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Autore: Jinxed Ink    16/07/2011    4 recensioni
In un isolato castello nell'Irlanda del Nord s'intrecciano le vite di otto ragazzi che di umano hanno ben poco.
Tutti loro hanno un passato segnato da sangue, passione e tradimenti, tutti hanno un segreto da nascondere. E tutti hanno incrociato la medesima, inquietante figura poco prima che le loro vite prendessero una drammatica svolta. Figura che è molto più vicina di quanto non credano.
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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La carrozza si faceva strada sul viottolo di campagna, fatto di sassi e di fango. Procedeva lentamente, uno scossone dopo l’altro. Incontrò un sasso troppo grosso per le sue ruote leggere e prese a sbandare e sussultare. Al suo interno, Sadie sbatté la testa con forza  contro lo sportello e si svegliò. “Aia”, bofonchiò, massaggiandosi la tempia dolorante. Si stiracchiò con uno sbadiglio. Quando si era addormentata era passata da poco l’ora del pranzo, ma, a giudicare dalla luce che filtrava dalle pesanti tende scure, doveva essere ormai pomeriggio inoltrato.  Scostò le tendine e fuori scorse vaste praterie di un verde brillante, e colline coperte di alberi all’orizzonte. Alle pendici dei colli si stendeva immoto un lago, grigio come il ferro e solcato da coltri di bruma biancastra. A quella vista, Sadie arricciò il naso e chiuse le tendine di scatto. Serrò gli occhi e strinse i denti. Non era pronta per ricordare.
Stesa sui sedili di fronte a lei, la signorina Flint dormiva ancora, russando leggermente. Ai suoi piedi era poggiato il cestino con i panini che avevano comprato quella mattina per l’ora del the. L’ora del the era passata da un pezzo, ma doveva mancare ancora un bel po’ alla cena, e lo stomaco di Sadie gorgogliava prepotente, del tutto incurante delle regole del decoro . Con un balzo, la ragazza s’impossessò del cestino e divorò avidamente due tramezzini con i cetrioli. La lasciarono insoddisfatta e affamata. Avrebbe avuto bisogno di carne per saziare quella  fame logorante, ma, dopo l’incidente gliel’avevano negata.
Si poggiò allo schienale e ripiego le gambe sotto di sé. Chiuse gli occhi, abbandonandosi ad un dormiveglia spossato.
La carrozza si arrestò con un ultimo scossone. Sadie batté le palpebre. Possibile che avesse dormito così a lungo e fosse già notte? Una rapida occhiata oltre le tendine le mostrò che il sole, seppure basso sull’orizzonte, non era ancora del tutto calato.
“Che succede? Perché ci siamo fermati?”
La signorina Flint scosse la testa. “Non saprei”, la donna fece una pausa, “Signor Jones, perché vi siete fermato?”
Il signor Jones, il cocchiere aprì la portiera con un gesto secco. “Siamo arrivati.”
“Arrivati?” Squittì la donna, “Avreste dovuto avvertirmi prima. La signorina Morgan è assolutamente impresentabile in questo stato. Il suo vestito, e i suoi capelli…”
“Forse se mi aveste lasciata dormire in una locanda, ora il mio aspetto non sarebbe tanto orribile”, la rimbeccò Sadie. Raccolse le gonne e scese il più dignitosamente possibile dalla carrozza. Poggiò i piedi su un sentiero di ghiaia scura e si guardò intorno. Un camminamento portava ad un maniero di pietra grigia, dalle numerose torrette. La ragazza lo trovò terribilmente medievale, alcune delle finestre non avevano nemmeno i vetri. Doveva essere tremendamente freddo di notte.
Il castello era circondato da un’ampia spianata, circondata da una foresta fitta e scura si stendeva in tutte le direzioni .    
La signorina Flint cominciò ad agitarsi intorno a Sadie con mani nervose le ricomponeva l’acconciatura, le spianava le pieghe dell’abito. La giovane le afferrò il braccio e la allontanò con fastidio. Qualcosa passò negli occhi della donna. Paura, si rese conto Sadie.Hanno paura di me. Sospirò. Se si fosse accorta del suo potere prima si sarebbe risparmiata parecchie seccature. Come dormire nella carrozza, per citarne una.
