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Autore: Feel Good Inc    18/07/2011    3 recensioni
La macchina giunse a destinazione ed Aerith portò il piede sul freno così bruscamente che, non fosse stato per la cintura di sicurezza, sarebbe finita sul parabrezza a fare compagnia ai tergicristalli. Tirò il freno a mano e si fiondò fuori senza neppure spegnere il motore, subito imitata da Cloud, con la pistola pronta in pugno già da un pezzo.
Percorsero in fretta lo slargo costeggiato di siepi, e raggiunsero il cortile su cui si affacciava il portone principale dello stabile. Cloud imprecò ad alta voce.
«Merda...»
La sagoma massiccia dell’agente Lexaeus giaceva immobile davanti a loro, e il chiarore della luna inargentava il rosso del suo sangue mescolato all’erba verdissima del giardino da anni abbandonato a se stesso.

* * *
«Entra e fammi vedere.»
«Ma allora avevo ragione.» Axel sogghignò di nuovo, puntando il gomito destro sul davanzale e guardandolo con malizia. «Vuoi
davvero giocare al dottore.»
Roxas si sentì arrossire. «Sei proprio un idiota.»
«Grazie, bimbo, anche tu non sei male.»
Si tirò su ed entrò dalla finestra. Una volta posati i piedi a terra, si guardò intorno ostentando indifferenza – ma Roxas notò che il suo viso era decisamente pallido. Lasciò scivolare il cappotto sul pavimento.
Un tonfo metallico.
Roxas guardò interrogativamente prima il viso impassibile di Axel, poi il punto in cui l’indumento aveva toccato terra. Da una tasca sbucavano pochi centimetri di qualcosa di lucido e scuro.
La canna di una pistola.

* * *
Quando un adolescente in fuga dalla legge si nasconde in un condominio in cui vive un ragazzino che si ostina a fuggire dal suo passato, e quando le loro storie s'intrecciano a quella di una ragazza che torna da un posto che è lontano in tutti i sensi, ci si accorge che qualche volta bene e male non esistono. Esiste solo il destino.
{ AkuRoku; accenni SoKai, MaruDem, RokuNami, CloudAerith, Sorpresa }
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
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37

Qualcuno da salvare

 

 

 

Non gli era mai capitato di sentirsi così inadeguato.

Il suo amico ora camminava libero, in tutti i sensi, senza un accenno di affaticamento o di bisogno di sostenersi a lui. Axel non riusciva a smettere di lanciargli occhiate furtive. Si conoscevano da poco più di un mese; non avrebbe saputo dire chi dei due fosse più cambiato, né se quel tempo fosse stato troppo lungo o troppo breve. Camminando sulla strada di casa, con la coscienza fresca di bucato e senza più nulla da nascondere a se stesso o agli altri, lo spacciatore fallito non pensava più alla propria condizione, ma a quella della persona che gli stava accanto, l’unica che volesse con sé e l’unica che lo facesse sentire sempre nettamente inferiore.

«Hai perso la lingua?»

Roxas lo guardava impassibile. Axel si strinse nelle spalle.

«Pensavo.»

«Pensavi?» Il ragazzino ridacchiò. «Tu

«Ridi, ridi pure.» Axel gli indirizzò un mezzo sorriso senza ironia. «Pensavo che somigli moltissimo a tua madre.»

Roxas tacque, sorpreso. Poi distolse lo sguardo e continuò a camminare.

«Lo prendo come un complimento.»

Non replicò; per una volta non ci teneva a rimarcare il suo imbarazzo. Probabilmente lui non era neppure in grado di immaginare il percorso e la lotta interiore che Roxas aveva dovuto affrontare prima di mettere piede in quel cimitero e tornare a guardare negli occhi la sua famiglia. Se solo avesse potuto dimostrargli quanto significasse per lui essergli stato vicino in un momento del genere...

Scosse la testa.

Erano arrivati. Davanti all’ingresso del condominio, Vexen zoppicava in giro, raccattando dalla strada dissestata quelli che sembravano giornali vecchi ancora in buono stato. Chissà, magari voleva farsi una cultura. Axel ricordò che una volta, in un numero di Topolino trovato in un altro parco troppi anni prima, aveva visto Paperon de’ Paperoni comportarsi esattamente nello stesso modo.

