclamato “Cavolo, chi è questa? È uno schianto!”
ma, secondo me, lo fa solo perché ha già predisposto tutto per il primo appuntamento senza che nessuno di noi due ne sappia niente.
Quando eravamo bambine ero io quella audace e lei quella timida ma, quando ci siamo fatte ragazze, Hana è diventata una temeraria e ha scelto il suo mestiere:  agente matrimoniale in missione speciale.
Io non sono particolarmente timida ma lei è senza pudore!
Poi negli ultimi tempi, quando le ho raccontato del mio gruppo, lei non ha fatto altro che chiedere di Armstrong.

“Ma come sta quel tuo compagno di banco? Gli fai ancora lezione di inglese?
Com’è? Ancora biondo? O blu? O verde?”
“Niente di nuovo sul fronte occidentale. In compenso credo si stia facendo crescere i capelli.
Non si rasa da un po’. ”
“Uhm...e uscite la sera?”
“Con il gruppo? Mah, non tanto.
Ogni tanto, il week-end o comunque sempre quando c’è Jenny”
“Devo essere gelosa di questa Jenny?!”
“Mannò! Maddai! Lo sai che sei la mia migliore amica di sempre!”
“Uhm...e lui che fa?
è fidanzato? Sta appresso ad una?
Si vede con qualcuna?
State spesso insieme?”
“Hana...ma che dici? Sai quanto me ne frega!
Comunque no, non è fidanzato che io sappia.
Per il resto, vuoi che ti dia il suo numero? Così glieli chiedi di persona questi dettagli sulla sua vita sentimentale!
“Uhm...ok!”
“Cosa?”
“Aspetta che cerco carta e penna.”
“Ma che dici?! Tu nemmeno lo parli bene l’inglese!”
“Non è vero! E poi di che hai paura? Voglio solo scambiarci quattro chiacchiere!
Voglio vedere che razza di gente frequenta la mia amica del cuore.”

Poi sono cominciati i cori:  HaiPaura?, MiNascondiQualcosa?, CheVuoiCheSucceda!, Eddaaaaaai!!!  Vigliaaaacca!!!, VigSiVergogna!, VirginiaLaBambina ecc.
Alla fine mi ha strappato una promessa; un giorno di questi, magari durante le nostre lezioni di ripetizione, le dobbiamo telefonare, a qualunque ora, perché lei gli vuole parlare.
Sinceramente la cosa mi preoccupa un po’ perché so di cosa parlo quando chiamo Hana la mia piccola agente in operazione “convolo”.
Ma che può mai succedere?