All’ombra dell’ampio portone vi erano tre figure. Forse erano state lì per tutto il tempo, forse erano comparse per un qualche incanto senza far rumore o annunciare in altro modo la loro presenza. Fecero un passo avanti, all’unisono, come fossero una creatura sola.
Alla destra, c’era un giovane alto, sui vent’anni, dal viso scarno. Dalla vita in giù aveva le sembianze di una capra.
Alla sinistra, una donna sottile e slanciata come un giunco. Sul viso, incorniciato da una nuvola di capelli rossi, spiccavano luminosi occhi verdi.
Tra i due torreggiava un uomo imponente, dai folti capelli neri e penetranti occhi azzurri. Indossava una tunica scura, di aspetto medievale, macchiata di gesso. “Tu devi essere Sadie”, disse.
La ragazza strinse i denti. “Preferisco signorina Morgan, se non vi dispiace.”
“Io preferisco Sadie, se non vi dispiace”, l’uomo sorrise freddamente, “Io sono il professor Chant. Lei”, indicò la donna dagli occhi verdi, “è la mia assistente, miss Hayley Charm. Lui è Jack Frost, il factotum.”
Sadie inarcò un sopracciglio. “Non sembra umano.”
“Neanche tu lo sei.”
Tentò di ignorare il pulsare doloroso che quelle parole le provocarono nello sterno. Avrebbe voluto smentirle, ma non poteva. Erano vere. “Io almeno lo sembro.”
“Agli umani appare come uno di loro”, Chant fece un ampio gesto della mano in direzione degli accompagnatori della ragazza, “Credi che sarebbero così tranquilli, se sapessero con cosa hanno a che fare? Non sentono neanche le nostre parole.”
La fanciulla si morse il labbro. “Sanno cosa sono. Hanno paura di me, l’ho visto.”
“Paura di te? Sì. Ma il perché sfugge alla loro comprensione. Sanno che sei pericolosa, ma non ne conoscono la ragione.” L’uomo raggiunse il signor Jones e gli porse una manciata di sterline, che il cocchiere intascò avidamente. Lui e la signorina Flint risalirono sulla carrozza e ripartirono senza una parola di commiato.
Chant si voltò verso Sadie. “Jack sta già portando i tuoi bagagli in camera tua.” La ragazza si voltò per cercarlo, ma non lo vide. Si chiese da quando se ne fosse andato.
“Miss Charm ti accompagnerà alla sala comune”, proseguì il professore. La donna sorrise appena, avviandosi nell’androne in silenzio. Sadie si affrettò a seguirla, faticando a starle dietro nonostante il procedere della sua andatura apparisse tranquillo. Attraversarono un ampio atrio spoglio, per poi salire una  scalinata di pietra, che le condusse ad un corridoio stretto e tortuoso, con le pareti tappezzate di arazzi con scene di caccia e di vita di corte. Il camminamento prese diverse svolte a destra, e spesso si trovarono a salire ripide scale a chiocciola. Probabilmente si trovavano in una delle torri.
Raggiunsero una porta di legno massiccio, imponente, all’aspetto pesantissima, che miss Charm aprì però senza sforzo apparente. Oltre l’ingresso, c’era una grande stanza circolare. Per la prima volta, le pareti erano foderate,.di stoffa bianca.
Su un lato della stanza troneggiava un camino di pietra, attorno al quale erano disposte diverse sedie e un divano di pelle, tutti occupati da giovani, uomini e donne.
La sala era dominata da un’enorme libreria di mogano, stipata di volumi di ogni forma e dimensione.
“Gideon ti mostrerà la tua stanza e ti spiegherà le regole del castello”, disse miss Charm. La donna sorrise, improvvisamente incoraggiante. “Ti troverai bene qui, Sadie.” Si voltò e lasciò la stanza.
Uno dei ragazzi si alzò dal divano. Aveva forse venticinque anni, era alto e imponente, dagli splendenti occhi azzurri e la barba bionda e curata. Sorrise. “Miss Charm è un po’ strana, ma ti abituerai a lei.”
