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Autore: xlondoneye    16/07/2011    0 recensioni
La gamba faceva male, pulsava.
Il sangue colava a fiotti dalla ferita che mi ero procurata sbattendo su un grosso sasso appuntito qualche caduta prima.
La pioggia non smetteva di scendere e la mia vista diventava sempre più annebbiata a causa delle lacrime e un po’ anche del dolore.
Mi ritrovai a pensare che la morte avrebbe fatto meno male.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Contesto generale/vago
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Correvo ormai da diverso tempo quando caddi e non mi rialzai più.
Non era questione di pigrizia o di stanchezza, anzi. Ero caduta e mi ero rialzata non sapevo più neanche quante volte negli ultimi quaranta minuti tanto da non sentire più le gambe. Era più una resa.
Mi sarei potuta smaterializzare invece di correre come una comune babbana, certo, ma non avevo la più pallida idea di dove fosse, di dove andare.
L’unica cosa che potevo fare era correre, cercare di raggiungerlo. Che sciocca.
Ma avevo corso tanto, troppo dietro a quello che era e sarebbe sempre stato il mio unico grande amore.
Sapete di cosa parlo: quel ragazzo, l’unico ragazzo, per il quale avreste fatto qualunque cosa, per il quale avreste smesso di respirare, per il quale sareste morte.
Chi non ha mai avuto a che fare con quel tipo di ragazzo? Tutte prima o poi incappano in qualcosa del genere.
Io avevo incontrato quel ragazzo alcuni anni prima, a Hogwarts.
Lui era un anno avanti a me; lo vedevo tutti i giorni passeggiare nei corridoi, scherzare con i suoi amici, battibeccare con quel Potter  davanti alle aule.
A dire il vero si, lo osservavo parecchio..patetico eh? Si, è vero. Ma capitemi, ero cotta. Avevo quindici anni ma già lo amavo.
Lui ovviamente non sapeva neanche della mia esistenza, o non sapeva della mia esistenza fino a quando non lo travolsi, una mattina di gennaio, con i libri a causa di una corsa per una lezione al quale ero in ritardo.
Mmh, buffo no? Si può dire che con una corsa ci siano stati l’inizio e la fine della nostra storia.
Ricordo che anche quella volta caddi. Lui mi tese la mano, mi aiutò a rimettermi in piedi e mi disse di stare più attenta se non volevo rischiare di uccidere qualcuno. “Io sono forte, ma in questa scuola girano tipi che potrebbero rimanerci secchi se travolti da un manuale così enorme di Erbologia.”
Ricordo che nel dirlo un sorrisino spuntò sul suo viso.
Ricordo che mi sentì morire.
Un po’ la sensazione che provavo in quel momento, mentre l’unica cosa che si contrapponeva tra me e quella che sarebbe potuta benissimo essere la morte era quella stradina di compagna piena di fango e sassi sulla quale ero stesa. “Se ne è andato, fattene una ragione” sembrava dire il mio cervello. “Continua a correre” sembrava rispondere il cuore.  
A chi dei due dare retta?
Forse era tutto un enorme malinteso, magari sarebbe tornato a poco urlando qualcosa come “daai, non te la prendere era solo uno scherzo”, allora io sarei potuta scattare in piedi e prenderlo a pugni, per gioco, così come avevamo fatto mille altre volte. Ma quello non era un enorme malinteso e lui non sarebbe tornato.
La gamba faceva male, pulsava. Il sangue colava a fiotti dalla ferita che mi ero procurata sbattendo su un grosso sasso appuntito qualche caduta prima. La pioggia non smetteva di scendere e la mia vista diventava sempre più annebbiata a causa delle lacrime e un po’ anche del dolore. Non il dolore della gamba, quello era niente a confronto. Il dolore che provavo dentro, quel dolore al quale non sapevo dare un nome.
Mi sentivo soffocare, la testa mi girava vertiginosamente e il cuore batteva così forte da farmi male. Un dolore che non avrei augurato a nessuno, neanche al mio peggior nemico.
Mi ritrovai a pensare che la morte avrebbe fatto meno male.
Non ricordo quando tempo fossi rimasta lì, distesa su quell’ammasso di fango, ghiaia e sassolini. Forse minuti come forse ore.
Rimasi lì fino a quando qualcuno non mi prese in braccio e mi trasportò fino al San Mungo. Non ricordo chi fosse, magari qualcuno che conoscevo o magari un perfetto sconosciuto molto gentile.
L’unica cosa che ricordo erano i suoi occhi color ghiaccio e quel biglietto poggiato sul tavolo che avevo trovato al mio ritorno e sul quale era scritta un’unica parola, a inchiostro nero pece, e la sua firma.
 
Perdonami.
               -Draco







Nota dell'autore:
Chiedo scusa, non sono sicura di essere riuscita a scrivere davvero quello che avrei voluto scrivere.
A volte faccio fatica a imprimere i pensieri su un foglio, elettronico che sia.
Spero che risulti tutto chiaro.
Gradirei davvero tanto le vostre recensioni, buone o cattive che siano, sono sempre ottime per migliorare.
Grazie di aver letto il mio lavoro e buona serata a tutti.
  
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