Un sogghigno gli venne spontaneo, nel preciso istante in cui il vecchio portinaio alzava lo sguardo e lo intercettava. L’espressione acida si venò di una fievole traccia di allarme, ma durò soltanto un nanosecondo; Vexen finse ostentatamente di non averli visti e zoppicò in fretta su per i gradini d’ingresso fino al portone, chiudendoselo alle spalle con uno schianto secco.

Roxas rise allegramente. «Tu lo terrorizzi, Axel

«No, è solo offeso perché non è ancora riuscito a estorcermi l’affitto.» Scrollò le spalle e ripercorse i passi di Vexen verso l’uscio. «Per quel che mi riguarda, può anche stare tranquillo. Ora che sono ufficialmente un bravo ragazzo provvederò anche a questa rottura di scatole, prima o poi...»

«Axel... Fermati.»

«Dai, lo so che non dovrei scherzarci su, però...»

«Non hai capito.» Roxas lo raggiunse e lo afferrò per una manica. «Fermati un attimo!»

Senza capire, Axel si fermò ai piedi dei gradini e lo fissò, inarcando un sopracciglio.

«Beh?»

Roxas arrossì e lo lasciò andare.

«Devo... dirti una cosa.» Fece un profondo sospiro. «Ti ho detto che ero sicuro che oggi saresti potuto tornare a casa... Beh, non ero l’unico ad esserlo. Sora e Kairi hanno organizzato un... una festa per te. Che comincerà appena tu ed io arriveremo al secondo piano.»

Axel continuò a fissarlo, a dir poco sbalordito. Alla fine gli affiorò alla bocca un dubbio.

«Mi stai dicendo» disse lentamente, «che mi hai portato laggiù al cimitero... per distrarmi

Roxas alzò di scatto la testa. Sembrava arrabbiato, o deluso, dalle sue parole.

«Ti sembro capace di una cosa del genere?»

Axel realizzò la sciocchezza detta in meno di un baleno. Distolse lo sguardo e abbassò la voce.

«No. Scusa.»

Seguì un silenzio impacciato. Quelle ultime due sillabe echeggiarono per un pezzo nell’aria circostante; Roxas pareva sorpreso, come se non si aspettasse quella risposta, e Axel dovette riconoscere di non essere meno impressionato da se stesso.

Finalmente si decise a tornare alla questione in sospeso. «Allora?»

Roxas alzò gli occhi, ancora confuso. «Allora cosa?»

«Allora, che c’è? Hai deciso di rovinarmi la sorpresa della festicciola solo perché ti andava, o c’è un motivo preciso per cui mi stai preparando alla cosa?»

Il biondino sembrò ritrovare il filo del discorso. Sollevò le spalle.

«Più o meno. È che... In questo momento, io non ho molta voglia di festeggiare.» Arrossì ancora. «Cioè, sono felice per te, lo sai, però non credo di volermi ritrovare in mezzo a tanta gente, ora come ora. Perciò, ecco, te l’ho detto, così ora tu vai da Sora e gli altri e io...redo di volermi ritrovare in mezzo a tanta gente, ora come ora. se.»

«Non se ne parla neanche.»

Roxas s’interruppe.

Axel lo afferrò per un braccio, fece dietrofront e se lo trascinò dietro. «Tu vieni con me. Non ti lascio solo. Memorizzato?»

Non si voltò a guardare la sua espressione, ma a giudicare dal suo silenzio capì che sì, aveva memorizzato. E che non gli dispiaceva.

 

 

* * *

 

 

«E voi due che ci fate qui?»

Si fermarono. Avevano circumnavigato una buona metà dell’edificio, fino al punto in cui il vicolo rivelava il cortile interno, ma a quel punto si erano imbattuti in due agenti di polizia: per la seconda volta da quella mattina, Roxas riconobbe Cloud Strife ed Aerith Gainsborough.

«Dunque, vediamo.» Axel soppesò quest’ultima con lo sguardo prima di rispondere alla sua domanda. «Fino a qualche ora fa ci abitavamo, e dovrebbe essere ancora così, a meno che le circostanze non ci abbiano sfrattati nel frattempo. Ma, ora che ci penso, potremmo fare a voi la stessa domanda.»

