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Autore: Martin Eden    18/07/2011    1 recensioni
Seguito di "Compagni di sventura - Resistance". La guerra dell'Anello continua per i nostri eroi, fra alti e bassi, vittorie e sconfitte: riusciranno a sopraffare il Male? Ma a che prezzo? Perdere la battaglia contro Sauron è veramente la cosa più terribile a questo mondo? Non per tutti... Buona lettura! E recensiteeeeeee :)) grazie mille!
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aragorn, Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
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9 – ALL’ULTIMO SANGUE

 
Abbarbicato alla meglio sulle rocce, Legolas rischiò più volte di capitombolare giù, da dove era venuto: colpa di quelle maledette pietre! Erano disgustosamente friabili.
Accidentaccio a Mordor e a tutte le sue insidie!
Accidentaccio a Monte Fato e alle sue maledette pendici!
Legolas sperava ardentemente di arrivare in un posto sicuro il prima possibile, continuare per una strada che non franasse a ogni passo, trovare il fiore e an -darsene in fretta.
Da quando aveva iniziato la scalata non c'erano stati altro che guai: prima l'aria quasi irrespirabile, densa di zolfo e di ceneri, poi le rocce traditrici.
"Bella scampagnata!" pensò con una punta di sarcasmo.
Si spostò leggermente verso destra, verso uno sperone che non sembrava così fragile come gli altri: gli pareva di essere quasi un ragno, mentre lentamente spostava il corpo da una parte all'altra.
Erano passati due giorni da quando era giunto a Mordor, e del fiore che cercava neanche l'ombra; le poche, fuggevoli volte che aveva avuto Lilian al suo fianco non aveva scoperto nulla che potesse aiutarlo.
Si era domandato più volte se quel fiore esistesse davvero o se fosse tutto solo uno stratagemma per metterlo alla prova: ma si era anche subito rimproverato di aver pensato una cosa del genere.
Lilian non aveva motivo per mettergli la vita a repentaglio.
Si issò sulla piccola sporgenza, sperando che non cedesse proprio in quel mo -mento; la roccia resistette bene al suo peso, e Legolas fu libero di salire ancora e ancora.
Monte Fato non finiva mai: i suoi cupi brontolii riempivano l'aria quasi a renderlo un enorme gigante in attesa di colpire. Pronto a iniziare la sua caccia.
Era strano, però: era la prima volta, da quando Legolas percorreva Mordor, che la montagna si faceva sentire.
Sbuffi e sibili incolleriti accompagnavano da un po' il lento ma inesorabile tramutarsi del monte: l'elfo non sapeva se bene o in male.
Il fuoco, che ogni tanto faceva capolino dalle profonde gole, sembrava volesse dargli da pensare al peggio.
Legolas si aggrappò saldamente a due rocce poco promettenti, scoprendo che invece erano abbastanza solide: pensava a Lilian, a quanto avrebbe sopportato pur di riaverla.
Era da tempo che non si faceva più viva. In un certo senso.
Uno strano colpo di vento più forte del solito distolse l'elfo dai suoi pensieri, schiacciandolo contro la parete rocciosa: Legolas si voltò di scatto, preoccupato, e quando vide quello che vide, i suoi dubbi si trasformarono in paura.
Dietro di lui, all'orizzonte, una strana luce bianca si diffondeva a vista d'occhio:  non era molto abbagliante, assomigliava più che altro a una nuvola, cionono -stante Legolas non si sentiva sicuro.
Non poteva essere solo una nuvola: troppo minacciosa, per i suoi gusti.
Si affrettò a salire ancora di qualche metro, sperando di trovare un rifugio, qual -cosa che gli permettesse di sfuggire al pericolo.
Gli pareva di essere osservato da lontano. O stava solo delirando?
Chi mai poteva vivere in un posto orrido come Mordor?
La montagna brontolò sotto i suoi piedi, con fare sinistro; Legolas cercò di affret -tare ancora di più il passo.
Ebbe come la sensazione che la strana nuvola bianca si stesse muovendo dietro di lui...troppo velocemente. E soprattutto...era convinto che si stesse muovendo proprio verso di lui.
Monte Fato tremò ancora e rigurgitò fuoco dalla sua bocca: una nube di cenere avvolse il cielo sopra il cratere.
Legolas sentì ad un tratto il bisogno di voltarsi, ma che avrebbe visto, se l'aves -se fatto?