Comunque, tornando al mio viaggio natalizio, abbiamo dovuto rinunciare.
Mio padre ha avuto un periodo nero a lavoro, di cui non parla mai ovviamente, cosa mi fa decisamente irritare, e mia madre invece è al settimo mese.
Non ci posso credere.
Da un giorno all’altro ci siamo accorti che il suo pancione cresceva a dismisura benché lei spesso indossi dei camicioni e della maglie XXL talmente sformate che sembra sempre la solita, con le sue gambette e le braccia magre ma forti e il torace piccolo.
In questo devo dire che somiglio parecchio a lei.
Insomma dopo un po’ ci siamo accorti, tra me e papà, che la mamma doveva stare riguardata e questo significa che Frank ha il governo totale della casa.
Non che mi dispiaccia più di tanto, anche perché cucina molto meglio di mamma, ma ritrovarmi tutti i giorni la faccia lunga e annoiata di Nick, contribuisce a mettermi di cattivo umore, a parte ovviamente il mio dispiacere per aver dovuto rinunciare al viaggio in Germania.
Lo so che dovrei essere paziente ma comunque mi sento come se avessero infranto una promessa, una cosa a cui tenevo tantissimo e per colpa loro non posso ottenere.
Cerco di farla pesare il meno possibile ma per questo preferisco passare meno tempo possibile a casa: vado a studiare da Mike o da Sab, vado a dormire da Meggy e esco con lei e il suo fidanzatino di Los Angeles, vado a cazzeggiare a casa di Mike-biondo-platino con i suoi amichetti un po’ flippati, compreso il mio amabile compagno di banco.
Altrimenti c’è sempre Jenny.
Ho praticamente vissuto un’avventura con lei.
Questo week-end lei doveva partire per un paesino sperduto dello Oakland* -non chiedetemi dove, già è tanto se conosco il nome di qualche posticino nei dintorni- per andare alla fiera del motore.
Peccato che mi avesse promesso che sarei andata a dormire da lei sabato sera e la fiera sarebbe finita solo domenica pomeriggio.
Insomma alla fine siamo partite insieme con il suo furgoncino con la prospettiva di passare la mattinata alla fiera, di berci qualcosa in un pub la sera e dormire nel suo pick up. Idem per domenica,  poi verso le sei e mezza ci saremmo mosse da quel posto sconosciuto per tornare in una più nota Rodeo.
Inutile dire che è stato grandioso.
Siamo partite ed è finita la benzina su una strada dal cemento un tantino malandato.
Abbiamo dovuto spingere per un bel po’ il pick-up, prendendo tutti i fossi della strada,  fino alla pompa di benzina più vicina.
Loro aspettavano ancora la fornitura e quindi ci è toccato attendere ancora un paio d’ore.
Finalmente abbiamo fatto il pieno e siamo partiti a tutta birra; c’era il rischio che arrivavamo in ritardo e addio bancarella per i pezzi.
Il padre di Jenny aveva dovuto vincere due puntate al casinò per poter fittare quella benedetta bancarella.
E quando siamo arrivate c’erano dei tizi che la stavano occupando.
Inutile dire che Jenny ha frenato di botto,  ha tirato il freno a mano, e si è lanciata fuori dalla portiera inseguendo quei tizi e insultandoli come un carrettiere.
Poi c’è stata una gara a chi urlava più forte, a chi trovava gli insulti più volgari, a chi era più macho e cose del genere.
Nel frattempo io ero nel furgone che stava ancora in mezzo alla strada e non osavo muovermi.
Dietro di me si era formata una fila di macchine che suonavano il clacson, gente che si sporgeva dal finestrino gesticolando furiosa, insulti che volavano, e un tizio cinque volte me è persino sceso dalla sua di macchina per capire che ci fosse capitato.
Alla fine si è offerto lui di spostare il mezzo e io ho dovuto lasciarglielo fare.
Ha parcheggiato abusivamente salendo su un marciapiede e poi mi ha mollato in tronco senza neppure salutare, limitandosi a bofonchiare qualcosa sull’incapacità della nuova generazione al volante, di come lui aveva imparato a portare la macchina a quattordici anni e di come le donne erano un pericolo alla guida di qualsiasi cosa.
Sono scesa e ho raggiunto Jenny che nel frattempo aveva accettato una sfida che mi ha fatto rabbrividire: chi reggeva meglio l’alcol avrebbe preso la bancarella.
Si è fatto avanti un armadio barbuto con due spalle gigantesche e i suoi amici hanno procurato un paio di bottiglie di rhum a metà prezzo.

“Jenny, per piacere, lasciamo perdere ok?”
“Col cavolo! Sai quanto ho pagato quel fottutissimo banchetto? Quasi mille dollari!”
“Ce li metto io, ok? Per un altro banchetto, intendo.”
“Adesso non c’è ne più nessuno da affittare, e comunque non me ne frega niente.
Quel coso era mio, l’ho pagato e lo voglio.
Non rompermi le scatole che già questi mi hanno fatto girare i coglioni.”

Che dire?
Ho assistito allo scontro fra i due, la mia agguerritissima Jenny che  buttava giù i cicchetti con un entusiasmo e un’esperienza che non avrei mai immaginato avesse, e lui che continuava a ingoiare bicchiere dopo bicchiere, senza sosta, come un lavello che scola l’acqua.
Quando hanno collezionato sette-otto bicchierini ho cominciato seriamente a preoccuparmi.
Erano entrambi rossi in faccia e ormai faticavano ad andare avanti, si attaccavano ai bordi del banchetto continuando ad insultarsi fra un drink e l’altro, le loro teste ciondolavano e io non comprendevo quasi più il loro inglese masticato.
Alla fine il tizio barbuto gliela ha data vinta, forse per la tenacia, forse perché nemmeno lui ce la faceva più.
Quanto a Jenny, appena quella banda di rompiscatole si è dileguata lei ha vomitato tutto per terra.
D’altra parte quel posto faceva già schifo di suo.
Le ho sorretto la testa per facilitarla e l’ho appoggiata su una sedia ma cadeva per terra, come un pupazzo.
Alla fine l’ho lasciata un attimo per spingermi poco più avanti, ad una specie di ferramenta dove ho comprato una brandina di quelle di plastica  e un telo impermeabile.
Ci ho steso Jenny sopra con tanto di telo impermeabile per assicurarmi contro il suo vomito.
Adesso toccava a me...
Come si vendono pezzi di ricambio, bulloni, attrezzi vari e cose del genere senza saperne un emerito niente?
Bene, io ci sono riuscita.
Nel senso  che ho adocchiato un senzatetto che camminava avanti e dietro per la fiera e gli ho proposto il tre percento del ricavato, più la brandina e il telo di plastica in cambio del suo lavoro.
Lui attirava i clienti, li intratteneva con le sue battute simpatiche, e, quando si parlava di pezzi, era quello competente, informato, appassionato. Io stavo alla cassa e sorridevo come se fossi la brava mogliettina del loro meccanico di quartiere.
Ha funzionato!
Ho raccolto quasi il doppio della somma che Jenny aveva pagato per l’affitto del posto.
Jenny si è svegliata solo verso le sette di sera, quando tutto era finito.
Io stavo pagando il senzatetto e lo stavo ancora ringraziando per il suo lavoro e, perché no, per la sua compagnia che era stata divertente, quando lei, alzatasi dalla brandina, mi ha guardato stranita, anzi, totalmente allucinata e si è messa a gridare:

“Ma che cazzo fai! Al ladro! I miei soldi! MioMIO MIOOOOOO!!!”

