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Autore: Camelia Jay    21/07/2011    5 recensioni
Si dice spesso che la felicità non ha prezzo, ma capita talvolta che questa ti porti il conto in ritardo, con gli interessi.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il prezzo della felicità

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Il suono del vetro che si frantumava sul pavimento riecheggiò per tutta la casa e anche negli immediati dintorni, mentre June fu attraversata da un forte brivido che le partì dalle ginocchia per arrivare al cervello, in un attimo di collera funesta che le fece provare una sensazione talmente forte, da essere certa che non ne provasse una pari da anni. Il cuore sobbalzava a causa dell’adrenalina, e June capì di non averne ancora abbastanza. Prese un altro bicchiere, lo strinse quasi fino a spaccarselo in mano, poi gettò per terra anche questo, con una rabbia che sembrava disperdersi in ogni pezzo di vetro che si rompeva, così che alla fine, liberando ciò che era rimasto in lei di iracondo, lanciò un grido a tutta voce, un ruggito quasi animale, e infine si rese conto di doversi sedere.

Adesso stava tremando, aveva il fiatone. Si sentiva improvvisamente accaldata e stanca. Fece appena in tempo a stendersi sul divano con i pugni stretti, le unghie conficcate con forza nei palmi delle mani, che Rebecca si catapultò dentro la stanza, ansimando anche più di lei.

Becky osservò la scena: la sorella, rossa in viso e con il corpo teso, era sdraiata sul divano. Dalla tavola apparecchiata per due mancavano i bicchieri, che infatti giacevano a terra in mille piccoli pezzettini quasi a formare un mosaico di vetro. Ora aveva la certezza che mamma e papà, appena tornati a casa, se la sarebbero presa anche con lei. «June!» sbottò, adesso più rassegnata che spaventata. «Ti rendi conto che nel giro di pochi secondi i vicini verranno a suonarci alla porta? Hai idea di quanto sia difficile tranquillizzare la vecchietta qui di fianco del fatto che non sei né caduta dalle scale né ti sei rovesciata addosso la pentola con l’acqua bollente? E pensare che qui la più grande sei tu! Mi sento come se fossi la tua baby-sitter!»

Quando June si alzò, Becky fece un passo all’indietro nell’improvvisa paura che la sorella potesse mollarle un pugno da un momento all’altro, ma non accadde nulla. La situazione si era tranquillizzata.

«Scusa, Becky, ci penso io a pulire.» June aveva gli occhi velati, e camminando faceva attenzione a non pestare i vetri. «Tu occupati dei vicini.»

«Eh sì, certo, tocca sempre a me il lavoro più fastidioso. Che ti è preso? Secondo me sei lunatica! Ti ho lasciata dieci minuti fa che piangevi come una fontanella e ora torno vedendoti in procinto di buttare giù la casa! Come lo spiegheresti a mamma e papà?»

Il campanello suonò intromettendosi nella conversazione. Becky sbuffò e andò ad occuparsi dell’anziana signora Jones che aveva sentito dei rumori “davvero raccapriccianti”, rassicurandola che June si era solamente spaventata… per un grosso ragno, che l’aveva fatta balzare sul tavolo e di conseguenza i bicchieri erano caduti sul pavimento. Poco dopo Becky richiuse la porta di casa, pensando con soddisfazione di avere una gran bella fantasia.

June era china sul pavimento intenta a pulire, che la sorella minore si appoggiò allo stipite della porta, parlandole in tono più calmo: «Cos’è che ti ha fatto arrabbiare così tanto, June?» Dopo di che andò in cucina a prendere degli altri bicchieri. La pizza a domicilio sarebbe arrivata a momenti.

L’altra respirò profondamente. «Trovo davvero incredibile come Lindsay sta affrontando la situazione. Ha l’aria così tranquilla, e così dannatamente sfacciata!»

Becky cercò di tranquillizzarla per evitare un’altra crisi di rabbia. «June, probabilmente sei tu che hai quest’impressione perché, essendo nel bel mezzo della faccenda, vedi i difetti e gli errori degli altri elevati all’ennesima potenza, ma non è il caso di scaldarsi così.»

«Mi ha inviato poco fa un sms. Diceva che se ne ho voglia, l’invito per la sua festa di compleanno è ancora valido, e mi riserverebbe un posto vicino a lei. Chissà, quasi certamente di fronte al suo ragazzo! Per lei è tutto come se nulla fosse! Mi immagino la sua faccia con quel sorrisetto di scherno mentre lo scriveva.»

«Frena, June. Ti pare forse possibile che dopo tutti questi anni che tu e Lindsay siete andate d’amore e d’accordo, adesso lei si comporti con te con tutta questa cattiveria? Sicuramente ti ha mandato quel messaggio in buona fede, non aveva intenzione di offenderti.»

