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Autore: Tharon    19/07/2011    1 recensioni
(469 d.C)
Tavor, giovane ragazzo, vive con la sorella Tania, in un piccolo villaggio celtico tra le montagne della Valle d'Aosta. Per molte lune, con il viso fisso verso il cielo notturno, cercò di comprendere quale fosse la propria strada, una strada che gli avesse permesso di slanciarsi verso il futuro con un occhio sempre fisso verso il passato, verso la proprio tradizione, verso la propria origine; ma più cercava di capire, meno riusciva a raggiungere la propria meta. Anche grazie all'aiuto del pantheon di divinità celtiche, Tavor riuscirà a prendere la strada giusta e dopo numerose avventure e numerose battaglie combattute contro l'esercito di Teodorico, re degli Ostrogoti, il ragazzo meditando nel bosco di Faur, il bosco degli dei, capirà ciò per cui è veramente fatto.
Sono davvero gradite anche piccole recensioni :) potete inserire critiche, consigli e qualunque cosa pensiate dei capitoli. Possono essere un valido aiuto per la mia scrittura. grazie mille :)
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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Alivernia, 469 d.C. In questo piccolo villaggio della Valle d'Aosta, ai piedi dell'alto monte Rutor comincia la nostra storia. Tavor, orfano, vive con la sorella Tania in una piccola casetta ai piedi dei monti, immersa in un fitto bosco. (Prego i lettori di piccoli commenti, dubbi, domande e consigli per questo e per i capitoli successivi).

« Tavor! Tavor! » gridò Tania dal piano inferiore della casa con tutta la propria voce « corri fuori a controllare il fuoco! ».

Tavor si svegliò di soprassalto, ancora confuso. La voce della sorella, dapprima flebile, era diventata sempre più insistente dentro la sua testa, proprio come accadeva durante le feste del villaggio: le orchestre di tamburi, muovendosi per le strette stradine, creavano fantastici giochi musicali. Dapprima il loro suono appariva lontano e appena percettibile, ma nell'istante successivo, superata una casa o un recinto, il suono si ergeva con tutta la sua forza.

Il ragazzo, dopo avere abbracciato il proprio cuscino come raccogliendo a se tutta la morbidezza e la sensazione di pace che il suo semplice letto poteva offrirgli, decise di abbandonare il nido che per tutta la notte gli aveva garantito rifugio e protezione.

Alzò gli occhi con fatica e, intontito, diede un rapido sguardo alla stanza. Era completamente costruita in legno, come peraltro il resto dell'umile casa. In realtà non era pesantemente ammobiliata: un letto di paglia, un piccolo tavolo e una sedia erano gli unici arredi che la povertà familiare poteva offrire. E nonostante tutto pochissimi ragazzi nel villaggio disponevano di una propria camera; spesso le famiglie più povere erano costrette a dormire nello stesso stanzone, nella cui parte centrale era disposto un enorme cumulo di paglia, che fungeva da giaciglio. Questo aveva garantito al ragazzo molto rispetto da parte degli amici che, dal basso della loro condizione, vedevano il privilegio di Tavor con invidia, e probabilmente, durante le notti passate ammucchiati sopra un giaciglio accanto ai genitori e ai fratelli e sorelle, fantasticavano all'idea di poter avere una stanza propria. Ma l'aspetto più affascinante della stanza del ragazzo era la presenza di una piccola finestra coperta da una tendina bianca ricamata con orli di pizzo. Seppure molto piccola, la finestra garantiva una spettacolare vista dell'intera vallata dove i due fratelli vivevano; si potevano ammirare in lontananza le possenti montagne ricoperte di verdi e folti boschi, i fiumiciattoli che, con fatica, scendevano a valle scrosciando sui massi, e la grande luna che creava nella piana centrale stupendi giochi di luci e di ombre. E la prima cosa che fece appena sveglio fu proprio guardare la piccola finestrella. In effetti non aveva alcuna idea di che ora potesse mai essere ma gettando una rapida occhiata attraverso la tendina bianca, notò che non entrava luce, sicuramente ancora rintanata dietro alle alte montagne dell’orizzonte.

“Probabilmente è quasi l’alba…” pensò, mentre le sue membra intorpidite si riabituavano alla veglia. Gli occhi faticavano a vedere nella penombra, ma riuscì a scendere dal sacco riempito di paglia senza problemi; le gambe non avevano ancora abbandonato quel dolore che solitamente si avverte la mattina dopo una nottata insonne. A causa del torpore che gli limitava i movimenti, si diresse quasi zoppicando verso la sedia di fianco all’unico tavolo della stanza. Sopra la sedia intagliata in un tronco d’abete con dei bellissimi motivi floreali celtici, erano appoggiati dei semplici vestiti, quelli che Tavor indossava tutti i giorni: una casacca di canapa, delle braghe di cuoio ricavate dalla pelle di un vitello, una giubba lesa sui gomiti e un paio di sandaletti che aveva trovato parecchi anni prima di fronte al grande portone della sala comune del villaggio. Erano ancora freddi a causa del gelo della notte e indossandoli sentì un brivido che percorse per il lungo tutta la schiena partendo dalle gambe e arrivando al collo; brivido che gli rammentò con quanta tristezza stava dicendo addio al caldo letto per il resto della giornata.

Respirando Tavor emetteva un denso fumo bianco, simile a quello che il fuoco emana poco prima di spegnersi la sera nel caminetto, segno che il grande freddo che seguitava oramai da mesi non era ancora terminato, e che la stagione calda era ancora un lontano ricordo. Si sentiva il naso completamente ghiacciato, e per avvertire una lieve parvenza di calore si pose entrambe le mani sulla bocca e alitò con tutta la forza di cui disponeva. Si sedette sulla sedia, prese i propri calzari e li infilò. Sentiva i sandali un po' troppo stretti sulle punte ma subito si convinse che si sarebbe dovuto accontentare; dopotutto lui e la sorella non disponevano di abbastanza soldi per comprarne di nuovi. Ma quei sandali erano troppo piccoli e logori e il ragazzo cercava di allontanare in tutti i modi l'idea che prima o poi sarebbe stato costretto ad andare in giro a piedi nudi nonostante le frequenti tempeste di neve. A tastoni, nella penombra, si diresse verso la porta e con una certa lentezza scese le scale buie, rischiando più volte di scivolare e cercando un maggiore equilibrio appoggiandosi al muro. Allungò lentamente e con gesto insicuro la mano e sfiorò la porta in fondo alla scalinata, la fece scorrere lentamente verso sinistra e spinse debolmente. Dalla piccola fessura creatasi entrò un fascio di luce accecante che tagliava l’oscurità, proprio come i raggi del sole riescono ad aprirsi degli stretti passaggi attraverso le nubi subito dopo un temporale. La luce che entrò dalla porta mostrò le mensole del corridoio sulle quali erano posti soprammobili intagliati nel legno e animali impagliati di tutti i tipi, frutto delle numerose battute da caccia della famiglia. Abbassando lo sguardo per la troppa luce avanzò ed entrò in cucina. 

  
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