Nel frattempo si teneva la testa e piagnucolava, bestemmiando contro tutti i malanni di questo mondo.
Inutile dire che non l’ho portata a bere un bel niente. Mi sono solo procurata un paio di hot dog e una porzione gigante di patatine, annaffiando il tutto con acqua naturale e coca cola.
Lei si è riaddormentata subito dopo aver mangiato e io, dopo aver sistemato l’incasso della giornata nella cassaforte me ne sono andata a letto, tranquilla.
La domenica Jenny si è svegliata più lucida, il mal di testa era solo un dolorino fastidioso da ignorare però almeno si reggeva in piedi e formulava frasi di senso compiuto.
Le ho fatto trovare del caffè nero, forte, senza zucchero e un paio di croissant al burro.
Poi tutto è filato abbastanza liscio, abbiamo venduto meno di ieri, certo, ma non si può avere sempre tutto.
Comunque Jenny deve essersi divertita e ha comprato una serie di pezzi di quelli piccoli e rari e me li ha agitati sotto il naso per tutto il viaggio di ritorno.
Dopo la nostra gita alla fiera, ho sentito il bisogno di una vacanza; il desiderio è più impellente che mai.

****************

Dannazione, è già mercoledì e io ancora non ho detto niente ad Armstrong della relazione e compagnia cantando.
Esco da casa di Mike-biondo-platino; pensavo che lo avrei trovato lì, visto che dove sono Al e Mike c’è anche Billie.
E invece nessuno lo aveva visto e da Mike-biondo-platino ho trovato un casino mai visto.
Stava infilando tutti i suoi averi in un paio di scatoloni di cartone e qualche altra busta.
Non che avesse molto, in effetti, quindi poteva permettersi di fare da sé, senza chiamare chissà quale ditta traslochi.
L’ho osservato per un pezzo mentre appallottolava qualche maglietta, stendeva alla ben e meglio una giacca nera che all’epoca doveva essere stata parte di un abito elegante, infilava due camicie spiegazzate, una bianca e una a quadrettoni, tipo tartan, poi la divisa della Pinole Valley, un chiodo dalla pelle stravecchia e un paio di consunte infradito per la doccia.

“Ehi, Mike, hai visto Armstrong?”
“Uhm...no. Ma starà facendo anche lui i bagagli.”
“Cosa? Quali bagagli?”

Alza un attimo lo sguardo, lasciando penzolare la biancheria che stava infilando in una sacca a parte.
Non posso fare a meno di arrossire e girare la testa mentre lui mi sventola un paio di boxer sotto il naso.
Rimbocca le maniche della camicia e sposta lo sguardo su di me, un po’ sorpreso.

“Billie non te l’ha detto?”
“Non mi ha detto cosa?”
“Beh, che ci trasferiamo.”
“Dove? E che vuol dire vi trasferite? Lui che c’entra?”
“Billie se ne va di casa. Viene a vivere con me e Jason, tra la West 7th e Peralta Street.
Nella zona Ovest di Oakland.”
“Ma...i suoi?”
“Boh, vedrà lui. Più che altro è Tim che mi preoccupa.
Mentre Ollie, tutto sommato, se ne frega di quello che fa Billie, Tim è un rompiscatole.”

Ho lasciato cadere il commento sulla famiglia di Armstrong.
Credo che sia questione di punti di vista.
Mike-biondo-platino è abituato a considerare i genitori come rompiscatole e seccatori che ti incasinano la vita solo perché sua madre ogni tanto si svegliava e gli scombussolava la giornata, ma per il resto è stata piuttosto assente. O almeno è questo che mi ha raccontato lui.
Insomma, uno che si preoccupa di un ragazzo che non è neppure suo figlio è ufficialmente un rompicoglioni, una che se ne frega del sangue del suo sangue invece è una a posto, tranquilla, un’alleata.
No comment.
Ho salutato Mike-biondo-platino ignorando gli altri che andavano e venivano da casa, facendo tappa in cucina, davanti al frigo, per rifornirsi di birre.