La ragazza sbatté le  palpebre. “Come fai a mostrarmi la stanza, se non ti ha detto quale è?”
“Jack è passato qui prima, ci ha detto dove ti avrebbe sistemata. Dormirai con Kat.”
“Kat?” Sadie fece scorrere lo sguardo sugli altri ragazzi, chiedendosi chi di loro fosse Kat. Escluse a priori il maschio. Di certo non l’avrebbero costretta a dormire con un uomo, o almeno sperava. Rimanevano tre persone: una giovane dai lunghi capelli neri illuminati di blu, sottili occhi rossastri e un pentacolo dipinto sullo zigomo, una bambina di dieci anni, grandi occhi viola e boccoli scuri, il visetto troppo serio per la sua età, e una ragazza coetanea di Sadie, dai capelli rossi e gli occhi verde-oro, il viso spruzzato di lentiggini. “Sono io”, disse quest’ultima con un sorriso.
Sadie sospirò di sollievo. Le era sembrata la più normale di tutte loro. Si chiese quali stranezze nascondesse.
“Loro sono Sybilla”, interloquì Gideon, indicando l’altra giovane, “e Anne”, fece un gesto in direzione della bambina. Poi posò gli occhi sul giovane uomo che stava raggomitolato sul divano, e la sua espressione si addolcì impercettibilmente. “Lui è Kit, il gemello di Kat.”
Sadie annuì. Notava la somiglianza fra i due: avevano gli stessi occhi cangianti, gli stessi capelli rossi,  pelle candida e le medesime lentiggini chiare.
“Poi ci sono anche Gabriel e Serafino, ma uno non lo vedrai prima del tramonto, e l’altro non lo vedrai finché non sarà lui a volerlo.” Gideon sorrise e si avviò verso una delle due porte che davano sulla stanza. “La camera è da questa parte.”
Oltre la porta c’era una rampa ripida e tortuosa. Sadie sospirò. Fantastico, altre scale. S’inerpicarono per  innumerevoli gradini, fino ad arrivare ad un pianerottolo angusto. La ragazza si fermò, ma il giovane scosse la testa e le fece segno di continuare a salire. “Qui dormono Anne e Sybilla, la tua stanza è al piano di sopra.”
Lei sbuffò. “Dovrò fare tutte queste scale ogni giorno?”
“Temo di sì.”
Sadie si afferrò al corrimano e riprese a salire. Le pareti si stringevano sempre di più attorno a lei. Non era mai stata claustrofobica, ma ora avere la pietra così vicina la innervosiva. Non poteva voltarsi agevolmente, e qualcosa, in una parte remota ed estranea del suo essere, le diceva che, se fosse stata attaccata, non si sarebbe potuta difendere. Strinse i denti, “Perché diavolo le pareti sono così strette?”
“Nel medioevo, se uno spadaccino nemico salendo attaccava, non riusciva a utilizzare agevolmente la mano destra, così i difensori, che scendevano dalle scale, erano in vantaggio.”
“Mi spieghi perché questo mi dovrebbe interessare?”
“Me l’hai chiesto tu!”
“Mi stavo solo lamentando, non volevo mica una lezione!” Sadie gli rivolse un sorriso di superiorità, per quanto si sentisse in colpa. Gideon stava solo cercando di essere gentile, e lei sapeva di non avere il diritto di scaricare su di lui la sua frustrazione. Eppure, non aveva resistito. Scoccò un’occhiata al viso dell’altro. Teneva gli occhi bassi, come se lei lo avesse ferito. La ragazza sospirò. “Ascolta, mi dispiace, sono solo stanca, e sono arrabbiata con mio padre per avermi mandata qui invece di affrontare il problema”, sorrise, “Possiamo essere amici?”
Il giovane ricambiò esitante il sorriso. “Non preoccuparti, sono tutti un po’ odiosi quando arrivano qui. Serafino lo è ancora, e sono passati due anni dal suo arrivo”, fece una pausa, mordicchiandosi pensoso il labbro, “Anche se, in effetti, anche io sarei odioso, nelle sue condizioni.”
