I can’t face the dark without
you.
L'aria intorno è già finita, ormai
e non ci riesco a dirti il male
che poi mi dà
vederti andare via lontano
L’odore di chiuso che emanava la stanza si insinuava sotto
il lungo mantello nero fino a toccare la pelle olivastra, impregnandola della
sua soffocante fragranza. Le narici, ormai, non ci facevano più caso tanto era
il tempo da cui facevano a botte con quello che ormai era il padrone di casa –
se poi quella poteva essere definita casa.
Tutto era sprofondato, quella sera, in un silenzio pesante,
opprimente, scandito solo dal ticchettio dell’orologio a pendolo che faceva oscillare
il grosso braccio dentro la teca di vetro: sembrava guidare i battiti del cuore
del giovane Mangiamorte che se ne stava sulla vecchia poltrona – quasi unico
arredo della stanza – con i gomiti sulle
ginocchia e la testa fra le mani.
I pensieri si susseguivano nella sua mente con troppa
rapidità e senza alcuna logica. Paura, rimorso, dubbi, ogni cosa, quella sera, pareva andare contro di
lui, contro quel minimo di pace che ora chiedeva, pregava di avere.
Non esiste pace per chi con tanta
consapevolezza ha sbagliato.
Consapevolezza? Sbaglio? Di cosa si parlava? Lui non aveva
sbagliato, lui aveva agito nel modo che credeva migliore, nel pieno delle sue
facoltà mentali – per usare un’espressione formale e forbita. E aveva avuto
tutta la consapevolezza del mondo allora. Già allora. E adesso? Che fine aveva fatto tutta la sua consapevolezza?
Sospirò. Non poteva fare altro che aspettare che quella
notte passasse e pregare. Pregare che mantenesse la parola data, che in un modo
o nell’altro il suo unico desiderio fosse esaudito.
I tocchi dell’orologio lo fecero sussultare, strappandolo ai
suoi pensieri; il pendolo incatenò a sé i suoi occhi scuri e in un attimo tutto
precipitò. Ad ogni rintocco aveva l’impressione che l’orologio gli desse un
colpo allo stomaco, fino a che non si trovò in ginocchio. Era come se
all’improvviso qualcosa avesse risucchiato tutta l’aria dalle stanza,
lasciandolo a corto di fiato, in preda a spasmi. mentre il dolore aumentava a
dismisura.
Quel rumore ritmico segnava la sua condanna, ancora.
***
La brezza fresca di fine estate è
sintomo fin troppo chiaro dell’autunno che sta per arrivare. I vari servi del
Signore Oscuro si stringono nei rispettivi mantelli, perché tutto il male che
oscura il loro cuore di certo non può nulla contro il freddo della natura.
Voldemort è lì davanti a loro, i suoi occhi rossi che sfidano l’oscurità della
notte, il pallore della pelle che in contrasto con tutto ciò che lo circonda
sembra risplendere come fosse qualcosa di angelico. Un angelo di morte che,
capriccioso nel suo potere divino, anche quella notte avrebbe dispensato dolore
verso tutto ciò che non fosse stato degno di lui.
Lui lo osserva, a pochi passi di
distanza e sa benissimo che il Signore Oscuro sente i suoi occhi sul proprio
mantello; tuttavia, non smette di guardarlo, non può: si sente come incantato,
anzi incatenato, a quella
figura che pare splendere nella notte. Ne ammira il potere, le possibilità che
si è dato, la forza di cui si mostra capace giorno per giorno; ne ammira,
soprattutto, la salda decisione che lo anima, che lo spinge ad andare avanti,
quel fermo proposito che ormai è la sua essenza. Lui, che fino ad allora aveva
dovuto fare i conti con il fallimento, con l’ombra invisibile e pesante
dell’essere una nullità, qualcuno senza valore ora osserva il potere di
quell’uomo, il potere che la magia oscura riesce a dargli e non si pente della
propria scelta, non può. Nonostante tutto. Nonostante lei.
«Vogliamo andare, signori?» chiede
Voldemort con voce atona e greve e punta gli occhi in quelli scuri di Piton che
sussulta: sa che ha seguito ogni suo pensiero ed il malefico sorriso che si
allarga sulla faccia serpentina gli conferma ogni cosa. Il marchio sul suo
braccio comincia a pulsare terribilmente e quello stesso sguardo pare animarlo,
come un laser che brucia tutto quello che incrocia.