Mentre cammino verso casa Armstrong mi chiedo perché qualcuno di loro non mi abbia avvertito prima.
E se non venivo a sapere niente, salvo poi trovare deserta quella bettola che loro avevano chiamato casa fino a quel momento?
Perché lui non me l’aveva detto prima?
In teoria dovrei essere la prima a sapere che si trasferisce, altrimenti dove lo raggiungerei per le lezioni di inglese?
O pensava che me lo avrebbe detto qualcun altro?
Mica cercava di nascondermelo?
O forse è ancora arrabbiato con me per quella sciocchezza della settimana scorsa.
Non dovrebbe essersi offeso, non è che lo abbia insultato più di quanto faccio di solito e se anche lo facessi lui se ne fregherebbe amenamente.
I ragazzi sono davvero complicati.
O forse lo siamo noi ragazze.
Nel frattempo arrivo davanti alla porta di casa Armstrong persa nei miei pensieri e suono il campanello meccanicamente.
Non si vede ne si sente anima viva per almeno cinque minuti buoni.
Mi tocca bussare almeno tre volte per trovarmi davanti Billie Joe che mi apre spazientito, apostrofandomi con un “Chi rompe?”.

“Potevi dirmelo prima”
“Di che cazzo parli?”
“Hai deciso di andare a vivere con Mike-biondo-platino in una Squatter House, ancora più ad Ovest. Quando pensavi di dirmelo?”
“Sai com’è, me ne vado di casa per non avere tra i piedi una madre, un padre o un qualunque genitore che pensi di dettar legge. Invece, adesso scopro che devo riferire tutti i miei movimenti alla mia compagna di corso. Magnifico”
“Ma...ma come diavolo ci vieni a scuola la mattina?”
“Ragazzina, hai mai sentito parlare di autobus?”
“Ma sono quindici fermate! Quasi più di mezz’ora in autobus! A che ora ti vuoi svegliare la mattina, alle cinque e mezza?!”

Nel frattempo lui ha lasciato la soglia di casa e si è subito diretto al piano di sopra.
Io lo seguo senza esitazioni di sorta, guardandomi in giro.
Non avevo mai fatto veramente il giro della casa anche perché la prima e l’ultima volta in cui ero entrata là dentro mi avevano decisamente terrorizzata.
Ma stavolta sono curiosa di vedere com’è il regno di Mr “non-faccio-un-cazzo-dalla-mattina-alla-sera-tranne-suonare-e-sballarmi-con-gli-amici”.
Entro in una stanzetta piccolina, non più di trenta metri quadri, anche questa nel caos più totale;
l’armadio ha le ante spalancate, e tutto il vestiario è impilato sul pavimento, il letto sfatto con le lenzuola che spazzano il pavimento, una chitarra, una coppia di amplificatori, un cassettone, un comodino e una scrivania con tanto di lampada.
Sul pavimento sono impilati anche una ventina di dischi in vinile e centinaia di fogli, foglietti, fogliettini, più una decina di quaderni.
Vedo che si affanna inutilmente a cacciare in una sacca sei magliette, appallottolandole (Dio, che brutto vizio!) e stritolandole quasi sadicamente.

“Così non ci entrerà mai tutto!”
“Eh?”
“Conosci il senso della parola piegare? Piegare una maglietta aiuta a fare economia quando si parla di spazio in valigia! Mai sentito?!”

Prima ancora che si riscuota, mi avvicino, con passo frettoloso, gli strappo la borsa di mano e la svuoto per terra. Mi guarda attonito.
Si vede che non ha mai piegato una maglietta.
Imbranato.
Mi siedo a gambe incrociate e prendo a stirare le maglie con le mani, almeno per quello che mi riesce: non riuscirei comunque ad estinguere queste pieghe millenarie.
Poi le ripiego e le infilo nella sacca appiattendole il più possibile.
Dopodiché attacco con i pantaloni, un paio di pullover, una giacca, la divisa della Pinole ecc. senza che lui sembri smettere di fissarmi, con quegli occhi verdi spalancati e un’espressione assolutamente idiota.
Questi vestiti sono terrificanti!
Sono...dismessi. Di taglie tutte diverse, alcune grandissime, alcune addirittura strette, stinti, scuciti in alcuni punti, rovinati, macchiati, maglie bucherellate, pantaloni stracciati, camicie a cui mancano i bottoni, altre con bottoni tutti diversi, toppe di tutti i colori e dimensioni su maglioni e maglie a maniche lunghe...devo continuare?
Anche se come quantità, devo dire che sta messo meglio di Mike-biondo-platino.

“Ma che diamine fai a questi vestiti? Li hai ridotti uno schifo!”
“Sai com’è, sono di seconda o terza mano. Alcuni me li hanno passati i miei fratelli, altri qualche mio amico.”