Non osava pensarlo: girò la testa meccanicamente, appena in tempo per vedere un fulmine abbattersi su di lui con la forza di un drago.
 
Poi, per molti minuti, fu il buio totale.
Legolas non capiva che stesse accadendo: un vortice lo sbatteva senza tregua sulle rocce di Monte Fato, per portarlo chissà dove.
Si ricordò della nuvola: non aveva dubbi, quello che aveva visto con i propri oc -chi non era una semplice nube.
Era qualcosa di più, anche se non riusciva a immaginare che cosa.
Il lampo. Sì, forse era quello. Ma ora, incatenato com'era nel corpo e nella mente da quella confusione, non era in grado di connettere bene le idee: solo pensieri fuggevoli quanto l'anima di Lilian.
Una forza scatenata al massimo lo faceva letteralmente volare per aria, in alto, in alto, sempre più in alto, lo faceva quasi strisciare sulla dura parete rocciosa senza dargli neanche il tempo per aggrapparsi a un appiglio.
Il fracasso delle pietre che rotolavano e vorticavano intorno a lui rischiava di farlo impazzire: per un attimo, Legolas credette che fosse giunta la fine.
Poi, proprio quando era convinto di essere morto, il tutto cessò: il lampo bianco sparì, e l'elfo smise di volteggiare per aria.
Cadde pesantemente a terra, rimanendo comunque cosciente della situazione: anche se con la vista un po' annebbiata, distinse contorni vaghi di massi che precipitavano giù.
Uno di essi era sul punto di schiacciarlo: Legolas fece uno scatto verso destra, e udì lo schianto dell'enorme sasso che gli si abbatteva proprio accanto.
Tirò un sospiro di sollievo, e si raggomitolò velocemente contro di esso, in una piccola nicchia: era diventato l'unico rifugio contro quella pioggia assassina.
Lì, ben riparato da tutto, Legolas riprese un po' i sensi: gli dolevano tutte le ossa, la testa, perfino gli occhi, che stentava a tenere aperti.
Era debole, terribilmente debole di fronte alla realtà ai limiti dell'impossibile; si appoggiò al masso, ignorando le fitte di dolore alla schiena, e aspettò che la pioggia di pietre cessasse del tutto.
Le rocce continuarono a cadere ancora per qualche minuto, spaccandosi a terra in mille pezzi o rotolando giù per i pendii della montagna: il fracasso che prima aveva regnato sovrano si trasformò pian piano in un minaccioso silenzio.
Legolas attese ancora, finchè non fu sicuro della situazione; poi strisciò fuori dal suo rifugio, troppo sfiancato anche per reggersi in piedi.
Qualcosa lo tirò per il collo, costringendolo a fermarsi: il mantello era rimasto incastrato sotto il masso che l'aveva protetto, e che ora si presentava più ostile che mai.
L'elfo strattonò bruscamente, con le poche forze che gli rimanevano, e il mantello si liberò dalla presa di ferro, stracciandosi e mandando Legolas a terra.
L'aria era ritornata pesante, densa di cenere e morte: si faticava anche solo a respirare.
L'elfo alzò gli occhi annebbiati sulla piana che si perdeva davanti a lui, immersa in una densa nuvola grigia: si chiese dove fosse finito, e se fosse finito.
Un debole luccichìo poco lontano gli rispose, confuso nella nebbia: Legolas aguzzò la vista, cercando di metterlo a fuoco.
Tra le volute perlacee balenò ancora qualcosa, ma solo per qualche secondo.
L'elfo avanzò carponi, sempre più stanco e sempre più incuriosito: aveva la fronte madida di sudore, ma non si arrese.
Scorse ancora quello scintillìo in mezzo alla nebbia: una losca forma emerse pian piano davanti ai suoi occhi.
Legolas si avvicinò ancora e scoprì che si trattava di una cosa assolutamente innocua: era solo un piccolo fiore rosso, baluginante tra i vapori densi del Monte Fato, un po' piegato da parte, ma vivo. Un piccolo miracolo della natura.
L'elfo si trascinò vicino alla pianticella, allungò una mano esausta e graffiata, lo accarezzò e infine lo colse: non aveva spine. Era rosso come l'amore quasi folle che lui provava per Lilian. Allora...forse...
Svenne prima di poter completare il pensiero.
 
E fu la luce, una luce bianca e accecante.
Legolas si ritrovò stranamente in piedi, in mezzo a un prato: non era più a Mordor. Non capiva.
