La macchina sfrecciava nel traffico
cittadino senza una meta precisa, sotto la luce artificiale dei lampioni le vie
sembravano tutte uguali e senza importanza per la persona che stava al volante.
Sasha cercava invano di concentrarsi
sulla guida, per impedire di venir soprafatta dalla disperazione, nella sua
mente continuava a rivivere la scenata appena svoltasi nella stanza d’albergo,
mentre pezzi di ricordi sepolti dagli anni, tornavano a tormentarla
crudelmente.
Quasi a corto di benzina, frenò di botto
inchiodando la macchina in una strada poco illuminata, tremante incrociò le
braccia sul volante e vi posò sopra la testa con un singhiozzo sofferente, gli
occhi le bruciavano, ma le lacrime non volevano scendere, neanche se la
ricordava più l’ultima volta che aveva pianto.
Sentendosi come una tigre in gabbia,
scese dalla vettura e ad occhi chiusi respirò a pieni polmoni l’aria fredda
della sera, dandosi un’occhiata attorno si accorse con sorpresa di essere in
una zona familiare, non si era resa
conto di aver imboccato l’uscita che l’avrebbe portata fino a quel posto.
Fece qualche passo lungo il muro di
mattoni rossi e si fermò davanti ad un cancello, era chiuso, lo immagginava
vista l’ora, lo sguardo le scivolò lungo il viale rischiarato debolmente dalla
luce della luna e quella tenue dei lampioni sulla strada.
Colta da un impulso improvviso lo
scavalcò, e pochi secondi dopo atterrò con un salto dall’altra parte, anche al
buio sapeva in quale direzione andare.
Ignorando l’atmosfera tetra e surreale,
si incamminò tra le file di lapidi fino a che trovò quello che cercava, due
croci su un piedistallo, la scritta su una diceva:
“Jessica
Trevor Trent
Madre devota”
Mentre sull’altra:
“Jack Trent
Collega
stimato e padre affezionato”
Accanto ad ognuna c’era un mazzo di
fiori appassiti da tempo, molto probabilmente opera di Mark.
Come una arrivata allo stremo delle
forze, Sasha si lasciò cadere sull’erba accanto alle due tombe, non aveva
visitato quel luogo da quando aveva lasciato gli Stati Uniti, non che
importasse, visto che era convita che suo padre si stesse rivoltando nella bara
e sua madre non doveva essere affatto orgogliosa di quello che la loro bambina
era diventata.
Aveva rinnegato tutti gli insegnamenti
impartiti da suo padre, difendere i deboli, lottare contro le ingiustizie e
mantenere l’ordine e la sicurezza nel paese, suo padre era stato orgoglioso del
suo lavoro, lo svolgeva con diligenza e impegno, e nel corso degli anni aveva
cercato di trasmetterle la stessa passione, lei invece si era rivelata una
delusione.
La sua vita stava andando a rotoli, gli
anni passati a costruirsi un’esistenza ordinata erano stati cancellati dalle
poche parole che lei ed Etienne si erano scambiati in albergo. Quelle poche
parole erano state capaci di ridurre il suo piccolo mondo preciso in un cumulo
di macerie, catapultandola nuovamente nell’incubo che aveva cercato con tutte
le forze di dimenticare.
Non erano i ricordi della prigionia a
tormentarla, ma quello che era successo in Colombia dopo, se chiudeva gli occhi
riusciva ancora a vedere le fiamme che si alzavano alte dalla villa, le grida
di terrore e l’odore del sangue, e lei che con lo sguardo impassibile,
completamente ricoperta del sangue delle sue vittime, fissava fredda il
risultato della sua opera.
Si ricordava la voce di Gonzales, il
mercenario che l’aveva aiutata a reclutare il resto del gruppo, che le diceva
spaventato; “Ricordami di non pestarti mai i piedi chica”, tutti erano rimasti sconcertati dalla crudeltà dimostrata
dalla donna che li aveva assunti, e in quel momento neanche lei si era
riconosciuta.
Chi era quell’essere calcolatore senza
nessun rispetto per la vita umana? Chi era quella donna acceccata dalla sete di
vendetta? Pronta a tutto pur di raggiungere il proprio obiettivo.
Quello che era diventata quella notte le
aveva fatto venire la nausea, non aveva guardato in faccia nessuno o fatto
distinzioni, tutti dovevano morire e così era stato, ed alla fine si era chiusa
nella piccola casetta dalle tegole rosse che aveva affittato, e non era uscita
per tre giorni.