June si trattenne dall’afferrare un altro bicchiere, non senza fatica. «Be’, allora, se la metti così, o l’ha fatto con malizia, e dunque la reputo una persona schifosa, o è così stupida da averlo fatto con le migliori intenzioni, nonostante quello che provo, e allora mi fa davvero pena! In ognuno dei due casi non vale più la pena che le rivolga la parola, se non per insultarla.»

Becky si sedette sul divano, vicino a lei. «C’è anche da dire che la stupidità non è una colpa.»

«Già, è una gran sfortuna. Ma non voglio rischiare che sia contagiosa.»

«Effettivamente sembra quasi che qualcuno sia stato contagiato dalla sua…»

L’altra alzò un sopracciglio. «Ero convinta che volessi contraddirmi per tutta la sera! Così però non ti rendi molto utile. So anch’io di avere ragione.»

Ancora una volta, il campanello suonò. «La pizza» dedusse Becky, con felicità.

June si alzò per andare ad aprire. Prese i soldi che si era già infilata in tasca e abbassò la maniglia. Ciò che vide le fece provare le più contrastanti emozioni. E se dentro di lei non fosse successo tutto quel trambusto, si sarebbe accorta dell’imbarazzo e l’umiliazione palesi nell’espressione del ragazzo con la pizza lì di fronte, costretto a suonare ancora una volta a quella casa.

«Oh, Matthew» disse June fingendo la più assoluta naturalezza, ma nascondendo lo stupore, la vergogna e la voglia di prenderlo a calci. «Non sapevo avessi trovato un lavoro part-time.» Capì che non era il caso di allungare le frasi se voleva celare ancora il suo turbamento a quella visita.

Rebecca, nell’altra stanza, si era trattenuta dal precipitarsi a curiosare, sentendo la sorella pronunciare quelle parole.

«Già.» Matthew si sforzò di accennare un sorriso con tutte le sue forze, ma l’imbarazzo ebbe la meglio e così riuscì soltanto a dire l’ammontare del prezzo delle due pizze.

June contò bene i soldi – per essere sicura di non dargliene più di quanti ne meritasse – e, evitando accuratamente il contatto con le sue mani, prese i cartoni della pizza in mano. Becky lo prese come pretesto per aiutarla a portarli di là e la raggiunse. «Dammi, sorellina, ci penso io.» Sì, era proprio lui! E dopo un breve saluto a Matthew carico di finto calore se ne tornò di là.

La sorella maggiore, invece, che aveva una gran fretta di chiudere la porta, fece per andarsene senza nemmeno salutare, quando lui la fermò. «Ehm, immagino che della mancia non se ne possa neanche parlare, vero?» disse avvampando in viso.

Matthew non è uno sconsiderato, pensò June, non chiederebbe mai la mancia a me se non ne avesse davvero un disperato bisogno. Non dopo tutto questo. Tuttavia rimase davvero sconcertata per la sua richiesta, ma finse di nulla. «E sentiamo, immagino che tu ne abbia un forte bisogno per comprare il regalo di compleanno alla tua ragazza, o mi sbaglio?»

Lo guardò con un’intensità che non gli fu possibile mentire. Quello sguardo faceva quasi paura. «Ecco… sì, in realtà sì.»

Che faccia tosta, non prova neanche a inventarsi una scusa! «Allora no, non se ne parla proprio.» E con un ghigno maligno gli sbatté la porta in faccia.

In un secondo June si vide passare davanti, come un film a velocità decuplicata, scene e inquadrature sempre diverse, meravigliose nella loro unica semplicità, con lo stesso grado di felicità che June aveva avuto il piacere di provare per mesi e mesi, finché non si era tutto frantumato come quei bicchieri di poco prima, e non aveva capito che certe volte la felicità, quando finisce, ti porta anche il conto – un conto molto salato – e non accade raramente che davanti a quel prezzo da pagare si rimanga del tutto spiazzati.

Poi si appoggiò al legno solido con tutto il corpo, si lasciò scivolare giù, rannicchiandosi. Infine si mise a fissare il pavimento con gli occhi che lacrimavano per i successivi minuti, ignorando completamente la sorella che la chiamava a tavola.

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Piccolo spazio dell'autrice:

E' un bel po' che mi interrogo su cosa potrei scrivere e non mi viene l'ispirazione, e non posso dire che mi sia venuta anche stavolta, ma classifico questo piccolo brano come un piccolo sfogo di rabbia non dovuto per forza ai motivi sopra citati... ora che sono di animo più sereno, vi comunico che spero vi sia piaciuto e spero di incontrare voi lettori anche prossimamente =)

Ciao!

   
 
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