“Le sue condizioni?”
“Capirai quando lo vedrai.” Gideon si fermò su un altro pianerottolo angusto. “Siamo arrivati.” Spinse la porta, che si aprì senza un suono. Sadie lo seguì all’interno. La camera era ampia e divisa in due parti. Il lato destro era decorato nei toni del rosa e del rosso. Un grande letto a baldacchino di legno scuro troneggiava contro il muro. In un angolo c’era una scrivania intarsiata e in quello opposto un guardaroba decorato con gli stessi motivi.
Il lato sinistro era spoglio, per quanto il letto, l’armadio e la scrivania fossero le immagini speculari di quelli sul lato opposto. Ai piedi del letto erano poggiati i bagagli di Sadie.
“Puoi comprare delle stoffe e delle vernici per decorare il tuo lato della stanza al mercato, ci andiamo una volta a settimana”, disse Gideon, “Altrimenti puoi lasciarla così, ma è un po’ fredda.”
“Al mercato? Vuoi dire che c’è un paese qui vicino?” Chiese Sadie, speranzosa. Avrebbe avuto la possibilità di vedere altre persone, di tanto in tanto.
Il ragazzo rise. “Certo, altrimenti, dove credi che ci procuriamo il cibo, l’olio per le lampade, i vestiti?”
La fanciulla annuì. In effetti, non ci aveva pensato. Non aveva visto un giardino curato, e nemmeno un orto, nei pressi del castello. Dopo l’incidente, lei aveva avuto bisogno di mangiare quanto prima. Evidentemente, non era l’unica.
“Le regole sono semplici. Puoi tenere un familiare, ma non più di uno. Puoi fare quello che vuoi del tuo lato della stanza, ma non puoi toccare niente nel lato di Kat. Le lezioni si tengono dalle nove alle quattro. Si cena dalle otto alle nove. Per tutte le altre ore, puoi fare quello che vuoi, andare dove vuoi, a patto che non lasci i territori del castello. Puoi andare nel bosco, ma non puoi attraversarlo del tutto. Hai domande?”
Sadie sbatté le palpebre. Si chiese che cosa sarebbe successo se avesse infranto le regole, ma non ebbe il coraggio di chiederlo. “Cos’è un familiare?”
“E’ un animale da compagnia. Può essere qualunque cosa. I gemelli hanno due gatti, e Sybilla ha una tarantola.”
“Una tarantola?” La ragazza fece una smorfia, orripilata. Grazie al cielo, non era stata costretta a dividere la stanza con lei. Riusciva a immaginare un enorme ragno nero e peloso zampettare e infilarsi nel suo letto la notte.
Gideon annuì ridacchiando. “Te l’ho detto, può essere di tutto. Ma tranquilla, Sybilla la tiene in gabbia.”
Sadie non rispose, avvicinandosi alle valigie e cercando di scrollarsi di dosso la sensazione di freddo che la paura e l’orrore le avevano instillato nella spina dorsale. Non si sentiva per niente rassicurata dalle parole del giovane.
“Io vado”, la informò lui, “La campana suonerà quando ci dovremo avviare a cena.” Lei non ribatté, e sentì i suoi passi allontanarsi e la porta chiudersi con un tonfo sommesso. A un lato del letto, su un comodino basso era poggiata una pesante chiave di bronzo. La ragazza la prese, soppesandola tra le mani. Si alzò e la provo nella serratura dell’ingresso. La girò senza problemi. Sorrise, riaprì la porta e lasciò scivolare la chiave nella tasca del suo abito. Almeno poteva chiudersi dentro.
Tornò a inginocchiarsi ai piedi del letto e prese a disfare i bagagli. Non era abituata a fare una cosa del genere, se n’erano sempre occupati i servi per lei. Aveva però la sensazione che si sarebbe dovuta adattare, e tanto valeva cominciare subito. Suo padre le aveva detto che sarebbe rimasta lì per tutto il tempo necessario, e lei sapeva bene cosa ciò significasse: ci sarebbe rimasta per sempre.