Tre giorni in qui aveva sperato di
morire e di non sentire più il dolore sordo che le pulsava in petto, tre giorni
in cui la sua mente, ormai diventata insensibile, aveva finalmente registrato la
sua condotta barbarica, e tre giorni in cui si era resa conto che la sua
vendetta non aveva portato nessuna parvanza di pace ma solo altro dolore, e
rimorsi che si sarebbero affievoliti con il tempo ma non sarebbero mai
scomparsi.
Quando era uscita dal suo isolamento, le
erano state riferite le storie che avevano iniziato a circolare approposito
della “dea di ghiaccio”, le ci era voluto un pò per capire che stavano parlando
di lei, all’inizio si era fatta un paio di risate sarcastiche sulla cosa, ma
poi aveva deciso che le si addiceva, Vivian Trent era scomparsa per sempre, se
le serviva una nuova identità perché non
quella?
Gonzales le aveva proposto di entrare in
società con lui e lei aveva accettato, le aveva permesso di entrare
nell’ambiente dei mercenari a pagamento, di farsi conoscere e di crearsi un
nome, e che nome, uno dei più ricercati e temuti.
Un rumore improvviso, proveniente dal
folto degli alberi la fece irrigidire, drizzando le orecchie fece scivolare una
mano allo stivale, dove teneva il coltello.
-Porti ancora uno dei tuoi affilatissimi
coltelli legati alla caviglia?- chiese una voce dall’oscurità.
-Cosa ci fai qui?- lui era l’ultima persona che aveva voglia di
vedere al momento.
-Speravo di trovarti in questo posto, ho
pensato che magari una visita alle loro tombe era in programma, specialmente
stasera-
-Come hai potuto Mark?- lo attaccò
arrabbiata –non avevi nessun diritto di raccontargli nulla!-
Mark fece qualche passo titubante sul prato
buio e le si sedette accanto, riusciva a malapena a vederla, ma forse per
quello che dovevano dirsi era meglio così, l’oscurità ti dava un senso di
anonimato e sicurezza.
-Si é presentato nel salotto di casa e
ha preteso informazioni, che potevo fare, sparargli?-
-Sarebbe stato preferibile!- sbottò
senza convinzione.
-Chissa perché, ma non credo che me ne
saresti stata grata-
-Non sai quello che hai fatto Mark, non
era il caso di coinvolgere Etienne in qualcosa che non lo riguarda-
-Forse ho pensato che avevi bisogno di
un pò di compagnia, nel piccolo inferno privato che ti sei creata con le tue
stesse mani-
-Risparmiami la tua filosofia spicciola
ti prego!-
-In efetti la mia filosofia non ti é mai
piaciuta- ammise con un vago sorriso –gli ho raccontato tutto perché mi è
sembrato uno con il fegato necessario per contrastarti e perché mi é sembrato
di capire che a te ci tenga parecchio, altrimenti non sarebbe venuto da me-
-Ma proprio a me dovevano capitare tutti
gli uomini deviati!- sussurrò abattuta sfregandosi gli occhi con il palmo della
mano.
-Spiegami perchè l’idea di farlo
avvicinare a te ti terrorrizza così tanto? Eppure se la memoria non mi inganna,
uno amazzerebbe per stare al fianco di una donna come te-
-La filosofia spicciola sta riaffiorando
Mark, ed io non ho voglia di starti ad ascoltare stasera, hai combinato già
abbastanza danni-
Sasha stava per alzarsi e andarsene,
quando la mano di lui scattò e le afferrò il polso in una morsa micidiale
trattenendola.
-Questa volta non te ne vai, é ora che
abbiamo quella discussione che avremmo dovuto avere quasi sei anni fà- aumentò
la stretta, rendendo inutili i flebili tentativi di fuga di lei.
-Basta scappare- le intimò deciso –ormai
dovresti aver scoperto che non importa quanto corri lontano o veloce, il tuo
passato riuscirà sempre a starti dietro-
-Va al diavolo!-
-Insultarmi non ti servirà a nulla-
-Mio Dio Mark, come fai a non capire!-
gli gridò contro con voce rotta, era arrivata al punto di rottura, non avrebbe
retto ancora per molto.
-Spiegamelo-
Per diversi minuti gli unici rumori
attorno a loro furono il vento freddo, che soffiava leggero tra le fronde degli
alberi, e il suono attutito del traffico cittadino.
Quando alla fine Mark si convinse che
lei non gli avrebbe raccontato nulla, il suono improvviso della sua voce lo
fece quasi sobbalzare.