Gli altri Mangiamorte attendono un
nuovo consenso dal loro Signore per poi smaterializzarsi con quello. Anche
Severus li segue e in istante si ritrovano in una stradina deserta della città
che hanno preso di mira quella notte: è popolata da maghi filobabbani e da
mezzosangue e per questo non ha motivo di esistere.
«Purificate la nostra magia,
eliminate chi tanto volgarmente ci contamina!» ordina Voldemort, al che i suoi
seguaci si muovono con violenza cominciando una distruzione senza pietà, una
distruzione dettata dalla follia, dalla legge del più forte, del più puro, di
chi ha il diritto di esistere e lo strappa agli altri.
Anche Severus si mette all’opera e
anzi è il più attivo, inebriato dal potere che sente scorrergli dentro. Per una
volta, finalmente, non sarebbe stato una nullità, vittima dei soprusi altrui e
impossibilitato a difendersi: per una volta, sarebbe stato lui ad avere la
bacchetta dalla parte del manico, avrebbe fatto ciò che voleva e si sarebbe
vendicato di tutto il male che aveva dovuto sopportare. C’è una tale rabbia nel
suo cuore nero che il ragazzo è ridotto a puro istinto di distruzione ed esulta
con grida a cui rispondono, inebriati dalla follia, anche gli altri
mangiamorte.
Per un istante il Signore Oscuro si
perde guardando quel giovane appena uscito da Hogwarts: gli ricorda i suoi
primi anni nel mondo, fuori dalla protezione di quella scuola e per quanto non
vi sia nulla in comune con quel mezzosangue – se non che, come lui, era uno fra
i pochi ad aver rinnegato la sua sporca natura – in un certo senso sente di
capirlo.
Il rumore di più materializzazioni,
distoglie la sua superiore attenzione dai Mangiamorte ed il suo sguardo cozza
con disgusto contro il gruppo di maghi appena apparso nella piccola piazza
della città.
L’Ordine della Fenice, si
sussurra in mente con disprezzo e basta uno sguardo per richiamare all’ordine i
suoi seguaci che, affiancandolo, volgono occhi e bacchette ai nuovi arrivati
con evidente astio. Non deve fare altro: loro sanno come agire. È così che
Voldemort scompare fra i primi attacchi di entrambi gli schieramenti. La battaglia
non risparmia colpi da parte di nessuno: si combatte per uccidere – anche gli
Auror hanno imparato a farlo, per quanto inizialmente abbiano provato a
prenderli tutti vivi. Da parte loro, i Mangiamorte sanno che solo uccidere chi
li ostacola farà felice il Signore Oscuro: non possono permettersi errori – non
sarebbero contemplati.
L’Ordine della Fenice si muove
rapido e ben coordinato: attacca stando quanto più attento possibile alla
propria sicurezza, ma neanche questo pesante scrupolo sembra poter rallentare i
maghi – soprattutto Auror – che si muovono tra le sue fila. Sanno quanto ci sia
in gioco e non hanno intenzione di perdere. Sono soprattutto i nuovi membri a
fare la differenza, con grande orgoglio dei più anziani: Hogwarts pareva aver
fatto un ottimo lavoro con loro, perché la combattività che stanno dimostrando,
il coraggio e la forza sono doti molto rare di quei tempi.
Dolohov osserva con sottile
apprensione i giovani maghi mettere fuori combattimento alcuni dei suoi e con
uno sguardo secco, al di sotto del suo cappuccio nero, ordina a Severus di
prendere parte allo scontro con quella forza di punta attacco avversario:
l’entusiasmo non gli manca.