Si guardò un po' attorno, disorientato, senza sapere che fare: il fiore rosso che ricordava di avere strappato alla dura terra di Monte Fato non c'era più, nè nella sua mano, nè da nessun'altra parte.
Non era più stanco. Non era più graffiato. Non aveva nemmeno più addosso i suoi abiti laceri dalle tante avventure: era vestito di bianco, e aveva l'impressio -ne di essere quasi evanescente.
Ancora non capiva dove fosse.
Intravide qualcosa in mezzo ai cespugli davanti a sè, e immediatamente si slan -ciò da quella parte: sembrava che in quella calma apparente tutto si muovesse come nei sogni.
Ma non sembrava un sogno.
L'elfo si fece strada tra i cespugli, seguendo un tortuoso sentiero che pareva scomparire a ogni curva: quando sbucò finalmente fuori dai rami grinzosi delle piante, si ritrovò davanti, a pochi metri, un burrone.
Una figura bianca osservava qualcosa oltre lo strapiombo: poteva vedere i lunghi capelli scuri accarezzati dal vento.
Si avvicinò furtivamente, mosso da uno strano desiderio; quando le fu abbastanza vicino, la figura si voltò e lo guardò.
 - Benvenuto, Legolas... - la voce calda di Lilian lo sorprese ancor prima che potesse vedere il viso della ragazza.
 - Dove siamo? Non capisco...ero a Mordor un attimo fa... -
 - E ci sei ancora.. - disse lei indicandogli il burrone.
L'elfo guardò, e quello che vide lo confuse di più: oltre lo strapiombo la terra ritornava a essere quella di Monte Fato, con la nebbia grigiastra e tutto il resto.
C'era lui steso fra le rocce frantumate, il fiore abbandonato nella sua mano: pareva dormire.
(sono morto..)
Legolas si voltò verso Lilian, sconcertato:
 - Qui siamo dove vivo io, come anima.. - spiegò lei.
Istintivamente, l'elfo si portò le mani al viso: ora capiva, purtroppo.
 - Ho fallito.. - sussurrò disperato - ho fallito miseramente, proprio a un passo dal mio obiettivo. Non valgo nulla. Ho tradito te, Aragorn, Gimli, persino me stesso. Mi odio.. -
Lei lo osservò senza ribattere, ma le labbra le s'incurvarono in un sorriso furbo:
 - Non ci credo.. - continuò Legolas - Sono morto poco prima di compiere la mia missione; e con me è morta ogni speranza per la tua anima! -
 - Ti sbagli. - Lilian gli tolse le mani dal viso, e lo girò verso di sè.
 - ....perchè? - chiese lui, ancora più confuso.
 - Perchè tu non sei morto... - e lo baciò sulle labbra prima che potesse rispondere.
 
Si svegliò lentamente, e la prima cosa che lo colpì fu l'odore pungente di cenere e di morte: indescrivibile.
Era di nuovo a Mordor, sulle pendici di Monte Fato: il sole stava tramontando, a ovest. Aveva dormito tutto il giorno.
Legolas si tirò su, avvertendo lo schiocco delle sue povere ossa, costrette a trovare riposo su un nudo letto di terra: si accorse che stringeva ancora il fiore rosso nella mano.
Anche se non più tanto stanco, era di nuovo graffiato: fu contento d'esserlo, per la prima volta. Finchè sentiva quel flebile dolore, significava che era vivo.
Si alzò in piedi, si sistemò le armi sulla schiena e, un po' barcollante, riprese la via del ritorno; mise il fiore purpureo in una tasca sotto la sua veste, al sicuro.
Per un attimo aveva creduto che fosse finita, ma ora si rendeva conto che era rimasta ancora una minima speranza.
Bastava tornare a Minas Tirith ed era fatta. Aveva vinto.
Scese lentamente dalle pendici di Monte Fato, che continuava a sputacchiare fuoco, giungendo presto alle desolate pianure che lo separavano dai confini di Mordor: si concesse solo poche soste, mentre le ripercorreva, non aveva tempo da perdere, lui.
Si accorse presto di avere perso qualcos'altro: la direzione giusta.
Al buio non capiva bene dove si trovasse, nè se ci fosse una via migliore delle al -tre per attraversare quelle terre devastate.
Legolas si guardò attorno, disorientato: le forme confuse della notte gli parevano tutte uguali, tutte maledettamente ostili.