Almeno ha smesso quell’espressione da pesce lesso e sembra considerarmi un po’ meglio.
Mi indica un paio di orride camicie, una a righine nere e bianche, l’altra a quadri verdi, che spero non si metterà mai in mia presenza.
Tra l’altro quella verde è mezza stinta con delle macchie scure evidenti, macchie di qualcosa che sembra erba di prato.
La prendo, me la rigiro fra le mani, e nel frattempo sento la mia faccia contrarsi in un’espressione di disgusto.

“Quelle Jason le ha trovate in un parco tre anni fa, poi me le ha passate perché gli andavano piccole.”
“Ma quelle sono per ragazzini di quindici anni! C’è scritto sulla targhetta!”
“A me vanno.”

Lo osservo allucinata.
Beh, in effetti c’è davvero poca differenza fra uno come lui e un quindicenne.
Sicuramente sono alti uguale.
Mentre lui raccoglie i foglietti volanti in una pila più ordinata, legandoli insieme con una specie di spago, il mio occhio cade sui dischi in vinile.
Non posso fare a meno di guardare, benché non abbia mai amato la musica più di tanto.
Replacements di Minneapolis, Minor Threat, Dead Kennedys, Van Halen, Mö
tley Crüe, Generation X, Hüsker Dü, Ramones, Kinks,  gli Who*.
Questi ultimi sono gli unici che riconosco.
Gli altri mi sono assolutamente sconosciuti ma non ci vuole la zingara per sapere che genere di musica suonano.
Ce n’è uno particolarmente rovinato; Graffi dovunque e anche piuttosto larghi e profondi.
Sorry Ma,  Forgot To Take Out The Trash dei Replacements of Minneapolis.
Con due dita lo mostro ad Armstrong, sventolandolo, con fare annoiato:

“Questo oramai non suona neanche più. Tanto vale che lo butti no?”
“NO!”

Si lancia in avanti e quasi mi arriva addosso, tanto che, spaventata, lo lascio cadere.
Mi guarda feroce e con uno scatto arrabbiato lo afferra, buttandolo poi sulla pila dei vinili e girandosi per cercare uno scatolone in cui depositarlo.

“P-perché no?!”
“Quello è il primo disco dei Replacements che mi ha prestato mia sorella sei anni fa*!”
“Si, ma è un ammasso di graffi! Non lo puoi più sentire!”
“Tu non lo toccare. Ragazza o no, ti piglio a paccheri e ti faccio sputare sangue.”

Ok, oggi sta particolarmente di cattivo umore.
Non mi ha mai minacciato in questo modo.
Mi limito ad incrociare le braccia mentre lui caccia i dischi in uno scatolone.

“A proposito, che cazzo ci fai qui? Oggi non abbiano lezione, no?”

Odio quando mi tratta come se fossi la sua prof privata.
Come se a me facesse piacere vedere la sua brutta faccia flippata.

“La Carson vuole una relazione su Poe e il romanzo gotico dell’ottocento.”
“Che non rompesse il cazzo.”
“Se glielo andassi a dire sono sicura che capirebbe.”
“Per quand’è?”
“Per sabato.”
“Uhm...”
“Abbiamo tre giorni.”
“Ok, pensaci tu.”
“Cosa?!”
“Non ho tempo. Pensaci tu. Per piacere.”

Mi guarda intensamente, cercando di leggere la mia risposta negli occhi.
Si sforza di fare quello gentile anche se non gli riesce molto.
Non sembra uno che è abituato a chiedere un favore, anzi, l’esatto contrario:
uno che i suoi problemi se li risolve da solo, che non vuole ritrovarsi a dipendere da nessuno e non vuole avere debiti con nessuno. Uno a cui costa chiedere l’aiuto di qualcun altro.
O forse è semplicemente perché deve chiedere aiuto a me?
Alla fine mi rassegno e annuisco.
Lui può finalmente abbassare gli occhi e tornare al suo bagaglio.
Poi inaspettatamente sento la parolina magica uscire dalle sue labbra.

“Grazie.
Mi stai davvero parando il culo quest’anno.”
“Si, lo so.
Senti, invece di farmi stare qui come un’imbecille che ne dici di farti aiutare?”
“Uhm...porta giù la sacca degli abiti.”

Nel frattempo lui si è caricato di due scatoli di cartone e io lo seguo a ruota.
Appoggiamo tutto all’ingresso e cominciamo a portare giù il resto.
Serviamo entrambi per scendere gli amplificatori e la chitarra, anzi, le chitarre, un’acustica marroncina, e un’elettrica blu piena di scritte, adesivi, disegnini e roba del genere, entrambe nelle loro borse.

“Senti ma poi come te la porti questa roba fino a laggiù?”
“Non lo so ancora, devo sentire Mike.
Attenta alle scale...”
“Uhm...Se vuoi chiamo Jenny, lei sarà contentissima di darti una mano.”
“No, ci penserò da solo.”