Aveva quasi finito di riporre i suoi vestiti nell’armadio, quando sfiorò qualcosa di duro e freddo. Senti un formicolio gelido propagarsi per tutta la lunghezza del braccio, partendo dalla mano. Si ritrasse di scatto. Aveva le dita rosse e pulsanti, e enormi bolle d’acqua si stavano rapidamente formando sulle punte. Lanciò un’occhiata nella valigia. Sul fondo era poggiato il medaglione che i suoi genitori le avevano regalato per il compleanno. Non avrebbe più potuto indossarlo. Senti le lacrime premerle sugli occhi a quel pensiero, ma si costrinse a ricacciarle. Non aveva pianto fino ad allora, non lo avrebbe fatto nemmeno adesso.
In quel momento, la campana suonò ad annunciare la cena. Sadie scattò in piedi, grata per la distrazione. Spalancò la porta e scese le scale di corsa, senza cambiarsi, senza pettinarsi, senza profumarsi o truccarsi. Ignorando tutte le regole dell’etichetta che la signorina Flint le aveva inculcato da quando era bambina. Non era più una preziosa fanciulla  di buona famiglia. Non era più nemmeno umana. Quindi, perché preoccuparsi?
Tornò alla sala dove aveva incontrato gli altri ragazzi. Erano ancora tutti lì, ma a loro si erano aggiunti anche altri due giovani, che Sadie dedusse dovessero essere Gabriel e Serafino.
Uno era un ragazzo sottile e pallido, i capelli e gli occhi scuri. Era bello, a modo suo, la sua fragilità gli dava un che di prezioso. Ma il suo viso era smunto, e gli occhi infossati, come fosse stato preda di una malattia.
L’altro giovane era alto e slanciato. Sedeva sul bracciolo della poltrona, e stava parlando a bassa voce con Kit. Era terrificante a vedersi. Lungo la sua mascella correva una fila di scaglie lucide. Lo stesso tipo di squame, verdi e compatte, ricoprivano anche le sue braccia fino ai polsi. I suoi occhi a mandorla erano completamente neri, come quelli di un serpente. Per il resto, il suo incarnato era mortalmente pallido. I suoi capelli, biondi come il grano, erano una delle poche caratteristiche piacevoli del suo aspetto, assieme al naso dritto, gli zigomi alti e la bocca piena, dalla quale sbucavano però zanne affilate come rasoi.
“Penso che il mio nuovo trofeo di caccia starà incredibilmente bene sul muro sopra al letto”, stava dicendo il ragazzo.
Gideon spazientito sbottò: “Per amor del cielo, Serafino! Non puoi continuare a riempire la vostra stanza di animali impagliati! Anche Kit ci deve dormire, e dice sempre che sono inquietanti.”
“Gid, no”, interloquì Kit con voce ferma. Si voltò e guardò Serafino dritto negli occhi. “Serafino può fare ciò che vuole del suo lato della stanza. Ma farà meglio a ricordare che anche io posso fare ciò che voglio del mio lato. Tutto quello che voglio.”
Sadie constatò con sorpresa che Serafino rabbrividì a quelle parole. In qualche modo, Kit, minuto, dal sorriso malinconico e il viso delicato, riusciva ad incutere timore nel ragazzo-serpente. La giovane si trovò a provare un nuovo senso di rispetto per lui.
Gideon sorrise, un misto di divertimento, orgoglio e affetto sul suo viso. “Vogliamo andare? Rischiamo di arrivare in ritardo a cena se non ci muoviamo.”
Lo seguirono giù per le scale, attraverso altri corridoi coperti di arazzi, talmente simili gli uni agli altri che Sadie fu grata di avere una guida, certa che da sola si sarebbe persa irrimediabilmente.
Giunsero ad un salone immenso, riscaldato dalle fiamme di quattro camini, posti sui quattro angoli della sala. Al centro torreggiava un tavolo di legno massiccio, apparecchiato per dieci. A capotavola sedevano Miss Charm e il professor Chant, e i ragazzi si sistemarono senza esitare . Era come se i posti fossero già stati assegnati in precedenza. Probabilmente era così. Sadie si sedette sull’ultima sedia libera. Notò con gioia che le sue posate erano di bronzo, mentre quelle di tutti gli altri erano d’argento. Rabbrividì al ricordo dell’effetto che il medaglione aveva avuto su di lei poco prima. Non era ansiosa di ripetere l’esperienza.