Continuò ancora per un tratto, cercando di pensare a un valido piano per uscire da quel labirinto di morte: aveva freddo e fame, ma non poteva concedersi di fermarsi, non ancora.
Un lampo squarciò la notte poco lontano, illuminando il paesaggio nero di Mor -dor: grazie a quello, l'elfo vide per la prima volta qualcosa che non fosse monta -gna o masso.
Vide una torre che si stagliava austera contro il cielo, senza lumi, abbandonata da tutto: aveva un aspetto quasi raccapricciante.
Legolas non si sarebbe avvicinato per nulla al mondo, ma doveva ammettere a se stesso una terribile verità: si era perso, e quella torre, per quanto poco in -vitante fosse, rappresentava una valida via di salvezza.
Se non al suo problema, alla notte e al cielo sempre più minaccioso.
Forse da là avrebbe avuto la possibilità di vedere Minas Tirith, e di conseguenza capire quanto gli mancasse per arrivarci; senza contare che la torre era anche un buon rifugio.
A malincuore, Legolas si decise ad avanzare nella direzione del pinnacolo, men -tre sentiva scoppiare i tuoni e le nuvole rovesciarsi su di lui sotto forma di piog -gia. Con passi spediti, arrivò alla torre giusto prima dell'alba e vi entrò, strizzan -dosi i capelli e i vestiti ormai zuppi.
Allungò una mano nella tasca interna della sua veste e avvertì la morbidezza dei petali del suo fiore rosso sotto le dita: gli infuse un po' di coraggio mentre il suo sguardo vagava nell'enorme stanza vuota.
Sedie rotte e tende strappate testimoniarono che lì dentro era successo di tutto; macchie rossastre, in ogni dove.
Legolas si assicurò di avere le sue due spade a portata di mano: non voleva ri -schiare di trovarsi faccia a faccia con il nemico senza essere pronto.
Aveva perduto quasi tutte le frecce quando il lampo bianco l'aveva colpito, a Monte Fato, ma poteva ancora difendersi bene, con le lame e....
Già, anche con le asce di Gimli: con tutto quello che aveva passato se ne era completamente scordato, ma il loro peso ritornò a essere reale, in quel momen -to.
L'elfo avanzò cautamente nella stanza e si guardò attorno: niente corpi in giro, nè di orchi, nè di umani.
La stanza era vuota, e anche quella accanto: Legolas sbirciò dentro quest'ultima, ma anche lì niente, solo un antico piedistallo di pietra.
D'un tratto, da sopra giunsero dei rumori chiari, distinti, che gli fecero balzare il cuore in gola: sguainò le spade, girandosi di scatto, pensando di trovare qual -cuno dietro di lui, pronto ad ucciderlo.
Nella stanza di prima non c'era nessuno; i rumori ormai si perdevano in una lu -gubre eco nel silenzio soprannaturale della torre.
Legolas notò una scala, mezza nascosta dai drappi: si avvicinò, e lanciò uno sguardo inquieto verso l'alto: i vecchi gradini di legno andavano in alto, sempre più in alto, a chiocciola.
Non del tutto sicuro, l'elfo salì i primi due: scricchiolarono sinistramente sotto i suoi piedi stanchi.
Gli parve di udire ancora un rumore, più in alto, ma quasi impercettibile, stavolta: se davvero era rimasto qualcuno, doveva essere lassù.
Strinse forte al suo cuore il medaglione a forma di stella che era appartenuto a Lilian, poi prese a salire la scala, tentando di fare meno chiasso possibile, le armi strette in pugno, guardando in alto, di tanto in tanto: non avrebbe trovato un amico, lo sapeva bene.
 
Il vecchio si abbandona su una sedia e pensa: ce l'ha fatta.
Può controllare la Cosa: ce l'ha lì, in mano, fedele compagna, e la accarezza mentre si dondola un poco.
Lascia vagare la mente: nessuno potrà resistergli, nemmeno un esercito, ora.
Nessuno lo saprà mai: quando deciderà di attaccare, in un secondo tutto sarà spazzato via, città, viveri e vite. In un secondo.
Lui, il vecchio, sarà il padrone: potrà riprendersi il potere. Potere. POTERE.
Il suo vecchio e amatissimo potere.
Ricostruirà il mondo con l'aiuto della Cosa: tutto tornerà come prima, solo non ci saranno più ne -mici da sconfiggere.
