Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Marselyn    18/07/2011    0 recensioni
Voldemort è stato sconfitto. C'è stata la vittoria, la sofferenza, la gioia, i feriti, gli eroi e i morti.
Harry e Hermione, camminando tra le macerie del castello, quando tutto è finito. E non tutto sembra ancora chiaro.
Dal testo.
"All'inizio aveva creduto che potesse esserci ben poco da raccattare nei corridoi mezzi distrutti e invasi dalle macerie, ma si era dovuto ben presto ricredere: camminavano da soli dieci minuti e Hermione aveva già infilato nella sua borsetta di perline una quantità non indifferente di cose della più variegata natura: boccette piene di pozioni, petardi e fuochi inesplosi, occhiali e perfino bacchette.
«Non ho ancora realizzato», disse Harry, osservando Pix lontano martoriare un'armatura distesa per terra, «non posso credere che sia davvero finita». Vide Pix schizzare via, intonando versi di vittoria di discutibile decoro.
Hermione sorrise, raccogliendo una bacchetta la cui punta sbucava da sotto la cornice di un quadro per terra."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questione di scelte



Il castello era in condizioni pessime.
Nella calma, nell'alleggerimento dello spirito e della mente, nella libera e spensierata condizione in cui l'animo e il cuore ora si riscoprivano, tutte circostanze che seguono la vittoria, solo allora le ferite e le offese del castello diventavano chiare e improvvisamente visibili.
Era stato martoriato e in ogni modo danneggiato, eppure resisteva, finché una folta schiera di anime gioiose, anche nel dolore, lo sorreggevano e lo difendevano.
Ognuno dava il proprio contributo, seppur umile, seppur insufficiente, ma mai inutile.

Harry e Hermione ispezionavano i corridoi, alla ricerca di oggetti, effetti e averi andati perduti durante la battaglia e che potevano essere considerati di particolare urgenza.
Harry aveva accolto con grande gioia il compito assegnatoli, o forse aveva accolto con grande gioia il fatto che gli venisse assegnato un compito che poteva condurlo fuori dalla portata grata e omaggiante degli studenti e dei professori. Non che disprezzasse i ringraziamenti e la gratitudine dei maghi e delle streghe che lo circondavano, ma era fisicamente e mentalmente incapace di reggerli tutti quanti, gli parevano troppi, immeritati, e di un calore troppo forte perchè un solo corpo potesse contenerli.

All'inizio aveva creduto che potesse esserci ben poco da raccattare nei corridoi mezzi distrutti e invasi dalle macerie, ma si era dovuto ben presto ricredere: camminavano da soli dieci minuti e Hermione aveva già infilato nella sua borsetta di perline una quantità non indifferente di cose della più variegata natura: boccette piene di pozioni, petardi e fuochi inesplosi, occhiali e perfino bacchette.

«Non ho ancora realizzato», disse Harry, osservando Pix lontano martoriare un'armatura distesa per terra, «non posso credere che sia davvero finita». Vide Pix schizzare via, intonando versi di vittoria di discutibile decoro.
Hermione sorrise, raccogliendo una bacchetta la cui punta sbucava da sotto la cornice di un quadro per terra.
Un brivido di sollievo lo rinfrancò per qualche secondo al pensiero che era davvero tutto finito, ma poi il ricordo dei morti che quella tanto sospirata vittoria aveva comportato gli tornò alla mente, di nuovo, impetuoso, e lo sconforto lo pervase nuovamente nel considerare che in realtà non poteva avere la minima idea di quale fosse il loro numero.