Evita il mio sguardo e continua a seguire le scale sotto di sé mentre trasportiamo giù uno degli amplificatori. Tutto questo interesse per la scala mi sembra esagerato.
è solo una comunissima scala di legno che reggerà benissimo senza bisogno di controllare ogni minimo passetto.

“Ehi, guarda che io non ci metto niente! È questione di un minuto e poi lei sarà qua.”
“Non è una buona idea.”
“Perché?”
“...”

Vuoi vedere che...

“Eddai, dimmeeeeelo!
Perché ogni volta che si parla di Jenny tu fai il vago e ti rincretinisci oltre che diventare un peperone con tanto di tintura e gel?”

Comincio a stuzzicarlo, a riempirlo di domande, anzi a stonarlo sempre con la stessa cantilena.
Cerca di ignorarmi per un po’ e scuote il capo, quasi divertito.
Ma soprattutto si limita a non muovere un muscolo, tranne quelli necessari al trasloco e a non rivelare un bel niente.
Mentre sta scendendo l’acustica mi avvento sulla sua elettrica, nella sua borsa, che è appoggiata al muro, e la circondo con le mie braccia.

“LASCIALA! TI PREGO, LASCIALA!”
“Io la lascio se tu rispondi!”
“NON FARE LA STUPIDA RAGAZZINA, FAI UNA BRUTTA FINE!”

Non mi impressiono più di tanto.
Se anche volesse menarmi distruggerebbe la sua stessa chitarra e sono sicura che non lo farà mai, quindi non c’è pericolo. Continuo a stringerla al petto con le braccia.

“Non ti costa niente. Su! Tu rispondi!”

Lo sento bestemmiare in tutti i modi possibili e immaginabili, il suo sguardo è animato da un lato dal fuoco della rabbia e dall’altro da una velata paura.
Paura di che poi? Che possa fare qualcosa alla sua adorata chitarra?
Questo, a furia di strimpellare, a perso qualche rotella!

“Ragazzina...”
“Virginia!”
“...sei una grandissima stronza.”
“Embè? Ti arrendi?”

Alla fine sembra tranquillizzarsi un pochettino: si sarà convinto che non posso distruggerla tenendola in mano tre secondo. Almeno respira normalmente e non sembra in apnea.
Sospirone.
Alza gli occhi al cielo e fa un sorriso amaro.

“Perché?
Perché la conosco da una vita, in realtà anche da prima che lei si accorgesse di me.
Perché prendeva sempre il mio stesso autobus, quando dovevo andare da Mike, e lo fa tutt’ora e quei momenti sono terribili. Cado nel panico, l’imbarazzo è totale e in più arrossisco come una bimbetta alla sua prima cotta.
Perché ogni volta che ci vediamo sono costretto a vederla abbracciata a quel figlio di puttana del suo ragazzo. Ti assicuro che Juls è un grande stronzo con le ragazze.
Ne cambia in media una a settimana e ti assicuro che quello di Jenny è un record.
Due mesi insieme. Nessuno pensava che ci sarebbe mai arrivato.”
“Ma...da quanto tempo la conosci?”
“Uff! Da quasi quattro anni.”
“E in quattro anni...ti sei mai fatto avanti?”
“Non ho le palle. Non per queste cose.”

Per un momento mi fa sorridere questo benedetto ragazzo.
Sembra forte, sfrontato, ironico, e anche un po’ arrogante alle volte, poi non ha il coraggio di fare una cosa così semplice.
In fondo che ci vuole ad avvicinare una ragazza quando sei uno che ha deciso di andarsene di casa?
Che ci vuole, se sei uno che si mette continuamente in mostra su un palco davanti ad un pubblico che va dalle cinque alle cinquanta persone, o centocinquanta?
Che ci vuole, se sei uno che lavora tutti i giorni e nonostante tutto persegue il suo obbiettivo, quello di continuare a suonare, e sopravvivere con la sua musica?
E poi quando arriva il momento di avvicinare un ragazza diventa un bambinetto tremebondo.
Un bambinetto con la faccia paffuta e gli occhi a palla.

“Hai mai pensato di scriverle?”
“Scriverle?”
“Si, che ne so, una lettera, un biglietto da lasciarle addosso, nel cappotto, nello zaino, nella macchina o davanti alla porta di casa.”

Scuote il capo, arricciando il naso.
Poi mi da le spalle e fruga fra i pochi fogli e quadernini rimasti ancora fuori.
Mi porge un pezzo di carta su cui sono state scarabocchiate della parole, sopra di queste delle lettere e qualche tab per chitarra, appena abbozzata.

“Dovrebbe venire più o meno così anche se ci devo lavorare.”

Riprende in mano l’acustica, si siede per terra, e sembra controllare che sia accordata.
Mi indica una scatoletta di latta sulla scrivania e io mi allungo per prendergliela.
Ne estrae un plettro blu e poi comincia a suonare, pochi accordi, ritmati, veloci, melodici.

