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Autore: Nijinsky    17/07/2011    15 recensioni
Scorcio di quotidianità, flashback e confidenze, parassiti strappati via dalla sottocute, giochi di equilibrio per non impazzire.
Matt e Mello nono fuggono, non corrono, non si dileguano nell'ombra per non farsi ammazzare, ma si specchiano l'uno nell'altro e si lasciano raccogliere reciprocamente, buttandosi tutto alle spalle per un attimo per concentrarsi, per perdersi, finalmente, l'uno dentro l'altro.
Amicizia è anche questo: smarrirsi, nascondersi nei vuoti dell'altro, spalleggiandosi fino alla fine.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matt, Mello
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci sono quelle sere che sono più dure
Dove serve bere via le paure
E dentro ci si sente
Piccoli per sempre

 
 



«Hey, tu!» strillò divertito un affannato ragazzino biondo, strattonando per i capelli quello strano tipo appena arrivato.
 


 
Era giunto quello stesso pomeriggio alla Wammy’s House, bizzarro orfanotrofio per cuccioli straordinari, ed era stato piazzato da Roger, il vecchio direttore, in mezzo al cortile, in balia degli altri bambini che stavano giocando.
Quel tipetto curioso, buffo con quella castana zazzera ribelle, splendente di riflessi rossi sotto la luce del sole, non si era fatto troppi problemi ad avvicinarsi a un gruppo di coetanei che sembrava stesse organizzandosi per una partita di calcio, chiedendo di unirsi a loro.
Qualsiasi tentativo di risposta negativa fu prontamente stroncato da una voce squillante ed imperiosa, accompagnata da un brillante sguardo ceruleo.
«Lui gioca con me» affermò come se fosse un ordine perentorio, trascinando il ragazzino affianco a sé tirandolo per un braccio «voglio vedere come te la cavi, novellino».
Infastidito da quel soprannome, ma grato per essere stato coinvolto, il nuovo arrivato accennò un sorriso, e si preparò a giocare, scostandosi i capelli dal viso, mostrando a tutti i presenti quanto limpidi e lucenti fossero i suoi occhi verdi.
Non era mai capitato che una matricola si facesse avanti così sfacciatamente, chiedendo spudorata di giocare insieme agli altri. Anzi, a onor del vero, era capitato solo in un’occasione, ovvero quando il biondino di cui sopra aveva messo piede nell’orfanotrofio  e assoggettandolo dopo una partita di calcio al suo carisma e al suo esibizionismo.
Ovvio che il suddetto fosse incuriosito da quel nuovo ragazzino alto e magro che correva a perdifiato in mezzo al campo destreggiandosi come un atleta professionista.
Vinsero con uno scarto di 8 punti dalla squadra avversaria, beffeggiandosi di quest’ultima con un atteggiamento molto poco sportivo, com’era ovvio che fosse data l’età.
Se la cavava eccome, il novellino.
Questi faceva per andarsene, quando si sentì afferrare i capelli.
«Ohi! Che c’è?»
«Non mi hai detto come ti chiami!»
«Neanche tu» ribatté come se fosse una cosa ovvia, beccandosi un’occhiata mezzo infastidita mezzo divertita da parte dell’interlocutore.
«Io sono Mello»
«Io sono Matt»

E da allora non ci fu più Mello, né tantomeno Matt, ma si parlò sempre di Matt e Mello.

Insieme.
 

~ † ~


 
 
Notte fonda.

La calma piatta e ansiogena imperava dispotica sulla città.

Il silenzio strepitava la sua collera contro la PSP di Matt e contro le sue musichette disturbanti.
Matt sembrò ignorare completamente l’ira del silenzio, tanto che era preso da quell’infantile videogioco.
Anche lui, come Mello, era rimasto un po’ bambino: erano diventati alti e forti nei lineamenti, ciascuno con un bel fisico magro ma non asciutto, agili, scattanti, la loro voce non era più squillante, ma roca e graffiante, vuoi per il fumo, vuoi per il corso naturale della crescita maschile; tuttavia entrambi avevano mantenuto quel carattere infantile, con le manie e  i modi di fare di quando erano piccoli.