«Quanti danni», mormorò, osservando la distruzione intorno, in un debole tentativo di sviare il pensiero.
Hermione gli cinse affettuosamente il braccio e sorrise.
«Erano inevitabili, Harry, non pensarci. Pensa a dove siamo ora, pensa al fatto che siamo ancora qui» disse, dopodiché si chinò a raccogliere un libricino dalla copertina blu, che capì, dopo una rapida occhiata all'interno, essere qualcosa simile a un diario segreto. «Questo è meglio se lo prendiamo» disse e lo infilò dentro la borsetta.
«E' finita» ripeté Harry, cercando di abbandonarsi al sollievo di quelle parole. Ma non gli parvero avere alcunché di consolante.
Non riusciva a non pensarci, non riusciva ad affrancarsi; tutto intorno a lui continuava a sembrargli così innaturale, così, in maniera impudente, privato della propria più felice essenza, rivelato nella propria profonda, semplice, disarmante intimità, ogni cosa gli appariva così sospesa, da indurre a pensare di poter ancora cancellare tutto, ritornare indietro e liberarsi di quella quiete, dalla natura condizionata, ancor più opprimente della lotta stessa. «E’ finita... è sciocco, lo so, però ancora mi chiedo se ne è valsa veramente la pena».
Hermione si fermò e lo guardò con un misto di stupore e tenerezza in volto. Harry fu altrettanto sorpreso dopo aver realizzato pienamente le proprie parole. Si vergognò.
«Dici sul serio?»
«Sì, insomma» disse, cercando di controllare la sfiducia che dentro di sé ora prendeva dominio e lo spingeva a credere che avrebbe dovuto, che tutti avrebbero dovuto, considerare altre opzioni, evitare le più devastanti, rifiutare tutta quella morte. «Mi chiedo se valeva la pena che ognuno di loro, Lupin, Tonks, Piton, Silente, Fred, morisse per lui, per Voldemort. E' davvero stupido, Hermione, ma mi domando ancora se tutto questo ne valesse la pena. Non riesco a non pensarci» concluse, sfinito.

Non era dispiaciuto, non era pentito, era solo smarrito, confuso, perso nella grandezza, nell'enormità che tutti quegli anni, o solo quelle poche, ultime ore di lotta avevano assunto adesso.
Sebbene avesse sempre creduto di avere piena coscienza della portata delle cose, del suo ruolo, delle sue mosse, adesso solo riusciva completamente a percepire la loro vastità, l'inequivocabile impossibilità di cambiare ciò che era stato, di ciò sarebbe stato.
In qualche modo, sentì che Hermione aveva colto l'esatta natura del proprio smarrimento, e le fu tanto grato intimamente di essere così sensibile, acuta, perfetta, sempre.

«Non vale mai la pena di morire» disse lei, quasi a bruciapelo, mentre lo sguardo sospeso e stupito parve poi rivelare ogni improvviso indizio dell'aver compreso il pieno senso delle proprie parole solo nel momento in cui le aveva pronunciate. Ma si armò di nuova lucidità e continuò: «No, non vale mai la pena di essere uccisi, non vale mai la pena vivere la propria vita a metà, di vedersi negati amore, famiglia e gioia, e no, non vale la pena di morire per Voldemort» continuò, col tono privo di gioia, sofferente, eppure così deciso che Harry, con proprio sommo stupore, cominciò a considerare la possibilità che in realtà Hermione non avesse ben compreso la propria richiesta di certezze, di conforto, di sicurezze. Temette per un momento che volesse ritorcergli contro tutte le devastanti conseguenze delle proprie azioni, tutte le frane che i propri passi avevano generato.
Ma dovette, subito dopo, ricredersi.
«Non vale mai la pena di morire, se non per le proprie scelte» aggiunse, riaddolcendosi un po’. «Tutti loro sono morti per propria, consapevole, scelta. Ed è proprio qui che noi non possiamo entrare, è qui che non abbiamo diritto di pretendere alcuna possibile, penosa responsabilità. E nemmeno tu, Harry, puoi. Questa non era la tua battaglia, era la battaglia di tutti» E qui sorrise tristemente. «Era la loro mossa nella partita, non avremmo potuto impedirla in alcun modo. Non prenderti la responsabilità di tutto ciò che è successo. C'è solo una persona che non ha scelto la propria morte, e non credo che proverai pietà per lui: Voldemort non ha scelto di morire. E se l'avesse fatto, allora sì che sarebbe stato perfetto: in tal caso la tua coscienza sarebbe immacolata, Harry» concluse, quasi come se stesse parlando di una considerevole possibilità. «Ma d'altronde, chi è quel folle che si sarebbe aspettato tanto?» disse scrollando le spalle, e sorrise. Poi si diresse verso una bacchetta abbandonata lì vicino.