Potrà riposarsi in pace, mentre qualcun'altro gli porterà da mangiare, terrà la casa accogliente e lo aiuterà nel lavoro: un vero paradiso.
Il vecchio non vede l'ora che accada: deve pazientare ancora un po', poi tutto sarà suo. Suo sol -tanto. E della Cosa. Naturalmente.
Il vecchio sogghigna, avverte un piccolo formicolìo di piacere nel pensare questo.
Presto tutto sarà nelle sue mani.
Ride, non preoccupandosi di nulla: si dondola ancora di più sulla sedia, in preda al suo riso quasi isterico.
Poi, avverte qualcosa: un rumore, giù, in basso, nel buio.
Il vecchio balza dalla sedia, il cuore che batte sordo nella sua testa: stringe la Cosa e il bastone, ha paura.
Chi è mai? Chi c'è laggiù? Chi è venuto a trovarlo? Chi è venuto a fermarlo?
Si affaccia alla tromba delle scale e guarda: un'ombra si muove.
Com'è possibile? Non c'è nessuno nella torre. Cos'è questa storia?
La Cosa prende a brillare di una violenta luce verde.
Viene.Sussurra piano.
Ci vuole fermare.
Il vecchio si ritrae immediatamente dai gradini e fissa la Cosa.
Noi fermiamo lui.
Già, fermiamolo, pensa il vecchio: nessuno può mettergli i bastoni fra le ruote, non ora, non ora: che venga pure, il pazzo.
Tanto lui, il vecchio, ha il potere. Potere. POTERE. Nessuno, nessuno può resistere al suo potere.
Se non ci crede, ora lo vedrà. Lo proverà sulla sua pelle, il pazzo che osa sfidarlo.
Ecco, il vecchio sente il nuovo arrivato che sale le scale: si allontana ancora un po' dagli ultimi gradini e aspetta come un ragno che attende pazientemente la sua preda.
Tiene ben alta la Cosa: ora basta, ha deciso di usarla fino in fondo. Sarà la prova che è lui il più forte. Se gli altri si accorgeranno del suo chiasso, bene.
Che vengano pure: lui è pronto.
Manca poco: il visitatore è ormai arrivato agli ultimi scalini: il vecchio li sente gemere come fra poco gemerà quell'intruso.
Ha fatto male a osare così tanto; avrà una lezione, quel pazzo.
Perchè lui, il vecchio, ora ha solo una missione: uccidere.
 
Legolas non immaginava per niente quel che avrebbe trovato in cima alla torre: nemmeno la sua più sfrenata fantasia avrebbe potuto avvertirlo del pericolo.
Nemmeno Lilian.
Salì gli ultimi gradini con il cuore che gli martellava nel petto: la stanza dov'era sbucato era vuota anch'essa.
I primi raggi obliqui dell'alba trapassavano le sottili tende, donando al luogo un aspetto ancora più spettrale: ma non c'erano spettri. Proprio nessuno.
Legolas non l'avrebbe mai creduto: era convinto di aver sentito dei rumori pro -venire da quella stanza.
Si scostò dalle scale con la stessa circospezione di un gatto: non sapeva perchè, ma gli parve di allontanarsi da qualcosa di molto importante.
Le assi scricchiolarono debolmente sotto i suoi piedi; Legolas sentiva il proprio respiro morire in gola, mentre osservava attento i dintorni.
Aveva la strana sensazione di essere spiato: avvertiva una presenza, da qualche parte, in un qualche angolo, in una qualche tenebra.
L'aria era pesante in quella stanza, troppo.
Non poteva essere solo una sensazione...
Improvvisamente, Legolas si voltò di scatto, e si ritrovò davanti a un'ombra: e -norme, luccicante, ma non sembrava benevola quanto l'anima di Lilian. Non po -teva essere lei.
Era uno spettro, uno spettro bianco, scavato, vecchio. Tanto vecchio. Millenario, forse.
La losca figura si fece avanti; Legolas indietreggiò, guardingo: non sarebbe scap -pato, mai.
Un debole raggio di luce colpì in pieno lo sconosciuto, rivelando qualcosa che l'el -fo non si aspettava: la veste bianca. Quella veste bianca. Il bastone. Gli occhi, quegli occhi!
 - Saruman.. - si lasciò sfuggire Legolas, lottando contro il panico.