Roxas approfittò del suo enfatico sarcasmo per sfilare il braccio dalla sua stretta, augurandosi che l’imbarazzo non gli si leggesse in faccia.

La giovane donna sorrise gentilmente e mostrò ad Axel ciò che il suo collega teneva in mano.

«Beh, a quanto pare siamo venuti a sgomberarvi la strada.» Si voltò per rimuovere anche le ultime transenne tra quelle che nelle ultime settimane avevano bloccato il vicolo e assicurato gli arresti domiciliari di Axel. «Comunque, se questo è il vostro metodo per rientrare in casa, devo ammettere che è un po’ inusuale. Grane col signor Vexen

Ne aveva azzeccate due in un colpo: Roxas non poté impedirsi di sorridere tra sé e sé.

Dal canto suo, Axel allargò le braccia e scosse la testa.

«Eh, lasci stare, è una storia lunga.» Prese di nuovo Roxas per un braccio e ricominciò a trascinarlo verso il vicolo. «Allora ci si vede, signori. Buona giornata.»

«Altrettanto» sorrise Aerith, accompagnata da un semplice cenno del capo da parte di Strife.

Roxas fece per ricambiare il saluto, ma subito dopo si ritrovò nel vicolo con Axel e si distrasse: era la prima volta che passava di lì, da quando viveva al condominio.

«Meno male» sbuffava intanto Axel in sottofondo, producendo con la sua bassa voce baritonale un eco rombante sotto la volta di cemento. «Se non altro, ho finito di sentirmi come un topo in trappola.»

Stava già per dirgli che d’ora in poi avrebbe potuto guadagnare ben più di questo, quando si rese conto che in quella trappola in realtà Axel c’era stato benissimo, o comunque non se n’era mai lamentato prima. Rinunciò in partenza e si rassegnò a tenergli dietro.

Visto dal basso, il cortile del condominio sembrava molto più grande che dalla sua finestra al secondo piano, ma non meno sporco e mal tenuto. Tuttavia non gli dispiaceva quel cambiamento di prospettiva.

Lo sguardo di Axel si posò sulla scala antincendio e d’improvviso scintillò pericolosamente.

«Bene, piccolo Roxas.» Non era sicuro che quel vezzeggiativo significasse qualcosa di buono. «Direi proprio che è arrivato il momento di mostrarti la mia camera da letto.»

C’era da aspettarselo.

Roxas si sentì avvampare, poi tirare di nuovo in avanti. Cercò di divincolarsi.

«Insomma, Axel! Mollami! Guarda che so cammina...»

La voce gli si spense, mentre si rendeva pienamente conto del senso delle parole che aveva scelto per protestare.

Axel smise di trascinarlo e si voltò, guardandolo con occhi indecifrabili. Confuso, Roxas ricambiò lo sguardo.

So camminare.

Era così strano per lui pronunciare quelle due sole parole. Eppure gli erano salite alle labbra così, spontaneamente, senza riflettere. La risposta più ovvia del mondo.

Non avrebbe saputo spiegare il senso di estraniazione appena provato; ma Axel capì lo stesso.

Gli sorrise, lo lasciò andare e si diresse senza fretta alla base della scala.

Grato del suo silenzio, Roxas si scosse e lo seguì.

L’adolescente era già alla metà della rampa che conduceva al primo pianerottolo quando si fermò improvvisamente, si voltò e seguì un pensiero chissà dove. Una decina di gradini sotto di lui, Roxas vide la sua espressione indurirsi. Per un attimo gli apparve di nuovo il pericoloso sconosciuto che una notte aveva percorso quella scala antincendio con una pistola in mano e una persona da uccidere. Abbassò gli occhi sul gradino di metallo davanti ai propri piedi, così stranamente piantati al suolo.

«Sai che fine ha fatto Zexion? Quello che hai visto venire a cercarmi qui, il mese scorso?»

«No. Che fine ha fatto?»

«Gli hanno sparato. Quei due simpaticoni qui fuori.»

Pausa.

«Sul serio?»

Axel chiuse gli occhi e si stiracchiò. «Sul serio. Strana la vita, eh?»

Roxas annuì e alzò la testa.

«Mi dispiace.»

Al suo fianco, l’altro sobbalzò e lo fissò con aria stordita.