Piton annuisce con serietà e in un
istante si materializza fra loro e due dei suoi compagni, ormai vicini alla
sconfitta; si è allontanato dal centro della battaglia ed ora le grida sono
lontane, stranamente attutite. Prende un respiro e comincia a sferrare attacchi
senza sosta, nonostante sia solo contro due. La sua rabbia aumenta ad ogni
respinta, ad ogni movimento che schivi una loro mossa fino a che non si riduce
di nuovo a puro istinto e sete di potere: allora non ci sono più dubbi o
disparità, non esiste più alcuna stanchezza e anzi la potenza cresce sempre più
nel suo cuore e da lì si irradia ad ogni fibra del suo corpo; il serpente sul
suo braccio pulsa come non mai, ancora più forte di quando c’erano gli occhi
del Signore Oscuro su di essi e in un istante Severus sa che ha la vittoria in pugno, che quei due
non potranno fermarlo.
«Avada Kedavra» sussurra a fior di
labbra e il lampo verde illumina il nero della notte.
Il mago a cui è rivolto l’anatema,
però, è agile nello schivarlo con una capriola; nel farla, il cappuccio del suo
mantello scivola sulla sua schiena, liberando i suoi lunghi capelli rossi.
come se fossi anni luce distante
da quello che pensi
in un istante
mentre ti guardo sparire all’orizzonte
mi perdo in quel rosso
come un diamante
si perde in un cielo di stelle
e tra tante
confuso e disperso
non sono niente
A Severus si blocca il respiro in
gola, come mozzato da qualcosa di troppo forte, un cazzotto in pieno stomaco.
Eppure non è il dolore ad averlo fermato, ma la contemplazione di ciò che di
più bello ci sia in natura, della perfezione. Lily Evans, rosso e verde che
risplendono nel buio, sta lì, davanti a lui, il suo sguardo sorpreso che si
perde negli occhi neri del mangiamorte. Non si aspettava di vederlo? Eppure lei
sapeva ormai da che parte stesse.
In un attimo ogni certezza di Piton
cade, ogni sua forza scema di fronte a quella figura, a quel faro rosso che
pare illuminarlo a forza, mettendo a nudo tutte le sue colpe, le scelte erronee
che ha fatto – in un istante la lucidità e l’obbiettività tornano nel cuore
malato del ragazzo che pare capire quanto, in verità, abbia sbagliato e stia
continuando a sbagliare. Messo a paragone con lei, Severus non era altro che
una nullità, ancora una volta.
«Lily! Lily stai bene?»
La voce di James, invece, è proprio
come un cazzotto in pieno stomaco, qualcosa di sgradevole ed inappropriato, che
stona con la visione di pochi istanti prima. Cosa c’entra ora quel Potter?
Perché, puntualmente, è sempre lì, fra loro?
All’improvviso vederla lì, fra le
sue braccia, vedere quegli smeraldi che lo guardano con delusione, con dolore sembra la cosa peggiore che possa
capitargli. Tutto intorno il mondo tace e quella muta condanna è scandita dai
rintocchi del grosso orologio della città. Uno dopo l’altro, quei rumori si
susseguono e più vanno avanti più lui si sente allontanato da lei, come una
forza che lo trascina irrimediabilmente indietro, distante da tutto ciò che ha
sempre amato. Perché non contano i pochi metri che nella realtà di quella
strada ci siano fra Severus e Lily: quelli non sono metri. Sono anni-luce, sono
una distanza insormontabile perché è il sottile limite fra il bene ed il male,
ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e lui ha scelto di stare dalla parte
opposta a quella di Lily ad anni-luce di distanza da lei. Per sempre.
Non è cambiato nulla. Si era illuso
che nelle vesti di mangiamorte sarebbe stato diverso, ma la verità è che non è
cambiato proprio nulla.
È sempre lo stesso Severus Piton,
con le stesse debolezze e lo stesso ruolo da fallito.
L’orologio continua a suonare,
ricordandogli quella semplice verità.
***
Il mago spinse con forza le palme delle mani sulle orecchie.
Odiava quel rumore, odiava quel maledetto orologio! Lo avrebbe incenerito solo
con uno sguardo – o con un incantesimo non verbale, se ne avesse avuto la
forza. Il respiro invece mancava ancora, come se l’aria intorno si fosse
improvvisamente finita, risucchiata via da qualcosa, da qualcuno.
All’ultimo rintocco di quel maledetto affare arriva il colpo
di grazia; un dolore lancinante al petto che lo fa gridare; poi più nulla, il
silenzio più assoluto.