 - Già, maledetto elfo, io... - gli occhi assetati di sangue dello stregone si posarono maligni e penetranti sul loro avversario.
Si avvicinò ancora, ma questa volta Legolas rimase dov'era, paralizzato, le spe -ranze che fino ad allora l'avevano tenuto in vita spente come fuochi in una bur -rasca.
 - Non m'importa del perchè sei qui, m'importa solo del fatto che sei qui: di fron -te a te, il grande Saruman. Che credevi? - ringhiò roco lo stregone - Credevi forse che sareste riusciti a tenermi rinchiuso a Isengard? Povero illuso! Sono qui, e so -no molto più potente di prima... -
Alzò la Cosa, fino ad allora accuratamente nascosta nelle pieghe del suo mantel -lo: riluceva, verdognola, morta, tra le sue mani, ma pian piano il vero pericolo chiuso al suo interno si mosse.
A Legolas non piaceva per niente.
 - Questa, la vedi? Questa sarà la tua rovina... - Saruman prese ad avanzare, de -ciso, e l'elfo si allontanò - Già una volta hai ostacolato i miei piani, maledetto, ma ora non più! Non mi farò imbrogliare una seconda volta dal tuo aspetto! Se non fosse stato per te, e per quell'altro tuo eguale, al monte Caradhras, Gandalf e il portatore dell'Anello Supremo sarebbero morti! E invece... -
Alzò la Cosa, che splendette terribile tra le sue dita nodose:
 - Non potrai fermarmi una seconda volta, elfo! Questa volta sarò io a fermare te... - la sua voce risuonò come un sibilo.
Legolas si allontanò ancora, gli occhi fissi sulla Cosa, quella maledetta Cosa che sembrava minacciarlo peggio dell'esercito di Mordor: non sembrava pericolosa a vista d'occhio, era solamente un semplice reliquiario, in fondo.
Ma dentro...dentro di essa...che c'era?
 - Vieni a me, o potente! - invocò Saruman - Vieni al mio cospetto! -
Dalla Cosa scaturì una luce verde, accecante, e Legolas fu costretto a ripararsi gli occhi, mentre un vento gelido gli sferzava le gote; si accorse che anche il medaglione di Lilian brillava, appeso al suo collo.
Saruman rideva malefico, ma questa volta, a fargli eco era un altro suono, un boato, un ringhio, era difficile dirlo: pian piano, mentre l'improvvisa luce verde andava sfumandosi, quel rumore strano fu sempre più chiaro.
Legolas aprì gli occhi, ma sulle prime non credette a quello che vide: alle spalle di Saruman, troneggiava un enorme drago, scuro, quasi un altro spettro. Solo guardando meglio l'elfo potè notare che non era materiale, ma fatto di cenere: ringhiava, eccome se ringhiava, e teneva i suoi occhi rossi di fiamme e di sangue fissi su di lui.
 - Vai, ora! - incalzò Saruman - Distruggi quell'elfo! - e fece un gesto con la mano per ordinare l'attacco.
Il drago si mosse all'istante, passò attraverso lo stregone senza fargli alcun male e si gettò su Legolas con un altro boato: l'elfo si spostò da una parte, evitando il nemico.
Sentì chiaramente lo stridore delle rocce quando la creatura fatta di cenere si avventò sul muro della torre, vide che sembrava prendere una forma più concre -ta: lesto, lanciò una delle due spade nella direzione del drago, sperando almeno di ferirlo.
Esso se ne accorse in tempo, e riprese la sua forma di spettro: la lama gli passò attraverso e andò a impigliarsi in un drappo all'altro capo della stanza.
 - Stolto, pensavi che fosse così facile? - gracchiò Saruman - Non puoi batterci! -
e con il suo bastone indirizzò di nuovo il drago su Legolas, ma questa volta l'elfo non fu abbastanza veloce.
Venne colpito e atterrato dalle potenti zampe della creatura: ora era imprigiona -to in una morsa letale, l'ultima spada che gli era rimasta strisciò sul pavimento e si allontanò. Ora erano solo lui e il nemico.
Stretto in un angolo, Legolas pensava: non poteva andare avanti così, sarebbe morto in pochi secondi. Il drago non poteva essere colpito facilmente, perchè poteva essere vero e essere spettro a suo piacimento.
Era controllato da Saruman, al sicuro, all'altro capo della stanza. Controllato....   A lungo questa parola risuonò nella mente di Legolas, e gli fece venire in mente un'idea un po' folle: se arrivava allo stregone, se avesse colpito lo stregone, se l'avesse ucciso...forse...il drago sarebbe scomparso, privato del suo padrone.