Le servirono carne, e la sua gratitudine nei loro confronti crebbe. Non le era stato permesso di rifocillarsi in quel modo dall’incidente.
Non parlarono durante il pasto, ma per tutto il tempo Sadie sentì gli sguardi curiosi degli altri ragazzi fissi su di lei. Tenne gli occhi bassi, fingendo interesse nel bordo d’oro del suo piatto.
Appena la campana suonò le nove, i commensali si alzarono. Solo allora Chant parlò. “Potete andare.”
Sempre sotto la guida di Gideon, gli otto ragazzi percorsero la strada a ritroso per tornare nella stanza alla base della torre. Questa volta, Sadie cercò di trovare dei punti di riferimento negli arazzi e nelle finestre, senza molto successo. Le sembravano tutti uguali.
Arrivati alla stanza comune, Gideon schioccò le dita e mormorò alcune parole in una lingua incomprensibile. Il fuoco, che aveva languito nelle sue braci sino ad allora, si ravvivò e prese a scoppiettare rumoroso. Sadie rabbrividì. Aveva evitato di chiedersi cosa fossero gli altri ospiti del castello. Aveva tentato di dimenticare che l’unica differenza tra loro e Serafino era che lui portava la sua natura tatuata sulla pelle.
“Cos’è che sei?” Era stata Sybilla a parlare, senza preavviso. Sadie alzò lo sguardo, ed incontrò i suoi occhi rossastri. Erano freddi e calcolatori.
“Perché dovrei dirvelo?” Chiese, “Io non so cosa siete voi.”
“Possiamo dirtelo, se vuoi”, interloquì Kat, “Non è certo un problema.”
“Non voglio sapere soltanto le vostre nature. Voglio conoscere la vostra storia.”
“La nostra storia?” La voce di Serafino ricordava il sibilo di un serpente. “Non l’abbiamo mai rivelata a nessuno.”
“Non rivelerò la mia natura senza la mia storia, e una storia ne merita un’altra”, la ragazza si morse il labbro e alzò il mento, decisa, “Queste sono le mie condizioni.”
Gli altri si scambiarono diverse occhiate, in silenzio. Passarono alcuni minuti, l’atmosfera si fece sempre più tesa, e Sadie si chiese se avesse fatto bene a chiedere le loro storie.
Fu infine Gideon a parlare. “E sia.”
La ragazza sorrise. “Bene. Mi serviranno carta e penna, e una scatola.”
Gideon fece un gesto, e ai piedi del divano comparve tutto ciò che aveva richiesto. Sadie lo guardò. “Come fai?”
Sorrise. “Lo scoprirai quando sarà il mio turno di raccontare.”
La fanciulla prese il foglio, e lo divise in otto parti. Ne mise da parte una, e scrisse i nomi dei suoi compagni sulle altre. Le piegò e le mise nella scatola. La agitò per qualche secondo, poi, quando fu soddisfatta, l’aprì ed estrasse un nome a caso.
Dispiegò il foglietto, e lesse il nome che vi era scritto in lettere minute. “Gideon.”
Questi impallidì. “Suppongo di dover iniziare io.”
La giovane annuì. “A quanto pare, scoprirò prima di quanto pensassi come fai a far apparire gli oggetti dal nulla.”
Il ragazzo si schiarì la voce un paio di volte, prese un respiro e cominciò il suo racconto.
  


Nota dell’autrice: Questa storia è stata scritta per la challenge dal nome alla storia (only slash) indetto da Nonnapapera!. 
Il nome che dovevo inserire è Serafino, che significa serpente.
Personaggi e situazioni mi appartengono.
Vi invito infine a recensire, perché per scrivere ci vogliono giorni e molta fatica, a recensire bastano pochi minuti, ed è molto apprezzato.

 
 
 
  
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