«Quando sei arrivato quassù?»

«Proprio adesso.» Roxas tagliò corto e continuò a salire i gradini, guardandosi i piedi e ripetendosi mentalmente che erano proprio i suoi. «Perché non me ne hai parlato prima?»

Axel non rispose.

Raggiunto il pianerottolo del primo piano, che nasceva davanti alla finestra dell’appartamento 1B, lui proseguì sulla piattaforma fino a quella dell’1A, sbirciando l’amico ancora fermo sulla rampa inferiore. Quando incontrò il suo sguardo assorto, si fermò.

«Che c’è?»

«È...» Axel non batté ciglio. «Niente. È un po’... strano vederti salire le scale, ecco tutto.»

L’intensità con cui lo fissava lo mise di nuovo a disagio. Distolse il viso e riprese a camminare.

I passi di Axel riecheggiarono dopo qualche istante, un rumore smorzato nel silenzio assoluto.

Le persiane alla finestra del 2A, quella della sua stanza, erano chiuse come le aveva lasciate prima di uscire con Sora quella mattina per recarsi all’udienza in tribunale. Meglio così; sarebbe stato alquanto imbarazzante se Sora o Hayner o chiunque altro in quel momento stessero guardando proprio da quella finestra, accorgendosi che lui, invece di presentarsi alla porta del suo appartamento, stava per entrare così furtivamente nel 2B...

Si fermò di nuovo sul pianerottolo del secondo piano, aspettando che Axel facesse gli onori di casa. Lui lo raggiunse, lo superò e scavalcò agilmente il davanzale.

«Non la chiudi mai, questa finestra?» cercò di scherzare Roxas.

Recuperata all’istante l’indole sarcastica, Axel sogghignò.

«Non potrei mai. È la mia via di fuga preferita.» Fece un passo indietro. «Non ti serve aiuto, non è vero?»

Il ragazzo sorrise. Se per qualche secondo Axel aveva guardato alle sue gambe rinnovate con gli occhi di tutti gli altri, ecco che ora tornava al suo vecchio pragmatico distacco.

«Non mi avvilisco per così poco...»

Proprio come piaceva a lui.

«No. Non mi serve aiuto.»

Si avvicinò al davanzale, vi si sostenne con una mano e sollevò la gamba sinistra fino a oltrepassarlo. Sedette a cavalcioni e tirò dentro anche la destra, ritrovandosi infine in piedi di fronte ad Axel.

«Fatto.»

L’altro aveva ancora gli occhi fissi sui suoi jeans. Roxas ebbe la preoccupante impressione che avesse seguito tutti i suoi movimenti con estrema cura. Ma perché lo rendeva così nervoso?

Cercò di ignorare quel pensiero così stupido guardandosi intorno nella stanza di Axel.

A prima vista, sembrava che l’inquilino del 2B si fosse trasferito là il giorno stesso. L’immagine gli ricordò quella del soggiorno, che aveva già avuto modo di vedere un’unica volta. C’erano pochissimi mobili, che parlavano di scarna essenzialità, e praticamente nessun effetto personale. Un letto sfatto, un armadio, un comodino. Ogni particolare dava l’idea di un proprietario che non aveva la minima voglia di far sua quella stanza o, più semplicemente, intendeva passarci meno tempo possibile.

Roxas si avvicinò lentamente al letto.

«Mmm

«‘Mmm’, cosa?» Axel gli si affiancò, incrociando le braccia. «Che ti aspettavi, un albergo a cinque stelle?»

«No di certo. Ma forse qualcosa con un minimo di personalità...»

«Traduzione, prego.»

Si voltò a guardarlo divertito, con fare paziente. «Voglio dire che questa stanza non dice niente di te. La mia, per esempio, è un caos: qualcosa vorrà dire.»

Axel ridacchiò. «Magari è solo che non c’è niente da dire su di me.»

«No, questo è impossibile.»

«Andiamo, bimbo! Tu sai di me tutto quello che vale la pena sapere e anche qualcosa che non vale la pena sapere.» Si tolse la felpa e rimase in t-shirt. «Eccetto il mio più grande talento, forse.»

Roxas mosse un passo indietro, con un bruttissimo presentimento. «Sarebbe a dire...?»