Insomma, dei bambinoni ventenni che si erano ritrovati un bel giorno a fare a pugni con il mondo senza che un cancello li separasse da esso.

Che un bel giorno avevano deciso di fuggire dall’orfanotrofio in cui erano cresciuti per dare la caccia a Kira, lo spietato assassino che si era portato via la ragione di vita di

Mello, oltre che la sua sanità mentale, oltre che metà della sua faccia, oltre che la sua spalla sinistra, oltre che quel barlume di innocenza che un orfano può conservare dentro di sé.

E Matt, da buon amico quale era, non aveva esitato a seguirlo nelle sue follie non appena Mello ebbe modo di comunicargli la sua locazione.
Lo trovò fra le macerie ardenti del suo covo, con addosso degli orrendi vestiti di pelle, tanto brutti che persino il fuoco aveva pensato bene di mangiarli quasi per intero, con i capelli scompigliati, anneriti dalla cenere e un po’ bruciacchiati, con mezzo volto e spalla sinistra completamente scuoiati, neri, esposti all’aria velenosa di quell’inferno.



«Matt» sussurrò con un sorriso.

«Mello» salutò l’altro con un’espressione serena che faceva a pugni con le macerie circostanti.

«Ce ne hai messo di tempo» rise.

«Tu invece non ci hai messo molto a decidere di far saltare in aria un edificio senza prendere la briga di portare il tuo culetto da signorina fuori»

«Era necessario» concluse Mello facendo spallucce.

Matt si inginocchiò per prenderlo in braccio, ma ricevette una craniata in mezzo alla fronte.

«Che cazzo ti prende, idiota?» sbottò divertito tenendosi la fronte con una mano

«Il mio culo non è da signorina, e parla con un po’ di rispetto, perché è favoloso»

Lo aiutò ad alzarsi, tenendolo per la vita e passandosi un suo braccio intorno al collo.

Provarono a muovere qualche passo, e nonostante Mello non lo desse a vedere, era davvero molto debole, e Matt lo prese in braccio.

«Che stai facendo?»

«Ti do una mano, principessa: sei così debole che non tiri nemmeno più le capocciate come un tempo»

«Aspetta che mi riprendo e ti spacco la testa a craniate»

«Sì sì certo, basta che ora dormi»

Mello si appoggiò alla spalla di Matt, facendo attenzione a non tirare la pelle maciullata dal fuoco, e si abbandonò al sonno, lasciandosi cullare dal respiro di Matt e dalla sicurezza che gli infondeva.









Quanto tempo era passato da quella dormita.

Parecchio, effettivamente.
Per quanto fosse stato un episodio poco gradevole dato il contesto, lo ricordava con un pizzico di affetto, e quello scorcio di passato aveva cominciato ad affiorare con violenza inaudita solo quella sera, insieme a tanti altri spilli che avevano cominciato a pizzicargli la fronte, riemersi come rabbiose fenici da ceneri che Mello pensava di aver spento definitivamente.
Concentrò il suo sguardo su Matt, curvo sulla PSP, tirandogli un calcio a un ginocchio in un vano tentativo di farlo schiodare da lì. Sorrise, e buttò la testa all’indietro, contro lo schienale del divano, abbandonandosi a quelle molle sfondate.
Sospirò piano, sperando che l’amico non lo sentisse o che almeno non gli facesse domande.
Difatti Matt non proferì verbo a riguardo, ma si limitò a spegnere la consolle,  alzarsi dalla poltrona e stravaccarsi sul sofà accanto a Mello, appoggiando la testa nel medesimo modo e girandola per guardare in faccia l’amico che invece fissava il soffitto.

«Che hai da guardare?» mormorò Mello con tono sarcastico.

«Mi chiedevo se andasse tutto bene, bestiaccia»

«Perché non domandarlo al diretto interessato?» sorrise beffardo.

«Perché le tue capocciate fanno di nuovo male, stronzo»

Risero entrambi, sapendo quanto il biondo considerasse del tutto superflue quelle domande così patetiche e quanto fosse poco ortodosso nelle reazioni nel caso in cui qualche ignaro disgraziato gliele ponesse.

Mello si voltò e si fissarono negli occhi per un istante lungo un secolo.