Allora anche Harry sorrise.
Perchè Hermione non aveva idea di ciò che le sue parole avevano scatenato: la piena consapevolezza della grandezza, della partecipazione altrui a quella guerra gli furono, finalmente, chiare.
Questa non era stata la sua guerra.
Era stata la guerra dei deboli, la guerra degli unici, la guerra dell’unione, la guerra dei soli, la guerra della solidarietà, la guerra della libertà; era stata la guerra di tutti coloro i quali erano morti per essa, i semi caduti, ma che avrebbero germogliato di vita nel fertile terreno insieme raccolto e che avrebbero presto dato i loro frutti migliori.
Era stata la guerra delle scelte.
E ben presto capì che l’ultimo ad aver scelto era stato proprio lui, perchè, egoista fino a quell’ultima e unica, consapevole vittoria contro la morte, lui non aveva mai davvero scelto di combattere, fin quando lo spettro della morte non lo assaliva d’un tratto, fin quando non era stato ripetutamente costretto a salvarsi.
Ma quella sua ultima decisione, quella che l’aveva condotto ad affrontare il verde giudizio di Voldemort, quella sua ultima, unica scelta era stata quella che l’aveva reso più di ogni altra cosa pari a tutti coloro che in quella battaglia avevano deciso da che parte stare ancor prima di lui.
Era tutto lì: l’essenziale era stato scegliere, e che la scelta avesse determinato morte o vita, ciò non importava: entrambe sarebbero valse l’aver vissuto per aver percorso quegli esatti passi, uno dopo l’altro, senza mai fermarsi, cadendo e rialzandosi, ferendosi, soffrendo, gioendo, per accorgersi solo infine il senso di tutto.
Ed era lì che ognuno, per quanto umile la magia offerta, per quanto divampante la speranza provata, assumeva lo stesso, prezioso valore in quella vittoria.
Erano tutti uguali, tutti diversi, e nessuno inatteso di fronte alla vita.


E avevano scelto, più di ogni altra cosa avevano scelto.
E in quella scelta, più di ogni altra cosa avrebbero vissuto.


Certo, per quanto rincuoranti e rivelatrici quelle improvvise verità gli parvero al momento, era fermamente convinto che per anni ancora i dubbi, i rimorsi, di tanto in tanto, avrebbero reclamato ascolto, ma non era ancora pronto a lasciarsi abbindolare dal loro fatale ammaliamento, o almeno sapeva che non lo erano i suoi amici, e sperò ardentemente che la vena persuasiva di Hermione non si prosciugasse per molto tempo ancora, messa a dura prova, come presto sarebbe stato, dalla nuova, del tutto attesa, natura del suo rapporto con Ron.
Voldemort o non Voldemort, Harry realizzò che aveva ancora, disperatamente bisogno di loro.

«Incredibile quante bacchette ci sono in giro, eh Harry?» esclamò sorpresa, mentre infilava quella appena trovata nella borsetta.
«Già» convenne, ricominciando a scrutare per terra, in cerca di possibili, umili cimeli degli studenti. Era intenzionato a trovarne moltissimi.
«Credo che anche Luna abbia perso la propria» constatò Hermione, mentre spostava con i piedi un piccolo cumulo di pietra.
«Perchè?»
«All'ultima che ho trovato era legato un nastro rosso con scritto: “Attenzione: questa bacchetta libera dai Gorgosprizzi”» disse, scrollando le spalle e, per la prima volta dopo quella che a Harry parve un'interminabile quantità di tempo, ridendo.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Marselyn