Axel gli si avvicinò ghignando. «Prima devi dirmi tu una cosa. Soffri il solletico?»

«Il...» Sgranò gli occhi e indietreggiò ancora, fino a toccare il materasso. «Che cosa

«Perché questa» lo interruppe l’altro, tendendo le mani, «è una cosa di me che non varrebbe la pena sapere. Ma pazienza, io te la dico lo stesso!»

Prima di avere il tempo di reagire, Roxas si ritrovò quasi scaraventato sul letto, con Axel al suo fianco intento in un ossessivo attacco di solletico. Scoppiò a ridere e piegò automaticamente le gambe per difendersi, ma l’adolescente aveva braccia più lunghe e forti delle sue e riuscì a vincere presto ogni sua resistenza. In preda alla ridarella e ormai alle lacrime, Roxas si sfilò il cuscino da sotto la testa e colpì ripetutamente, alla cieca, dove e come capitava.

«Dovevi marcire in prigione!» boccheggiò. «Ti odio! Ti odio! Ti odio!»

Axel si fermò all’improvviso. Rideva anche lui. Roxas lasciò ricadere il cuscino e rimase ansante, a braccia aperte, a cercare di calmare le risate.

«Forse non so tutto di te» esalò poi, «ma una cosa è certa. Sei lunatico.»

«Lunatico? Io?»

«Sì, tu! Un attimo prima hai uno sguardo da assassino, un attimo dopo ti trasformi nel Signore del Solletico. Durante gli arresti domiciliari fai sempre lo scemo, poi ti sento dire che ti sentivi in trappola.» Scosse la testa, esasperato. «Come mai sei così contraddittorio?»

Axel sorrise e gli asciugò la guancia, dove una lacrima si era scavata una via per andare a disperdersi nel cuscino.

«Che pretendi da me? È colpa tua... Mi fai fare cose che di solito non faccio.»

Roxas perse ogni voglia di ridere. Aveva riconosciuto la parafrasi delle sue stesse parole, e sapeva che non c’era nulla di ironico in quella frase.

Soltanto allora si rese conto di quanto Axel fosse vicino.

Imbarazzato, sfuggì al verde magnetico e indagatore dei suoi occhi e si concentrò sulla sua spalla. Sotto la manica della t-shirt nera si poteva distinguere una piccola macchia bianca a forma di mezzaluna. Senza neppure accorgersene, portò una mano a sfiorargli la cicatrice. Liscio sul ruvido, freddo sul caldo.

«Prima non mi hai risposto.» Ancora non lo guardava. «Perché non mi avevi detto che il tuo amico... Che era successo quel che è successo?»

Axel non si muoveva; ancora in quella posizione, sollevato sui gomiti puntati, poco sopra di lui, sembrò riflettere sulla domanda.

«Era una cosa che non riuscivo a fronteggiare, credo. Mi sembrava... irreale. Ma l’amicizia non c’entra. Zexion non era esattamente mio amico... Una volta credo di aver avuto un’amica, una bambina dell’orfanotrofio. Da allora non ho più avuto bisogno di simili stupidaggini.»

Roxas alzò gli occhi, imbronciato. «Ma scusa, allora io cosa dovrei essere? Tuo zio?»

Axel gli sorrise, sicuro di sé. «Proprio non ci arrivi?»

Il ragazzo lo fissò, incerto, ma l’altro non aggiunse nulla. Il silenzio e la vicinanza si facevano sempre più imbarazzanti. Avvertendo l’accelerare frenetico dei battiti del cuore, Roxas si rifugiò di nuovo nella contemplazione della cicatrice sul suo braccio destro. Una cicatrice: ciò che l’aveva convinto a chiedergli di accompagnarlo al cimitero, dai suoi genitori...

«Hai trovato qualcuno da salvare. E l’hai salvato. Questo significa che sei pronto.»

Axel scese lentamente con il capo e gli posò le labbra tra i capelli.

«Mi odi davvero?» bisbigliò.

Roxas chiuse gli occhi. Lentamente, scosse la testa.

«Sicuro?»

Le labbra si spostarono sulla punta del suo naso.

«Sicuro» mormorò lui, le palpebre ancora chiuse.

Un improvviso sospiro sommesso lo indusse a sollevarle. Axel si stava ritraendo.