-Quello che sono diventata quella notte
mi terrorrizza- ammise per la prima volta a voce alta –sapevi che nella villa
c’erano cinque bambini?-
Lo sapeva, aveva letto tutti i rapporti
delle autorità del luogo e quelli del medico dell’obitorio.
-Tu lo sapevi?- volle sapere.
-No, ma non fa alcuna differenza...-
-Avresti attaccato lo stesso la villa se
l’avessi saputo?-
Ci pensò sù, sarebbe andata avanti con
il piano se avesse saputo che nella villa erano presenti dei bambini? Non ne
era sicura, magari sarebbe stata più cauta e scelto i suoi bersagli con più
cura, ma ora non c’era modo di esserne certi.
-Onestamente? Non lo so- lo sguardo le
si perse nel buio mentre i ricordi di
quella terribile notte le scorrevano vividi davanti agli occhi –ero come
impazzita quella notte, l’unico pensiero riccorrente era quello di farli fuori tutti,
senza eccezzioni, dal primo all’ultimo e ci sono riuscita, solo che sono
riuscita anche a coinvolgere persone innocenti nel processo-
-Ti sei sentita meglio dopo?-
-Ho avuto incubi per mesi!- rise, ma
senza allegria –e li ho tuttora adesso. Tu ed Etienne credete di conoscermi, ma
siete due poveri illusi, non sapete che
razza di mostro possa diventare-
Mark non le aveva ancora lasciato il
polso, percepiva chiaramente i violenti tremiti che le stavano scuotendo il
corpo, doveva aver raggiunto il limite, tenersi dentro cose del genere per
tutti questi anni ti logorava.
-Magari credi che nessuno possa capire
cosa hai passato in quei momenti, ma non hai mai dato a nessuno la possibilità
di provare a comprendere, non sei un’assassina capace solo di atti brutali
Vivian...-
-Come puoi dire una cosa del genere,
dopo...dopo...- detestò con tutto il cuore la voce incrinata che ne era venuta
fuori.
-Un mostro senza anima a quest’ora non
sarebbe qui a crogiolarsi nei sensi di colpa, ripensando al passato- le disse
cercando di confortarla –é per questo che ti sei attaccata con tanta tenacia
alla tua immaggine di mercenaria fredda e spietata? Per tenere sotto chiave
quelle emozioni oscure che credi ora facciano parte di te?-
Sasha ebbe un sussulto, come aveva fatto
ad andare così vicino al centro del bersaglio?
Era per quello che cercava di non
lasciarsi andare, di tenere sempre sotto controllo, quello che la circondava e
i minimi dettagli del suo lavoro, una dimostrazione di violenza come quella
accaduta in Colombia non avrebbe più dovuto ripetersi, ma facendo così aveva
allontanto il resto del mondo da lei, le mura che si era costruita attorno tenevano
tutto dentro, ma allo stesso tempo tenevano anche tutto fuori, tenendo tutte le persone a debita distanza.
Ed era quello che aveva sistematicamente
fatto con Etienne, negando la sua attrazione per lui, relegando la loro notte
insieme ad un insignificante interludio piacevole, tenendolo lontano, ma
segretamente desiderando che tra loro ci fosse qualcosa di più e quello la
spaventava, se fosse esplosa di nuovo, sarebbe stata capace di fargli del male?
Il solo pensiero la terrorrizzava come poche cose in vita sua, trovarsi davanti
il corpo esanime di lui come conseguenza di un suo scatto d’ira l’avrebbe
annienatata.
-Non accadrà più- le disse come se le
avesse letto nel pensiero.
-Ne sembri estremamente sicuro-
-Sono sicuro che spesso, il dolore e la
sofferenza ci portino a compiere azioni che in genere non ci sogneremo mai di
fare, non condono ciò che hai fatto Vivian, ma credo che ti meriti delle
attenuanti, e sono sicuro che non avresti mai fatto del male a degli innocenti
deliberatamente- le lasciò il polso e si mise in piedi, avrebbe voluto
abbracciarla e consolarla in qualche modo, ma non era più un compito che
spettava a lui, forse era arrivato il momento di rimandarla dall’inglese –il
tipo di assoluzione che cerchi non te la può dare nessuno se non tu stessa,
credo che ti sia punita abbastanza in tutti questi anni. Perché non torni da
lui?-
-Perché a quest’ora sarà di sicuro
sparito dalla circolazione- rispose amara.
-Non ci scommetterei se fossi in te-
Pochi istanti dopo Sasha si ritrovò
sola.