Il punto era avvicinarsi: alquanto impossibile, vero, ma doveva provare... o sa -rebbe di certo spazzato via in quattro e quattr'otto.
Il drago sbuffò, impaziente:
 - E ora vai, o potente! - gridò Saruman dal suo angolo - DISTRUGGILO! - e mos -se in avanti il bastone.
La creatura fatta di cenere ridiventò reale per un attimo, giusto il tempo per slanciarsi come una furia: Legolas riuscì a evitarlo solo in parte, e fu sballottato violentemente contro la parete, che si ruppe.
Il drago tornò cenere e si librò in aria; l'elfo si aggrappò per pura fortuna a uno sperone della torre e lì rimase: almeno duecento metri lo separavano dalle terre di Mordor.
Avvertiva un dolore tremendo al braccio sinistro: l'unica cosa reale in tutto quello che sembrava pura fantasia.
Il drago tornò alla carica, sferzando l'aria con le sue grandi ali: ringhiò in direzio -ne dell'elfo, appeso alla sporgenza e senza alcuna via di scampo.
Sbuffò, mosse le ali e andò alla carica, mentre Saruman, da dentro la torre già gridava vittoria.
Legolas, tuttavia, aveva la sua ultima carta da giocare: se solo la fortuna l'aves -se aiutato, ancora una volta...
Aspettò che il drago fosse abbastanza vicino, e quando fu ora, si abbandonò alla sorte: e scivolò giù, giù sempre più giù, lontano dallo sperone che l'aveva salvato, lontano dalla furia del drago, lontano dal potere di Saruman, lontano dalla pioggia di sassi causata dall'attacco della sua creatura.
Appena potè, afferrò un drappo che penzolava scosso dal vento e con quello riuscì a frenare un po' la sua caduta: il telo si strappò, ma gli permise comunque  di atterrare sano e salvo su un cornicione poco più in basso.
Legolas trasse un sospiro di sollievo: era fatta.
Il drago, sopra di lui, ruggiva, confuso e iracondo, cercando la propria preda che non avrebbe trovato.
L'elfo si mosse lentamente e con circospezione lungo il cornicione, sperando che non si sgretolasse, che non lo tradisse: alla prima finestra, saltò dentro alla torre, e lì rimase, al buio rischiarato solamente dai primi raggi dell'alba, a riprendere fiato.
 
Per un attimo fu indeciso se scappare o meno: poteva facilmente farlo, passare inosservato, fuggire dalla torre, superare il valico di Cirith Ungol e sparire.
Ma qualcosa continuava a ripetergli di non andare via, di restare e combattere, finirla una volta per tutte.
Il ciondolo di Lilian prese a brillare debolmente, poi sempre più forte; Legolas se lo strinse al cuore e si sentì infondere una nuova forza: poteva andarsene, ma ad un tratto si accorse che non voleva.
Saruman. L'unica cosa che ora gli importava: Saruman. Quel maledetto.....l'a -vrebbe punito per tutto il male che aveva fatto.
Quasi correndo, l'elfo prese a salire di nuovo le scale che conducevano ai piani superiori, ansioso di finirla per sempre: si fermò d'impulso solo in cima, protetto dalle tenebre.
Vide Saruman che si muoveva sgomento da una finestra all'altra, in preda al panico: cercava lui, Legolas.
Lo stragone gli voltò le spalle.
(ora)
Avanzò furtivo verso un angolo della stanza, dove una delle sue due spade, dimenticata al proprio destino, brillava alle prime luci del giorno; niente draghi in giro. Strano. Troppo strano.
L'elfo fece per prendere la spada: ormai le sue dita erano così vicine, Saruman così a portata di braccio...
 - Ancora tu, maledetto elfo! - Legolas si voltò di scatto, inchiodandosi al suo posto nel sentire quella voce d'un tratto possente.
Lo stregone lo fissava con i suoi terribili occhi scuri:
 - Tu... - sibilò, rabbioso - hai osato sfidarmi! Tu, un elfo...non te lo perdonerò mai...mai! -
Legolas cercò di afferrare la spada, a pochi centimetri da lui, ma qualcuno fu più lesto: dal nulla comparve di nuovo il drago di cenere, che lo colpì in pieno, ruggendo con tutta la voce che aveva in corpo.