Odiava guardare Matt negli occhi: quel maledetto ragazzo con uno sguardo gli raschiava via ogni informazione dal pavimento della sua anima, senza farsi sfuggire nemmeno un dettaglio. Grattava via la superficie finché non arrivava al centro nevralgico della sua personalità, del suo smisurato ego che cadeva a brandelli sotto il proprio peso. Con calma e sangue freddo Matt raccoglieva tutti i cocci e armato di pazienza e Vinavil rimetteva tutto a posto.

Un ordine effimero.

Mello crollava sempre, periodicamente, sotto il suo sguardo attento.
E gli era sempre grato per ogni santo pezzo che incollava di nuovo, che non si stancava mai di raccogliere.
Sorrise, timido, e abbassò lo sguardo quando Matt ricambiò radioso e solare.
Scivolò piano verso di lui, e appoggiò la guancia alla spalla, cingendo con un braccio la vita di Matt.
Questi, in tutta risposta, chinò la testa fino a poggiare la guancia sulla chioma di Mello, passando a sua volta un braccio attorno le sue spalle e stringendo la schiena, mentre appoggiò l’altra mano sul suo fianco ossuto, accarezzandolo piano.




«Ho paura, Matt» un sussurro, un soffio.

«Lasciamo perdere tutto» dolcezza nelle parole, inasprite da una punta di amarezza – sapeva già cosa avrebbe risposto Mello.

«No, Matt» bingo « non c’è altra soluzione»

«…»

«Anche se vorrei ce ne fosse un’altra»

«Mi dispiace, Mihael»

«Anche a me, Mail»

«Sarò con te fino alla fine, lo sai, vero?»

«Sì, grazie, Mail»




Si strinsero più forte, cercando l’uno il conforto e la sicurezza nelle membra dell’altro.

«Mail» un mormorio frusciato appena fra le labbra pallide.

«Dimmi» se non sapessi che sei Mail, ti chiamerei mamma.

«Curami un po’ quest’amarezza che ho»

Mail sapeva bene quali fantasmi stavano punzecchiando dispettosi la mente di Mihael, riemergendo ferocemente dalle soffitte più remote della sua memoria. Sapeva quanto fossero inondate le sue orecchie di suoni che avrebbe voluto imparare a sopportare, quanto fossero pieni i suoi occhi di immagini che gli popolavano gli incubi, quanto il suo corpo e la sua mente stessero reclamando a gran voce un rimedio, una cura, un antidolorifico.

Uno scoglio contro cui infrangersi e riprendere fiato.

Un sipario che chiudesse ai suoi sensi gli scheletri del passato.

Una voce che lo illudesse che andava tutto bene, nel migliore dei modi.

Perché non regalargli quell’illusione, quella gioia finta che più che giubilo era tranquillità?

Matt se lo strinse al petto e lo cullò, dondolando appena, lasciando che Mello si rilassasse al ritmo calmo e cadenzato del suo cuore che calmo non era, accarezzandogli il volto con una mano, mentre impegnò l’altra a sfregargli la schiena, appoggiando le labbra sui capelli.


«Va tutto bene, Mihael, ci sono qua io»

Chiudi gli occhi.

«Non ti giuro che finirà al meglio per noi, ma ti sarò sempre vicino»

Rilassa i muscoli.

«Qualsiasi cosa accada, non ti lascerò mai, mai da solo»






Gli mancava la Wammy’s House.

Gli mancavano i giochi all’aperto, le partite.

Gli mancava la cameretta che affacciava sul cortile.

Gli mancava la cioccolata sgraffignata nottetempo in cucina .

Gli mancavano le chiacchierate e i piani diabolici orditi in piena notte, al buio.

Gli mancava Roger con le sue ramanzine.

Gli mancavano gli altri bambini.

Gli mancava Near, perenne bersaglio del suo sarcasmo e della creatività profusa nelle imboscate che gli tendeva insieme a Matt.

Sorrise.






Matt non gli sarebbe mai mancato, semplicemente perché l’avrebbe avuto sempre al fianco.

 






Ci sono quelle sere belle da morire
Dove puoi giocare invece di dormire
E dentro ci si sente
Piccoli per sempre
 





Piccoli per sempre – J-Ax




















  
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