Si dice che quando muore una persona importante – ma
importante per davvero – si possa avvertire il vuoto che lascia sulla terra,
anche se è dall’altra parte del mondo.
Severus non aveva mai creduto a simili scemenze babbane; eppure ora sapeva perfettamente perché l’orologio
aveva smesso di suonare, sapeva a cosa
era dovuto quell’improvviso dolore.
L’orologio aveva finito il suo compito: non c’era più alcun
errore da ricordare, alcuna condanna da emettere.
Era tutto finito.
Non aveva mantenuto la promessa. Lei era morta – e con lei ogni cosa, compresa la sua anima.
Paradossalmente, l’amore di Lily gli aveva dato la forza di
fare tutto, anche le scelte sbagliate; gli aveva dato la forza di agire e
continuate a vivere. Ora invece, al suo posto c’era solo un enorme vuoto, un
vuoto incolmabile.
E sarebbe rimasto così, inerme, senza più agire, ripiegato
su se stesso. Non aveva più la forza di fare nulla, senza di lei.
Si accorse, tuttavia, che i polmoni avevano ripreso a
inalare aria, che il cuore – pur avendo perso alcuni battiti – continuava a
funzionare. Tecnicamente non era cambiato nulla nel suo corpo.
E nella sua anima? Nella sua anima c’era stato un sussulto,
un momento di lucidità come quando aveva visto i folti capelli rossi di Lily
all’orizzonte.
Sapeva cosa fare, sapeva come agire e perché.
Semplicemente, senza di lei non poteva più guardare
l’oscurità.
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Fino
all’ultimo non sapevo se sperare o meno in questa storia.. ma a giudicare il
giudizio della giudicIA (che ringrazio di nuovo), ho fatto
bene a non mortificarla come al solito!
>.<
ok, evito di sclerare o dire cavolate random e vi posto il giudizio.
Primo posto – I can’t
face the dark without you
di Alchimist@
Grammatica: 9/10 Qualche errore di battitura - “dalle stanza”,
sullo stesso rigo, il punto al posto della virgola, e poi più giù manca un in
“in istante” (-0.75). Mancano le maiuscole nei termini potteriani: Materializzazione/Smaterializzazione/Babbani. (-0.25).
Stile e lessico: 10/10 Il tuo utilizzo del lessico e della
costruzione della frase mi ha piacevolmente conquistata. È quasi ammaliante.
Anche nel racconto della battaglia non si sono persi i tratti evocativi.
Ottimo.
Caratterizzazione del personaggio: 10/10 Ammirevole. È difficile
trovare un Severus non idealizzato (sia in bene che in male), specie quando si
parla del rapporto con Lily. Tu hai fatto un ottimo lavoro, in questo senso, mi
è piaciuta molto la sottolineatura della ‘consapevolezza’ dei gesti e delle scelte
di Severus.
Sviluppo trama e originalità: 10/10 Subisco il fascino dei ‘coni di
presente, e frammenti di passato’ (no, non era così, ma tanto in quanti hanno
letto Deleuze?) - in parole spicciole, mi piace
quando passato e presente si alternano nella narrazione – qui lo fanno in
maniera circolare e perfetta (d’altronde il cerchio è la perfezione, no?). Il
racconto della missione coi Mangiamorte e lo scontro con l’Ordine e con Lily
danno anche qualcosa di nuovo al pezzo rispetto al semplice racconto introspettivo.
Attinenza al tema: 10/10 Non tenendo conto del cambio hai scritto
la storia utilizzando entrambe le citazioni. Era la mia prima intenzione quando
indissi il contest: rendervi la vita un inferno. Davvero, davvero apprezzo lo
sforzo che hai fatto, e la naturalezza con cui le due citazioni entrano nel
pezzo. Soprattutto la seconda, mi piace davvero molto come appare in quel
momento – proprio come la chioma rossa di Lily.
Gradimento personale: 5/5 La tua shot è
un pezzo scritto benissimo, che sa rendere personale e originale un momento che
potrebbe facilmente risultare banale. Mi è piaciuta davvero molto.
Punti bonus: 10/10
Totale: 64/65
Che altro dire? Ringrazio chiunque presterà
attenzione a questa storia e in particolare a chi recensirà!
Alla prossima! Un bacio.
Alchimista ~
♥