«Bene. Fantastico. Questa... non è una cosa normale.» Aumentò la distanza tra loro, ma rimase chino su di lui. «Senti, Roxas, non mi è capitato molto spesso. Mai, a dirla tutta. E... Insomma...» Sospirò di nuovo, guardò la parete al lato del letto e imprecò a mezza voce. «Merda. Io non voglio farti male, capisci? Non voglio che tu debba affrontare anche... questo... adesso. Non voglio vederti fare di nuovo i conti con le chiacchiere della gente... Non potrei sopportarlo

Roxas osservò a lungo il suo profilo sottile, affilato, con un crescente stupore per quell’inaspettato tratto di sé che gli stava svelando e una morsa allo stomaco che non tardò troppo a giustificare.

Alla fine, tolse la mano dal suo braccio e gliela portò al viso, costringendolo a guardarlo in faccia.

«E tu credi che me ne importi qualcosa?»

Per qualche secondo, Axel non reagì. Poi sorrise, posò la mano sulla sua e se l’allontanò dal volto, chinandosi ancora sul suo.

«Menefreghista.»

Roxas ricambiò il sorriso. «Lunatico.»

«Impertinente.»

«Mai quanto te.»

«Tregua?»

«Tregua.»

Mentre chiudeva gli occhi, sentì sulle labbra il sapore di quelle di Axel e convenne con lui: almeno in quel momento, non gli importava di niente e di nessuno.

E non si sentiva neppure in colpa.

 

 

* * *

 

 

«Alla buonora! Ma dove cavolo siete stati?»

«Uh. In giro.» Axel allungò una mano e arraffò la pasta al cioccolato che Sora stringeva in mano, addentandola con gusto. «Ehi, c’è una festa?»

«Sì che c’è una festa! Roxas non ti ha detto niente?»

Il rosso alzò le spalle e continuò a masticare. Confuso al punto da non protestare neppure per la pasta perduta, Sora spostò lo sguardo da lui a suo fratello, che era appena entrato nell’appartamento con aria svagata; sembrava letteralmente perso tra le nuvole.

«Roxas

Hayner e Olette si avvicinarono in fretta alla porta, ma di fronte alla sua strana espressione gli fecero subito ala, forse temendo che non si sentisse bene.

«Ehi, tutto a posto?»

«Che ti è successo?»

Roxas li guardò come se non li riconoscesse; poi, proprio come Axel, scrollò le spalle e rubò il pasticcino alla crema di Hayner.

Sora non ci capiva nulla. Fissò ancora Axel, interrogativo. Il rosso ingoiò l’ultimo boccone di cioccolato e gli strizzò l’occhio.

«Tranquillo. Non l’ho drogato, te l’assicuro. Abbiamo solo fatto una lunga chiacchierata sull’amicizia, tutto qui... È stato a dir poco illuminante.» Rivolse la sua attenzione al tavolo che i ragazzi avevano sistemato nell’ingresso già un paio d’ore prima. «Però, gente, vedo che ci sapete fare con il catering!»

Sora lo seguì con occhi attoniti mentre si avvicinava al rinfresco, accolto dalla risata di Pence, e intercettò così lo sguardo di Kairi. Lei inclinò il capo da un lato, evidentemente perplessa quanto lui dal ritardo del festeggiato e del suo accompagnatore. Interdetto, Sora tornò a guardare Roxas.

La cosa più strana, rifletté, erano gli sguardi che lui ed Axel continuavano a lanciarsi di sottecchi.

 

 

 

 

 

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Dio, finalmente è finita! Oh, no, non la fanfic. Parlo della festa patronale del mio paese, che mi ha tenuta occupata per pochi giorni eterni – impedendomi di scrivere e pubblicare quanto avrei voluto ;__; Ma, ringraziando tutti i numi celesti, finalmente è finita, e io spero di tornare a farmi viva con regolarità su EFP. ^^

Beh, ho poco da dire su questo capitolo: anche in questo caso avrei voluto lavorare molto meglio sul, ehm, ‘rafforzamento’ del legame tra i due protagonisti indiscussi... Ma in fondo mi pare sia piuttosto comprensibile che Axel è ormai perso di Roxas, ne? x3

Alla prossima,

Aya ~

 

 

   
 
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