Lo trascinò fino all'altro capo della stanza, dove Saruman lo fermò a un palmo dalla parete, memore di pochi minuti prima: lo stregone si avvicinò un poco, giu -sto per vedere e gustarsi la sofferenza di Legolas, imprigionato sotto al drago, che troneggiava sbuffante sopra il suo corpo inerme.
L'elfo si riprese un poco: qualcosa gli pungeva la schiena, arrecandogli ancora dolore. Mentre Saruman farfugliava parole di gloria, Legolas portò istintivamente una mano dietro il collo e tolse l'oggetto fastidioso: si accorse, in quel momento, che era un ascia, e non una semplice ascia, ma un'ascia da lancio.
(Gimli!)
Si era completamente dimenticato di lui e del suo dono: stupido, pensò, prima mi sarebbe stato utile.
Si rimproverò aspramente per non essersene ricordato, ma presto avrebbe avuto una punizione esemplare.
Ora Saruman ride per un motivo. Il drago ringhia ansioso di porre fine a quella battaglia. E lui, Legolas, aspetta la fine.
Sente lo stregone dare un ultimo comando alla sua creatura e rimettersi a ride -re; il mostro di cenere incombe, spalanca la bocca e si avventa sulla sua preda.
Legolas fa appena in tempo a lanciare quell'ultima ascia contro il nemico, ben sapendo che non varrà a nulla: infatti, l'arma passa come niente attraverso il corpo del drago.
L'elfo si copre il viso con il braccio ferito: per lui è la fine.
 
Aragorn si svegliò di soprassalto a tutto quel baccano: scese dal letto, si vestì, e si fiondò fuori dalla stanza, travolgendo chiunque ebbe la sfortuna di essere sul suo cammino.
Uscì fuori, sorpassò l'albero bianco in mezzo al cortile e si affacciò oltre le mura: direzione, Mordor. Un baccano d'inferno.
Colpi tonanti e ripetuti provenienti dal valico di Cirith Ungol, la terra nera che tremava a ogni sussulto: ad Aragorn questo non piacque per niente.
Monte Fato rigurgitava fiamme, inondando le nuvole del colore del fuoco; strane luci bianche e accecanti brillavano poco più in là, verso il valico.
Aragorn non capiva che stesse accadendo: l'Anello era stato distrutto, no? E allora, ora che altro c'era?
 - Non mi piace.. - sussurrò la voce di Gandalf, alle spalle dell'uomo.
Quest'ultimo si girò, ma presto tornò a guardare verso Mordor:
 - Neanche a me... - rispose - e non capisco perchè ci sia tutto questo fracasso, perchè Monte Fato non si spegne per sempre: questo mi preoccupa... -
 - L'Anello è andato distrutto, vero? -
 - Frodo e Sam ce l'hanno confermato. E' proprio per questo che non capisco. -
Gandalf si avvicinò di più al bordo delle mura e guardò verso Cirith Ungol:
 - Quelle lame bianche...mi sembrano familiari.. - mormorò quasi a se stesso.
 - Il bianco mi fa pensare solo a Saruman...ma è rinchiuso a Isengard... - poi, un dubbio colse Aragorn quando meno se l'aspettava - E' a Isengard... - ripetè un po' più insicuro -....vero, Gandalf? -
 - Spero di sì....ma anche se non lo fosse, dubito che avrebbe tutto questo potere..è troppo debole.. -
Si voltò verso Aragorn, e lesse sul suo viso il più totale sconforto:
 - Non credo sia pericoloso per Minas Tirith, tranquillizzati.. - lo rassicurò posan -dogli una mano sul braccio -..o forse sì: ma ti consiglio di non inviare esploratori o cercatori, finchè tutto non sarà ces -sato.. -
Cercare? Quella parola ricordò ad Aragorn qualcosa di molto importante:
 - LEGOLAS! - gridò mettendosi le mani nei capelli, disperato - LEGOLAS è LAGGIU'! - e si slanciò verso il portone, aprendolo con una spinta potente e spa -rendo all'interno della reggia, inutilmente rincorso da Gandalf, che continuava a ripetergli di non andare.
Aragorn non ascoltò l’avvertimento: sarebbe andato a Cirith Ungol, da solo se neces -sario, a prendere Legolas.
Il suo cuore gli diceva che l'avrebbe trovato lì, ma non osò pensare al come.
 
  
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