Now I rest my head from    
Such an endless dreary time.                          
A time of hope and happiness
That had you on my mind.                                   
Those days are gone and now it seems                   
As if I'll get some rest.
But now and then I'll see you again
And put my heart to the test.

Batte il tempo con il piede, come se dovesse mimare una batteria.
Una cosa che mi ha sempre stupito dei cantanti e chitarristi è che mantengono un ritmo e una melodia sia con lo strumento che con la voce.
Insomma è come quando mano destra e mano sinistra sul piano suonano due pezzi diversi.
Però è comunque più facile per il pianista perché il tempo è uno solo, per entrambe.
Invece, quando li sento cantare e sento il motivo alla chitarra mi sembra che stiano suonando in contemporanea due pezzi diversi.
Sarà che di musica non ne capisco niente.

So when are all my problems gonna end?
I'm understanding now that we are
Only friends.
To this day I'm asking why
I still think about you.

Cavolo, non pensavo che una canzone potesse essere così autobiografica, così vera… insomma così significativa.
Una canzone in fondo non è come un libro, non riesce ad esprimere veramente il pensiero di qualcuno, non è uno strumento di trasmissione del sapere o che so io.
Fino a questo momento penso di averle considerate sempre solo un hobby per appassionati, un bel giochetto da fare da soli, o in compagnia.
E invece queste parole sono emozioni.
Sono vive.
Le seguo sul foglio con il dito e , quando riattacca, comincio a cantare con lui.

As the days go on I wonder
will this ever end?
I find it hard to keep control
When you with your boyfriend.
I do not mind if all I am is
Just a friend to you.
But all I want to know right now
Is if you think about me too.

Non è neppure una canzonetta sdolcinata.
è una lettera, anzi, è più efficace di una qualunque lettera.
Sarà vero che la musica trasforma le cose?
Tra l’altro non avevo notato quanto fosse melodica e vibrante di energia la voce di Billie.
Ok, è un po’ roca, ma non per questo la canzone rende peggio.

So when are all my problems gonna end?
I'm understanding now that we are
Only friends.
To this day I'm asking why
I still think about you.*

Ripetiamo entrambi più volte il ritornello, a squarciagola.
Poi ci fermiamo e torna il silenzio.
Mi vergogno di averlo costretto in quel modo a mettere a nudo una parte di sé.
Ma lui non sembra poi così imbarazzato quando chiude la canzone, con gli ultimi tre accordi.
Anzi, è mooolto più rilassato di prima, e sfoggia un sorriso beato, raro di questi tempi.

“Billie, è bellissima.”
“Non è ancora pronta...ma l’idea è questa.”
“Ma...tu fai sempre così?”
“In che senso?”
“Qualunque emozione, qualunque cosa ti colpisca o ti sconvolga...tu le dedichi una canzone?”
“Boh, più o meno. Nel momento in cui le devo scrivere, è sempre un inferno, specie i testi.
Più la cosa mi sta a cuore e meno le parole sembrano venirmi fuori.
Poi quando si tratta di suonarla, di sentire la musica intorno, mi sfogo e così sto in pace, sia quando sono solo con una vecchia acustica e la mia voce, sia quando ad accompagnarmi ci sono un basso che traballa un po’ e una batteria leggermente fuori tempo*. ”
“Fagliela sentire!”
“A chi? Al gruppo?”
“A lei! A Jenny! Le hai dedicato una canzone! Una ragazza non può rimanere indifferente ad una cosa del genere.”
“Per essere additato come sfigato anche dal mio stesso gruppo? Grazie tante, sto bene così.”
“Billie, ma non è affatto da sfigati! È una cosa romanticissima! Sembra la scena di un film!”

Lui scrolla le spalle  e scuote la testa.
Non sembra credermi più di tanto o forse non si sforza nemmeno di farlo.
Lo vedo accartocciare quel foglio e ricacciarlo in uno scatolone insieme a tutte le altre carte.
Saranno quelle tutte le parole che lui ha tirato fuori cercando di spiegare cosa sentiva, cosa accadeva dentro e accanto a lui.
Ancora una volta mi sento un’incapace, una fallita che non ha nessuno spirito creativo, tanti interessi e nessuna passione. Mi sento un po’ vuota come persona.
Io sono sempre stata quella che poteva fare qualunque cosa, studiare qualunque materia e prendere sempre i voti più alti.
Ma non c’è mai veramente niente che mi abbia appassionato, niente a cui ho consacrato la mia vita.
E una volta che avrò finito di studiare...che diamine farò?

“E adesso... METTI GIU’ BLUE!”
“Chi?”
“LA MIA CHITARRA ELETTRICA! BLUE!
ALTRIMENTI TI SPACCO LA FACCIA!!!”

****************

Sono a casa, alla scrivania  e sto raccogliendo un po’ di materiale per quella dannata relazione.
Tre giorni dovrebbero bastarmi tranquillamente per finirla, anche se ammetto che non sto proprio di genio.
Continuo a pensare a Jenny, a Billie e alla sua canzone e mi sto convincendo sempre di più che lei dovrebbe sentirla.
Certo, non posso costringere nessuno dei due ma secondo me sarebbe bellissimo se lui trovasse il coraggio di suonarla davanti a lei.
Il visore del mio cell si illumina.
Jenny Casa.

“Jenny?”
“Vig...sniff sniff...”
“Jenny, che succede...stai piangendo?”
“Vig, m-mi ha lasciato!”
“Chi?”
“Fa-anculo, Virgin!
E chi s-secondo t-te?!?! Juls!
JULS M-MI HA LASCIA-ATO!!!”
“Ok, non urlare, ho capito.
Ma...come è successo?!”
“I-io n-non lo so, snif.
Ult-timame-ente un po’ l-litigav-vamo e...l-lui ieri m-mi ha preso d-da part-te e me lo ha-a detto-o.”
“Ma si può sapere che cosa ti ha detto?!”
“C-che s-si er...sniff sniff. NUAAAOOOOOOO”

Devo allontanare il telefono dall’orecchio altrimenti rischio di rintronarmi.
Jenny si è messa ad ululare come un lupo sul letto di morte.
Cazzo, quanto mi dispiace per lei.
Ti assicuro che Juls è un grande stronzo con le ragazze.
Ne cambia in media una a settimana...
Aveva ragione Billie.

“...s-si era-a i-in-n-namora-ato d-di u-un’ALTRA-A!”

****************



Note

* Penso di aver finalmente chiarito tutta la confusione che si fa fra regioni, città, cittadine, quartieri o che so io di quello sputo di terra in California.
Come avevo intuito, la regione della California è l’Oakland, la cittadina più significativa della regione in questione è Berkley, nota cittadina universitaria e Rodeo è  la cittadina quindici miglia a nord di Berkley.

* FONTI: “Green Day New Punk Explosion”
 Ad introdurre Billie Joe alla musica rock-punk dei gruppi underground sovra citati è la sorella (non chiedetemi quale <.< ) e Sorry Ma,  Forgot To Take Out The Trash è il primo CD che lei gli ha prestato e che lui ha ascoltato fino a distruggerlo. Dopo aver litigato a morte ottiene in cambio il disco ormai inservibile.
Quella stessa sorella si offre per accompagnare il fratellino tredicenne al concerto degli Hùsker Dù, di Minneapolis, però persero l’occasione poiché il gruppo dovette annullare il concerto.
Povero piiiccolo! ç______ç
 
* Come ho già detto precedentemente il basso di Mike è ancora un po’ agli inizi, poiché lui ha imparato a suonare la chitarra prima di regalare poi la sua a BJ. E Al non sembra avere un grande senso del tempo, basta pensare al numero infinito di volte che tutto il gruppo ha dovuto provare e riprovare “Dry Ice” perché la batteria era in ritardo.

* La fantomatica canzone è “Paper Lanterns” ! In un’intervista, riportata su “Green Day New Punk Explosion”  (si, è la mia salvezza quel libro ù.ù)  BJ dichiara che è dedicata alla sua prima cotta, una certa Jennifer;  certamente parlava della nostra Jenny o meglio Eugenie xD

Ringraziamenti

Grazie ad UnderAStarSky e a Green_Mishja per averla messa fra i preferiti.
A voi tutti che leggete/ seguite/ preferite/ ricordate/ recensite!


L’angolo dell’autrice

Ebbene, adesso è ufficiale! Ma penso che fosse chiaro a mezzo mondo quindi... U.U
D’altra parte ve l’avevo detto che Jenny era un personaggio importante e storico, oltre che la mia adorata (si, non smetterò mai di ripeterlo!).
In realtà questo capitolo non mi fa impazzire, specie la scena a casa di BJ.
Ho la sensazione di averla scritta con i piedi <.<
Piuttosto è divertente la prima parte alla fiera del motore, mwahahahha, una sventura dopo l’altra a quelle due povere criste!
Una domandiiiina, anche se forse non è il fandom giusto, ma io intanto incrocio le dita!
Qualcuna di voi ha il libro di John Savage “il grande sogno inglese” la nuova edizione con tutte le interviste ai Sex Pistols e sarebbe disposta a prestarmelo?
Chiedetemi un titolo e se ce l’ho sarò felicissima di fare scambio!
Solo io lo terrei per parecchio tempo, quindi non so, fate voi xD
Va beeeene, detto questo mi spiace per il ritardo mostruoso, ma oggi stesso vado a procurarmi un Internet Point xD
Adiooos a todooos,

Misa
  
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